Stampa Articolo

La sirena, un mito che si rinnova

sirene-14di Orietta Sorgi

Le sirene esistono ancora e soprattutto sono mai esistite davvero? O sono state piuttosto il frutto immaginario degli uomini che sin dall’antichità hanno cercato di sopperire, sul piano simbolico, ai problemi inquietanti del loro tempo? Così si chiede con stupore Antonino Buttitta durante una conversazione con una gallerista statunitense di arte contemporanea che non mostrava alcun dubbio nell’affermare in proposito: «Beati voi che vivete in un’isola dove ci sono le sirene». Già, la Sicilia, l’Isola del mito, dove prodigi e incantesimi hanno segnato profondamente il paesaggio sin dalle origini (Buttitta, 2015: 45). Una tesi avvalorata peraltro anche da un autorevole storico come Francesco Renda quando nell’introduzione alla sua storia della Sicilia annotava l’esistenza di ciclopi e lestrigoni. Con buona pace anche dell’editrice del libro, Elvira Sellerio.

Il problema è allora quello di capire le ragioni di tale permanenza, non tanto di distinguere la realtà dall’elemento fantastico, se è vero che, richiamando ancora Antonino Buttitta, la realtà quale noi la percepiamo non è in obiecto ma in intellectu e che gli uomini nel loro orientarsi nel mondo, producono e scambiano simboli (Buttitta, 1996).

31713024603_b2906fd71d_bPer quale motivo allora figure mostruose come centauri, unicorni, arpie, satiri, che hanno riempito i racconti e le fiabe tradizionali, sono andati via via scomparendo da ogni orizzonte letterario, mentre al contrario le sirene continuano a popolare le pagine dei nostri romanzi e dei vari format televisivi e cinematografici, arrivando persino a destare notizie allarmanti di cronaca sulla loro presunta esistenza?

Sono questi gli interrogativi posti da Elisabetta Moro che ritorna sull’argomento con un recente contributo dal titolo Sirene. La seduzione dall’antichità ad oggi, edito dal Mulino. La caratteristica principale di queste creature ambivalenti – nota la studiosa – dall’aspetto biforme per metà umano e per metà animale, sia nella versione alata delle origini, che in quella medievale dalla coda di pesce, è quella di mutare costantemente in tempi e luoghi diversi, adattandosi alle circostanze pur mantenendo in fondo dei tratti comuni. Non si tratta solo di personaggi, presenze o icone, ma di funzioni narrative, estetiche, religiose e sonore. In questo senso dice bene Antonino Cusumano quando intravede nella sirena un principio costitutivo di metamorfosi:

«Figure femminili di straordinaria densità simbolica, le sirene, più e meglio di altre immagini, sembrano compendiare nella loro incerta e ibrida natura la cifra ambigua e contraddittoria del mito, lo statuto essenzialmente ossimorico di tutti i miti. Nel loro corpo per metà umano e per metà ferinamente divino, legano tutti gli elementi fondanti dell’architettura cosmologica: il cielo, l’acqua, la terra, congiungono Eros e Thanatos, risolvono in un indifferenziato continuum la vita e la morte. Creature di confine e di mediazione, incarnano per antonomasia, sia sotto l’aspetto semantico, sia sotto quello iconografico, la funzione eminentemente culturale della metamorfosi e della doppiezza, quell’ibridismo fecondo di significati e contaminazioni, quella commixtio naturarum o concordia oppositorum che rimanda ai processi di elaborazione e rappresentazione dell’alterità, tra realtà e immaginazione, attrazione e repulsione» (2011: 117).

