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Il Principe mago, una vita nel sogno di Faust

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Villa Alliata di Pietralata

di Antonino Cangemi

«‹Benvenuti gli amici, maledetti i parenti›». Sul cancello del castello di Raniero Alliata di Pietragliata campeggiava questa avvertenza accompagnata dalla raffigurazione diabolica dei congiunti con tanto di corna, coda e forchettone. Quella scritta metteva in guardia chi si avventurava dalle parti di via Serradifalco, dove si trovava il castello, dal varcarne il cancello, fosse o non fosse parente. Già, perché, a parte la fama di misantropo che lo circondava, di amici – i soli «benvenuti» – Raniero Alliata, principe del Sacro Romano Impero, ne aveva pochi, anzi pochissimi, da contarsi con le dita di una sola mano. E in quella villa si consumavano i riti della magia più malefica: si evocavano spiriti, si registravano voci di trapassati anche in lingue non più correnti, suoni provenienti dall’aldilà che richiamavano, a detta di esperti, la musica greca antica, comparivano, per poi improvvisamente sparire, fantasmi per tutti i gusti.

Quella in cui visse Raniero Alliata era una villa di stile neogotico, ricavata e riedificata da un complesso settecentesco a fine ‘800: al centro un edificio rettangolare costruito con pietra rossa con due ali e una cinquantina di stanze, in cima due torri merlate, dintorno un giardino ricco di piante d’ogni specie e un lago di cigni incantevole. Ogni pomeriggio, verso le diciotto, «il principe mago» – così venne battezzato Raniero Alliata – si affacciava dalla finestra del castello con in mano un teschio che faceva oscillare con una pergamena, stretta tra i denti di quel cranio cadaverico, in cui era vergata con caratteri d’argento in aramaico un anatema: «Agapithon sthanòs a-ta-tia iaron milosonti Adonai» [1]. Una maledizione che il principe indirizzava innanzitutto ai parenti, agli speculatori edilizi che avevano rovinato la Conca d’oro, in bella vista dalle terrazze del castello, e all’umanità tutta, della quale salvava solo una ristretta minoranza: quella degli «eletti».

 Il principe, infatti, aveva suddiviso la specie umana in più categorie secondo una specifica scala gerarchica. Al vertice della piramide vi erano appunto gli eletti, l’élite, i soli illuminati, spiritualmente elevati, di cui naturalmente facevano parte lui e i suoi rari amici; poi i tamerari, i dispensatori d’amore come rivela l’etimologia greca (tamias ed eros), la cui ragione d’esistere era quella di perpetuare la specie tramite il congiungimento carnale. La maggior parte degli uomini apparteneva alla classe dei tamerari. Poi si scendeva agli adiposi, ai necrofiti, ai convulsi, esseri da disprezzare, legati alle cose materiali, feroci e nevrotici. Al gradino più basso i coprotidi, la cui etimologia, dal greco kopros, sterco, dice tutto [2].

Il principe concedeva la visione della sua immagine – non certo rassicurante – a chi passava da quelle parti solo nel tardo pomeriggio, perché a quell’ora si svegliava: come tutti gli addetti a pratiche mediatiche, la notte vegliava nel contatto con gli spiriti per poi addormentarsi solo a mattina inoltrata [3]. Ma vediamo di scoprire meglio Raniero Alliata, cominciando dal raccontarne la vita.

