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L’altro da sé. Il demonio e la possessione maligna

diavolo_a_quattrodi Antonio Bica 

Per ogni credente la fede in Dio comporta che vi sia anche una fede (nel senso di credere) nel suo contrario, cioè l’anti-Dio, in un’ottica dualista che prevede l’esistenza del male accanto a quella del bene. È nella letteratura biblica, già a partire dal libro della Genesi, che fa la sua comparsa il diavolo, e così fino all’Apocalisse, ultimo libro del Nuovo Testamento; è lì, dove la figura del demonio trae origine, che dobbiamo guardare se vogliamo sviluppare un argomento sulla natura del male e la sua personificazione, perché è proprio lì che la demonologia ha il suo fondamento e la sua determinazione in termini di analisi scientifica.

Almeno è da intendersi come la Scrittura rappresenti il punto di partenza dal quale successivamente si è sviluppato il dibattito scientifico e dal quale si trae la quasi totalità del materiale di ricerca. Tutto il resto è da considerare elemento fiabesco, frutto della fantasia dell’uomo nell’evolversi del suo tempo e della sua cultura.

Non serve un’analisi storica dettagliata per dimostrare come e in quale misura la questione del ‘Male’ abbia avuto un ruolo tanto specifico quanto preponderante nelle varie culture e religioni ed abbia interessato tutta l’umanità fin dalle sue origini. Il problema del Male, percepito nella sua dimensione di angoscia e drammaticità, ha caratterizzato nei millenni le vicende della storia e il loro evolversi.

Ad individuare il tema del ‘maligno’ è proprio la figura oscura del demonio, identificato nella fattispecie come l’essere sovrannaturale malvagio per eccellenza. Il fenomeno della personificazione storica del maligno ha origine in ambito mediterraneo ed appartiene alle culture semitiche del Vicino Oriente Antico.

Il termine ‘demone’, di origine greca, sta ad indicare un essere divino nel senso di ‘potenza divina’; dunque, un essere non necessariamente malvagio, ma piuttosto inteso come una specie di guida interiore, o addirittura un genio tutelare, qualcosa che appartiene all’anima di ogni creatura umana e che su di essa veglia, in grado talvolta di stabilire un tramite fra la sfera umana e quella della divinità.

Un tale significato di ‘demone’ sarà filtrato nel corso dei secoli fino ad assumere in epoca cristiana una connotazione di tipo negativo. Sebbene molte fra le culture antiche, soprattutto nel Vicino Oriente, attribuiscano un senso specifico alla parola ‘demone’, fino a sviluppare vere e proprie forme di credenza nell’esistenza dei demoni come creature negative, non in tutte le culture il termine identifica l’idea di malvagio.

61srrbuvzl-_ac_uf10001000_ql80_Nell’Antico Testamento si fa riferimento al termine ebraico ‘Satana’ inteso come avversario e nemico di Dio. Satana fa la sua comparsa nel libro di Giobbe 1, 6-7: «un giorno, i figli di Dio andarono a presentarsi davanti al Signore e anche Satana andò in mezzo a loro. Il Signore chiese a Satana: ‘Da dove vieni?’. Satana rispose al Signore: ‘Da un giro sulla terra, che ho percorsa’». E ancora Giobbe 2, 7-10: «Satana si allontanò dal Signore e colpì Giobbe con una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo. Giobbe prese un coccio per grattarsi e stava seduto in mezzo alla cenere. Allora sua moglie disse: ‘Rimani ancor fermo nella tua integrità? Benedici Dio e muori!’ Ma egli le rispose: ‘Come parlerebbe una stolta tu hai parlato! Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremo accettare il male?’».

Il libro di Giobbe viene redatto intorno al V secolo a. C.; siamo in pieno periodo post-esilico per il popolo d’Israele. La storia del popolo di Israele ha subìto dei mutamenti; gli israeliti si lasciano alle spalle una storia di nomadismo e di vita dura; la vita, al rientro dall’esilio non è più così piena di pericoli e incertezze; la figura stessa del Dio geloso e crudele della letteratura pre-esilica, è mutata lasciando intravedere un Dio meno esigente dinanzi al suo popolo, un Dio non più crudele ma dispensatore di bene e quindi non più additabile come Ente Supremo cui attribuire la responsabilità del male e delle sconfitte di Israele.

