Stampa Articolo

Il ritorno del Trickster: politica, tecnologia e sacro nell’età del caos. Le parole di Trump

maxresdefault di Annalisa Di  Nuzzo 

Introduzione. Il Trickster come figura liminale 

Il trickster è una figura liminale per eccellenza: si pone al confine tra gli opposti, incarnando al contempo l’ordine e il suo sovvertimento, il bene e il male, la norma e la sua violazione. Diffuso in culture arcaiche e moderne, appare in miti, fiabe, maschere popolari e narrazioni religiose, in ruoli che vanno dal clown sacro al mediatore cosmico. In questo senso, il trickster può essere interpretato come uno psicologema (Jung, 1954), ovvero una configurazione psichica archetipica, sempre pronta a emergere nei momenti di crisi e transizione. Il trickster (traducibile approssimativamente con “imbroglione” o “truffatore”) è un personaggio, uomo, donna o animale antropomorfo, vorace, abile nell’inganno e caratterizzato da una condotta amorale, al di fuori delle regole convenzionali. Questa figura liminale e ambigua ha spesso nei miti un ruolo altrettanto importante di quello delle classiche divinità.  Ci si rivolge a lui come mediatore, garante dell’ordine ma soprattutto della possibilità del cambiamento e come risolutore delle crisi e delle difficoltà di una comunità.

Ogni comunità ha i suoi confini, il suo senso del fuori e del dentro, e l’impostore (“trickster”) è sempre lì alle porte della città o alle porte della vita, facendo in modo che ci sia sempre scambio. Egli presiede anche ai confini attraverso cui i gruppi articolano la loro vita sociale. Distinguiamo costantemente giusto e sbagliato, sacro e profano, pulito e sporco, maschio e femmina, giovane e vecchio, vivente e morto, e ogni volta l’impostore varcherà la linea e confonderà le distinzioni. Egli incorpora dunque l’ambiguità e l’ambivalenza, la doppiezza e la duplicità, la contraddizione e il paradosso.

La sua comparsa ricorrente nei momenti storici segnati da disordine e cambiamento lo rende una chiave di lettura privilegiata per comprendere l’attuale fase della civiltà occidentale. L’emergere di figure pubbliche capaci di catalizzare emozioni collettive contrastanti, che mescolano cinismo e incanto, parodia e potere, suggerisce il ritorno in forma aggiornata del trickster come agente del caos creativo. 

11Genealogia del Trickster: miti, maschere, simboli 

L’opera Il briccone divino di Paul Radin, con i commenti di Carl Gustav Jung e Karl Kerényi, costituisce uno dei testi fondanti nello studio del trickster. In essa, il trickster delle culture native americane, come Coyote o Iktomi, è descritto come essere ambiguo, infantile, ingannevole, spesso grottesco, ma in grado di svolgere un ruolo fondamentale nella creazione del mondo e nell’introduzione della cultura.

Per Jung, il trickster è una figura arcaica dell’inconscio collettivo, un riflesso delle energie inconsce che non sono state ancora integrate dalla coscienza. Il suo comportamento antisociale e moralmente ambiguo rappresenta una fase pre-logica dello sviluppo psichico, ma anche una forza necessaria alla trasformazione. Kerényi, invece, lo colloca tra le divinità liminali, a metà tra l’umano e il divino, il sacro e il profano.

Il trickster appare anche nei miti greci (Ermes), nordici (Loki), africani (Anansi), nonché nelle tradizioni popolari europee, come Pulcinella o Till Eulenspiegel. Ogni cultura lo declina in modo diverso, ma costante è la sua funzione di rompere l’ordine costituito per generare un nuovo equilibrio. Anche nella cultura moderna e contemporanea il trickster riemerge, seppur trasfigurato: da Arlecchino al Joker, da Bugs Bunny a Bart Simpson, la sua funzione resta quella di destabilizzare il senso comune, di porre in crisi la razionalità dominante.  Un agente del caos come a Gotam City in una costruzione distopica figlia delle paure della città post moderna è Joker che è indissolubilmente legato a Batman.  Le antiche ambivalenze del trickster sono rese concretamente visibili da una sorta di scissione che avviene tra i due personaggi Joker/Batman, che in una prima fase sono chiaramente determinate: Joker è l’alter ego dell’identità rimossa e incompresa di Batman, della sua sofferente capacità di dividersi tra capitalista e giustiziere (Batman è nella vita di ogni giorno Bruce Wayne, ricco orfano dell’alta borghesia di Gotham), padrone e servo della Ricchezza, artefice e vittima dell’Ordine.