a7c46b066fae7997b8ab3f35a44b85adCustodi dell’oltre tomba e al tempo stesso garanti della vita attraverso la forza del canto che sconfigge la morte (Buttitta, 2010: 31-34). Che duplicità e ambiguità siano caratteri costitutivi del mito è un fatto indiscusso come peraltro ricordano autorevoli studiosi come Vernant, Detienne, Kerenyi e Eliade, per citare solo alcuni fra i più noti. E che all’interno del vasto corpus mitologico che l’antichità ci ha tramandato, quello delle sirene risulta ancora oggi essere fra i più efficaci sotto il profilo simbolico, è anch’esso fuor di dubbio, proprio per quella natura sostanzialmente ibrida che sembrerebbe incarnare la morfologia del racconto. Nel personaggio della sirena e nelle sue innumerevoli variazioni, s’intravede anzitutto il bisogno di andare oltre, di oltrepassare il limite nel tentativo di unire universi impossibili e opposti, ricorrendo all’audacia e alla seduzione e rischiando situazioni di caos e sovvertimento. Come l’Ulisse omerico, anche la sirena in fondo condivide lo stesso destino, quello che spinge entrambi ad osare l’imprevedibile, contravvenendo alle regole e allontanandosi fuori dai confini, sfidando il regno dell’aldilà, per riaffermare l’eternità, nella ricerca continua di nuovi orizzonti.

Non potrebbe essere un caso, a ben riflettere, che la sirena si sia diffusa universalmente a partire dall’Odissea, benché compaia nei vasi cretesi alcuni secoli prima. L’episodio di Ulisse che, ammonito da Circe, resiste alla forza del canto mortifero e seduttivo, tappando le orecchie ai suoi compagni e legandosi all’albero maestro della nave, sembra pertanto rispondere alle esigenze di un racconto che da quel momento in poi si impone con forza e si rinnova nel tempo. Le sirene, sconfitte dall’astuzia dell’eroe, soccombono alla sfida, procurandosi la morte con un tragico volo negli abissi: e su quegli scogli dove precipita Partenope, una delle tre figlie caudate di Acheloo e Calliope, sorgerà un giorno la città di Napoli.

sirena-sireneAncora una volta è una sirena a fornire la matrice mitica alla fondazione di una città, a dare quell’incipit da cui tutto ha origine. La leggenda vuole che gli abitanti delle coste campane ritrovarono il corpo senza vita di Partenope, interpretando quel prodigio come volontà oltremondana di assumere la tutela della città.  Lo stesso motivo che si ritrova in Colapesce, quando si immerge per l’ennesima volta negli abissi marini senza più risalire in superficie per sorreggere le colonne della Trinacria. Allo stesso modo quel tuffo mortale di Partenope garantirà le sorti di un nuovo insediamento, protetto da quel sacro legame fra le acque, i riti agonistici (il tuffatore ad esempio) e l’edificazione (Seppilli 1977). Da allora i residenti riservarono alla loro protettrice un grande tributo, onorandone la sepoltura e quel sepolcro è divenuto il cuore della città. Più del loro patrono San Gennaro, i cittadini non hanno mai smesso di immortalare la loro Sirena, in cui ritrovano le radici della loro stessa esistenza e la loro identità culturale, celebrata e rievocata di volta in volta anche dalla produzione artistica figurativa e musicale.

Sul piano letterario, in epoca moderna e contemporanea, è stata la sirenetta di Andersen a riproporre il tema dell’impossibilità di coniugare mondi diversi, come quello terrestre e quello acquatico. Attraverso la vicenda di una fanciulla che trasgredisce le regole in nome dell’amore e stregata da un principe, abbandona la sua famiglia per unirsi al mondo degli umani. Ma i due universi non si possono incontrare – come dimostra l’epilogo della fiaba – e l’amore fra le due creature è destinato al fallimento: il principe sceglierà di sposare una principessa e la sirenetta, non potendo più ritornare al suo mondo d’origine, vagherà nell’universo celeste.