In ambito culturale giudaico, la letteratura profetica segna man mano il passo e cede il posto a quella apocalittica con le sue future aperture verso una prospettiva messianica ed escatologica. La caduta di Gerusalemme del 587 a. C. ad opera dei Babilonesi, priverà gli ebrei del loro culto e del loro Tempio, per la cui ricostruzione bisognerà aspettare che arrivi la conquista e, con essa, i finanziamenti dei Persiani. La letteratura profetica ascrive il male accaduto alla condotta del popolo ebraico che aveva disatteso così le promesse di prosperità del suo Dio. Era l’intera nazione a soffrire, così come soffre Giobbe, l’uomo giusto e il servo fedele.

È in questo preciso momento storico di cambiamento della civiltà ebraica che il diavolo fa la sua comparsa proprio nel libro di Giobbe, come a giustificare il dolore dell’uomo probo, dando una motivazione alla sofferenza del giusto; la mancata realizzazione della prospettiva profetica di prosperità che avrebbe abbracciato tutta la nazione, trova giustificazione nella presenza di una forza antagonista, nemica di Dio; è questa entità maligna ad opporsi alla realizzazione della promessa di Dio. Si prospetta in tal modo una sorta di dualismo fra il bene e il male, in seno al quale è il popolo d’Israele a farne le spese. Questa fase negativa verrà superata in una prospettiva escatologica e messianica nel tempo a venire, col trionfo della promessa divina. Il male che si accanisce su Giobbe è dunque opera di Satana e non di Dio. Lo stesso Satana che vaga in giro per la terra ed ha accesso alla corte celeste, Satana l’accusatore, il nemico di Dio che pure con quel Dio dialoga.

9788858113196Si perviene così ad elaborare una diversa significazione della presenza del male nel mondo; emerge nella storia della cultura ebraica l’idea di un dualismo che, nei secoli a venire, trasmetterà la sua eredità al pensiero occidentale. Se da un lato è presente Dio col suo regno in cielo, dall’altro c’è Satana che vaga in giro per il mondo. La divinità terribile e vendicativa del Vecchio Testamento, tale era almeno fino al periodo pre-esilico, viene deresponsabilizzata dal male; il male deriva da Satana che istiga l’uomo a commetterlo.

Resistere al maligno, non cedere alla tentazione, è adesso responsabilità dell’essere umano. L’uomo è libero di cedere e soccombere, oppure di resistere, in una visione escatologica che prevede un futuro di salvezza. L’uomo guadagna il ruolo di attore protagonista, diventa l’essere in grado di contrastare Satana, in una prospettiva individuale di santità che è fondamento dell’etica ebraica.

Pertanto, l’idea di un male metafisico rimane estranea alla cultura ebraica e, nella letteratura veterotestamentaria, viene riservato alla demonologia un ruolo tutto sommato marginale. Satana, la personificazione del male, non trova posto fino ad un certo periodo della storia ebraica perché c’è un Dio cui attribuire il bene e il male; il Dio geloso e terribile è al tempo stesso motore e causa del bene e del male.

Si legge in Genesi, 6, 5-7: «il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di avere fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: Sterminerò dalla terra l’uomo che ho creato: con l’uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d’averli fatti». E ancora in Geremia, 4, 12: «un vento minaccioso si alza per mio ordine. Ora, anch’io voglio pronunziare contro di essi la condanna». E Geremia, 4, 27: «devastato sarà tutto il paese; io compirò uno sterminio». E ancora in Esodo, 20, 2-6: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi».

9788829706914_0_0_536_0_75Emerge chiaramente la figura di un Dio padrone delle sorti del suo popolo, un Dio capace di irrompere nella storia con tutta la sua potenza, per dispensare il bene e il male senza che vi siano altri motori ad intervenire. È l’immagine di una divinità cui si possono attribuire ancora varie forme di responsabilità, comprese quelle negative in riferimento a punizioni, morte e distruzione. L’idea di una diversa entità (Satana per l’appunto) cui addebitare gli eventi catastrofici non è ancora ben delineata.