Scissi nella costruzione dei personaggi, ma indissolubilmente partecipi dello stesso universo tricksterico che li rende apparentemente divisi, ma sempre più profondamente legati come paradossalmente accade oggi per Trump e Musk (Di Nuzzo, 2020). 

31jzxm4xqyl-_ac_uf10001000_ql80_La postmodernità come spazio del ritorno 

Con la fine delle grandi narrazioni moderne, descritte da Jean-François Lyotard, e con la dissoluzione dei riferimenti simbolici univoci, il trickster trova uno spazio favorevole alla sua proliferazione. La postmodernità, con il suo pluralismo, il relativismo e la frammentazione del senso, diventa terreno fertile per la riemersione del trickster in forme nuove e pervasive.

Mariella Combi (2001: 293) osserva come il trickster contemporaneo non sia più confinato al mito o al folklore, ma si manifesti nella realtà sociale e mediatica, attraverso figure pubbliche che incarnano il gioco, l’ambiguità, la provocazione. La dimensione rituale della trasgressione viene inglobata nella comunicazione politica, nei linguaggi digitali, nella spettacolarizzazione dell’identità.

Michel Maffesoli, da parte sua, parla della “résurgence du dionysiaque” come espressione di un ritorno all’emozione collettiva, alla tribalità e all’estasi. In questa cornice, il trickster non è più soltanto una figura marginale, ma diventa centrale nella dinamica sociale, catalizzatore di energie profonde, espressione di una società che rifiuta l’ordine cartesiano e lineare. Esistono fenomeni politici con aspetti dionisiaci e orgiastici: esaltazione della finanza, del commercio, del lusso, della ricchezza, del successo, dell’apparire, della prepotenza, dell’azione, del totalitarismo del pensiero. La precarietà diventa valore insieme alla mortificazione delle professioni liberali, delle organizzazioni stabili, della Scienza e delle Arti.  Si continua ad esaltare l’egoismo piuttosto che la solidarietà e si pratica un pragmatismo senza idealismo, una spettacolarizzazione della società, una politica personalistica, egocentrica, nazionalistica e di breve prospettiva, anteponendo la sicurezza personale alla sicurezza sociale. Si professa un’adesione ritualistica ai valori tradizionali, e si procede all’identificazione, all’interno della comunità, di un nemico ottuso e viscerale, mentre i consumi sono sempre più volatili e sempre più simbolici e la realtà si trasforma in virtualità, la scuola è sempre più formatrice (o deformatrice) e sempre meno educatrice, potenziando l’omologazione e l’appiattimento culturale, dalla produzione delle merci a quella degli ologrammi.

Lo spazio e il governo del trickster nella postmodernità possono sfociare in una tragica dittatura che gradualmente snatura il ruolo e la funzione stessa del Jolly il quale non può incarnare tutte le carte da gioco, ma solo una o al massimo due. Il governo del trickster uccide la comicità, che sopravvive solo come politica e si condanna per sua natura all’improduttività e all’oblio o, passando per il sacro e per il sangue, si trasforma in tragedia sterile. Il Trickster è un illusionista che può essere sconfitto solo dalla credibilità del suo antagonista se c’è (cfr. Bruno 2016). 

51stzbecql-_ac_uf10001000_ql80_Trump e Musk: Trickster contemporanei 

Donald Trump rappresenta forse l’esempio più evidente di trickster politico. Il suo stile è costruito sul paradosso, l’eccesso, l’inversione retorica. Usa i social media non solo come strumento di comunicazione, ma come palcoscenico rituale di trasgressione, dove mette in scena la rottura con il linguaggio istituzionale e la morale dominante. La sua capacità di attirare e respingere, di generare caos e consenso, riflette la dinamica tipica del trickster, che distrugge per rivelare.