a-melusine-playing-the-harp-coloured-woodcut-by-jost-ammanUn tema, quello dell’eros, che viene ripreso anche da Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel breve romanzo Lighea, dove narra della passione amorosa, carnale e spirituale al tempo stesso, fra un giovane grecista catanese e una sirena, affiorata in una baia vicino ad Augusta. Dopo una breve ma intensa stagione sentimentale, la creatura sparisce improvvisamente senza una ragione. Ormai vecchio e in pensione, al termine di una prestigiosa carriera accademica nelle discipline ellenistiche, il professore Rosario La Ciura vive a Torino in completa solitudine. Finché incontra e stringe amicizia con un giovane cronista de “La Stampa”, Paolo Cabrera, dalle comuni origini siciliane, a cui ha modo di raccontare le sue esperienze giovanili, riaffermando l’esistenza delle sirene e la loro immortalità. Il romanzo si chiude col suicidio del vecchio professore che, in viaggio per la Sicilia, si lancia dalla nave in quello stesso punto d’acqua che fu la culla del suo incontro amoroso, per poi scomparire misteriosamente nel nulla come la sua amata.

Una chiave di lettura che fa gioco sul paradosso è quella di Kafka, per il quale non il canto della sirena, non la potenza sonora della sua voce è lo strumento dell’incantamento, ma il suo opposto e cioè il silenzio, l’arma con cui si prendono gioco di Ulisse, vanificando la sua astuzia proverbiale.

mesulineNel romanzo La pelle di Curzio Malaparte si ritorna sul tema della metamorfosi: qui la protagonista non è più una Vergine trascendentale, dall’aspetto avvenente, ma diviene l’oggetto di un sontuoso quanto grottesco banchetto offerto dal generale statunitense Flat ai commensali dopo la caduta dell’occupazione nazista nel 1943. Metafora della città martoriata dai bombardamenti, la sirena viene trasformata in pietanza, servita accuratamente su un vassoio e condita da varie salse e contorniata da coralli. Un gusto sostanzialmente macabro che richiama, nella narrazione, ben noti processi di ribaltamento e discesa dall’alto al basso, efficacemente descritti da Bachtin.

Tante varianti su un unico tema riconducibile in fondo al carattere della mutevolezza e alla personificazione dell’alterità, tratto pertinente di ogni processo culturale. Elisabetta Moro ricorda a questo proposito la presenza delle sirene all’interno dei circhi equestri e ad altri format di intrattenimento, già in voga nell’Ottocento come quelli di Phineas Barnum, che portò alla ribalta una strana creatura ritrovata nelle isole di Figi nel 1842, ritenuta una presunta sirena. Il successo di questi spettacoli incontrava nel pubblico quella curiosità per l’esotico che in quegli anni si andava sviluppando, rafforzato anche, su un piano scientifico, dalla nascita dei primi musei etnografici, a seguito delle ricerche sul campo condotte da Franz Boas.

23fbd2ea3e6458d080c6fcbf671a7d8aLa verità è – afferma in conclusione l’autrice recuperando la lezione di Lévi-Strauss – che le sirene altro non sono che «significanti fluttuanti», segni in grado di caricarsi di una significazione mitica virtualmente infinita. Che mutano con il tempo e nelle diverse culture veicolando significati diversi, ma non al punto di non poterli riconoscere per quello che sono. «Nel caso delle sirene – sono parole dell’autrice – siamo in presenza di un surplus di significazione, come avviene di solito nel mito, dove il senso decolla dal suo supporto linguistico, la parola appunto, per acquistare una sorta di supersenso».

«In questo senso i “significati fluttuanti” – è ancora Elisabetta Moro che scrive – sono l’esemplificazione di come funzionano i simboli, della loro forza e dei loro limiti. Attraverso questi segni ad alta definizione e al tempo stesso aperti a significati sempre nuovi, gli uomini cercano di raccontare il mondo, quando mancano le parole per dirlo. …E in quella tracimante potenza simbolica che ha fatto durare nel tempo il nome sirena. Ed ha permesso, in civiltà tra loro diverse, come quella pagana e quella cristiana, di attribuirlo ad esseri la cui forma (uccello o pesce) e le cui funzioni simboliche sono cambiate continuamente. Fino a diventare opposte. Positive quando le incantatrici platoniche e pitagoriche fanno funzionare addirittura l’armonia del mondo, negative quando conducono alla perdizione».

