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Lʼeredità culturale di Salvatore Costanza

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di Rosario Lentini

Salvatore Costanza, un militante civile «al servizio della storia»; così scriveva qualche anno fa di se stesso, nel ripercorrere il sentiero di studi, riflessioni, scritti, attività e progetti di ricerca sviluppati in tanti decenni di vita. Ed è difficile trovare una descrizione sintetica più pertinente e calzante, perché, in effetti, ha esplorato campi vergini della storia siciliana, disvelato documentazioni archivistiche inedite importanti, analizzato questioni generali con grande originalità interpretativa, dedicato alla sua città numerosi saggi fondamentali, ma anche il proprio impegno in politica, pur se per breve periodo, ricavandone amarezza e non poche delusioni. Non ultimo, si è speso con generosità nel promuovere convegni e seminari ‒ di cui, al momento, sarebbe impossibile indicare lʼelenco completo ‒ nello svolgimento della didattica presso la Libera Università del Mediterraneo di Trapani e nel tenere innumerevoli conferenze e incontri nelle scuole.

Con la sua recente scomparsa, la Sicilia perde uno storico autorevole e stimato, apprezzato ben oltre i confini della sua città e dell’Isola. Spetta, adesso, ai giovani studiosi riscoprire Costanza, esaminare a fondo la sua bibliografia e trarre frutto dai tanti spunti e indicazioni di metodo e di merito che la lettura dei suoi testi offre.

Un ausilio in tal senso ha fornito egli stesso in due libri molto densi di riferimenti bio-bibliografici, che permettono di conoscerne più da vicino la ricca personalità e lo spessore culturale; rappresentano la guida migliore per approcciarsi alla sua vasta produzione: Lʼastuccio siculo. Un percorso intellettuale fra politica e storia, pubblicato nel 2001 [1], nonché La Sicilia nella mia vita. Linee di un percorso storiografico, pubblicato nel 2013, per un bilancio di 60 anni di ricerche (1952-2012) [2]. Il nutrito elenco di articoli e saggi ospitati in periodici e riviste specializzate di prestigio danno immediata contezza del ventaglio dei suoi interessi, che spaziavano dalla storia alla letteratura, dallʼetnoantropologia allʼanalisi politico-sociale del contesto isolano e della sua provincia, senza mai scadere in sterili polemiche.

giovan-francesco-pugnatore-istoria-di-trapaniPur nella sintesi riduttiva del presente tributo, alcuni capisaldi della sua bibliografia vanno qui ricordati, a cominciare dal lavoro di schedatura dei periodici conservati presso la Biblioteca Fardelliana di Trapani, svolto tra il 1952 e il 1954, per conto della Fondazione G.G. Feltrinelli di Milano [3]; quasi un esordio anticipatore di quella che sarebbe stata la sua forte passione e naturale attitudine al giornalismo, cui si sarebbe dedicato per venti anni, dal 1957 al 1976, come redattore e corsivista de «LʼOra» di Palermo. E la Fardelliana ‒ straordinario scrigno di libri, periodici e documenti ‒ è stata la sua seconda casa, esplorata instancabilmente e dalla quale ha tratto il manoscritto cinquecentesco Historia di Trapani di Giovan Francesco Pugnatore, trascritto e  pubblicato in una pregevole edizione critica [4], ma anche i fondi e le carte private di Francesco Sceusa (1953), di Giacomo Montalto (1957) e di Nunzio Nasi (dal 1965), di cui si è avvalso per scrivere saggi di storia politica di rilievo, fino agli ultimi anni di vita.

Un filone tematico nel quale Costanza ha eccelso è stato sicuramente quello della storia del movimento operaio e socialista e dei Fasci dei lavoratori della provincia trapanese, con un primo importante contributo pubblicato nel 1954 nella rivista «Movimento Operaio», allora diretta da Armando Saitta [5], cui sono seguiti diversi approfondimenti. In occasione della riedizione del predetto saggio nel 1990 [6], Costanza rileggeva lʼesperienza di quel gruppo di giovani studiosi di cui aveva fatto parte che, pur se tutti di orientamento social comunista, non erano certamente scolarizzati da un pensiero unico, tanto è vero che si ritrovarono al centro di critiche provenienti tanto da un maestro del liberalismo come Benedetto Croce, che considerava i Fasci siciliani «un movimento che non conteneva nessun germe vitale ed era privo di avvenire» [7], quanto, sul versante opposto, da un comunista come Enzo Santarelli: «Manca o è assai scarsa la presenza del marxismo, la dimestichezza col materialismo storico da un lato, il legame veramente organico e profondamente, politicamente articolato con la classe operaia dallʼaltro» [8].