Trump si è posizionato come un outsider che svela l’ipocrisia del sistema, usando la sua stessa partecipazione al sistema come arma contro di esso. In questo modo, incarna un “clown sovrano” (cfr. Sloterdijk, 1999), capace di rovesciare il rapporto tra potere e verità, tra autorità e dissacrazione. Il suo discorso è performativo, non tanto in senso giuridico quanto magico: produce effetti attraverso l’atto stesso di enunciarli, sciogliendo il legame tra linguaggio e referenzialità. Condividendo quanto sostiene Emilia Di Martino, Trump è stato un vero protagonista della lotta contro la correttezza politica. Nel corso di una campagna elettorale erratica, e poi durante tutto l’inizio delle sue presidenze Trump ha costantemente attaccato, e continua a farlo, la correttezza politica, a cui sembra guardare in due modi diversi. Da un lato, sottolinea il meccanismo di “polizia del pensiero” che impedisce a persone come lui di chiamare le cose con i nomi che vogliono, il che spesso equivale a sanzionare l’uso in pubblico del linguaggio politicamente scorretto che usano in privato, o di fare battute, dato che scherzare è, evidentemente, un’area politicamente sensibile. In effetti, l’introduzione apparentemente riuscita di Trump del linguaggio politicamente scorretto dalla sfera privata informale alla sfera pubblica formale può aver contribuito a guadagnare il favore di molti elettori comuni. La non accettazione degli eufemismi, combinata con l’abitudine dei newyorkesi di lasciare che gli altri finiscano le frasi al tuo posto, può aver dato a molti l’impressione che il presidente sia sempre impegnato in una conversazione intima con persone che la pensano allo stesso modo.

D’altra parte, l’espressione “correttezza politica” descrive, nei discorsi di Trump, una situazione politica che sembra condividere la condizione di declino della responsabilità sociale a cui Kristeva si riferiva come “vuoto di potere” (si veda, ad esempio, l’accusa di Trump secondo cui Barack Obama e Hillary Clinton hanno messo la correttezza politica al di sopra del buon senso, al di sopra della sicurezza e al di sopra di tutto) e che viene attribuita alle democrazie postindustriali e postcomuniste: «l’assenza di progetti, il disordine, tutte le cose di cui parliamo e di cui i partiti politici mostrano gli effetti, di cui noi cittadini mostriamo gli effetti» (Kristeva [1996] 2000).

71e4ynsvhbl-_ac_ul600_sr600600_È interessante notare che, di fronte a (o in risposta a) una realtà in cui sia Foucault ([1975] 1977) sia Kristeva ([1996] 2000) avevano visto il potere distribuito attraverso la normalizzazione e la sorveglianza interna, l’azione politica  di Trump sembra essersi affidata drammaticamente alla sorveglianza esterna e alla punizione. Le sue campagne elettorali e le sue presidenze sembrano infatti aver sostituito il nemico che non si presenta in forme definite con nemici espliciti (Farand 2017, Herndon e McGrane 2017, Smith 2017).

In quest’ottica, la lingua è l’arena in cui le diverse visioni politiche e i vari conflitti sociali trovano un’espressione simbolica, lo stile-essenza di Trump che ha avuto un forte impatto su un gran numero di elettori svela  a suo modo le ipocrisie della politica e dice di sé: «Per tutta la vita ho visto politici che si vantavano della loro povertà, di come sono sorti dal nulla, quanto poveri fossero i loro genitori e i loro nonni. E mi sono detto, se sono rimasti poveri per così tante generazioni, forse questo non è il tipo di persona che vorremmo eleggere come alto funzionario. Quanto possono essere intelligenti? Sono degli idioti. C’è una percezione positiva della povertà da parte degli elettori. A me la povertà non piace. Di solito c’è una ragione per cui si è poveri».

Scardina un luogo comune e un’etica sociale che scuote dalle radici i principi di solidarietà e costruisce la sua identità tricksterica dissacrante ma paradossalmente rassicurante. Ma non c’è mai un punto d’arrivo della definizione di sé, si contraddice continuamente nella logica che è vero tutto e il contrario di tutto e afferma: «Il denaro non è mai stato una grossa motivazione per me, eccetto come sistema per tenere il punteggio. La vera eccitazione sta nel giocarsi la partita».  Altri elementi fondativi della sua definizione identitaria sono: divertimento, eccitazione, dimensione stocastica, senza alcuna definizione procedurale e di percorso. Siamo nella piena logica del giocare senza regole e di contraddire continuamente i valori di riferimento. In altre dichiarazioni precisa: «Tutto nella vita è fortuna». Allo stesso tempo non rinuncia a dichiararsi artefice di una nuova età dell’oro e di un nuovo destino dell’America: «La mia recente elezione è un mandato per invertire completamente e totalmente un tradimento orribile, e tutti questi tradimenti che hanno avuto luogo, e per restituire alla gente la loro fede, la loro ricchezza, la loro democrazia e, in effetti, la loro libertà. Da questo momento in poi, il declino dell’America è finito».

