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La pandemia: strage di uomini e strage della memoria. La scomparsa di Renato Novelli
Posted By Comitato di Redazione On 1 marzo 2021 @ 00:57 In Cultura,Società | No Comments
umane dimenticate istorie
di Adriano Senatore
La pandemia legata al Covid-19, che da ormai un anno è diventata triste e mesta compagna delle nostre esistenze, travolgendole e modificandole in profondità (con una serie di cambiamenti in ambito sociale, relazionale, psichico), può essere letta da molti punti di vista: in primo luogo è un’emergenza sanitaria, non ancora conclusa, le cui proporzioni stanno assumendo dimensioni ‘storiche’ [1]; in secondo luogo ci obbliga a riflettere sulle nostre esistenze, sui valori alla base della nostra comunità, forse a riprogrammare da altre prospettive la vita in comune.
L’Italia, anche a causa di una popolazione costituita in larga parte da anziani [2], ha pagato e sta pagando in questa pandemia un tributo altissimo in termine di vite: alla data del 7 febbraio (fonte Jonhs Hopkins University) [3] l’Italia è il sesto Paese del mondo per numero di decessi (91.273); il tasso di letalità (ultimi dati disponibili Istituto Superiore di Sanità) [4] è dello 0, 6 % nella fascia 50-59, arriva al 2,9% nella fascia 60-69, raggiunge il 10% in quella 70-79, esplode nei segmenti superiori (80-89 e oltre 90 anni), raggiungendo il 19,7 5 (80-89) e il 25,2 % (oltre i 90 anni). Oltre l’80 % di decessi si concentra tra gli over 70.
Si deve partire dai ‘freddi’ numeri della statistica per una corretta analisi del fenomeno della pandemia. Un ulteriore dato statistico permette ancor più di comprendere l’eccezionalità storica del momento: quello relativo alla mortalità complessiva relativa all’anno 2020, che registra il valore più alto dal 1944 [5]. L’eccezionalità del momento ha indotto i mass media e i governi a riferirsi agli eventi del 2020 attraverso la metafora della guerra, che risulta diffusa in molti Paesi europei (sulla “guerra al Covid” si veda il contributo di Salvati, Verdigi: 2020). Ma proporre un paragone tra la pandemia e la condizione di guerra non è appropriato per diversi motivi: nella Seconda guerra mondiale, ad esempio, non è mai venuta meno la dimensione sociale, fortemente condizionata invece dalla pandemia.
Dietro i numeri ci sono però le persone, con la loro storia: e la storia delle persone scomparse per il Covid-19 diventa la storia del nostro Paese, perché nella maggior parte dei casi si tratta di anziani che hanno vissuto nel Novecento, e di questo periodo sono stati attori e testimoni. Possiamo dunque parlare di strage di uomini, poiché la pandemia ha quasi cancellato una generazione, ma anche di strage della memoria, perché c’è il rischio che con la scomparsa degli anziani scompaia anche il ricordo del loro vissuto e la testimonianza di una parte della nostra storia.
Ad aprile 2020 comparve sui social, presto ripresa anche dai quotidiani online (mai come in questo periodo la nostra esistenza ‘scorre’ sul web e la condivisione di aspetti reali, come i sentimenti, avviene attraverso il ‘virtuale’), una riflessione-poesia di un ispettore di polizia, Fulvio Marcelliti, nata dalla commozione generata dalla vista dei camion dell’esercito che trasportavano le salme dal cimitero di Bergamo, che non era più capace di accoglierle (dato il numero impressionante di morti). È un lamento funebre, ma anche un ringraziamento ad una generazione che ha costruito l’Italia, che non deve essere dimenticata:
È doveroso, in chiave storica e civile, in un’epoca che dimentica e ignora il passato (con enormi rischi per la tenuta democratica e la coscienza collettiva di una nazione), raccogliere, conservare e tramandare la loro esperienza, facendo conoscere le loro storie. Che sono la nostra.