1Erano anni di dogmatismo fideistico nei quali si rivendicava il primato di un partito egemone sulla variegata sinistra italiana e la subalternità della cultura a quella supremazia. Lʼanalisi di Costanza procedeva dalla constatazione che lʼorientamento politico dei dirigenti dei Fasci fosse molto differenziato, includendo «punte di velleitarismo anarchico […] e atteggiamenti radicaleggianti, più o meno venati di repubblicanesimo socialista, e più spesso, di vago democraticismo sociale» [9]. Lʼintento “legalitario” riformatore del leader trapanese Giacomo Montalto, di unificare le diverse componenti, non ebbe successo: «Dʼaltro canto, il movimento rivendicativo iniziato dai ceti artigiani e dai salariati di fabbrica, che i fasci urbani erano riusciti ad inalveare entro strutture di “classe” modellate sullʼesempio che veniva dalle organizzazioni operaie e socialiste dellʼItalia centro-settentrionale (e persino dalla socialdemocrazia tedesca), non trovò né il tempo né lʼopportunità di collegarsi effettivamente col moto contadino» [10]. Il problema irrisolto rimaneva la mancanza «di un organico progetto politico-sociale, capace di unificare tanto le aspirazioni delle masse campagnole quanto quelle dei ceti lavoratori e intermedi delle città, nel quadro dei molteplici elementi di rottura che emergevano dal fondo della società isolana» [11].

Lʼattenzione di Costanza rivolta allʼemergere di figure di rilievo ‒ ma poco o nulla studiate ‒ del movimento operaio e contadino e del sindacalismo dellʼarea trapanese è stata una costante dei suoi studi, come dimostra la monografia su Francesco Sceusa del 1992 [12] che, oltre allʼapprezzamento unanime degli studiosi della materia, nel 1994 si guadagnava l’“Howard R. Marraro Prize” assegnato dalla Society for Italian Historical Studies di New York. Il volume, prefato da Romano Ugolini, riprendeva, ampliandola e integrandola, una precedente stesura per gli atti di un convegno tenutosi nel 1988 [13]:

«Chi scrive […] ha cercato di stabilire, attorno al personaggio Sceusa, il nesso delle reciproche influenze fra coscienza associativa dei lavoratori emigrati in Australia e azione condotta da repubblicano-radicali e socialisti nella colonia. Ho voluto inoltre considerare non solo il ruolo di patrocinio e difesa che lʼesule siciliano riuscì a svolgere nellʼambito dellʼemigrazione italiana nel lontano continente, ma pure la sua costante azione di saldatura a livello del confronto politico tra le esperienze, pur così diverse, del movimento operaio in Italia e in Australia» [14].

Non a torto Ugolini considerava Costanza un antesignano in questo genere di ricerche. «Francesco Sceusa è una delle riprove più significative: senza il lavoro di Costanza […] noi avremmo semplicemente ignorato pensiero e azione, in Italia e in Australia, di una personalità di grande spessore» [15].

copertina_la_patria_armata1Con La Patria armata, pubblicato nel 1989, Costanza registrava un altro traguardo importante, frutto di una laboriosa ricerca documentaria stimolata molti anni prima nel corso di discussioni avviate con studiosi e docenti dellʼIstituto di Sociologia ed Etnologia dellʼUniversità di Heidelberg i quali erano intenti a sviluppare indagini di storia sociale sulla Sicilia. Il tema della monografia riguardava una sommossa popolare esplosa a capodanno del 1862 a Castellammare del Golfo ‒ paese dalla duplice vocazione agraria e marinara ‒ durante la quale furono uccisi alcuni ricchi possidenti da parte di bande composte da giovani renitenti alla leva. Tuttavia, solo apparentemente si poteva ritenere che la genesi di quei gravi fatti di sangue fosse determinata dallʼintroduzione dellʼobbligo di prestare servizio militare per cinque anni nel regio esercito del nuovo Stato unitario. Al danno che tale obbligo generava nelle famiglie contadine che potevano contare soprattutto sulla forza-lavoro dei figli per il loro sostentamento, si sovrapponeva anche la delusione dei ceti meno abbienti che avevano creduto in una possibilità di riscatto dopo la cacciata dei Borbone e lʼinstaurazione della dittatura garibaldina.

