Le immagini del cinema squarciano il velo della vita reale e proiettano in una dimensione fatta di storie, vissuti, emozioni, senso e mancanza di significato. Il disagio psicologico grave, tema del film Che ore sono, diventa una sberla all’onnipotenza del complesso dell’Io e invita ognuno a fare i conti con gli abissi profondi dell’Anima umana. Sguardi, gesti semplici, a tratti ingenui e infantili, senza nessuna sorta di idealizzazione romantica, toccano i nostri sentimenti e mettono in contatto con l’autenticità della sofferenza derivante dai paradossi dell’esistenza.
Il sottile filo che lega chi sta al di fuori, nel mondo esterno, e chi è nella comunità che ospita i pazienti psichiatrici, rappresenta il volto di un’unica realtà in cui sul palcoscenico della vita si esibiscono i diversi moti dell’Anima. È un amore sottile, denso quello che si percepisce nella trama del film: è l’amore dell’attesa e per l’attesa che avvenga qualcosa, il cambiamento. È un tempo, quella della comunità, dove risiedono i pazienti, saturnino che affonda le radici nella immobilità e nella stagnazione. Sembra sempre lo stesso tempo, tutto uguale, stessi gesti, movimenti, rituali, abitudini, ossessioni, ripetizioni.
Eppure, in fondo non è così come appare. Il tempo, qui in questi luoghi assume una connotazione particolare e l’occhio del visitatore deve depositare i vecchi occhiali e guardare in maniera nuova, diversa. Sono gli occhi simbolici che colgono i dettagli, piccoli movimenti del corpo, parole come metafore della vita e frasi gettate come semi in un terreno da arare. La prima operazioni da fare per comprendere quando ci si avvicina al mondo del disagio psichico grave è quella di sospendere il giudizio. Operazione apparentemente facile, ma invece molto difficile da attivare.
Non ci possiamo avvicinare a questo mondo, come ben chiarisce il film, con le certezze che possiede l’Io e con i suoi rigidi paradigmi. Per comprendere, innanzitutto, bisogna liberare la nostra mente da pregiudizi e visioni che il collettivo, il sociale, impongono e il cui scopo è circoscrivere e ingabbiare l’irrazionale. Penso che questo sia il vero punto focale che affronta il film: il rapporto tra il razionale e l’irrazionale con la consapevolezza che irrazionale è ciò che è al di fuori della ragione e non contro la ragione. Questa visione spiazza il campo da ogni equivoco e restituisce all’irrazionale una sua giusta considerazione con cui ognuno è costretto a fare i conti nella propria esistenza quotidiana, nei sotterranei della propria Anima.
È un tempo, quello del film, dell’attesa, della semplicità, di sogni abortiti, amori falliti, ideali tramontati e di speranze all’orizzonte. È uno sguardo sulla vita, dall’angolo della cinepresa; il macrocosmo che apre la finestra sul macrocosmo: dolori, amori, cure, abbracci, lacrime, passioni tristi e tentativi di passare da un luogo ad un altro, dalla comunità alla casa famiglia, dall’inattività, al lavoro, dal non progetto alla progettualità, dalla solitudine alla socializzazione. In fondo, il senso profondo della vita è anche in quelle storie che toccano i sentimenti e i pensieri intimi di ognuno e invitano, quelle storie, a rimodulare e ristrutturare la visione del mondo.
Non stiamo qui parlando di una visione idealizzata e romantica del disagio psicologico grave. Anzi, evidenziamo il sottofondo della sofferenza e a volte dell’impotenza che l’Io si trova ad affrontare quando è posto di fronte all’Ombra archetipica, il male. Pertanto, il disagio psicologico grave non può essere trascurato e abbandonato a sè stesso, si tratta innanzitutto di un dovere etico di fronte alla sofferenza mentale, che per tanti motivi viene sempre sottovalutata e poco attenzionata. È come se ci fosse una miopia da parte di chi si definisce normale, verso ciò che non si riesce a comprendere con i criteri della razionalità. Tutto ciò dimenticando che in ognuno esiste una parte sana ed una malata e il nostro compito è quello di negoziare tra queste due parti. Inoltre, questa visione simbolica e negoziatrice la possiamo applicare anche al sociale, con la consapevolezza che il conflitto, adeguatamente compreso e utilizzato, è fonte di trasformazione e liberazione di energia, la libido, da mettere al servizio della creatività.
La trama del film, con i suoi personaggi, esplora il mondo della sofferenza psichica, facendoci intravedere tra le pieghe del non senso, il senso della vita che contiene la totalità del bene e del male. Nella misura in cui a livello psichico individuale e poi anche sociale, facciamo un’operazione di repressione di uno dei due poli, razionale e/o irrazionale, rimuovendolo, il rischio che corriamo a livello individuale e collettivo è la scissione, ovvero la frattura degli opposti e la nascita del malessere individuale e collettivo.