Si tratta di una definizione della cosmogonia trumpiana: «Il nostro potere fermerà tutte le guerre e porterà un nuovo spirito di unità in un mondo che è stato arrabbiato, violento e totalmente imprevedibile. – ha affermato – Non saremo intimiditi. Non saremo spezzati e non falliremo. Da questo giorno in poi, gli Stati Uniti d’America saranno una nazione libera, sovrana e indipendente».

radinD’altra parte, il suo doppio speculare Elon Musk, si presenta come trickster tecnologico e imprenditoriale. La sua figura mescola il mito prometeico dell’innovatore con la dimensione giocosa, imprevedibile, eccessiva. Musk gioca con i simboli della modernità: l’auto elettrica, la conquista dello spazio, l’intelligenza artificiale. Lo fa in modo irriverente, spesso ambiguo, oscillando tra il visionario e il provocatore. Il miliardario visionario si pone come il demiurgo di una nuova era tecnologica e politica, mentre Donald Trump, il leader populista, incarna l’erosione delle strutture democratiche tradizionali. Entrambi, come Joker rispetto a Batman, in una Gotham City distopica, giocano con le regole della società, destabilizzando il tessuto della realtà politica. Musk assume le vesti del buffone di corte, indossa il cappellino da baseball in importanti momenti istituzionali, ha fatto la sua entrata in scena con addosso un cappello a forma di formaggio sulla testa durante il comizio a Green BayIl [1]. In questo modo ha cercato di suscitare entusiasmo per l’elezione della Corte Suprema dello Stato, che si rivela la corsa giudiziaria più costosa nella storia degli Stati Uniti e ha poi consegnato due assegni, del valore di un milione di dollari ciascuno, a due persone che avevano firmato una petizione online contro i “giudici attivisti”, promettendo ulteriori pagamenti ad altri che contribuiranno all’elezione di un candidato conservatore alla Corte Suprema dello Stato. Costruisce così e tenta di riproporre una nuova narrazione mitopoietica del potere, come a dire che accanto al re c’è sempre il buffone (altra rappresentazione tricksterica) che rende la follia e il caos complementare alla decisione del bene supremo ne irride il valore ma allo stesso tempo lo garantisce. 

La sua comunicazione sui social è carica di meme, citazioni pop, ironia, insulti, dichiarazioni sconcertanti. Tutto questo contribuisce a costruire una figura mitologica che sfida le categorie dell’economia, della politica, della morale. Come trickster, Musk decostruisce i confini tra scienza e fantascienza, impresa e gioco, autorità e parodia.

Entrambi i personaggi mostrano come la società contemporanea sia sempre più attratta da figure che rompono lo schema, che incarnano il caos come forma di potere. Essi non risolvono il conflitto, ma lo esacerbano, rendendosi per questo irresistibili: rappresentano il reale come eccesso, come proliferazione incontrollata di segni e significati.

12Il sacro dissacrante: oltre il bene e il male

Il ritorno del trickster rivela anche una trasformazione nella percezione del sacro. Georges Bataille ha mostrato come il sacro non sia solo ordine, ma anche disordine, non solo purezza ma anche eccesso. Il trickster incarna questo doppio volto del sacro: la sua potenza non risiede nella santità, ma nella trasgressione rituale, nel contatto con l’impuro.

Il “sacro dissacrante” è la modalità con cui il trickster opera: rompe i tabù per mostrarne la natura costruita, espone il ridicolo del potere per svelarne la verità fragile. In questo senso, egli è una figura rivelatrice, apocalittica nel senso etimologico del termine: disvela ciò che è nascosto. Lewis Hyde nel suo saggio Trickster Makes the World, definisce una divinità ingannevole che rappresenta la «paradossale categoria dell’amoralità sacra».

Questa funzione rivelatrice può essere ambivalente: può aprire a una nuova consapevolezza, ma anche condurre a un nichilismo spettacolare. Quando il trickster diventa struttura permanente, quando la trasgressione perde il suo carattere rituale e rigenerativo, si rischia l’instaurarsi di un caos senza fine, una festa senza reintegrazione.