Questo contributo nasce dunque dal desiderio di ricordare e tramandare la testimonianza di un uomo del Novecento, scomparso nel marzo 2020 a Pistoia, nella ‘prima ondata’ della pandemia. Si trattava di uno dei più giovani partigiani, sopravvissuto alla strage di Marzabotto, successivamente carabiniere impegnato nella lotta al banditismo nella Sicilia del Dopoguerra: si chiamava Renato Novelli [7].
Un testimone del Novecento: Renato Novelli, partigiano e carabiniere
Nel Dizionario Biografico sui partigiani e gli antifascisti del bolognese [8], a proposito di Renato Novelli, possiamo leggere:
Novelli Renato, da Federico e Giuseppina Azoti; n. il 16/8/1928 a Camugnano; ivi residente nel 1943. Licenza elementare. Militò nella brg Stella rossa Lupo. Riconosciuto partigiano dall’l/7/44 alla Liberazione.
Renato apparteneva dunque all’Appennino Bolognese e divenne partigiano all’età di sedici anni; il ricordo delle origini contadine, della vita dura, ma serena, che trascorse fino all’estate del ‘44, traspariva anche dall’intervista che ci concesse alcuni anni fa [9]. La sua adolescenza venne stravolta dalla morte di un amico, ucciso dai fascisti: così la storia, con i suoi drammi, da qualcosa di lontano, diviene dolorosa esperienza vissuta sulla propria pelle. Come per tanti giovani della sua generazione, l’adesione alla lotta partigiana nacque da una ribellione interiore alla prepotenza e alla barbarie nazifascista:
La testimonianza di Novelli è ricca di particolari sull’esperienza partigiana, quali i compiti assegnati al giovane Renato: approvvigionamento, compiti di sorveglianza nella zona del Monte Salvaro, a protezione del secondo battaglione della Brigata Stella Rossa, posizionata più a valle. Ascoltando la sua testimonianza orale (su cui si basa l’articolo La voce di Renato Novelli citato in nota n.8) scopriamo anche quanto fosse forte il legame tra la popolazione locale e le bande partigiane. Uno degli obiettivi della repressione dell’autunno del 1944, culminata nella strage di Marzabotto, era interrompere questi collegamenti, annientando la Brigata Stella Rossa e la popolazione civile che a questa dava supporto.
Nel corso del 1944, quando le sorti della guerra erano ormai compromesse per la Germania nazista, si consumarono alcune delle stragi più efferate compiute dai tedeschi, spesso a danno di civili inermi, colpevoli di essere in contatto con le bande partigiane che combattevano in quel momento per la liberazione dal Nazifascismo.
Alcune di queste stragi, frutto di una strategia del terrore fine a stesso (Peli: 2006: 85-86) [10], videro impegnate l’élite del terrore nazista, le famigerate SS: tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, la sedicesima divisione delle SS, agli ordini di Walter Reder (Giorgio Bocca: 2012 ne fornisce un ritratto impietoso) [11], uccide circa 770 persone (di cui 216 bambini, 142 ultrasessantenni, 316 donne).
L’azione non si configurò come una rappresaglia, rispose piuttosto ad una ‘logica’ di rastrellamento, di annientamento delle forze partigiane e dei civili che le supportavano. Logica fuorviante, in quanto il destino dei Tedeschi era ormai scritto e le stragi non avevano nessuna giustificazione bellica. Non si deve dunque parlare di un’azione bellica, ma piuttosto di un eccidio, che nasce dalla rabbia per un conflitto ormai perso e dall’abitudine delle SS a versare il sangue nemico, come se lo sterminio costituisse il fine ultimo e più nobile per gli appartenenti a questa élite militare.
