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Il ritmo perduto: la lingua italiana si sgretola?
Posted By Comitato di Redazione On 1 maggio 2021 @ 00:33 In Cultura,Società | No Comments
per l’italiano
di Concetta Garofalo
Grossman nel volume Sparare a una colomba, pubblica il Discorso pronunciato in occasione dell’ Anniversario della liberazione della Olanda, 5 maggio 2015, durante il quale spiega il senso di libertà individuale procurato dalla letteratura inteso come espressione individuale:
Poco prima afferma che se mai sarà pronto a scrivere della tragica morte del figlio:
A mio avviso è un’intensa testimonianza: narrare è un atto di libertà. La libertà di dare un nome alle cose è la libertà di essere sé stessi secondo le proprie inclinazioni, la libertà di affermare ed esprimere idee, sentimenti e passioni. Le parole liberano le individualità in un’esplosione di vitalità che genera relazioni su cui fondare società sane. Nelle parole si gioca il senso di collettività solo se le parole vengono utilizzate come spiragli di individualità e non come strumenti di omologazione. Ad oggi, il prezzo dell’internazionalizzazione della lingua italiana che stiamo pagando è veramente molto alto, stiamo negando alle generazioni attuali la libertà di dare un nome alle cose, alla realtà che li circonda, la libertà di essere parte di un sistema di valori condiviso del quale la quotidianità dei semplici gesti è espressione.
Il presente contributo intende affrontare la questione dei forestierismi inscrivendo l’oggetto della trattazione nella più ampia dimensione della comunicazione sociale e articolando le modalità di produzione e trasmissione di informazione nelle due forme mutuate da Greimas (Greimas, 1991: 51): forma dialogica e forma discorsiva. Le implicazioni di questo taglio dell’oggetto comportano l’analisi congiunta dei due poli dell’atto comunicativo (destinante e destinatario) e dei canali di comunicazione nella misura in cui determinano i processi di significazione e di partecipazione degli interlocutori di eventi di comunicazione linguistica attualizzata in specifici contesti comunicazionali.
Atteso che attraverso il linguaggio rispecchiamo noi stessi nelle parole che vengono pronunciate, scritte e lette, ne deriva che nell’uso massivo della terminologia estera si esprime un forte bisogno di adesione ad un mondo che non ci appartiene, che aneliamo, che percepiamo lontano e altro da noi. Il dilagare fuori controllo degli anglismi è una forma palese della tensione a partecipare e auto-identificarsi con sistemi culturali linguistici che, negli ultimi decenni, hanno perso ogni ancoraggio con i confini fisici e geografici. Ne analizzerei, in sintesi, tre aspetti fondamentali: la settorialità dei linguaggi, la dimensione generazionale e le relate dinamiche di inclusione sociale.
Si tratta piuttosto di un vero e proprio linguaggio relazionale fortemente ancorato alle interazioni fra pari e di termini incorporati che esprimono stati d’animo condivisi con un accentuato carattere aggregante dal punto di vista dell’inclusione sociale all’interno dei gruppi ristretti di comune interesse. L’uso accentuato e rimarcato di neologismi e prestiti è la via dell’appartenenza e del riconoscimento identitario rispetto ai campi di interesse settoriali e/o generazionali. Come dice Greimas:
I linguaggi specializzati, che Greimas, in tal senso, definisce socioletti secondari, riversano certe porzioni della propria strumentazione lessicale nel più ampio sistema di comunicazione della lingua d’uso comune. In particolar modo, gli anglismi, teoricamente fenomeno circoscritto ai linguaggi settoriali della scienza e della tecnologia, dell’economia e della finanza, della politica e del giornalismo, hanno per così dire, oltrepassato i confini disciplinari per diffondersi su un piano più vasto di uso comune e quotidiano. Nel primo caso, la periodica ridefinizione del vocabolario di settore deriva dal progredire della ricerca scientifica e degli studi disciplinari; i processi di significazione che la sottendono sono supportati dalle teorie e dai metodi che costituiscono i paradigmi epistemologici disciplinari. Fra i campi del sapere e la lingua comune si istituisce uno scambio, per così dire, a porosità controllata, sistemica e sistematica. Ad altro ordine del discorso sono, invece, da ricondurre i mutamenti linguistici che coinvolgono la lingua di uso comune con una forte connotazione generazionale. Il diffondersi di prestiti e neologismi sembra evolversi in maniera occasionale e orizzontale, nel senso che difficilmente sono sostenuti da processi di significazione ancorati alla capacità creativa e al grado di vitalità, interni al sistema culturale di riferimento più generale della lingua comune nazionale.