Ma il nome ‘Satana’ non è il solo ad essere tramandato dalle Scritture; altro nome che compare nel Vecchio Testamento per definire il male è quello di Lucifero. Isaia, 14, 12-15: «come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell’aurora? Come mai sei stato steso a terra, signore di popoli? Eppure tu pensavi: Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, dimorerò sul monte dell’assemblea, nelle parti più remote del settentrione. Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò uguale all’Altissimo. E invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell’abisso»! E poi Ezechiele 28, 12-16: «Figlio dell’uomo, intona un lamento sul principe di Tiro e digli: Così dice il Signore Dio: Tu eri un modello di perfezione, pieno di sapienza, perfetto in bellezza; Eri come un cherubino ad ali spiegate a difesa; io ti posi sul monte santo di Dio e camminavi in mezzo a pietre di fuoco. Perfetto tu eri nella tua condotta, da quando sei stato creato, finché fu trovata in te iniquità. Crescendo i tuoi commerci ti sei riempito di violenza e di peccati; io ti ho scacciato dal monte di Dio e ti ho fatto perire, cherubino protettore, in mezzo alle pietre di fuoco».

In entrambe le citazioni bibliche si fa riferimento alla vanagloria di uomini potenti (come il sovrano di Babilonia cui accenna Isaia), che aspirano a mettersi allo stesso livello della divinità, e in questo tentativo incorrono nella punizione divina che li condanna alla decadenza loro e dello stesso popolo cui appartengono. Lucifero, la “stella del mattino”, si trasforma nell’angelo decaduto, punito dal Signore per la sua superbia.

Troviamo riferimenti relativi alla ‘caduta’ degli angeli anche nel Nuovo Testamento; secondo le previsioni bibliche vi sarebbe stata una ‘guerra in cielo’. In Apocalisse 12, 7-9, si legge: «scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli». Sempre Lucifero è identificato con Satana dall’apostolo Paolo, che nella seconda lettera ai Corinzi (2 Cor. 11, 14) dice: «anche Satana si maschera da angelo di luce”. Altro termine che identifica il maligno è ‘diavolo’, che nel suo significato greco indica ‘colui che divide’, il calunniatore, l’accusatore.

Da questa breve disamina si evince come, nel Vecchio Testamento, l’incarnazione del male osteggi i piani di Dio e si frapponga fra l’uomo e la divinità, ma non sia ancora responsabile del lato oscuro della creazione. Bisognerà attendere l’indirizzo neotestamentario e, successivamente, l’avvento del cristianesimo, con una più netta distinzione fra bene e male, perché compaia un Dio buono, alieno dal male stesso, e Satana diventi responsabile delle colpe del creato. In ambito scritturale infatti possiamo notare come i vangeli siano molto più ‘interessati’ alla presenza del diavolo e ad esporre le sue tentazioni, proprio per evidenziare la funzione redentrice del figlio di Dio e del suo messaggio.

_57Il demonio spinge l’uomo ad estrinsecare il male insito nel cuore dell’uomo stesso, e si adopera in ogni modo per indurlo in tentazione. In una prospettiva escatologica di trionfo e di liberazione, Dio vincerà il male e annienterà le forze delle tenebre; così l’uomo sarà salvo a condizione però che abbia fede e che resista alle lusinghe del maligno.

Il personaggio per eccellenza del Nuovo Testamento che incarna la figura del diavolo, è Giuda Iscariota; rivediamo alcuni passi di Giovanni e Luca; Gv. 13, 2: «mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo»; Gv. 6, 70: «non ho forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo. Egli parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota».

Luca scrive: «allora Satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era nel numero dei Dodici» (Lc. 22, 3). Allo stesso modo questo ‘ingresso’ di Satana è ripreso dal quarto evangelista: Gv. 13, 26-27: «e intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. E allora, dopo quel boccone, Satana entrò in lui». È come se il male entrasse fisicamente ‘dentro’ il corpo del traditore impossessandosi di lui; il male è assolutamente presente con tutta la sua forza in mezzo ai discepoli e a Gesù stesso.

