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La produzione del turismo. Tra volontà e azione

Polynesia (foto Jodi Cobb )

Polynesia (foto Jodi Cobb )

di  Luca Pollicino

Pensare alla produzione del turismo vuol dire cercare di capire quali sono i meccanismi che spingono un turista a trascorrere le proprie vacanze in un posto piuttosto che un altro, e più in generale tentare di comprendere come «le azioni delle persone esercitano il proprio influsso sulle strutture sociali e politiche più vaste, e al tempo stesso sono influenzate da queste» (Ahearn 2001, 19). In questo senso, il turismo è un osservatorio privilegiato per cogliere sia i cambiamenti sociali in atto nel “villaggio globale” [1] che le strategie testuali adottate, di volta in volta, dagli attori del processo turistico. Ma c’è di più. Il turismo potrebbe anche rappresentare un nuovo modo di agire nel mondo: potrebbe rappresentare un volano in grado di innescare cambiamenti importanti nei processi di governance e dare nuovo significato al concetto di “contatto interculturale”.

Ma procediamo in buon ordine. Una prima questione che si pone, in ambito di antropologia del turismo, è quella della volontà. Leed afferma, infatti, che il tratto fondamentale dell’esperienza turistica è la volontarietà. Un dizionario può esserci utile per spianare il campo dalle difficoltà. Il vocabolario Treccani, ad esempio, alla voce volontà indica: «La facoltà e la capacità di volere, di scegliere e realizzare un comportamento idoneo al raggiungimento di fini determinati». Tuttavia, nel “villaggio globale” in cui viviamo, la nostra volontà è sempre più filtrata da diversi fattori esterni che fanno oscillare la nostra volontà (o capacità di volere) in un senso o nell’altro. Per quanto riguarda il viaggio a fini turistici, il primo atto di volizione sembrerebbe a prima vista concretizzarsi nella scelta della meta. In realtà, la nostra volontà è condizionata sempre più da eventi di natura politica (come guerre, conflitti locali, elezioni o attività terroristiche), di natura mediatica (la massiccia pubblicizzazione di alcune mete piuttosto che altre) e “personali” (disponibilità economica, aspettative individuali, stereotipi e mete consigliate da amici che hanno già intrapreso questo o quel tipo di viaggio). Insomma, quelle che potrebbero essere le nostre più intime scelte personali sono, in effetti, il risultato di spinte sociali e culturali che orientano persino le intenzioni più minute [2].

Il concetto di volontà va dunque visto (e letto) in stretta relazione con le motivazioni che ci spingono ad intraprendere un viaggio, dipendente, più in generale, dal potere di produzione degli immaginari sociali e culturali. Si può senz’altro affermare, in tale cornice, che la nostra volontà è sempre più un prodotto sociale e massmediatico. A ciò va aggiunta la necessità del mercato turistico di specializzarsi per offrire al consumatore un prodotto specifico; il processo di globalizzazione spinge infatti ogni luogo turistico a costruirsi un’identità forte e riconoscibile all’interno dell’immaginario collettivo. La necessità è proprio quella di mettere in vetrina i relativi vantaggi della meta turistica, al fine di renderli chiari e ben distinti da altre proposte. La seconda parte della definizione pone un problema fondamentale: quello cioè del raggiungimento di un fine, di uno scopo. Ma qual è lo scopo del turista o del viaggiatore? Cosa lo spinge ad allontanarsi da casa e a recarsi in un posto che non conosce o che conosce solo tramite immagini, scritti e racconti?