La dimensione del fenomeno è direttamente proporzionale ai tempi di esposizione linguistica alla fruizione dei social e dei mezzi di comunicazione di massa. L’esposizione massiva e per lunghi lassi di tempo copre l’intero arco della giornata. Ciò vuol dire che l’ingresso esponenziale dei forestierismi nella lingua italiana d’uso è indicatore della crescente influenza delle nuove tecnologie nell’esperienza concreta del reale. Pertanto, è innegabile che si tratti di un fenomeno di natura comunicazionale che rimanda al livello ben più profondo del rapporto fra significato e significante ed ai differenti piani di connotazione e denotazione.
Sono dell’avviso che la questione sia tutt’altro che trascurabile dal punto di vista della quantità, della portata culturale e sociale del fenomeno dei forestierismi e dissento da chi afferma si tratti di una forma passeggera di uso gergale esclusivamente giovanile.
Mi sembra un esempio calzante: l’atto comunicativo trasmette significati interpretabili su diversi livelli del discorso dialogico. È innegabile che l’ingresso massivo di termini inglesi e di neologismi derivati da prestiti linguistici vede le nuove generazioni più preparate all’uso disinvolto della terminologia che ne trae la comunicazione sociale lasciando qualche passo indietro le generazioni di adulti e anziani. Ancorché, il dilagare di tecnicismi nella comunicazione politica e giornalistica acuisce la frattura fra esperti e cittadini, scavando il solco dell’incomunicabilità e provocando il senso di scollamento fra il mondo della politica e dell’economia e la realtà quotidiana percepita e agita dagli individui.
A questo punto della mia esposizione procedo riportando dei semplici esempi pratici di analisi comunicazionale concretizzando così il campo dell’oggetto.
I sistemi di comunicazione sono configurati dalle possibili combinazioni degli interlocutori: BC, BD, BE, CD, CE, … e i codici e i sottocodici attivati aumentano esponenzialmente se le situazioni dialogiche dovessero essere coesistenti (A,B,C; A,B,D; A,B,E; e così via). La proprietà combinatoria delle “occorrenze” situazionali determina comunicazioni complesse che espongono gli interlocutori ad una frequente distorsione interpretativa.
Quanto detto finora assume i caratteri di un fenomeno non solo culturale o prettamente linguistico ma anche di rottura sociale nel dialogo intergenerazionale e acuisce la distanza non solo nelle interlocuzioni fra parentele di secondo grado (i nonni, gli anziani) ma anche di primo grado (nell’interazione genitori/figli). In parole semplici, la genitorialità è investita dalla sempre più evidente difficoltà a interloquire con i propri figli. La rottura avviene sia sul piano dei valori ma anche sul piano lessicale e semantico determinando spazi di incomunicabilità di senso e significato.
La politica linguistica di gestione delle dinamiche sociali è tesa fra i due estremi di eccesso: in un senso si tende a negare il fenomeno o a sminuirlo nella sua portata e durata, condannandolo al silenzio; in direzione contraria se ne perde il controllo, più o meno consapevolmente e in maniera più o meno programmata, determinando la proliferazione della parola. Ritengo utile, in tal senso, utilizzare lo scenario esposto da Le Breton. La modernità si mostra nemica del silenzio facendo «proliferare la parola nell’indifferenza dopo averla svuotata di senso». Dal silenzio si può generare nutrimento di senso o, al contrario, la stasi di senso depauperando l’atto comunicativo e relazionale della sua dimensione semantica.
Tale punto di vista implica il dover riportare al centro del dibattito pedagogico i processi di costruzione delle identità plurime individuali e ridefinire bisogni e valori nei più ampi scenari relazionali contemporanei. La questione dell’internazionalizzazione della lingua va affrontata sul piano della soggettivazione delle modalità comunicative e del potere di rinvio a specchio dell’auto-percezione del Sé oggettivato.
