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Il Mediterraneo, mare salato. Note su navigazione e civiltà dalle “Genealogie degli dèi pagani” di Boccaccio
Posted By Comitato di Redazione On 1 novembre 2020 @ 01:33 In Cultura,Letture | No Comments
Quando si pensa alle Genealogie di Giovanni Boccaccio, un trattato scritto in latino sugli dèi pagani, l’ultimo pensiero del lettore va al ruolo che il Mediterraneo svolge nell’opera e nell’immaginario di Boccaccio. Un recente studio che ho dedicato al mare nelle opere di Dante, Petrarca e Boccaccio, mi ha permesso di riproporre in italiano alcune riflessioni sul ruolo che il Mediterraneo svolge nelle Genealogie [1].
In occasione dell’uscita di questo lavoro, vorrei condividere con il lettore di Dialoghi Mediterranei, una delle pagine più belle che siano state scritte sul ruolo del Mediterraneo come mare-ponte, un mare utile i cui benefici si pongono alle origini della civiltà con l’invenzione dell’imbarcazione.
Boccaccio, con il nome di Giovanni, è il marinaio che dall’Elsa, fiume di Certaldo, e dall’Arno toscano, si mette in mare per mostrare a Ugo, re di Gerusalemme e di Cipro, che le favole degli antichi non sono inutili. Per mostrare la verità della poesia dunque, nella finzione delle Genealogie, Giovanni attraversa il Mediterraneo a bordo di una piccola navicella per raggiungere i siti in cui sono avvenute le invenzioni di cui ci hanno raccontato i poeti dell’antichità, invenzioni che narrano come l’uomo sia uscito dalla caverna e dallo stato ferino. Se la navigazione del poeta-marinaio su una navicella trasmette tutta l’essenza e funzione della poesia che raccoglie di costa in costa, e salva dall’oblio gli sparsi frammenti delle favole antiche, essa celebra anche il mare come specchio dell’industria umana e la poesia che testimonia le meraviglie di cui è capace il suo ingegno.
Boccaccio apre il Libro X descrivendo i benefici di questo mare per l’umanità in una bellissima pagina che elogia l’invenzione della barca e gli effetti della navigazione nel Mediterraneo. Leggiamolo nella bella e commovente traduzione di Vittorio Zaccaria:
Tutti i libri delle Genealogie si aprono con Giovanni poeta-marinaio che, novello Ulisse sulla sua navicella, attraversa tutto il Mediterraneo fino a superare quelle colonne d’Ercole dove l’Ulisse dantesco (Inferno XXVI), aveva miseramente naufragato. Il X Libro, l’unico a non inziare con la metafora acquatica della nave del poeta, celebra il mare come uno spazio privilegiato che narra gli sforzi che gli antichi si proponevano per organizzarsi in comunità civili, per acquisire per la prima volta consapevolezza di sé stessi e “dell’altro”, e di altri spazi e razze. «Fa tremare» – scrive Boccaccio – pensare a tutti i benefici derivati dall’invenzione della barca e dai vantaggi della navigazione e a come essa riduca la distanza geografica che aveva reso estranei l’uno all’altro, favorito lo scambio di merci e di rimedi medici, portato “la meraviglia”, i costumi e le leggi dell’altro, la consapevolezza di un “altro” mondo diverso dal proprio, e un’altra lingua, che aveva insegnato a mescolare pratiche, condividere la fiducia attraverso lo scambio di merci e unirsi in amicizie. Celebrando Nettuno, Boccaccio spiega attraverso i suoi discendenti, i Ciclopi, l’artigianato che lega la creatività umana e la laboriosità al mondo marittimo, sostenendo con numerosi esempi, che quasi tutti i modelli delle tecniche sembrano essere derivati dal mare o dall’acqua, e che i prodotti del mare sono atti ad istruire gli ingegni degli artefici, uomini esperti dell’arte (X xvi 3-4).
Sono davvero molte le invenzioni degli antichi, come aveva notato prima di Boccaccio, il Minorita Paolino Veneto, eppure Boccaccio sottolinea quelli che trasmettono sforzi per portare l’umanità fuori dalla natura feroce e selvaggia.
