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Le neviere dei Peloritani. Appunti di ricerca

Posted By Comitato di Redazione On 1 novembre 2018 @ 00:39 In Cultura,Società | No Comments

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Neviera peloritana sul versante meridionale oltre Dinnammare (ph. Sarica)

di Mario Sarica

I fossi a nivi da Codda, ovvero le neviere dei Peloritani, riaffiorano dalla superficie rugosa, ancora oggi, come tra le più remote tracce della lunga e ininterrotta frequentazione dell’uomo lungo gli impervi crinali di un territorio montuoso, quello peloritano, dove hanno convissuto per millenni pastori, carbonai e contadini

Ricavate lungo la fascia di crinale, a partire da quote altimetriche non inferiori ai 600/700 metri, in gran parte sul versante sud-orientale, le neviere, ad impianto circolare, misurano un diametro medio di 4/8 metri, con profondità di circa 4/6 metri. Le pareti interne sono rivestite da un muro in pietra a secco (àrmacia), con gradini (scaluni), sempre in pietra, per accedere fino sul fondo.

Il rilevamento sul campo e le testimonianze raccolte hanno individuato ben 35 neviere, distribuite fra Croce Cumia e monte Scuderi, oggi in gran parte mimetizzate dalla vegetazione e in molti casi parzialmente franate, in altri casi colmate del tutto, di cui quattro messe molto opportunamente in sicurezza dall’Azienda forestale regionale di Messina.

Neviera-Monte-Scuder

Neviera, Monte Scuderi

Come ci ha raccontato Paolo Vinci (1923-2013), di San Filippo Superiore, che ha vissuto da ragazzo tale esperienza lavorativa, fino agli anni Trenta del XX secolo, in occasione delle copiose precipitazione nevose, stagionalmente ricorrenti fra dicembre e marzo, al suono della brogna o trumma, l’arcaica tromba di conchiglia, dai centri vallivi, gruppi di uomini raggiungevano i diversi siti, per colmare di neve i fossi, formando delle vere e proprie palle di neve (a runculiari) del peso di circa 20/30 kg. entro le quali conficcavano dei bastoni, per agevolarne il trasporto e, quindi, riversarle nelle neviere.

Successivamente, si procedeva ad un’azione graduale ed omogenea di compressione della massa nevosa con utensili di legno (si pistava a nivi chi mazzi), affidata al gesto ritmato di 8/12 uomini (mazziannu), per favorirne la trasformazione in ghiaccio.

Seguiva la fase lavorativa conclusiva il ciclo completo si svolgeva nell’arco di più giorni , quella che “sigillava” la neviera con uno spesso strato di felci, di circa 30/50 cm, sul quale si aggiungeva un “cuscinetto” di terra più o meno di uguale spessore.

Da queste naturali “celle frigorifere”, da aprile a settembre, per soddisfare la richiesta di ghiaccio per usi sanitari ed alimentari, venivano tagliati abilmente con un particolare utensile a larga lama, detto pattiggiana, blocchi di ghiaccio (100x35x30cm), lastri, che, insaccati, venivano trasportati a dorso di cavalcature (asili, muli, cavalli), a bbardùni, a valle, nei casali, per poi essere trasportati in città, a mezzo di carretti, rifornendo i siti previsti dal “Partito della neve” per soddisfare le diverse richieste, affidandoli magari alle banniate dei nivalori, trasportatori-venditori appunto di neve-ghiacciata.

Neviera-Monte-Scuder

Neviera, Monte Scuderi

Il commercio della neve, fiorente fino ai primi decenni del Novecento, gradualmente emarginato dalle fabbriche del ghiaccio (la prima a Messina data 1892, la “Hamilton”, dall’omonima famiglia inglese), fu regolato per secoli, in virtù di antiche scelte di governo del Senato messinese dal regime delle gabelle e del dazio, e più specificamente dal “Partito della neve” (concessione esclusiva).È interessante annotare che nel mercato messinese veniva immessa in caso di necessità quella proveniente da oltre Stretto, dall’Aspromonte, e, in alcuni casi, anche quella di Monte Scuderi, la vetta più alta sul versante meridionale dei Peloritani, e quella della più lontana Etna.