foto Pollicino

 foto Pollicino

Ovviamente, non esiste un unico “sguardo del turista” (Urry 1995) ma, a seconda della classe sociale e del periodo storico, cambiano le motivazioni che ci spingono a spostarci da un posto all’altro. In ogni caso, dietro l’esperienza del viaggio sta la necessità di interrompere i tradizionali circuiti fatti di routine e abitudini per recarsi in un posto diverso. Scrive infatti Paul Bowles (1993, VII): «ogni volta che vado in un posto che non ho ancora visto spero sarà quanto più diverso possibile dai luoghi che conosco già».  Ma come facciamo a sapere che il posto che andiamo a visitare sia effettivamente diverso da casa nostra? Come detto prima, quando decidiamo di intraprendere un viaggio ci creiamo un’immagine del posto che andremo a visitare, quest’immagine sarà carica di aspettative e di stereotipi: «si va in un posto perchè si pensa di sapere come quel luogo è» (Aime e Papotti 2012, XII). È proprio in base a queste aspettative che il turista opera la sua scelta, ed è con queste aspettative che la meta turistica deve fare i conti. Sostanzialmente, quindi, la “produzione della volontà” del turista passa anche attraverso la produzione di immaginari collettivi, relativi ad una certa meta ed a un certo modo di concepire la vacanza. Ed è proprio l’immaginario a rappresentare la causa più rilevante della scelta turistica: è il principale strumento mediante il quale un luogo, trasformato in meta turistica, diventa desiderabile. Si mette in moto, così, il meccanismo che innesca il “processo volitivo” che ci spingerà ad aspirare a passare il tempo, sottratto agli impegni quotidiani (leisure), in quella meta piuttosto che in un’altra.

Ma come vengono prodotti, più esattamente, questi immaginari collettivi delle mete turistiche? Potremmo cominciare dicendo che «nessun luogo è̀ turistico in sè; la trasformazione di un luogo in destinazione turistica è un fatto culturale in quanto si basa su criteri che si fondano sulle rappresentazioni e sui modelli di valore che orientano i comportamenti concreti» (Martinengo, Savoja 1998, 116). Accade sovente, infatti, che un turista «si interessa di qualcosa in riferimento a se stesso e al suo immaginario: se vede due persone che si baciano a Parigi è portato a pensare alla Parigi romantica e senza tempo» (Aime 2005, 92). Si produce, in questo modo, un processo che, tramite il meccanismo dei rinvii, porta a proiettare alcuni caratteri precisi sul nostro oggetto del desiderio, come avviene «quando si fa ricorso a meccanismi come la particolare cornice di genere del cera una volta, si evocano una serie di aspettative concernenti lo svolgimento successivo del discorso indicando altri testi che iniziano con la medesima formula di apertura» (Bauman 2001, 128).

Secondo Starobinski, l’immaginazione ha un ruolo fondamentale nella percezione della realtà e nella costruzione degli interessi, «insinuandosi nella percezione stessa, mischiandosi alle operazioni della memoria, aprendoci attorno un orizzonte del possibile, sostenendo proiezioni, speranze, paure e congetture – l’immaginazione è la facoltà di evocare immagini che si sovrappongono al nostro mondo di percezione diretta: ha un potere di distacco grazie al quale noi rappresentiamo noi stessi come oggetti distanti, allontanandoci dalla realtà presente» (Starobinski 1970, 173 cit. in Crapanzano 2007, 37). Così facendo, proiettiamo su un territorio attributi che non gli appartengono – del tutto o per niente – e contribuiamo a costruire un universo in parte stereotipato, che ci rende accessibile una conoscenza fittizia del reale, assecondando un processo di formazione e di fissazione dei segni nell’immaginario collettivo. Ovviamente, l’immaginazione di cui parla Starobinski è un’immaginazione letteraria; la riflessione può, tuttavia, tornare utile anche per la produzione di immaginari turistici.