Emerge dunque la figura del demonio come principe usurpatore, ma il suo primato sul mondo e su tutto il creato è subordinato alla sottomissione dell’uomo, altrimenti il diavolo non avrebbe alcun potere. Satana è il principe del mondo, «viene il principe del mondo» (Gv. 14, 30); «ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori» (Gv. 12, 31). Egli è ‘il dio di questo mondo’, così lo chiama Paolo nella seconda lettera ai Corinzi (2 Cor. 4, 4). Ed è l’apostolo Pietro ad ammonire e raccomandare di essere vigili nei confronti del nemico: «siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare» (1 Pt, 5, 8). Il principe di questo mondo avrebbe, dunque, la capacità di entrare nel corpo della sua vittima ed assumerne il controllo. È ciò che in genere si intende per ‘possessione diabolica’, l’irrompere violento del male nelle viscere dell’uomo.

Questo almeno è il punto di vista di chi osserva con gli occhi della fede.

La possessione, nella sua diabolica estrinsecazione, presenta spesso caratteri di spettacolarità, almeno dal momento in cui è proprio il demonio che comanda l’espressione fisica del corpo della vittima. Egli è una specie di plasmatore fisiognomico, ma ciò che il demonio non può avere è il totale controllo della libera volontà della persona, pur esercitando un’azione violenta su di essa.

In realtà, non dobbiamo dimenticare, per quanto possa apparirci fuorviante, come l’azione del maligno si esplichi paradossalmente col consenso divino; è Dio che lascia all’uomo il libero arbitrio; il male ha origine dalla ribellione degli angeli, ma questi restano comunque subordinati a Dio e al suo potere. Alla fine è all’uomo e a lui soltanto che spetta la decisione di compiere il male o il bene; la libertà individuale non è intaccata. La divinità stabilisce che l’uomo sia totalmente libero di decidere del proprio destino.

9788885223790_0_0_0_0_0Il principe di questo mondo agirebbe pertanto secondo il volere di Dio e per compiere la volontà divina, ma su Dio egli non ha potere alcuno. Scrive Giovanni: «non parlerò più a lungo con voi, perché viene il principe di questo mondo; egli non ha alcun potere su di me, ma è necessario che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che mi ha comandato» (Gv. 14, 30). E ancora Gv. 12, 31: «ora il principe di questo mondo è cacciato fuori»; Gv. 16, 33: «voi avrete tribolazione dal mondo, ma abbiate fiducia: io ho vinto il mondo».

Giovanni dunque esorta ad avere fede; Gesù ha il potere di scacciare il principe delle tenebre dal mondo e di vincere sul mondo, ha il potere di sconfiggere la malattia e risanare colui che da essa è ‘posseduto’, perché questo è il volere di suo padre. «Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazareth, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui» (Atti 10, 38). Nella letteratura biblica Dio è vincitore sul diavolo; insomma non si può cogliere nella Scrittura quell’ossessione per il diavolo che apparterrà piuttosto alla cultura cristiana successiva e che sopravvive ancora fino ai nostri giorni.

Tornando al fenomeno della possessione demoniaca, la Scrittura riporta numerosi esempi dove i protagonisti sono il demonio e la persona posseduta; da qui è possibile trarre alcune chiarificazioni e perfino abbozzare un quadro sintomatologico in riferimento all’azione demoniaca. Nel caso del muto indemoniato (Mt. 9, 32-33), il figlio di Dio scaccia via da lui il demonio e il muto comincia a parlare; più avanti lo stesso Matteo (Mt. 12, 22) racconta di un altro indemoniato muto e cieco che dopo la cacciata del demonio torna a parlare e vedere; stessa cosa dopo la guarigione dell’epilettico che «soffre molto e cade spesso nel fuoco e spesso anche nell’acqua» (Mt. 17, 14-18). Qui il demonio è causa di disturbi come la cecità o l’incapacità di usare la parola, o le turbe epilettiche.