Proseguendo su questa prima ricognizione sulle poche fonti storiche disponibili, emerge che il “Partito della neve” o Jus proibitivo di grana 4 per ogni rotolo di neve imposto nel 1586, era tra le principali gabelle che costituivano il patrimonio della città di Messina.

A testimonianza di come la neve-ghiacciata fosse ritenuta un “bene di lusso”, giunge, fra le altre, una preziosa attestazione storica relativa al “carrico di nivi” donato, assieme ad altre leccornie messinesi, fra le quali “galluzzi, pavoni, anatri, crastati, zuccaro”, a Marcoantonio Colonna. Luogotenente generale di Don Giovanni d’Austria, figlio naturale di Carlo V, Colonna sbarca a Messina il 20 luglio 1571 al comando della flotta pontificia, aggiungendosi allo spettacolare schieramento navale dell’Armata cristiana, che dispiegherà le vele da Messina verso oriente, per battersi contro gli infedeli nella memorabile e vittoriosa Battaglia di Lepanto del 10 ottobre 1571.

Neviera-primi-Novecento

Neviera, primi Novecento

Giungendo, poi, oltre la metà del Seicento, emerge dal Diario messinese (1662-1712) del notaro Giovanni Chiatto un singolare contenzioso fra due membri della nobile famiglia Ruffo, proprio per accaparrarsi l’assegnazione esclusiva di tale concessione che, evidentemente, per il tempo, era molto ambita perché fortemente remunerativa per il concessionario.

Ed ora lasciamo la parola proprio al notaro Chiatto, puntuale cronista degli eventi notevoli della città di Messina, che lui sente il bisogno di raccontare con taglio giornalistico, così come giunge a noi grazie a Giuseppe Arenaprimo, erudito messinese, che lo inserisce nei saggi 1900/1908:

4

«A 4 luglio 1668. Tenendo quattordici anni adietro il duca di Bagnara il partito della neve e finendo il detto partito suo, comparsi D. Antonio Ruffo, quale per haver fatto certa offerta maggiore a favore della Cappella di nostra Sig.ra nella Maggiore Chiesa di questa Città, detto partito fu liberato a detto Don Antonio per anni quattordici; quale partito essendo quasi da finire a 5novembre, D. Vincenzo Ruffo feci offerta al Senato passato di maggior lucro e per cui detto partito fu liberato a detto D. Vincenzo, e perché a detto D. Vincenzo li competia il Jus offerendi, offersi a questa Città ed benefitio publico di vendersi la neve a gr. 4 lo rotolo con onze mille e cinquecento di beneficio l’anno alla Città, et havendosi hoggi detto partito posto alla candela nella banca di detto Ill.mo Senato, havendosi pigliato il negotio a punto vi fu l’offerta da parte di D. Antonio, la neve a gr. 4 lo rotolo con beneficio alla Città di oz.2600 l’anno, onde D. Vincenzo borsò oz.2601 l’anno et cossi detto partito restò a conto et a favore di D. Vincenzo. Avvertendo che l’anni passati la neve si vendia a gr. 5 lo rotolo con oz.1000 a beneficio alla città si vede quanto guadagnò detto D. Antonio Ruffo supra detto tempo»

Proseguendo a volo d’uccello in cerca di utili indicazioni sulle fortune che ebbe il commercio della neve sull’economia della città, in quanto bene primario necessario per usi alimentari e sanitari, ci imbattiamo, in epoca borbonica, in un esemplare “manifesto per la privativa del civico Partito della Neve” in favore del sig. Vincenzo Perino Scarcella dal 01.01.1851 al 31.12.1856, che riportiamo, di seguito, integralmente nel suo articolato apparato di norme. che evidenziano quanto il commercio della neve fosse dal carattere esclusivo e prevedesse pesanti sanzioni per i trasgressori, cioè coloro che commerciavano illegittimamente la neve.