2. foto Pollicino

 foto Pollicino

Gli immaginari turistici di un territorio vengono infatti prodotti per via di «un lavoro di creazione iconografica e semantica che consiste nel riorganizzare costantemente un magma di figure, di forme e di immagini» (Castoriadis 1975, 82). Sono quindi costituiti da rappresentazioni condivise e tramite un processo di selezione –spesso compiuto da chi valorizza un determinato bene o servizio per interessi personali o di un élite – che ha come unico obbiettivo quello di valorizzare e portare all’attenzione del grande pubblico solo alcuni elementi, che fungeranno, nel corso del processo di produzione della meta turistica, da evocazioni dell’intera complessità territoriale. Tali rappresentazioni, sia materiali (cartoline, manifesti, blog, film e video, guide turistiche, brochure, riviste di viaggio ma anche oggetti artigianali e altri manufatti) che immateriali (leggende, storie, racconti, aneddoti, discorsi, memorie, ecc.) vengono elaborate dall’immaginazione e condivise socialmente dai turisti e attori turistici. Il concetto di immagine turistica, dunque, è «obbligatoriamente una voce da declinare al plurale, in cui molti attori istituzionali e privati hanno diritto di parola». (Aime e Papotti 2012, 11).

Il sistema turistico intrattiene in effetti uno stretto rapporto con gli immaginari che lo alimentano, lo modellano e lo indirizzano, lasciando al turista  uno strettissimo spazio di manovra per operare la sua scelta. Alla stregua del consumatore o del bambino che scarabocchia il libro della scuola, il turista non ha più spazio «in cui imprimere il segno della propria creatività» (de Certeau 2001, 66). Il turista moderno non ha spazio per l’iniziativa, non può cambiare traiettoria, è ancorato a dei binari che altri hanno tracciato per lui, «non si segnala in alcun modo attraverso creazioni proprie, bensì̀ mediante un’arte di utilizzare ciò che le viene imposto» (ibidem).

Il turista “medio” non si configura più come un soggetto agente che prende decisioni e influenza il mercato tramite le sue scelte e il suo posizionamento, ma diventa un soggetto prevalentemente “agito” dal mercato dei consumi. L’influenza esercitata dalle logiche di consumo si concretizza non solo nella scelta della meta turistica e nella produzione degli immaginari ad essa connessi, ma lascia traccia anche (e soprattutto) nelle modalità di fruizione della meta stessa.

Il turista, nel corso della sua permanenza, viene indirizzato verso alcune attrazioni piuttosto che altre. A tale selezione concorrono diversi agenti esterni quali guide turistiche, programmi di approfondimento visti prima di partire, consigli di amici, segnaletica stradale ecc. Tutti questi elementi contribuiscono a far nascere il desiderio (di sguardo e conoscenza) del turista; tali forme testuali (intese in senso lato) divengono una sorta di “priming semantico” in quanto, tramite la valorizzazione di una determinata attrazione, si induce il potenziale turista a pensare desiderabile quella determinata attrazione: desiderio, appunto, di avvicinare il proprio sguardo verso quell’oggetto di valore (nell’accezione data da Greimas) al fine di ri-congiugersi con dei valori che qualcun altro ha preventivamente legato, tramite un lavoro semiotico e antropologico, all’attrazione da visitare (i must). In particolare, la scelta operata a monte da tutti gli attori del processo di valorizzazione turistica, indirizza il desiderio del potenziale turista verso alcune precise attrazione che

( foto Pollicino )

 foto Pollicino

fungeranno da riassunto della storia, delle tradizioni e della cultura del paese ospitante.

Invertire tale tendenza, per rendere l’industria turistica più aderente alle esigenze del consumatore finale e più vicina al complesso esperienziale che andremo a vivere in loco, non è affatto impresa semplice. Ovviamente, non ho soluzioni da offrire ma, sono convinto che, strizzando l’occhio alle nuove tendenze di marketing [3] e mettendo al centro dell’offerta turistica la componente relazionale sarebbe possibile, nel medio periodo, ripensare e cominciare a produrre in maniera diversa il comparto turistico. In tal senso sarebbe utile ripartire “dal basso” [4] (come avviene, ad esempio, nel caso della costruzione dell’offerta turistica, e dell’immaginario legato al territorio, in Costa Rica) per restituire al turista-consumatore un’esperienza che dia più aderenza possibile alla complessa realtà che andrà a trovare una volta giunto nella meta delle sue vacanze. Bisogna dar voce, in tale processo, a coloro che sono “portatori sani” di pratiche tradizionali, usi, costumi, modi di vedere e agire sul mondo, storie e leggende, antichi sistemi di produzione, ecc.; occorre, insomma, che i produttori del processo turistico siano i cittadini stessi. Tale sistema potrebbe innescare un processo di sensibilizzazione e responsabilizzazione da cui trarrebbe giovamento non solo il sistema turistico ma anche la città e la cittadinanza. Prendendo coscienza dell’immenso patrimonio (culturale, relazionale e storico) che ci circonda, si potrebbe innescare un meccanismo che porterebbe ciascun cittadino a prendersene carico e avviare quel processo per cui i beni siano concepiti come comuni e non più come pubblici [5].