L’indemoniato di cui ci parla Luca (Lc. 4, 33-35), viene addirittura scaraventato a terra dalla forza del maligno, sottolineando la violenza della possessione; Marco dice «straziandolo e gridando forte» (Mc. 1, 26). In altri casi (vedi la giovane schiava in Atti degli Apostoli 16, 16-18) essa «aveva uno spirito di divinazione e procurava molto guadagno ai suoi padroni facendo l’indovina. Essa seguiva Paolo e noi gridando: Questi uomini sono servi del Dio Altissimo e vi annunziano la via della salvezza. Questo fece per molti giorni finché Paolo, mal sopportando la cosa, si volse e disse allo spirito: In nome di Gesù Cristo ti ordino di partire da lei. E lo spirito partì all’istante».

imagesUn caso a parte è quello dell’indemoniato Gadareno (Mc. 5, 1-20) che «aveva la sua dimora nei sepolcri e nessuno più riusciva a tenerlo legato neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva sempre spezzato le catene e infranto i ceppi, e nessuno più riusciva a domarlo. Continuamente, notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre». Interrogato sul suo nome, il demonio risponde: «mi chiamo Legione, gli rispose, perché siamo in molti». Qui la possessione è addirittura opera di una ‘moltitudine’ di demoni.

Esaminando ancora gli antichi testi letterari, vi sono poi situazioni in cui la possessione genera nel posseduto sentimenti di gelosia e perfino di odio nei confronti del prossimo o di singole persone; è il caso di re Saul che viene colto dal delirio nella sua casa e desidera uccidere il suo avversario; si legge nel libro di Samuele (1 Samuele, 18, 9-11): «così da quel giorno in poi Saul si ingelosì di Davide. Il giorno dopo, un cattivo spirito sovrumano s’impossessò di Saul, il quale si mise a delirare in casa. Davide suonava la cetra come i giorni precedenti e Saul teneva in mano la lancia. Saul impugnò la lancia, pensando: Inchioderò Davide al muro!».

Certo è come l’azione diabolica, che sia protagonista un solo demone o un’intera legione, crei un’alterazione della mente e dello stato di coscienza, modificando i sentimenti del posseduto. A questi però non viene tolta la capacità di opporsi e resistere; egli è pur sempre libero di farlo, impegnandosi in uno sforzo interiore che può essere inteso come vero e proprio combattimento contro l’entità malvagia, contro l’altro da sé.

L’azione diabolica rimane comunque qualcosa di misterioso, in grado di suscitare paure anche nei più forti. Ma la vittoria, per il credente, si ottiene con la fede. Si legge nella lettera di Giacomo (Gc. 4, 7): «sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà da voi». E ancora nella prima lettera di Giovanni (1 Gv. 3, 8-10): «figlioli, nessuno v’inganni. Chi pratica la giustizia è giusto com’egli è giusto. Chi commette il peccato viene dal diavolo, perché il diavolo è peccatore fin dal principio. Ora il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo. Chiunque è nato da Dio non commette peccato, perché un germe divino dimora in lui, e non può peccare perché è nato da Dio. Da questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chi non pratica la giustizia non è da Dio, né lo è chi non ama il suo fratello».

Oggi, come all’alba del primo millennio, gli stessi demoni che turbavano e violentavano l’uomo provocando malattie e ferite, fuggono dinanzi a colui che invoca il nome di Dio praticando l’esorcismo; nulla essi possono contro l’uomo se la fede di questi è salda, nulla possono di fronte a quel nome che è al di sopra di ogni nome. «Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra» (Lettera ai Filippesi 2, 9-10). «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno» (Mc. 16, 16-18).

md30561377494Ma non basta solo invocare quel nome, per esorcizzare il male servono anche il digiuno e la preghiera: «entrò poi in una casa e i discepoli gli chiesero in privato: Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo? Ed egli disse loro: Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera» (Mc. 9, 28-29). Matteo aggiunge: «questa razza di demòni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno».

Tutto questo, ovviamente, non ha una validità assoluta; è vero per chi ha fede, per chi considera la Scrittura come la rivelazione e la parola del Dio di Abramo, per chi crede veramente che vi sia un Dio sopra di noi e accanto a noi. Ma se guardiamo al fenomeno col filtro della ragione e l’analisi della scienza, il diavolo e la possessione diabolica, con tutto ciò che ne consegue, acquistano un significato diverso.