Il concessionario aveva, tuttavia, dei rigidi obblighi derivanti dalla distribuzione del ghiaccio sul territorio nei siti che venivano indicati, sia direttamente dalla concezione che dal Sindaco, quale autorità competente, determinando, anche, il costo a rotolo del ghiaccio, se proveniente da area peloritana e calabrese o da Monte Scuderi o dall’Etna.

A conferma della persistenza della secolare pratica di raccolta delle neve e commercializzazione in città, attestata anche dal regolamento dei dazi in epoca post unitaria, che mutua integralmente quello del periodo borbonico, è interessante segnalare che all’inizio del Novecento anche la ponderosa Guida della città di Messina e dintorni, datata 1902, sente il bisogno di informare il lettore nel capitolo dedicato alla geografia fisica, ed in particolare all’idrologia, di questo singolare commercio.

Così si legge nella guida: «La neve viene giù copiosa sulle vette dei Peloritani al di sopra dei 1.010 metri e vi perdura per tre mesi l’anno, se ne fa abbondante raccolta e viene sotterrata per servire nell’estate ai bisogni della Città».

Ed ora a seguire nella carta figurata indichiamo le neviere peloritane rilevate nel corso di una recente campagna di ricerca, che si configurano, assieme a quelle dei monti Iblei, come le uniche neviere siciliane strutturate, a conca in particolare, a parte qualche rara eccezione in area etnea ed un tentativo in area peloritana tirrenica nel territorio montano di Barcellona Pozzo di Gotto.

6I dati raccolti sono parte di un lavoro in progress, appunti di una ricerca che intende concorrere alla elaborazione di una mappa sistematica e ragionata delle neviere in Sicilia, a cui altri studiosi come Luigi Lombardo e Luigi Romana hanno già offerto significativi contributi conoscitivi, rispettivamente per l’area degli Iblei e per quella madonita. Sul versante peloritano va senza dubbio ancora approfondita l’indagine storica di rilevamento e di studio degli aspetti socioeconomici e culturali di questa importante realtà di una Sicilia largamente inedita.

Dialoghi Mediterranei, n. 34, novembre 2018
 Riferimenti bibliografici
G. Arenaprimo, Opere, volume secondo, Saggi (1900-1908) a cura di Giovanni Molonia, libreria Ciofalo editrice, Messina 2012;
Autori Vari, Ghiaccio a colazione, Giambra ed. Messina 2015;
L. Lombardo, L’impresa della neve in Sicilia, Le fate ed. Ragusa, 2018;
Municipio di Messina (a cura), Guida di Messina e dintorni, tipografia Crupi 1902;
Regolamenti per la percezione e custodia de’ dazi civici della Città di Messina, suoi Borghi, Sobborghi, e Casali”, Appendice all’Albo Giudiziario n.7 del 13.05.1981, editore Tommaso Capra;
L. Romana, Neviere e nevaioli. La conserva e il commercio della neve nella Sicilia  centro-occidentale (1500-1900), Ente Parco delle Madonie, Petralia Sottana, 2007.
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Mario Sarica, formatosi alla scuola etnomusicologica di Roberto Leydi all’Università di Bologna, dove ha conseguito la laurea in discipline delle Arti, Musica e Spettacolo, è fondatore e curatore scientifico del Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani di villaggio Gesso-Messina. È attivo dagli anni ’80 nell’ambito della ricerca etnomusicologica soprattutto nella Sicilia nord-orientale, con un interesse specifico agli strumenti musicali popolari, e agli aerofoni pastorali in particolare; al canto di tradizione, monodico e polivocale, in ambito di lavoro e di festa. Numerosi e originali i suoi contributi di studio, fra i quali segnaliamo Il principe e l’Orso. il Carnevale di Saponara (1993), Strumenti musicali popolari in Sicilia (1994), Canti e devozione in tonnara (1997).
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