Tra i tanti pregi del film, uno molto importante riguarda l’attenzione su una tematica che ultimamente viene sempre di più relegata negli angolini della società e approcciata in maniera distonica. Il disagio psicologico grave pone davanti ad una riflessione profonda sul senso della vita e dell’esistenza, riabilita la creatività presente in tale dimensione e pone ognuno ad attivarsi con strumenti nuovi davanti all’irrazionale, spesso portatore di sofferenza e di disagio. In relazione a tale tematica, passiamo da una visione romantica ad una svalutante della sofferenza mentale, dimenticando prima di tutto che ci troviamo davanti ad un fenomeno che riguarda direttamente tutti, nella misura in cui siamo portatori di razionalità e irrazionalità.
L’Altro, diverso da noi, pertanto, in tale visione psichica, è pur sempre anche una parte nostra di fronte alla quale non possiamo girare il volto dall’altra parte o mettere la testa sotto la sabbia: «Questo è un atteggiamento cristiano, come quando Gesù disse che dovreste dare rifugio e asilo al più piccolo dei vostri fratelli, laddove il più piccolo dei nostri fratelli non siete che voi stessi. Nel primo secolo dopo Cristo vi erano filosi, come Carpocrate che già ritenevano che il più piccolo dei nostri fratelli, l’uomo inferiore, non fosse altro che noi stessi» (Jung, Visioni, 1930)
Nella misura in cui ci prendiamo cura in maniera scientifica, poetica, sociale e psicologica, della sofferenza psichica grave, stiamo contribuendo anche al nostro benessere individuale, spostando con responsabilità l’ago della bilancia verso un’adeguata dimensione sociale. Ha poco senso, pertanto, curare unicamente l’Anima individuale senza assistere anche l’Anima del mondo. Il film lo esprime bene quando si parla di definire dei progetti reali, pratici, operativi e permettere l’inserimento nel mondo del lavoro di chi per tanto tempo purtroppo, indipendentemente dalla sua volontà, è stato costretto a vivere di passività, fantasie idealizzanti e di alienazione. Questo presuppone, il film lo fa intuire, uno stretto connubio tra l’aspetto psichico, medico e sociale, fondamentale per una efficace integrazione.
Il sociale ha il compito di accogliere, sostenere, inserire e fornire il contenitore operativo e professionale a chi ha fatto un lavoro psichico su sé stesso ed è motivato, con un’adeguata supervisione, a ritornare nel sociale. Pertanto, in tale dimensione, il lavoro psicologico è di estrema importanza e rappresenta il primo passo fondamentale per una conoscenza di sè stessi e di elaborazione del passato alla ricerca di un presente fatto di radici progettuali e trasformative. Ma, dopo occorre che il sociale, là dove ci siano le condizioni sul territorio, faccia la sua parte e fornisca intanto dimensioni abitative adeguate e possibilità di lavoro in sintonia con le esigenze e le capacità degli utenti. Questa progettualità è fondamentale poiché evita le illusioni/delusioni, facendo in modo che il paziente non possa rivivere sempre la coazione a ripetere dell’isolamento e della frustrazione per ritornare di nuovo preda dei meccanismi psicopatologici. Pertanto, sviluppare una coscienza etica verso la sofferenza mentale e il disagio psichico grave, è un atto di Amore, di compassione materna, verso l’altro, verso noi stessi e l’Anima mundi.
Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024
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Ferdinando Testa Psicologo analista, didatta del Centro italiano di psicologia analitica (CIPA), Istituto Meridionale e dell’International Associaton for Analytical Psichology (IAAP); è docente di Psicologia del sogno presso il Cipa meridionale. Ha svolto attività di cura, ricerca e formazione per molti anni nel lavoro dell’arte e della terapia, è autore di numerosi articoli e relazioni in ambito scientifico. E’ membro ordinario del Lai, Laboratorio Analitico Immaginativo per la Sandy play terapy a Roma e socio ordinario di 2° livello dell’ICSAT (Italian Committee for the Study of Autogenic Therapy and Autogenic Training). Ha curato e pubblicato 23 volumi in ambito psicologico e psicoanalitico; recenti volumi sono: I volti del libro rosso (Iod 2018); La clinica delle immagini Sogno e psicopatologia (Moretti e Vitali, 2019), Unione e separazione nelle storie d’amore ( Magi, 2022), Dal campo analitico al campo archetipico ( Liguori, 2023). E’ già stato docente di filosofia dell’immaginazione presso la scuola di Counseling filosofico di Roma. Studioso e promotore di seminari ed eventi sul Liber Novus di C.G. Jung. Vive e lavora a Catania.
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