Si potrebbe ripensare il sistema delle guide turistiche cartacee (principali fonti di conoscenza preliminare della meta turistica) per renderle più semplici, immediate e funzionali all’esperienza di viaggio che alla semplice visita turistica. Il fine di una rimediazione [6] del sistema delle guide turistiche dovrebbe essere quello di rendere il turista protagonista di un’esperienza che lui e solo lui decide come realizzare. In tal senso le nuove tecnologie potrebbero fornire un utile supporto di partenza, potrebbero «riempire un vuoto o correggere un errore compiuto dal suo predecessore» (Bolter, Grusin 2002, 89). In questo caso specifico, il vuoto di cui parlano gli autori sarebbe rappresentato dall’assenza di un vero viaggiatore all’interno del testo (poichè, nelle guide turistiche cartacee, la voce narrante descrive uno spazio e non un’esperienza di viaggio). Mentre gli errori da correggere sarebbero, da un lato, l’assenza della voce di chi vive la meta turistica quotidianamente e, dall’altro, la presentazione dell’apparato patemico che l’oggetto della nostra visita è in grado di veicolare e che viene presentato come universale dalle guide turistiche a stampa. Si potrebbe pensare un sistema che presenti una molteplicità di punti di vista e, facendo riferimento all’intelligenza collettiva [7] opportunamente amplificata da internet, ricorrere a guide turistiche, che, tramite il sistema dei feedback, siano in grado di costruire dal basso impressioni, emozioni, stati d’animo che l’oggetto della visita  per se stessa  veicola. In poche parole: «il sapere si accresce solo se condiviso» [8].

In questo processo di “revisione” dell’industria turistica, si potrebbe dar voce alle nuove generazioni per cercare di far venir fuori quell’immenso patrimonio, troppo spesso sommerso, fatto di idee ed energie destinate a rappresentare la nuova linfa vitale della nostra società.  Ciò che ci circonda è anche nostro e spetta anche a noi salvaguardarlo, gestirlo e restituirlo al prossimo. Spetta a ciascuno di noi edificare dei ponti culturali che rendano accessibile l’immenso patrimonio che gli uomini e la storia hanno costruito per noi. Anche da qui bisogna (ri)partire per (ri)costruire non solo l’industria turistica ma anche un sistema di governance più inclusivo.