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La famiglia Alliata

Raniero Alliata nacque a Palermo il 9 giugno 1897 dal principe Luigi di Pietragliata e Bianca Notarbartolo di Villarosa. Fu l’ultimo figlio della coppia, arrivato dopo una riappacificazione e dopo altri quattro fratelli, messi al mondo molti anni prima di lui. La distanza anagrafica con i fratelli (il maggiore aveva 25 anni più di lui) e l’età avanzata dei genitori influirono molto sull’infanzia di Raniero. Segnata dalla solitudine (non vi erano bambini con cui giocare), dall’austerità di un’aristocrazia altera quanto malinconicamente in declino e dalla severità della nutrice tedesca. Sia la cultura che si respirava in casa che la tata tedesca fecero crescere in lui, sin da piccolo, una certo interesse per il pangermanesimo, movimento allora in voga che mirava a unire politicamente tutti i popoli di lingua tedesca. D’altra parte il suo stesso nome, Raniero, era di derivazione tedesca, Raganhar, e i genitori si divertivano a chiamarlo Ragnarock, termine che, nella mitologia germanica, richiama il conflitto tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre [4]. Nomen omen si direbbe se si pensa alla passione per l’occultismo – ai confini tra luci e tenebre – che prevarrà nell’esistenza di Raniero e di cui comincerà a interessarsi sin dall’adolescenza.

Scoppiata la prima guerra mondiale, Raniero fu chiamato a partire per il fronte. Strano destino il suo: i nemici da contrastare in guerra furono proprio quei tedeschi della cui cultura si era nutrito. Quella bellica fu un’esperienza abbastanza gravosa per Raniero: dopo tre anni di trincea, la disfatta di Caporetto, chilometri e chilometri percorsi a piedi in strade fangose con sole, pioggia, neve, il nostro principe trovò ristoro nell’ospedale militare di Ferrara. Da lì, finita la guerra, il ritorno a casa dove, morto il padre, ebbe accanto la madre fragile e permissiva. In tale contesto il giovane Raniero si lasciò conquistare dalle sue passioni: il gioco e i cavalli, ma anche l’occultismo.

Suo era il più bel calesse di Palermo trainato da un cavallo bianco che tutti gli invidiavano. Le sere le passava giocando a carte al Bellini. Dove dilapidò buona parte delle sue fortune. Fu una sonora batosta al gioco – l’ultima – a fargli cambiare vita. Pare fosse l’anno 1925 quando sui tavoli verdi del Bellini lasciò quasi tutti i suoi averi. Da allora si rintanò nella sua villa di via Serradifalco per uscirne raramente, tutto immerso nel suo personalissimo mondo fatto di studi scientifici, occultismo, pittura, entomologia. Sì, entomologia: Raniero Alliata di Pietragliata fu un cultore di quella disciplina dalla notorietà internazionale, collezionò gli insetti più vari, che raccoglieva nelle sue passeggiate sulle Madonie e sui Nebrodi (alcune sue collezioni sono ora conservate a Terrasini presso il museo regionale di palazzo D’Aumale); più volte l’Università di Palermo gli offrì la cattedra per quegli studi, da lui regolarmente rifiutata: per nulla al mondo il principe voleva abbandonare la prigione dorata del suo castello (pregiatissimi i suoi arredi interni).

2Si dedicò anche all’arte figurativa realizzando bozzetti, che lui chiamava tranchettili, con una tecnica personalissima che si avvaleva di cenere, tavolette di cere e spilli, grazie ai quali disegnava su fogli di carta Fabriano schizzi con paesaggi boschivi e figure soprattutto femminili non prive di sollecitazioni erotiche. Anche il suo strano modo di dipingere era, per sua stessa ammissione, espressione di sensibilità extrasensoriale.

Altro hobby, legato ai suoi interessi per la chimica e per l’alchimia, era quello di fondere metalli realizzando soldatesse di piombo dalle divise singolari: le casacche erano, infatti, scoperte all’altezza dei seni che quelle donne di caserma in miniatura mettevano in mostra in tutta la loro prominenza [5]. Anche in questo diletto Raniero manifestava una certa ossessione per il sesso.