Un esempio è Iarba, ricordato per aver spostato il suo popolo, i Getuli, dalle estreme solitudini e dalle sabbie infuocate dell’Etiopia sul lido d’Africa istruendoli «in molte cose che riguardano il vivere umano» (XI xi, 3). Con la sua opera ha mitigato le loro feroci abitudini «perché attraverso eccellenti istituzioni ha domato i loro modi selvaggi» (XI xi, 4). Boccaccio ha sempre visto pericolose conseguenze dell’isolamento e le ha stigmatizzate nel Decameron nel personaggio di Rustico, il cui nome aveva lo scopo di trasmettere la natura selvaggia di coloro che erano stati allontanati dall’umanità e che conservavano soltanto l’aspetto degli umani (Decameron III, 10). Teorizza sistematicamente ciò nelle Genealogie IV lxvi nella figura di Licaone, re dell’Arcadia, in una storia che illustra le conseguenze dell’avarizia e del furto sul consorzio umano. Secondo Leonzio, Licaone visse aggredendo i viaggiatori e derubandoli nella foresta, dando origine alla favola che fu trasformato in un lupo. Boccaccio sottolinea le connotazioni culturali di questa favola, osservando che quando siamo allontanati dall’umanità, ci vestiamo immediatamente come lupi e preserviamo solo le fattezza umane (IV l xvi, 6).
L’importanza del vivere una vita comunitaria civilizzata è un leitmotiv ricorrente in tutte le Genealogie. Ad un certo punto la costruzione delle città accompagna la celebrazione da parte del poeta dell’utilità della musica per la comunità. Boccaccio narra che Anfione era così esperto nell’arte della musica che, secondo Lattanzio, ricevette la cetra direttamente da Mercurio e con questa costruì le mura di Tebe (si veda anche Seneca, Hercules furens).
Con Mercurio, il poeta trova l’occasione di considerare il valore dell’amicizia per il benessere della vita civile, la fondazione delle città, delle arti e delle professioni e in particolare quella dei commercianti il cui protettore è Mercurio. Infatti, nelle Genealogie (II vii, 10), Mercurio è un negoziatore, mercatorum kyrios, il signore dei commercianti, come Ugo di San Vittore lo descrive, il dio del commercio, degli scambi e dei profitti del commercio (il suo nome latino deriva probabilmente dal termine merx o mercator, commerciante appunto). Boccaccio apprezza il ruolo dei mercanti, poiché la loro mobilità incentiva la produzione e il benessere delle città, e non a caso i mercanti e il loro mondo ravvivano le pagine del Decameron.
Opera erudita, le Genealogie lette in chiave marittima, seguendo il viaggio di Giovanni, ci raccontano la verità della poesia in una maniera poetica e fluida allo stesso tempo, e lo fa in chiave geografica, offrendo una mappa, tappa dopo tappa, degli spazi dove si sono snodate le vicende mitologiche, le stesse che raccontano l’ingegno dell’uomo e la sua capacità di inventare un mondo vivibile a partire dall’invenzione dell’imbarcazione. Con la navigazione, l’uomo ha potuto infatti raggiungere i luoghi più lontani, ricongiungere dunque e riavvicinare culture e popoli diversi, scambiare merci, portare farmaci e salvare vite, pescare e dunque contribuire al nutrimento e sostentamento dell’uomo. Questo così straordinario bene di tutti, con il suo sale non solo offre lavacri ai sani e ai malati scrive Boccaccio, ma dà sapore alle cose insipide e ricorda, nella sua sapidità, le eccellenti conquiste dell’uomo. In tempo di pandemia, l’invito è di specchiarsi in questo mare in cui si riflette l’idea chiave della sostenibilità e dell’industria e generosità umana, la sua capacità di inventarsi un mondo civile all’insegna del rispetto di culture diverse dalla propria, dello scambio solidale e sostenibile, sotto il segno della responsabilità e della compassione.
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