Altro punto focale, a mio avviso, è ridare centralità all’esperienza diretta del mondo sensibile riallineando fra loro gli spazi di fruizione della realtà aumentata, virtuale e dematerializzata. Il fenomeno linguistico afferente alla sfera della comunicazione e del legame sociale assume il carattere di urgenza dal punto di vista epistemologico, dell’apprendimento, della percezione del mondo sensibile, dei processi di significazione e dello scarto fra segno, significante e significato. La lingua italiana sta pagando il prezzo del venir meno di una sorta di bilanciamento fra astratto e concreto, fra generale e particolare, collettivo e individuale, definibile e contrattabile, decodifica e interpretazione.
L’analisi dei prestiti e dei neologismi nella fase dell’uso incipitario ci richiama al dovere disciplinare di coniugare i principi e i criteri di attribuzione del prestigio linguistico e dell’autorevolezza delle fonti, rispetto ai descrittori ben noti in linguistica: sintesi e brevità, moda e conformismo, intraducibilità, necessità ed efficacia, scelta ed alternative, creatività e resistenza.
La preoccupazione espressa dagli specialisti nasce dalla consapevolezza che il dilagare di anglismi e neologismi è, in certo qual modo, sostenuto da un’azione implicitamente impositiva da parte di soggetti dotati di potere orientante attraverso i canali del condizionamento sociale, come ad esempio campagne pubblicitarie, invenzioni commerciali, mode, tendenze, catene e populismi [1].
Una riflessione a parte merita la creazione di neologismi di derivazione straniera veicolati in contesti d’uso informali come ad esempio nel caso dell’ampio campo internazionale dei video giochi: startare, laggare, droppare, nerdare, farming, grinding, buggato, combo,… Si tratterebbe probabilmente di un linguaggio ristretto alla comunità dei giocatori ai fini dello svolgimento della partita giocata. Allora mi chiedo: i giocatori, di qualunque età anagrafica, direbbero /startare/ se la finestra di dialogo del software fosse rigorosamente tradotta in italiano nella modalità di visualizzazione predefinita? Fa differenza se nel tasto di avvio della partita c’è scritto “start” oppure “avvio”?
Simile riflessione la volgerei, inoltre, all’esperienza che tutti noi studiosi stiamo vivendo direttamente ed eccezionalmente con ritmi incessanti: mi riferisco alle piattaforme di video conferenza, ormai entrate a far parte della quotidianità del lavoro agile, dei seminari e delle lezioni a distanza, nelle quali è solo facoltativa e rara la traduzione in italiano della visualizzazione dei tasti di gestione dei servizi offerti dall’applicazione: start, live, leave, join a meeting, sign in … Sperimentando personalmente questo aspetto, mi sono resa conto che il servizio di traduzione non mi permetteva un efficace uso dei tasti funzione del dispositivo, banalmente il tasto “start” e il tasto “leave” venivano tradotti con “partire” (accezione non pertinente rispetto al contesto, anzi, in un certo senso, in accezione contraria all’utilità del link attivo, in quanto partire è interpretabile come lasciare la riunione!) e “live” veniva tradotto con “vivere” anziché “dal vivo” o “diretta”.
Questi semplici esempi tratti dalla vita quotidiana costituiscono pezzi del più complesso mosaico dei contatti linguistici e testimoniano quanto sia determinante il rapporto azione-connotazione-denotazione-comunicazione nell’agire individuale. Il flusso fra pratiche, lingua e linguaggi concorre nei processi di costruzione di strutture simboliche strutturanti la condivisione collettiva dell’agire umano, veicolato e vincolato dai dispositivi elettronici e digitali. Dal comportamento responsivo insito nell’uso di tasti funzione si genera un condizionamento inconsapevole che ha evidenti ricadute sulla strutturazione di veri e propri sistemi di comunicazione inizialmente circoscritti allo specifico contesto azionale (video gioco, videoconferenza, ecc.) ma pur sempre incombenti ai fini dello sconfinamento nel più ampio panorama della lingua comune.
In tal senso altri esempi sono le proposte di attività ginnica dei centri sportivi come palestre e piscine: personal trainer, workout, fitness, crunch, curl-up, plank, push-up, squat, …Mi chiedo: tutti questi termini sono d’avvero intraducibili e necessari per autorità, sintesi e brevità? Decisamente no! Facciamo la prova: allenatore, allenamento, preparazione fisica, …Traducendo in italiano non mi sento certo più o meno in peso-forma e il mio fisico non credo ne abbia risentito in termini di impegno e partecipazione alle attività ginniche offerte dalla palestra sotto casa!