Delusione e rabbia popolare nel vedere che i notabili e gli arricchiti del paese stavano facendo fortuna spartendosi la cutra (la coperta), impossessandosi dei posti chiave dellʼamministrazione civica, degli ex feudi e dei terreni demaniali. Da questa miscela di concause la sommossa non poteva che degenerare e produrre omicidi efferati cui il governo rispose con una repressione militare non meno sanguinosa:

«La ricerca sulle identità locali del tessuto socio-economico ‒ scriveva Costanza ‒, […] ci consente di evidenziare un dato strutturale (lʼisolamento della comunità castellammarese) che ha conseguenze negative per il processo dʼintegrazione della vita paesana nellʼItalia unita ma che, considerato nel contesto di un fenomeno riscontrabile un poʼ in tutta lʼarea contadina della Sicilia, riproduce quella situazione di reattiva disomogeneità rispetto agli stessi circuiti politico-amministrativi calati dallʼalto che rende assai problematico il rapporto coi “topoi” nazionali della ideologia e della politica»[16].

Lʼanalisi condotta da Costanza procede in modo approfondito portando in primo piano una serie di aspetti e di questioni sommerse che solo la sua grande perizia di storico poteva consentirgli di fare: il diverso posizionamento politico dei parlamentari siciliani (Vito DʼOndes Reggio, Francesco Crispi, Pasquale Calvi) rispetto alla sommossa e alle contromisure adottate dal governo; la mobilità sociale e le distinzioni di mentalità e di interessi tra ceto marinaro e classi rurali; la formazione di un esiguo gruppo di redditieri usurai «formatisi sul mercato della terra, i quali così insidiano le possibilità di articolazione del ceto borghese più attivo e intraprendente (quello legato ai traffici trans marini), soggiogandolo alle strozzature del sistema parassitario» [17]; lʼesiguità della proprietà fondiaria in mano ai castellammaresi (solo un quarto rispetto a quanto posseduto dai palermitani, napoletani e trapanesi); la genesi della mafia rurale e il suo impatto politico. «Lʼazione di gruppi informali della extralegalità fu rivolta allo scopo di deprimere, intanto, le animosità della folla, assicurando la protezione dei civili e dei loro beni, e di costituirsi, quindi, di fronte al pubblico come forza interna di coesione e di tutela dellʼordine sociale minacciato» [18].

b84c5756f6a889fa332015e4458021f9_xlCostanza non rimane irretito nel celebrazionismo risorgimentale e nelle valutazioni acritiche sul processo di formazione del nuovo Stato unitario, identificando tutti i soggetti e attori locali che in quella stagione svolsero un ruolo e analizzando i relativi intrecci; poteva, perciò, sostenere documentatamente che «al declino dellʼautorità baronale poteva sostituirsi solo in parte il potere locale esercitato, mediante lʼamministrazione civile, da una “borghesia” che, per sua origine contadina, non poteva certo ottenere, dai ceti subalterni della campagna, legittimità e devozione al pari degli esponenti della vecchia nobiltà. Perciò la presenza dei mafiosi nel contesto sociale garantiva meglio di fronte ai contadini le posizioni acquisite dai civili nella proprietà della terra e nella sua gestione»[19]. Su questa commistione di interessi che trovava i propri punti di contatto tra borghesia agraria, amministratori civici, esponenti politici di rilievo nazionale e ceti subalterni, Costanza tornerà in più occasioni in La libertà e la roba. Lʼetà del Risorgimento del 1999 [20] e nella raccolta di saggi scritti tra il 1968 e il 2010 dal titolo Sicilia risorgimentale [21], fino al prezioso volumetto, pubblicato nel 2016, Si agitano bandiere. Leonardo Sciascia e il Risorgimento, rielaborazione di una sua relazione inedita ad un convegno sullo scrittore di Racalmuto, nella quale sottolineava:

«Se il mito di Garibaldi, del suo status di figura militare era prevalso nella considerazione dei fattori che, secondo la leggenda nazionalista (durata a lungo pure tra gli storici), avevano portato al successo lʼimpresa del ʼ60, non si può dire, però, che mancasse una solidarietà trasversale tra i vari ceti sociali contro il regime borbonico, in cui entravano come forza coesiva di tutela e di rispetto i gruppi di nuova formazione mafiosa»[22].