Ma in Raniero la passione che su tutte di gran lunga prevaleva era quella per lo spiritismo. Prima al Bellini, poi nel suo castello, Raniero si riuniva, nel cuore della notte, insieme ad altri cultori del genere, attorno a un tavolo a tre gambe. L’interesse per l’esoterismo era diffuso a Palermo nel primo dopoguerra. Era quasi una moda importata dall’estero. Tant’è che a quegli “incontri” partecipava di tanto in tanto anche Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ma per mera curiosità, come parte dell’aristocrazia del capoluogo siciliano. Con diverso animo vi partecipavano invece i suoi cugini, Agata Giovanna, Lucio, Casimiro Piccolo di Calanovella [6],  soprattutto quest’ultimo, colpito più degli altri dai fenomeni paranormali. Ma, a differenza di Raniero, conquistato dalle pratiche dell’occulto malefico, Casimiro Piccolo si appassionò alla magia bianca, quella innocente, degli elfi, degli gnomi, dei folletti che popolarono i suoi dipinti.

Negli anni ’20 visitò la Sicilia e dimorò per un certo periodo a Cefalù Aleister  Crowley. Era costui un esoterista e uno scrittore britannico che ebbe molto peso nella diffusione delle pratiche magiche. Uomo dalla vita irregolare e dai costumi sessuali spregiudicati – uno che amava vivere pericolosamente per dirla in altro modo –, Crowley è stato ritenuto, non si sa bene quanto fondatamente, esponente del satanismo e della magia nera. Non è da escludersi che, come da qualcuno ipotizzato, Aleister Crowley abbia influenzato il principe Alliata nella sua predilezione per la magia nera; ciò sarebbe stato facilitato dalla comunità a cui Crowley diede vita nei pressi di Cefalù, da lui battezzata Abbazia di Thelema [7].

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Casimiro Piccolo

Con chi viveva il «principe mago» nel castello di via Serradifalco? Morti i genitori, da solo. Circondato però dai domestici a suo servizio. Gente povera che si accontentava di assecondarlo in cambio del solo vitto e alloggio. Raniero non navigava nell’oro e non poteva remunerali in altro modo. Le donne della servitù, se attraenti, difficilmente evitavano di conoscere il suo letto. Così accadeva allora, quando il divario di classe sociale e l’accentuata disparità di condizione tra i due sessi favorivano il libertinaggio. Raniero, d’altra parte, era un bell’uomo: alto, portamento austero, sguardo misterioso e profondo, pochi capelli, stempiato. Sapeva esercitare il suo fascino sulle donne, anche con il suo forbito eloquio. Cinico, freddo, troppo preso dalle sue passioni che lo trascinavano ai confini della realtà comune, sembrava però destinato a vivere senza accanto una donna.

Ma un giorno accadde l’imprevisto: durante una visita a un amico fu fulminato dalla presenza di un’esile, avvenente ragazza di origini norvegesi dai lunghi capelli rossi. Quella ragazza minuta, fragile e bella si chiamava Helga e prestava servizio presso la famiglia del suo amico. Il principe non esitò a invitarla al suo castello. Dopo due giorni, Helga si presentò alla dimora di Raniero con la valigia in mano colma delle poche cose che le occorrevano per vivere. Raniero l’aveva stregata, le era bastato assai poco per innamorarsene. Il «principe mago»› l’accolse volentieri alla sua corte e le destinò un piccolo ambiente (pochi metri quadri) di una delle torri del suo castello. Era il 1930, e da allora Helga divenne per Raniero qualcosa di più – e di peggio verrebbe da dire – di una sua concubina. Non fu solo un corpo che soddisfaceva i suoi appetiti sessuali, ma anche oggetto dei suoi esperimenti spiritici. A parte che per Raniero ipnotizzarla e renderla succube ai suoi voleri fu un gioco da ragazzi, Helga rivelò anche doti extrasensoriali e perciò potette condividere col «principe mago» le sedute medianiche.