La medicina, la psicologia, la psichiatria, gettano una luce di razionalità sull’ombra del diavolo; ecco allora che l’idea del diavolo, così come ci è stata confezionata e tramandata da secoli, non c’entra più; il diavolo diventa una proiezione esterna, un’invenzione della psiche per giustificare le cattive azioni che compiamo e attribuirne la responsabilità ad un fattore esterno a quel sé che siamo noi; proiettando il male verso un’entità occulta e malvagia, lo togliamo fuori da quel dentro che viene da noi. Si ottiene così una deresponsabilizzazione dell’io di fronte al male; c’è un’entità esterna a noi che si fa carico del male, un capro espiatorio esterno che si farà carico delle angosce e delle colpe che altrimenti avrebbero potuto schiacciarci.

Questa idea del demonio inteso come proiezione, assume forme e dimensioni soggettive specifiche; il maligno vive una vita a se stante accanto a noi ma al di fuori di noi. L’idea tradizionale e canonica della possessione perde il suo fondamento storicamente acquisito, quella cultura dell’immaginario-fantastico ci appare in una nuova veste, rivoluzionata e riveduta dalla scienza, e il posseduto viene studiato dal punto di vista della nevrosi isterica o col filtro della psicosi o di altre patologie psichiche, come nel caso dei deliri allucinatori proprî delle sindromi schizofreniche o dei comportamenti ossessivi delle nevrosi compulsive, o delle manifestazioni spesso violente e comunque incontrollabili delle sindromi epilettiche. È la psiche a partorire i mostri demoniaci, e pertanto sono i conflitti psichici a dare vita all’entità malefica.

Esistono sindromi psichiatriche (per fortuna abbastanza rare) in cui l’individuo sofferente, crede di potersi trasformare in un animale, come nel caso della licantropia di Nabucodonosor. Si tratta di un pensiero delirante inquadrabile in un disturbo psichiatrico, conosciuto anche come delirio zooantropico. Ne fa cenno sempre il Vecchio Testamento precisamente nel libro di Daniele; il profeta viene consultato dal sovrano babilonese perché ne interpretasse il sogno: «si muti il suo cuore e invece di un cuore umano gli sia dato un cuore di bestia» (Daniele, 4, 13); e più avanti: «in quel momento stesso si adempì la parola sopra Nabucodònosor. Egli fu cacciato dal consorzio umano, mangiò l’erba come i buoi e il suo corpo fu bagnato dalla rugiada del cielo: il pelo gli crebbe come le penne alle aquile e le unghie come agli uccelli» (Daniele, 4, 30).

Il mito del licantropo, e in generale dell’uomo che si trasforma in animale, oltre che alla letteratura biblica, sembra appartenere anche ad antiche tradizioni sciamaniche ed altrettanto antiche celebrazioni pagane dove si venerava il lupo (ma pure altri animali predatori) come divinità; l’animale, essendo un predatore, si trovava in competizione con l’uomo anch’egli cacciatore; per evitare la competizione e guadagnarsene il favore, si tributavano all’animale onori e si imitavano i suoi comportamenti; l’animale fungeva da mediatore fra l’uomo e la natura in un rapporto benefico, positivo. Nella corrotta mescolanza fra uomo e lupo, o fra uomo e animale in generale, il cristianesimo identificò l’espressione e il manifestarsi del male, una forma di sottomissione e di patto col demonio al fine di ottenere vantaggi materiali al di fuori del volere della divinità.

Nelle religioni pagane di molte culture e popolazioni vi era un forte legame con gli spiriti delle foreste e della natura, ad evidenziare il rapporto intimo esistente fra l’habitat naturale, la società e il comune senso religioso. L’altro da sé, che si trovava al centro delle varie concezioni religiose, poteva essere identificato in un animale, una pianta della foresta o in qualsiasi altro elemento naturale a seconda che riguardasse società dedite alla caccia o alla raccolta e che vivessero in strutture organizzate nelle grandi foreste o lungo i grandi fiumi; attorno a questi elementi si costruivano allora miti e nascevano riti e culti con ministri, sacerdoti e sciamani.