Costanza coglie perfettamente la genesi della critica sciasciana dell’epopea risorgimentale, riconoscendo allo scrittore di avere toccato il nervo scoperto delle conseguenze negative che sarebbero derivate da un processo di unificazione nazionale compiuto con determinate modalità:

«Lʼequivoco del Risorgimento, “radicalmente deluso”, di cui si ripropone lʼeco in Sciascia, traeva origine dallʼambigua, meccanica, trasposizione di un mito, quello garibaldino, in una dimensione di libertà come parte di uno stesso processo politico e sociale. Il compromesso unitario […] era già nel progetto nazionale scelto dai democratici […]. I fatti susseguenti, dolorosi e drammatici, delle rivolte popolari dellʼOttocento avrebbero scoperto la parte sacrificata di quel compromesso, non la sua coerente linea politica» [23].

Unʼaltra nutrita serie di articoli, saggi e monografie di Costanza ha riguardato naturalmente la città di Trapani di cui vanno segnalati principalmente Il teatro a Trapani. Storia e testimonianze, del 1979 [24]; Cultura e informazione a Trapani fra Otto e Novecento [25] e Trapani fra le due guerre. Il tramonto delle egemonie urbane [26], entrambi del 2006. Nel mezzo di queste tre pubblicazioni si colloca la trascrizione del già citato manoscritto del Pugnatore ma, soprattutto, Tra Sicilia e Africa. Trapani. Storia di una città mediterranea [27] del 2005. Oltre ad una elegante veste editoriale, lʼopera si caratterizza per unʼoriginale interpretazione della storia plurisecolare della città, svincolata dallʼimpostazione tradizionale che individuava nelle vicende, nei personaggi e nelle dinamiche sociali il centro di gravità e al tempo stesso il motore della crescita e dello sviluppo della stessa. Costanza colloca, invece, l’asse della storia di Trapani sul rapporto tra la Sicilia e i Paesi del nord Africa, sul tessuto connettivo di uomini, di merci, di saperi e di religioni sviluppatosi nei secoli tra i due continenti.

81tuunbnlel1La storia della città, quindi, plasmata dalla sua mediterraneità, con connotati compositi che avrebbero arricchito il proprio patrimonio genetico e che rielaborati, a loro volta, sarebbero stati immessi nel grande network di relazioni mercantili e culturali che è stato e rimane il Mediterraneo. Costanza riesce a mostrare quanto Trapani abbia partecipato alla produzione di una cultura multietnica e quanto da essa sia stata influenzata, facendo sua la lezione dello storico francese Michel Mollat: «Il mare isola e insieme unisce. [...] Tra le cose comuni agli europei, il mare è certamente una delle più costanti e feconde. La Storia gli riconosce il doppio ruolo di unione e separazione assegnatogli dalla geografia. [...]. Il mare cioè il Mediterraneo [...] è un buon punto di osservazione ed è difficile percepire l’Europa dall’Europa. È necessario prendere le distanze! Il mare lo consente» [28].

Due anni dopo lʼopera veniva integrata da un volume appendice dal titolo Trapani cità nobile de Scicilia, contenente “Letture critiche e indici” a cura di Salvatore Denaro [29], incluse le lusinghiere considerazioni di Giuseppe Giarrizzo:

«Più importante allo stato presente della storiografia siciliana, incerta e velleitaria, il modo in cui Costanza pone la questione della storia “mediterraneaˮ di Trapani: essa consente per un verso di aggiungere, quando verranno, le voci dell’altre sponde, ma soprattutto suggerisce l’urgenza di intendere le diverse “mediterraneitàˮ dei centri maggiori e minori della lunga costa isolana»[30].