Ascoltiamo cosa accade nel linguaggio della progettazione di strategie e metodologie didattiche tratte dai paradigmi disciplinari e pedagogici, in questi giorni, così esposto alla ribalta dei mezzi di comunicazione di massa e all’attenzione dell’opinione pubblica: learning by doing, cooperative learning, tutoring, peer education, peer teaching, flipped classroom, problem finding, problem solving, focus group, expertise, assessment, skimming, scanning, task reading, drills, prompts, appraisal, setting di modeling, shaping, chaining, scaffolding, … Proviamo a tradurre in italiano: imparare facendo, apprendimento cooperativo, insegnamento tra pari, classe capovolta, individuazione e soluzione di situazioni problema, valutazione, lettura veloce, …
Traducendole in italiano, non credo proprio di aver sminuito le metodologie didattiche in termini di autorità ed autorevolezza! Certo, se traduco in italiano i termini tecnici, non me ne vorranno Dewey, Bruner, Vigotskij, Ausubel, Bloom, Gardner, Erikson, Rogers, Maslow, Allport, Goleman, Skinner, Guilford, Gardner e i numerosi studiosi riconosciuti dalla comunità scientifico-disciplinare internazionale quali pietre miliari della didattica applicata contemporanea!
Potremmo continuare ad oltranza l’elenco di esempi simili: si pensi alle notizie dei telegiornali su politica interna ed estera, ai dispositivi di legge in materia di interventi di assistenza sociale e manovre economiche, alla contrattazione decentrata dei diversi settori occupazionali, alla terminologia di divulgazione medico-scientifica e a quella relativa alla telefonia mobile e all’informatica, la digitalizzazione dei servizi, … e ad ambiti emergenti, in palese contraddizione con se stessi, come purtroppo anche l’editoria, l’informazione culturale, le applicazioni di video scrittura e di narrazione creativa, la divulgazione di testi narrativi e di letteratura contemporanea (one shot, urban fantasy, cliffhanger, fanfiction, villain, spin-off, storytelling, ship, spoiler, sequel, prequel, crossover), figure emergenti come blogger, vlogger, influencer, streamer, youtuber, rider delivery, smart worker, event planner, video maker, …
Da quanto esposto fino adesso, emerge che l’uso dilagante di forestierismi non va considerato solo nei suoi aspetti di natura più prettamente linguistica e pragmatica della lingua. Se, come attinto da Greimas, analizziamo i contesti specifici, dobbiamo anche considerare i socioletti, prima definiti, come dei microsistemi che fanno parte del macro sistema della lingua comune ma che lo intersecano solo parzialmente. I socioletti, dotati di strumentazioni morfologiche, sintattiche e lessicali circostanziati, costituiscono dei microcosmi culturali a sé stanti in continuo divenire ai quali sottendono sistemi di significazioni in base a sistemi di valori assunti e condivisi dalla comunità linguistica in seno alla quale si generano. Questa prospettiva comporta che agire nella difesa di un patrimonio linguistico nazionale, il quale non disattenda alla funzione di riferimento identitario come base comune del vivere sociale e civile, richiede interventi di natura culturale e di analisi dei sistemi di valori che nuove configurazioni di informazione e comunicazione sociale determinano e nutrono dal punto di vista lessicale e linguistico.
Di recente, ho riletto Lessico famigliare di Natalia Ginzburg, ne riporto di seguito il passo che, negli anni, ha emozionato la maggior parte dei suoi lettori e che, dal punto di vista della sociolinguistica, apre ad opportune riflessioni:
Stiamo assistendo ad un repentino allontanamento radiale dei soggetti sociali dal comune senso di partecipazione e inclusione, dovuto ad un consapevole processo di disconoscimento identitario delle istituzioni e all’intenzionale propensione all’auto-determinazione nei confronti dei sistemi sociali precostituiti, a discapito del senso di appartenenza collettiva all’unità nazionale. Penso ad una sorta di débrayage del soggetto culturale che fuoriesce dall’enunciato e lo lascia privo del senso originario.
La presenza insistente di forestierismi nella lingua italiana d’uso determina, di fatto, lo sgretolamento del sistema sintattico e il conseguente smantellamento dell’impianto logico delle parti, pensate-enunciate. Viene meno la tenuta del pensiero critico e creativo, implode la coerenza dell’agire sociale!
Si inceppa il ritmo della parola, disatteso il ritmo del senso!
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