Quando si parla del male e lo si fa in maniera razionale, ancor prima di coinvolgere l’ambito e la sfera della divinità, bisogna chiedersi piuttosto se questo non tragga la sua origine nel rapporto e nel conflitto fra il sé e l’altro da sé. Va bene la fede dunque, alla luce di queste considerazioni, ma deve essere una fede consapevole e non manipolata, allo stesso modo va bene la scienza che pure, dal canto suo, deve avere rispetto della fede; bisogna che vi sia un equilibrio dialogico fra scienza e fede così da poter dare il giusto peso alle credenze e alla ragione.

Lalileba (ph. Antonio Bica)

Lalileba, Etiopia (ph. Antonio Bica)

Se vogliamo che il rapporto tra il sé e l’altro da sé non travalichi i confini della normalità, sconfinando poi nel baratro della patologia, bisogna che in tale relazione si riconoscano i relativi ambiti di libertà e di rispetto. Nell’orizzonte del nostro tempo e della nostra cultura secolarizzata, assistiamo impotenti alla morte di Dio, ci siamo man mano distaccati dall’idea del divino e avvertiamo come un vuoto nello spazio dentro il quale il divino si manifestava, pur essendo da sempre invisibile agli occhi dell’uomo.

In questa epoca di disconoscimento di Dio, il diavolo è andato sempre più affermandosi nel mondo così come nelle coscienze degli uomini. Dio è sempre meno se stesso, mentre l’uomo è sempre più Dio; ci troviamo di fronte alla negazione di Dio e alla divinizzazione dell’uomo. Ma se Dio è morto, tutto è permesso allora; è questo che ci ricorda il grande Dostoevskij.

Privata del senso etico, la libertà dell’uomo diventa una libertà incondizionata ed egli potrà compiere qualsiasi azione, superare ogni limite e divenire Dio egli stesso. Partendo dal presupposto che sia il male che il bene dimorino entrambi all’interno dell’uomo, la libertà smisurata di questi, travalicando i confini e le temperie dell’etica, diventa anche la libertà senza condizioni del male. Confinati in una civiltà erosa nella sua interiorità, il demoniaco che è dentro di noi ci trascina verso l’illusione del sogno, ben lontano dalla ragione e dalla realtà della vita.

Nella solitudine e nel silenzio cupo della nostra civiltà, continuamente alla ricerca dell’effimero, il demoniaco ci offre l’illusione del sogno a portata di mano, costruito sul vuoto della ragione e sul delirio di un’alterità patologica. La consapevolezza della propria solitudine spinge l’uomo moderno ad abbracciare con più facilità le promesse luccicanti di una civiltà svuotata dei suoi elementi fondanti, dove il volto del male mostra solo la sua maschera colorata, una civiltà immersa totalmente nel proprio crepuscolo, un piccolo universo tenebroso dove l’uomo cerca di esorcizzare le sue antiche paure, e cede alle lusinghe dell’alterità nel suo aspetto deviante e deviato.

Lalileba (ph. Antonio Bica)

Lalileba, Etiopia (ph. Antonio Bica)

Per comprendere i limiti di questo universo e intuire di essere parte viva di una dimensione più vasta, non costretta entro i confini della finitezza, l’io spirituale deve abbandonarsi a quel confronto che nasce dalla relazione con gli altri; questo ci consente di sfuggire alla  solitudine e, con un senso di ritrovata sicurezza, di fronteggiare con più forza le influenze del maligno tramite una spiritualità davvero consapevole e un pensiero autonomo e responsabile; l’autonomia del pensiero però non può prescindere dal confronto che è lo spazio nel quale il pensiero prende forma e si plasma evolvendosi. Il pensiero viziato, lontano dal conforto della ragione e dalla luce della conoscenza, lastrica la strada della devianza fino a sconfinare nel patologico.