Non v’è dubbio, quindi, che con Tra Sicilia e Africa, Costanza si sia cimentato in una sfida importante e impegnativa, realizzando il miglior compendio della storia di Trapani che sia mai stato scritto, che è anche metafora della sua biografia: «Il racconto che se ne può trarre ‒ scrive egli stesso ‒ è all’interno della ricerca documentaria come approccio alla verità storica, per quanto possibile, ma con la tensione morale che è il dono inestimabile che la storia fornisce ai suoi cultori, interessati a un vero e proprio esame di coscienza della propria generazione» [31].

Il ciclo degli scritti dedicati alla sua città avrebbe trovato un ultimo punto di approdo nel 2009 con la Storia di Trapani, testo di divulgazione destinato soprattutto agli studenti delle scuole medie e superiori e al lettore non specializzato [32]. Nel 2011, avrebbe dato alle stampe ancora un altro pregevole contributo storiografico, con il volume dedicato a Giovanni Gentile. Gli anni giovanili 1875-1898, portando a compimento uno studio sul filosofo castelvetranese iniziato anni prima. Allo stesso tempo, si tratta di una ricostruzione del contesto culturale trapanese presso il cui prestigioso liceo Ximenes maturò la sua formazione adolescenziale, avendo avuto come insegnanti don Vito Pappalardo ‒ un sacerdote patriota garibaldino ‒ e altri docenti provenienti dal “Continente” [33].

71gcidb8-ulLa seconda fase della crescita intellettuale di Gentile sarebbe avvenuta presso la facoltà di lettere e filosofia della Scuola Normale di Pisa, «laureandosi con un lavoro su Rosmini e Gioberti», sotto la guida del professor Donato Jaia [34]. Il libro non offre soltanto le indicazioni biografiche molto puntuali sul percorso formativo del giovane filosofo, ma anche gli elementi essenziali di una visione politica che lo avrebbe portato a disconoscere il valore del “verismo” nell’avere ribaltato l’immagine del “popolo” e il merito di autori come Verga, De Roberto e Pirandello di avere dedicato nei loro romanzi una forte attenzione alle transizioni generazionali «per un vero e proprio “processo” al Risorgimento» [35]. Gentile mostrava già agli esordi l’indirizzo che avrebbe preso la sua riflessione sulla storia della cultura siciliana:

«La cultura politica di Gentile ‒ precisava Costanza ‒, ancorata agli ideali del Risorgimento, seguirà il percorso lineare della ricerca di una identità siciliana “da incorporare e fondere nell’unità nazionale”; mentre nello schema da lui formulato di una “Sicilia in sé” e “sequestrata” da ogni relazione col mondo esterno “a causa del mare e della scarsezza dei commerci”, il Mediterraneo, lungi dal rappresentare fattore dinamico di interscambio, avrebbe invece accentuato i caratteri dell’ “isolamento geografico e storico dell’Isola. […] L’ambiguità ideologica di questo schema avrà il respiro corto con le tensioni sociali di fine secolo e le inchieste sulle condizioni di vita dei contadini» [36].

Nel mese di luglio del 2020, Costanza pubblicava, infine, L’Italia rovesciata. Nunzio Nasi. Una biografia politica [37], ultima fatica intellettuale che lo aveva impegnato diversi decenni, sia per riordinare il ricco archivio conservato presso la biblioteca Fardelliana, sia per selezionare i documenti e la corrispondenza utile alla redazione della più originale biografia politica di un protagonista a cavaliere tra ̓800 e ̓900.

La scelta adottata da Costanza è stata quella di ripercorrere tutti i passaggi e le fasi dell’attività parlamentare e ministeriale di Nasi e di individuare i fatti salienti nel rapporto con Crispi e con l’antagonista Giolitti. Il libro colma una lacuna grave della storiografia politica italiana che del personaggio in questione aveva trattato soprattutto la genesi e lo sviluppo della vicenda giudiziaria, in quanto sottoposto a processo dinanzi all’Alta Corte di Giustizia e condannato per “lieve danno all’erario dello Stato”: «Dopo il suo rientro in Italia e il processo […], Nasi tornò a Trapani tra i suoi concittadini ed elettori, che lo accolsero il 22 luglio 1908 con una festosa manifestazione quando il vapore noleggiato a Napoli approdò al porto, insieme a quanti lo avevano voluto accompagnare nel viaggio»[38].