Dialoghi Mediterranei, n. 8, luglio 2014
Note
[1]  Locuzione usata per la prima volta da Marshall McLuhan nel 1964 in Gli strumenti del comunicare, trad. it. Il Saggiatore, Milano.
[2] In quest’ottica, in cui la volontà è “smussata” dall’orientamento culturale, si deve pure prendere in considerazione l’individuo e i suoi flussi di coscienza (Montes 2014).
[3]  Come ad esempio il marketing esperienziale (Experencial Marketing) teorizzato, tra gli altri, da Schmitt.
[4] “Dal basso” è una metafora spaziale che uso per indicare, in maniera concisa ed incisiva, un posizionamento rispetto ai classici centri decisionali e di potere. Dal basso vuol dire che ogni singolo cittadino, fornitore di servizi e cliente riprende le redini del proprio vissuto e, in prima persona, decide di prendersi la responsabilità di cambiare, nel suo piccolo, lo status quo. Dal basso non è allora solo una posizione geografica; diventa un modo di affrontare il mondo e di porsi rispetto al vissuto e al quotidiano. “La base” prende consapevolezza della propria importanza e ancora una volta “dal basso” offre soluzioni ai problemi e, tramite le proprie scelte, influenza le decisioni dei “vertici”. In questa prospettiva, mi ispiro, seppur con termini diversi, all’idea di tattica di de Certeau.
[5] Cfr. Hardt e Negri 2010.
[6] Remeditation è un neologismo coniato da Bolter e Grusin per indicare il processo di «rappresentazione di un medium all’interno di un altro» (Bolter e Grusin 2002, 73).
[7] Pierre Lévy dice dell’intelligenza collettiva che è «un’intelligenza distribuita ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che porta a una mobilitazione effettiva delle competenze. Aggiungiamo alla nostra definizione questa precisazione indispensabile: il fondamento e il fine dell’intelligenza collettiva sono il riconoscimento e l’arricchimento reciproco delle persone, e non il culto di comunità feticizzate o ipostatizzate. […] L’intelligenza collettiva ha inizio solo con la cultura e si accresce con essa» (Lévy 1996).
[8] Tra gli altri Ivan Tresoldi (in arte Ivan) ha espresso tale concetto con la sua particolare forma d’arte.
Bibliografia
  Ahearn Laura M., “Agentività / Agency”, in Duranti Alessandro (a cura di), Culture e discorso. Un lessico      per le scienze umane, Meltemi, Roma, 2001
Aime Marco, L’incontro mancato, Bollati Boringhieri, Torino, 2005
Aime Marco e Papotti Davide, L’altro e l’altrove. Antropologia, Geografia e Turismo,  Einaudi, Torino, 2012
Bauman Richard, “Genere del discorso”, in Duranti Alessandro (a cura di), Culture e discorso. Un lessico per le scienze umane, Meltemi, Roma, 2001
Bolter Jay David e Grusin Richard, Remeditation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, trad. it. Guerini e Associati, Milano, 2002
Bowles Paul, Troppo lontano da casa, Garzanti, Milano, 1993
Castoriadis Cornelius, Linstitution imaginaire de la socié, Seuil, Paris,1975
Crapanzano Vincent, Orizzonti dell’immaginario. Per un’antropologia filosofica e letteraria, trad. it. Bollati Boringhieri, Torino, 2007
de Certeau Michel, L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma, 2001
Greimas Algirdas Julien, Del senso 2. Narrativa, modalità, passioni, trad. it. Bompiani, Milano, 1985
Hardt Michael e Negri Antonio, Comune. Oltre il privato e il pubblico, Rizzoli, Milano, 2010
Leed Eric J., La mente del viaggiatore, trad. it. Il Mulino, Bologna,1992
Lévy Pierre, Lintelligenza collettiva, trad. it Feltrinelli, Milano, 1996
Martinengo Maria Cristina e Savoja Luca, Sociologia dei fenomeni turistici, Guerini e Associati, Milano, 1998
Montes  Stefano, In divenire. Istantanee, passeggiate e flussi di coscienza, in “Dialoghi Mediterranei”, n.7, maggio 2014
McLuhan Marshall, La cultura come business, Armando Editore, Roma, 1998
Schmitt Bernd H., Experiential Marketing, New York, NY: Free Press, 1999
Starobinski Jean, La relation critique, Gallimard, Paris, 1970
Urry John, Lo sguardo del turista. Il tempo libero e il viaggio nelle società contemporanee, trad. it Seam, Roma, 1995
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 Luca Pollicino, conseguita nel 2012 la laurea magistrale in Studi storici, antropologici e geografici presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Palermo, ha partecipato ad un master intensivo in Europrogettazione, organizzato da “Eurogiovani, Centro di Ricerche e studi Europei”. Dal 2010 si occupa di organizzazione e gestione di eventi sociali e culturali in qualità di presidente dell’Associazione di interesse e promozione culturale AMUNì. Ha messo a frutto tali competenze progettando e realizzando alcune iniziative tramite fondi POR e PON.

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