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Villa Alliata

Nel 1939 Helga rimase incinta. Un lieto evento per la piccola norvegese e per il principe che poteva offrire al mondo un suo discendente? Non proprio. Raniero rimase del tutto indifferente all’annuncio della gravidanza; Helga, al quinto mese di gravidanza, rimasta per tutto quel tempo priva di cure e assistenze, decise di fare ritorno al suo paese per lì partorire con accanto i propri familiari. Ma preso il treno, alla stazione di Berlino la disgrazia: inciampata sugli scalini della vettura, cadde rovinosamente a terra e l’urto traumatico sui binari le fece perdere quel bambino che per lei era la speranza di una nuova vita. Dopo, il ritorno in Sicilia. Per Helga si ripresentava la vita di prima: serva del «principe mago», segregata nelle stanze di una delle torri, succube dei sortilegi del cultore di magia nera. E però qualcosa era cambiato nel cuore e nella testa di Helga: quella parte da recitare accanto a Raniero assegnatole da un copione crudele e che lei, complice l’amore, aveva passivamente accettato, adesso non le stava più bene. La follia, che già in lei si era insinuata nella convivenza servile con Raniero, esplose combinandosi con uno spirito ribelle mai conosciuto. E che riversò contro se stessa. Un giorno, uno dei tanti trascorsi tra le tenebre del sontuoso castello, Helga tentò il suicidio. Raniero la sorprese quasi carbonizzata, accanto a lei delle bambole avvolte dal fuoco. Si fece in tempo a condurla all’ospedale Civico, dove rimase ricoverata per tre mesi nel reparto ustionati. Riuscì a salvare la vita e, grazie all’assistenza delle suore, Helga si convertì al cattolicesimo.

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Villa Alliata

Si trattò forse di un miracolo, quel suo scampare alla morte, ma si realizzò anche un altro miracolo: Raniero aveva scoperto, in questa circostanza tragica, che in fondo, a modo suo, amava quella donna, il suo cuore non era così arido come sembrava. Grazie alla mediazione di Don Fortunio, duca di Belsito e padre di Bent Parodi (di cui dopo parleremo), Raniero si convinse a sposare Helga. Alla cerimonia Raniero si presentò con un abito bianco provato dal tempo (non uscendo se non raramente dal castello era privo di vestiti nuovi), accanto a lui Helga, già piccola di statura, sembrava ancora più piccina. Fecero festa in bello stile in un ristorante sul lungomare di Romagnolo. Raniero Alliata principe di Pietragliata e Helga Wittrock divennero marito e moglie. Helga fece il grande salto: da concubina preferita da Raniero conquistò i galloni nobiliari di principessa. Da allora scese dalla torre in cui era relegata e visse insieme a Raniero. Pretese che tutte le donne di servizio fossero allontanate dal castello. Fu accontentata, ma il «principe mago», seduttore impenitente, non pose fine alle sue scappatelle, sebbene, nel concedersene, fu più parco e cauto.

Per Helga però la condizione-sogno di moglie e principessa durò poco. La morte la colse prematuramente e Raniero rimase solo. Dinanzi a lui si profilò l’ombra della vecchiaia. Da affrontare da solo, come da solo aveva vissuto la maggior parte dell’esistenza. Gli ultimi suoi anni non furono facili: la solitudine ha un costo e prima o poi, soprattutto poi, presenta il suo conto. Salato. Fuori dal tempo, isolato, rinchiuso in una dimora per quanto principesca priva di riscaldamenti e comfort, con gli acciacchi di chi non si è mai preso cura di sé, la vecchiaia non fu clemente per il «principe mago». Soprattutto nell’ultimo suo quinquennio, quando rimase quasi del tutto immobilizzato. D’altra parte di assistenza medica, Raniero non ne voleva sentire parlare. La rifiutò anche in prossimità del trapasso. Che bisogno poteva averne lui, lui che si riteneva – e così affermava a gran voce – di essere immortale?

6Ma la morte, malgrado i suoi proclami, non volle graziarlo. Giunse da lui il 9 ottobre 1979, quando aveva 82 anni. La sua scomparsa passò inosservata; al funerale parteciparono in pochissimi, da quel che si racconta ad accompagnarlo al cimitero non c’erano più di cinque persone: quanti gli amici e quanti gli invisi parenti tra quei pochissimi? Chissà se a quel funerale vi fosse il suo nipote prediletto: quel Bent Parodi, affezionatamente battezzato Papilio, cui si è accennato e grazie alle cui memorie raccolte nella biografia appena romanzata Il principe mago [8] è stato tramandato quasi tutto quello che oggi si sa di Raniero Alliata principe di Pietragliata.