Proprio su questo punto vorremmo soffermarci, per concludere, riportando ancora un ulteriore passo dell’autrice:

«Sempre oscillanti, barcamenanti fra un regno e l’altro: reale e immaginario, vita e morte, logos e mythos, sapienza e conoscenza, profezia e poesia. In fondo la morte inflitta dalle enigmatiche incantatrici ai marinai costituisce un naufragio dell’Io nel gran mare dell’essere. E se la seduzione in senso letterale non significa attrarre, portare a sé ma al contrario, sviare, far perdere, sottrarre a sé, allora l’abisso liquido suggerisce a chiare lettere l’immagine della deriva, dell’andirivieni, di Odisseo o chi per lui».

L’esempio delle sirene risuona oggi profetico se attribuito alla particolare tragedia della pandemia virale che noi tutti e il pianeta intero stiamo vivendo in questi giorni. Ed è proprio sul concetto della deriva che vorremmo riflettere, come conseguenza di quell’oltrepassare i limiti che ha contraddistinto la nostra storia collettiva, economica e sociale più recente. Sfidare l’impossibile è stato il dictat del Terzo millennio, turbando gli equilibri naturali in nome di una presunta onnipotenza dell’uomo sul resto dell’universo e di una quantificazione progressiva delle risorse materiali ritenute sempre in crescita infinita, e determinando quelle conseguenze che potrebbero risultare irreversibili. L’esperienza di Ulisse e delle sirene ci serva allora da monito per il futuro.

 Dialoghi Mediterranei, n. 43, maggio 2020
Riferimenti bibliografici
Bachtin, M.
1965    L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Torino, Einaudi
Buttitta, A.
1996    Dei segni e dei miti. Un’introduzione all’antropologia simbolica, Palermo, Sellerio
2010    Le Signore del canto, in Ravazza, N., a cura di, Sirene di Sicilia, Milano, Magenes: 31 – 34
2015    L’Isola di Ludovico, in Sorgi, O., Militello, F., a cura di, Gibellina e il Museo delle trame mediterranee. Storia e catalogo ragionato, Palermo, edizioni CRICD, Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Regione Siciliana: 42 – 46
Cusumano, A.
2011   Sirene o della metamorfosi, in Mannia, S., a cura di, Divinità, santi, eroi, navigatori, Palermo, Fondazione Buttitta: 115-128
Detienne, M.
2007    Noi e i Greci, Milano, Cortina
Eliade, M.
1976    Trattato di storia delle religioni, Torino, Boringhieri
Kerenyi, K.
1991    I rapporti col divino, Torino, Einaudi
 Seppilli, A.
1977    Sacralità dell’acqua e sacrilegio dei ponti, Palermo, Sellerio
 Vernant, J.P.
1981    Mito e società nell’antica Grecia, Torino, Einaudi

 _____________________________________________________________

Orietta Sorgi, etnoantropologa, ha lavorato presso il Centro Regionale per il catalogo e la documentazione dei beni culturali, quale responsabile degli archivi sonori, audiovisivi, cartografici e fotogrammetrici. Dal 2003 al 2011 ha insegnato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Palermo nel corso di laurea in Beni Demoetnoantropologici. Tra le sue recenti pubblicazioni la cura dei volumi: Mercati storici siciliani (2006); Sul filo del racconto. Gaspare Canino e Natale Meli nelle collezioni del Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino (2011); Gibellina e il Museo delle trame mediterranee (2015); La canzone siciliana a Palermo. Un’identità perduta (2015); Sicilia rurale. Memoria di una terra antica, con Salvatore Silvano Nigro (2017).

______________________________________________________________

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Letture. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>