La Brigata Stella Rossa fu di fatto annientata dalle SS e la testimonianza di Novelli permette di comprendere il dramma della disfatta, che assunse i toni della lotta per la sopravvivenza:
Trascorsero i durissimi mesi dell’inverno tra il 1944 e il 1945: poi ci fu il ritorno a casa e la Liberazione. La storia di Renato Novelli visse allora una nuova stagione: carabiniere nella Sicilia del Dopoguerra, travagliata da tensioni politiche (in primis il Movimento separatista), sociali (le lotte agrarie) e dal fenomeno del banditismo, di cui la figura più nota è quella di Salvatore Giuliano.
L’affaire Giuliano è una delle pagine più contorte della storia repubblicana: si tratta di raccontare e analizzare una vicenda su cui la storiografia ha comunque già ampiamente discusso fin da subito e sulla quale non si contano[12] le testimonianze, le dichiarazioni, le opere storiche e giornalistiche, non sempre condotte in modo rigoroso.
Novelli partecipò anche a questi eventi convulsi, dopo aver essersi arruolato nell’arma dei carabinieri alla fine della guerra e raggiunto il grado di allievo alla scuola militare di Moncalieri: il 30 novembre del 1946 fu “spedito in Sicilia”, dove il banditismo era diventato un fenomeno ormai endemico[13].
Le parole dell’ex partigiano sono importanti perché permettono di comprendere alcune dinamiche della lotta al banditismo, come i contrasti tra l’arma dei carabinieri e la polizia, l’inadeguatezza complessiva della strategia di repressione al fenomeno.
Sui contrasti tra i due corpi militari, nel periodo in cui la repressione al banditismo era affidata all’Ispettorato di Pubblica Sicurezza [14], le parole di Novelli sono quasi sferzanti:
A distanza di anni Novelli sostenne con forza che, nella lotta al banditismo, furono solo i carabinieri a pagare un tributo di vite e che quindi la polizia non si impegnò veramente nella lotta contro i banditi.
L’Ispettorato fu sostituito nel 1949 dal Comando Forze Repressione Banditismo (CFRB), guidato dal carabiniere Ugo Luca: il carabiniere Novelli, dopo l’esperienza nelle forze mobili coordinate dall’Ispettorato, fu arruolato nel corpo speciale istituito dal futuro generale Luca.
Novelli fornisce, nella sua testimonianza, precise indicazioni su come operavano i nuclei operativi da cui era formato il corpo:
Il 5 luglio 1950 Salvatore Giuliano fu ucciso a Castelvetrano (TP), ufficialmente in un conflitto a fuoco con i carabinieri: ma sulla morte del bandito sono nati dubbi fin dal primo momento. Anche su questo punto la testimonianza del carabiniere ed ex partigiano è attendibile, in quanto si tratta di un testimone oculare: «Il giorno dopo ho visto di persona il corpo di Giuliano crivellato di colpi. Senza dubbio era Salvatore Giuliano. Chi dice il contrario, mente». Il Carabiniere era anche convinto che si era trattato di una messinscena: «Lo sapevamo tutti che era stato Pisciotta ad ammazzarlo e non il capitano Perenze».
Novelli rimase in Sicilia fino al 1952: successivamente si trasferì in Toscana, dove raggiunse il grado di Maresciallo nell’arma dei carabinieri fino al 1977.
Attraverso le parole di uomini come l’ex partigiano e carabiniere Renato Novelli, testimone oculare e partecipe di eventi cruciali nella storia del nostro Paese, la storia assume quella dimensione narrativa che, integrando il dibattito storiografico, restituisce ai contemporanei uno spaccato vivo e reale del lungo e complesso percorso compiuto dall’Italia nel corso del Novecento.
La sua scomparsa ci priva del piacere e della possibilità di ascoltare, nuovamente e diffusamente, la sua testimonianza sul servizio, negli anni Settanta, nelle sezioni speciali antiterrorismo dei Carabinieri: anche da questo possiamo comprendere quanto la malattia sia stata crudele [15] con chi non era stato sconfitto nemmeno dalle pallottole dei criminali nazisti o di un bandito efferato come Salvatore Giuliano. Una malattia che però è stata altrettanto crudele anche con noi contemporanei, privandoci di una parte della nostra memoria collettiva.
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