Personalità complessa e singolare, ancorato al radicalismo legalitario, Nasi era considerato un crispino anomalo, «attento a valutare dello statista riberese l’aspetto innovatore delle riforme amministrative che non quello economico» [39]. Si impegnò energicamente nella tutela della comunità italiana residente in Tunisia, minacciata dalle spinte imperialistiche ed espansionistiche francesi e inglesi, ma pur sostenendo la politica coloniale di Crispi in Eritrea, si distingueva nel proclamare la pacifica convivenza fra i popoli.

Ebbe non poche difficoltà a mantenere integra la sua base elettorale interclassissta, specialmente dopo avere scelto di accettare «il compromesso con la destra sonniniana dei proprietari terrieri», mentre, di contro, il ministro dell’Interno Giolitti premeva perché venissero accolte «le rivendicazioni dei contadini per la revisione dei patti agrari e l’aumento dei salari per i braccianti»[40]. Alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale, Nasi non si fece coinvolgere dalla ondata interventista che aveva trovato sostenitori eccellenti in tanti intellettuali come Oriani, D’Annunzio e Marinetti: «Nella prolusione al Corso di filosofia del diritto dell’anno 1915-1916 che Nasi tenne nell’Università di Roma, dopo la sua reintegrazione (nel 1912) tra i liberi docenti, si può rinvenire un vero e proprio paradigma antibellicista, sia pure velato da proposizioni giuridiche saldate alla realtà storica» [41].

copertina_italia_rovesciata1Di non minore interesse tra la vasta documentazione rilevata da Costanza le considerazioni molto severe sull’attività del prefetto Mori in Sicilia: «non ha mai fatto cosa diversa in ogni tempo e sotto tutti i governi ‒ scriveva Nasi nei suoi Ricordi inediti ‒. Non ha distrutto, né distruggerà la maffia, che in parte è assorbita dal fascismo, in parte protesta; ed è la più potente»[42]. Il contrasto sempre più evidente e palese di Nasi nei confronti del fascismo è ben delineato nei vari passaggi politici e nelle posizioni assunte con l’acuirsi dello scontro fino al tragico delitto Matteotti e alla sua decisione di affiancarsi ai parlamentari secessionisti dell’Aventino: «Di fronte all’instaurarsi del regime autoritario di Mussolini, i Democratici Sociali [di cui Nasi faceva parte] avevano dovuto rivedere i loro programmi, ed affidarsi al consenso popolare. Crescevano, intanto, le iniziative per denunciare le continue violazioni dei diritti civili, con la soppressione della libertà di stampa; mentre il Comitato parlamentare delle opposizioni, in una riunione del 18 gennaio 1925, ribadiva il suo impegno per la difesa della carta costituzionale» [43]. Maturò come altri che contro il fascismo bisognasse ormai combattere in tutto il Paese.

Questa ultima monografia di Costanza, pur se presentata nella sua città nel 2020, non ha ancora avuto la giusta risonanza che merita, soprattutto a causa del rallentamento di tutte le attività e manifestazioni culturali, in conseguenza della pandemia, con l’eccezione di due pregevoli recensioni pubblicate rispettivamente su «Dialoghi Mediterranei», n. 46, a cura di Natale Musarra e su «Mediterranea – Ricerche storiche» n. 51, a firma di Matteo Di Figlia [44].

Giuseppe Corsini, Ritratto di Salvatore Costanza

Giuseppe Corsini, Ritratto di Salvatore Costanza

In chiusura di questa rassegna sommaria degli scritti di Salvatore Costanza, ritengo doveroso aggiungere anche un ricordo personale; lo impone la solida amicizia che si era cementata dagli anni Ottanta in poi, nel confronto e dialogo sui molti temi di studio in comune, pur da piani diversi: prevalentemente storico-politico il suo, storico-economico il mio. Le occasioni di scambio sono state numerose, a partire dai primi due dei tre convegni organizzati dal professor Francesco Brancato sugli Ingham-Whitaker [45], ai convegni del Centro Internazionale Studi Risorgimentali e Garibaldini di Marsala, al volume collettaneo su Mazara che vanta ben tre suoi saggi [46] e tre schede [47], ai ripetuti appuntamenti culturali promossi dallʼIstituto Euroarabo di Mazara del Vallo e alla collaborazione con questo periodico, «Dialoghi Mediterranei» edito dallo stesso Istituto.