Vorrei condividere qui un ricordo personale frutto di una mia recente esperienza di viaggio nel Corno d’Africa. Mi trovavo sull’altopiano etiope, nel cuore di Lalibela, città simbolo della cristianità ortodossa, uno dei luoghi più sacri in terra etiope. Nell’interno semibuio di una chiesa, i sacerdoti copti, ammantati in abiti cerimoniali, erano pronti, con la grande croce copta fra le mani, per le pratiche dell’esorcismo; alcune donne, già “trattate”, erano riverse per terra pressoché immobili, altre erano in attesa del loro ‘turno’; tutte erano accorse per scacciare via dal loro corpo lo spirito che credevano le tenesse prigioniere; si esprimevano più o meno consapevolmente con movimenti convulsi e violenti, gli occhi roteavano fuori dalle orbite, qualcuna con la schiuma alla bocca; mentre filmavo di nascosto (i monaci per giusta ragione non consentivano l’uso di telecamere), ascoltavo i suoni disarticolati e incomprensibili che emettevano gutturalmente; una di loro richiamava ripetutamente l’attenzione dell’esorcista battendo le mani e reclamava per sé la priorità d’intervento.

Lalileba (ph. Antonio Bica)

Lalileba, Etiopia (ph. Antonio Bica)

Pensai alla loro condizione di primitiva, candida e incolpevole ignoranza; a modo mio provavo tenerezza; gente semplice che manifestava istericamente il proprio bisogno di attenzione. Non ero nuovo a visioni del genere, eppure rimasi non poco turbato. L’assenza di una consapevolezza vera della propria fede, una ragione prigioniera dentro i recinti invalicabili delle credenze popolari, trasformava quella gente in creature assolutamente prive di ogni forma di difesa e rendeva impossibile l’accesso a qualsiasi capacità di interazione dialogica. Quegli esseri erano entrati in contatto col demonio e cercavano a modo loro la salvezza. Stavo assistendo, senza poter fare nulla, ai danni provocati da un completo squilibrio fra fede e ragione.

Per concludere, è bello ricordare proprio qui, come monito, una vecchia citazione della letteratura inglese; afferma essa che quando si va a pranzo col diavolo bisogna fornirsi di un cucchiaio col manico molto lungo. Non solo è molto stupido chi crede di essere più furbo del demonio, ma è già perdente in partenza. 

Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025 
Riferimenti bibliografici 
BALDUCCI C., La possessione diabolica, Mediterranee, Roma, 1988. 
BATTAGLIA O., Gesù e il demonio. Saggio sulla demonologia nei vangeli, Cittadella, Assisi, 2003. 
CALLIARI P., Trattato di demonologia, Effedieffe, Viterbo, 2015. 
DI NOLA A. M., Il diavolo, Newton Compton Roma, 1994. 
DUQUE F., Il fiore nero. Satanismo e paganesimo alla fine della modernità, Lanfranchi, Milano, 1995. 
GREGORY T., Principe di questo mondo. Il diavolo in Occidente, Laterza, Roma–Bari, 2013. 
IERANÒ G., Demoni, mostri e prodigi. L’irrazionale e il fantastico nel mondo antico, Marsilio, Venezia, 2021. 
INTROVIGNE M., Indagine sul satanismo, Mondadori, Milano, 1994. 
KASPER W., LEHMANN K., Diavoli, demoni, possessione. Sulla realtà del male, Queriniana, Brescia, 1985. 
PATTISON M., Psichiatria e religione, Giuffrè, Milano, 1973. 
STANZIONE M., Il satanismo e l’occultismo. Fenomeni inquietanti della postmodernità, Gribaudi, Milano, 2010.

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Antonio Bica, specializzato in Studi Orientali all’Università di Napoli “L’Orientale”; studioso di cultura e civiltà del Medio Oriente, ha svolto studi antropologici e linguistici nella Valle dell’Eufrate, Sud-est asiatico, Yemen, Nepal, Subcontinente Indiano, Etiopia e Corno d’Africa. Autore di reportages fotografici in zone di guerra, Libano, Siria, Alture del Golan, Valle di Quneitra. Si occupa di studi di fisiopatologia e aspetti medico-legali della morte di Gesù di Nazareth. Premio Speciale per la Cultura 2012 e 2015, Ordine dei Medici-Chirurghi della provincia di Trapani.

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