Maffesoli avverte: il dominio assoluto del dionisiaco porta all’implosione del simbolico. Per questo il trickster non può essere considerato un eroe o un modello, ma solo un segnale, un sintomo, un passaggio. La sua funzione è liminale: introduce la soglia, ma non può abitarla per sempre. Cosa è Sacro? Sacer è ciò che è riservato agli dèi; è sacro solamente ciò che è dichiarato tale dall’uomo; sacer può assumere un valore negativo: anziché “in possesso del dio” significa “non appartenente all’uomo”, o, più genericamente, “estraneo alla normale modalità di rapporti intercorrenti fra gli uomini”. Da “negativo” a “maledetto” il passo e breve. Nulla è sacro di per sé, nulla è profano di per sé: ogni cosa può diventare sacra o profana, Ciò che è dichiarato Sacer è estraneo allo “ius”. «È sacro ciò che attiene all’ordine dei mondi, ciò che garantisce questo ordine. Ma il sacro concerne anche l’uomo e non solo il cosmo fisico. Il sacro è in tal senso un valore una produzione culturale» (Morani, 1981: 211).

Il dominio del sacro è l’insieme dei valori condivisi da una comunità e ritenuti fondanti e indiscutibili. Il burlone perverso e giocoso ha determinato un macabro gioco dionisiaco che forse affascina la nostra parte profonda perché ci induce a crederci parte di una giustizia che non contempla premi e punizioni; quel caos che è equo perché non facilita nessuno; solo il “bambino che gioca” e quel riso immediato che trapassa ogni regola (Di Nuzzo, 2020). Il gioco perverso si ripropone anche nelle dinamiche geopolitiche e dei mercati globali. Nella guerra ucraina Trump/trickster capovolge il binomio vittima e aggressore e poi sentenzia: «se sei più debole non ti devi imbarcare in una guerra perdente». Riscrive le modalità di contrattazione dei mercati. Ogni giorno ha le sue regole e i suoi dazi, giorno per giorno le regole sono completamente riscritte, gioca a dadi con il destino ed è convinto che è lui stesso il destino; adatta la realtà ai bisogni contingenti non c’è visione di lunga durata ma una sorta di utilitarismo nichilistico del qui ed ora, una presentificazione del tempo.

81urrssktplConclusione

Il trickster è, in definitiva, una figura centrale per comprendere l’immaginario contemporaneo. In un’epoca in cui le distinzioni si sfaldano e i confini si dissolvono, esso opera come mediatore simbolico e disarticolatore culturale. Il suo ritorno – attraverso Trump, Musk e altri personaggi pubblici – segnala una profonda trasformazione antropologica e simbolica: la fine di un ordine e il preludio, forse, a un nuovo inizio. Ma tale inizio sarà possibile solo se sapremo reintegrare il caos nella coscienza, se sapremo leggere la maschera del trickster non come verità assoluta, ma come provocazione necessaria. Comprendere il mito politico postmoderno può essere una nuova chiave di lettura per indagare i crescenti fenomeni della disaffezione politica, della diserzione elettorale, del populismo digitale, e delle nuove pulsioni plebiscitarie che si accompagnano a una rinnovata e generalizzata domanda di democrazia diretta.

Mentre il crepuscolo delle ideologie precipita nella foschia notturna – che secondo alcuni cela antichi fantasmi novecenteschi – il quesito fondamentale a cui bisogna rispondere è: l’era della politica post-ideologica è anche un’era post-mitologica? La risposta sembra essere assolutamente negativa. Al contrario, le specificità della post-modernità e i regimi di comunicrazia si configurano come precondizioni perfette al sorgere di una nuova Età del Mito. Anche costatando il decesso delle grandi narrazioni del XX secolo, nuovi dualismi e nuovi manicheismi si affacciano sull’orlo del nuovo millennio, ammantandosi di mitologia, proprio nel momento in cui l’uomo prende coscienza della sua impreparazione a domesticare e dominare una realtà ibrida, se non completamente digitalizzata.

Di fronte al cronicizzarsi dello stato di crisi – glocale e transnazionale – e di una ininterrotta fibrillazione cognitiva, l’uomo continua a conoscere il mondo, aggrappandosi ai suoi più basilari istinti ermeneutici: tentando di leggerne e raccontarne le trame. Così lo studio del mito, delle sue dinamiche di diffusione, delle sue possibili forme, e del suo evolversi in maniera organica, vitale, disomogenea e impalpabile – caratteristiche che ne fanno un affascinante oggetto di studio – diventa la chiave di lettura per riconoscerne e disinnescarne le effervescenze più scomposte e le maschere più minacciose. 

Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025
Note
[1] Il   Wisconsin è considerato lo Stato del formaggio, vengono prodotti ogni anno più di 14 miliardi di litri di latte, di cui il 90% viene trasformato in oltre 600 tipologie di prodotti caseari (il 25% del totale Usa). La specialità più diffusa è il cheddar, portato dalle migrazioni britanniche e irlandesi. 
Riferimenti bibliografici 
Bataille, G. (1948). La parte maledetta. Gallimard.
Bruno, F. (2016) Berlusconi as trickster, in Pulcinella. L’eroe comico in area euromediterranea. Libreriauniversitaria edizioni
Combi, M. (2001). Trickster. Lo sciamano ferito. Ananke.
Di Nuzzo, A. (2020) L’eterno ritorno di Joker.  Un trickster della postmodernità in “Dialoghi Mediterranei”, n. 41, gennaio 2020
Di Martino, E. (2018). Preamble. Of Research as Political Practice and of Changing Language as Political lntervention. In Di Martino E., Blaxill L. (2018) (with a Foreword by John E. Joseph, University of Edinburgh) vol. XXXI, 1/2018 (numero monografico di Lingua), Textus (English Studies in Italy, Carocci Editore ISSN 1824-3967) “Aspects of political language in the age of “post-democracy” and beyond”.
Farand, C., (2017) “April Ryan: Black Journalist Singled out as ‘Enemy” in Trump Campaign Video Released after Charlottesville Violence. Independent, August 14, 2017, http://www.independent.co.uk/news/ world/americas/us-politics/april-ryan-black-journalist-donald-trump-enemy-campaign-video-charlottesvilleviolenceracism-neo-a7891606.
Herndon  Astead, W. and Mcgrane, V. (2017) Trump is Lashing Out at Enemies Again. Is this Time Different?, Boston Globe October 12, 2017, https://www.bostonglobe.com/news/ nation/2017/10/12/trump-lashing-out-enemies-again-this-time-different/CvS189;CKAhyGC1ZAy1FDL/story.html,last accessed December 9, 2017.
Hyde, L. (1998). Trickster Makes This World: Mischief, Myth, and Art. Farrar, Straus and Giroux.
Jung, C. G., & Kerényi, K. (1956). Il briccone divino. Boringhieri.
Kristeva, J. (2000) Sense et non-sense de la révolte, 1996, in English trans. The Sense and Non-Sense of Revolt. The Powers and Limits of Psychoanalysis, by J. Herman, Columbia UP.
Lévi-Strauss, C. (1958). Antropologia strutturale. Il Saggiatore.
Maffesoli, M. (2006). Il tempo delle tribù. Meltemi.
Morani, M. Regoliosi, G. (1981). Cultura classica e ricerca del divino. Di frontealla tragedia greca. Il Cerchio.
Radin, P. (1956). The Trickster: A Study in American Indian Mythology. Schocken Books.
Sloterdijk, P. (1999). Regole per il parco umano. Laterza.

______________________________________________________________

Annalisa Di Nuzzo, docente di Antropologia culturale, insegna Geografia delle lingue e delle migrazioni al Suor Orsola Benincasa; già professore a contratto di Antropologia culturale presso DISUFF Università di Salerno, e membro del Laboratorio antropologico per la comunicazione interculturale della stessa università fino al 2020- Ha conseguito il PhD in Antropologia culturale, processi migratori e diritti umani.  È membro dell’Osservatorio Memoria storica, Intercultura, Diritti Umani e Sviluppo Sostenibile “MInDS” Univ. di Cassino, socia del Centro di Ricerca Interuniversitario I_LAND (Identity, Language and Diversity) nonché del Centro Interuniversitario di Studi e ricerche sulla storia delle paste alimentari in Italia (CISPAI). I suoi campi d’indagine sono l’antropologia delle migrazioni e del turismo, antropologia e letteratura, antropologia e genere, antropologia urbana. È autrice di numerose monografie, tra le ultime pubblicazioni si segnalano: Il mare, la torre, le alici: il caso Cetara. Una comunità mediterranea tra ricostruzione della memoria, percorsi migratori e turismo sostenibile, Roma Studium 2014; Fuori da casa. Migrazioni di minori non accompagnati, Carocci, Roma, 2013; Conversioni all’Islam all’ombra del Vesuvio, CISU, Roma, 2020; Minori Migranti. Nuove identità transculturali, Carocci, Roma, 2020; La città e le sue culture. Adolescenza, violenza, gruppi di strada, La valle del tempo, Napoli, 2023.

______________________________________________________________

 

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Società. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>