Lʼultima conversazione al telefono tra noi sembrava apparentemente simile a tante altre che lʼavevano preceduta; pensavo fosse demoralizzato e, invece, mi sorprese non solo per il tono rassicurante della voce ma, soprattutto, per quel misto di ironia e di nostalgia crepuscolare che lo caratterizzava. Gli chiesi come trascorresse la giornata e se avesse voglia di leggere. Domanda superflua; aveva ripreso una raccolta di poesie di Guido Gozzano a lui molto caro e cominciò a declamarmi alcune sestine della Signorina Felicita ovvero la Felicità:

Ecco – pensavo – questa è l’Amarena,
ma laggiù, oltre i colli dilettosi,
c’è il Mondo: quella cosa tutta piena
di lotte e di commerci turbinosi,
la cosa tutta piena di quei «cosi
con due gambe» che fanno tanta pena….
[…]
«Avvocato, non parla: che cos’ha?»
«Oh! Signorina! Penso ai casi miei,
a piccole miserie, alla città….
Sarebbe dolce restar qui, con Lei!…»
«Qui, nel solaio?…» – «Per l’eternità!»
«Per sempre? accetterebbe?…» – «Accetterei!».

 Così Salvatore Costanza, con lʼeleganza che lo distingueva, si stava preparando al congedo dagli amici e dai suoi cari e allʼappuntamento con lʼEguagliatrice che numera le fosse.

Vorrei, infine, rivolgere un pubblico appello allʼamministrazione comunale trapanese, di istituire un premio di studio annuale a lui intitolato, da assegnare a laureandi o a ricercatori universitari che presentino elaborati di storia (politica, sociale, economica) riguardanti la Sicilia. Sarebbe un modo concreto di dare continuità e valore al suo straordinario contributo di intellettuale e di storico e di ricordarlo con gratitudine anche per avere valorizzato lʼidentità della sua città. 

Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021 
Note
[1] S. Costanza, Lʼastuccio siculo. Un percorso intellettuale fra politica e storia, Società Trapanese per la Storia Patria, Trapani 2001.
[2] Idem, La Sicilia nella mia vita. Linee di un percorso storiografico, Istituto per la Storia del Risorgimento italiano – Comitato trapanese, Trapani 2013.
[3] Idem, I periodici di Trapani (1864-1925), in Bibliografia della stampa periodica operaia e socialista italiana, a cura di Franco Della Peruta, G.G. Feltrinelli, Milano 1956.
[4] G.F. Pugnatore, Historia di Trapani, a cura di Salvatore Costanza, Corrao, Trapani 1984. Lʼanno seguente, nella rivista diretta dal professor Francesco Brancato, lʼopera di Costanza fu oggetto di una pregevole recensione di V. DʼAlessandro, Trapani nella “Istoria” di Giovan Francesco Pugntore, «Nuovi Quaderni del Meridione», n. 89-90, 1985: 165-175.
[5] S. Costanza, I Fasci dei lavoratori nel Trapanese, «Movimento Operaio», 1954, n. 6: 1007-1049.
[6] Idem, I Fasci dei lavoratori. Lʼesperienza trapanese 1892-1894, Associazione per la tutela delle tradizioni popolari del Trapanese, Trapani 1990.
[7] Ivi: 18.
[8] Ibidem.
[9] Ivi: 21.
[10] Ivi: 21-22.
[11] Ivi: 22.
[12] Idem, Socialismo emigrazione e nazionalità tra Italia e Australia, presentazione di Romano Ugolini, Istituto per la storia del Risorgimento italiano – Comitato provinciale di Trapani, Trapani 1992.
[13] Idem, Un socialista italiano in Australia: Francesco Sceusa, in Italia/Australia (1788-1988), Atti del Convegno di studi, Roma, 23-27 maggio 1988, Edizioni dellʼAteneo, Roma 1991: 277-300.
[14] Idem, Socialismo emigrazione cit.: 16-17.
[15] R. Ugolini, Presentazione, in S. Costanza, Socialismo emigrazione cit.: 10.
[16] S. Costanza, La Patria armata. Un episodio della rivolta antileva in Sicilia, presentazione di Franco Della Peruta, Istituto per la storia del Risorgimento italiano – Comitato provinciale di Trapani, Trapani 1989: 22-23.
[17] Ivi: 23.
[18] Ivi: 26.
[19] Ivi: 27.
[20] Idem, La libertà e la roba. Lʼetà del Risorgimento, Società trapanese per la Storia Patria, Trapani 1999.
[21] Idem, Sicilia risorgimentale, presentazione di Romano Ugolini, Istituto per la Storia del Risorgimento italiano – Comitato trapanese, Trapani 2011.
[22] Idem, Si agitano bandiere. Leonardo Sciascia e il Risorgimento, Torri del Vento, Palermo 2016: 36.
[23] Ivi: 39.
[24] Idem, Il teatro a Trapani. Storia e testimonianze, Società trapanese per la Storia Patria, Trapani 1979.
[25] Idem, Cultura e informazione a Trapani fra Otto e Novecento, ISSPE, Palermo 2006.
[26] Idem, Trapani fra le due guerre. Il tramonto delle egemonie urbane, Di Girolamo, Trapani 2006.
[27] Idem, Tra Sicilia e Africa. Trapani. Storia di una città mediterranea, Corrao, Trapani 2005.
[28] M. Mollat du Jourdin, LʼEuropa e il mare dallʼantichità ad oggi, Laterza, Bari-Roma 1996: 5.
[29] Idem, Trapani cità nobile de Scicilia, letture critiche e indici a cura di Salvatore Denaro, Corrao, Trapani 2007.
[30] G. Giarrizzo, Storia urbana e mediterranea, in S. Costanza, Trapani cità nobile cit.: 16.
[31] Ivi:
[32] S. Costanza, Storia di Trapani, Arbor, Palermo 2009.
[33] S. Costanza, Giovanni Gentile. Gli anni giovanili 1878-1898, Prefazione di Giuseppe Giarrizzo, Mazzotta, Castelvetrano 2011.
[34] Ivi: 57.
[35] Ivi: 156.
[36] Ivi: 124-125.
[37] Idem, L’Italia rovesciata. Nunzio Nasi. Una biografia politica, Màrgana, Trapani 2020.
[38] Ivi: 186.
[39] Ivi: 14.
[40] Ivi: 15.
[41] Ivi: 205-206.
[42] Ivi: 224-225. 
[43] Ivi: 227-228.
[44] N. Musarra, Salvatore Costanza. Nel racconto degli uomini la storia che parla di noi, «Dialoghi Mediterranei», n. 46, 1 novembre 2020; M. Di Figlia, “Recensione”, «Mediterranea – Ricerche storiche», n. 51, aprile 2021: 254-258.
[45] Nel 1985 a Marsala e nel 1990 a Trapani.
[46] S. Costanza, Retaggi patriottici e inquietudini sociali. Mazara dopo lʼUnità: i primi trentʼanni; Idem, Dal Fascio dei Lavoratori ai “blocchi popolari”. Alla vigilia della guerra; Idem, Dalla terra al mare. Dal primo al secondo dopoguerra, in A. Cusumano, R. Lentini (a cura di), Mazara 800-900. Ragionamenti intorno allʼidentità di una città, Sigma, Palermo 2004: 47-56, 75-84, 95-103.
[47] Idem, Gianni Di Stefano; Idem, Filippo Napoli; Idem, Sebastiano Nicastro, in A. Cusumano, R. Lentini (a cura di), Mazara 800-900 cit.: 389-392, 407-409, 417-419. 

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Rosario Lentini, studioso di storia economica siciliana dell’età moderna e contemporanea. I suoi interessi di ricerca riguardano diverse aree tematiche: le attività imprenditoriali della famiglia Florio e dei mercanti-banchieri stranieri; problemi creditizi e finanziari; viticoltura ed enologia, in particolare, nell’area di produzione del marsala; pesca e tonnare; commercio e dogane. Ha presentato relazioni a convegni in Italia e all’estero e ha curato e organizzato alcune mostre documentarie per conto di istituzioni culturali e Fondazioni. È autore di numerosi saggi pubblicati anche su riviste straniere. Tra le sue pubblicazioni più recenti si segnalano: La rivoluzione di latta. Breve storia della pesca e dell’industria del tonno nella Favignana dei Florio (Torri del vento 2013); L’invasione silenziosa. Storia della Fillossera nella Sicilia dell’800 (Torri del vento 2015); Sicilia del vino nell’800 (Palermo University Press 2019).

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