Bent Parodi, per tanti anni tra le più brillanti penne de Il Giornale di Sicilia, frequentò il suo castello e rimase affascinato dalla figura di Raniero, tanto da tratteggiarla fedelmente e felicemente nelle sue pagine, e dal suo mondo esoterico. Parodi fu attratto dalle sedute spiritiche di Raniero e vi partecipò. Sino ad un’ultima che, da come racconta nel suo libro, fu particolarmente impressionante. Una sera di febbraio man mano che il contatto con l’aldilà andava realizzandosi, il principe socchiuse gli occhi sino a serrare del tutto le palpebre, il suo respiro divenne sempre più affannoso, dalla sua bocca uscirono voci cavernose, misteriose e cupe, e intanto prendeva forma e cominciava ad agitarsi minacciosamente un ectoplasma. A quel punto l’amico che con Basilio Parodi partecipava alla seduta, a lui rivolgendosi, provvidenzialmente disse: «Busacchione…’u sa che ti dico? Amuninni, fuiri è briogna  ma è sarbamentu di vita» [9]. In certi frangenti nulla vi è di più codardo ma di salvifico dal darsi alla fuga.

Dialoghi Mediterranei, n. 38, luglio 2019
Note
[1] Leggasi Anna Maria Corradini, Raniero Alliata di Pietratagliata. Eros e alchimia. La ricerca dell’estremo  in Gli ultimi Gattopardi tra arte, letteratura e alchimia, Edizioni di passaggio, Palermo, 2012: 250.
[2] Leggasi Raniero Alliata di Pietratagliata, il principe mago in www.tacus.it
[3] Leggasi Stefano Malatesta, Raniero, mago nero in Il cane che andava per mare e altri eccentrici siciliani, Neri Pozza, Milano, 2000: 137.
[4] Leggasi Anna Maria Corradini, op. cit.: 249- 250;  Giusi Patti, Raniero Alliata di Pietragliata, un “Gattopardo” tra occultismo e solitudine in www. Ilsicilia.it
[5] Leggasi Anna Maria Corradini, op. cit.: 252.
[6]  Sui fratelli Piccolo leggasi Stefano Malatesta, I fratelli Piccolo, in op. cit.: 65-73
[7] Leggasi Anna Maria Corradini, op. cit.: 251.
[8] Leggasi Bent Parodi, Il principe mago. Storie autenticamente vissute di Raniero Alliata di Pietratagliata, Tipheret, Acireale- Roma, 2013. Lo stesso libro, col titolo Il principe mago, fu poi pubblicato nel 1987 da Sellerio, Palermo.
[9] Bent Parodi, op. cit.: 192.
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Antonino Cangemi, dirigente alla Regione Siciliana, attualmente è preposto all’ufficio che si occupa della formazione del personale. Ha pubblicato, per l’ente presso cui opera, alcune monografie, tra le quali Semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi e Mobbing: conoscerlo per contrastarlo; a quattro mani con Antonio La Spina, ordinario di Sociologia alla Luiss di Roma, Comunicazione pubblica e burocrazia (Franco Angeli, 2009). Ha scritto le sillogi di poesie I soliloqui del passista (Zona, 2009), dedicata alla storia del ciclismo dai pionieri ai nostri giorni, e “Il bacio delle formiche” (LietoColle, 2015), e i pamphlet umoristici Siculospremuta (D. Flaccovio, 2011) e Beddamatri Palermo! (Di Girolamo, 2013). Da ultimo, D’amore in Sicilia (D. Flaccovio, 2015), una raccolta di storie d’amore di siciliani noti. Collabora col quotidiano on-line BlogSicilia e con vari periodici culturali.

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