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Il colore delle medaglie. Tokio 2020 e i nuovi cittadini italiani

Daisy Osakue, Marcell Jacobs, Yemenbaer Crippa

Daisy Osakue, Marcell Jacobs, Yemaneberhan Crippa

per la cittadinanza

di Chiara Dallavalle

Le Olimpiadi sono da poco terminate e il medagliere italiano a Tokio 2020 ci ha resi particolarmente orgogliosi dei nostri atleti. Questa volta, forse più che in altre edizioni, la compagine degli atleti ha fotografato un vero spaccato della popolazione italiana, con numerose presenze di sportivi e sportive di origine straniera. Dall’italo-americano Marcell Jacobs a Daisi Osakue, nata 25 anni fa a Torino da genitori nigeriani, secondo i dati del Coni gli atleti di origine straniera chiamati a rappresentare l’Italia alle Olimpiadi sono stati 46.

Le loro provenienze sono però eterogenee: la squadra olimpica include infatti figli di coppie miste, ragazzi nati all’estero e successivamente adottati da genitori italiani, atleti naturalizzati in virtù di lontani parenti italiani, fino ad arrivare ai nati in Italia da genitori stranieri e quindi legittimati al compimento dei 18 anni di età ad ottenere la tanto sospirata cittadinanza. Questa disomogeneità, oltre a rendere arduo tracciare con sicurezza i confini di ciò che si intende per “origine straniera”, alimenta ulteriormente il già acceso dibattito sulla cittadinanza, un tema particolarmente controverso nel nostro Paese.

La composizione della squadra olimpica mostra infatti tutte le ambivalenze insite nell’iter per l’ottenimento della cittadinanza italiana, soprattutto per quanto riguarda la mai risolta diatriba tra ius soli e ius sanguinis. È ammissibile che un giovane arrivato in Italia da bambino ma nato e cresciuto qui, con una perfetta conoscenza dell’italiano e probabilmente con un diploma o una laurea italiani, non possa vestire la maglia azzurra, quando questo è concesso al lanciatore del peso Zane Weir, nato in Sud Africa da genitori stranieri ma ammesso alle Olimpiadi in rappresentanza dell’Italia grazie alle origini triestine del nonno materno? La questione è quanto meno bizzarra e alquanto controversa. Un passo in avanti è stato sicuramente fatto con la legge 12/2016 “Disposizioni per favorire l’integrazione sociale dei minori stranieri residenti in Italia mediante l’ammissione nelle società sportive appartenenti alle discipline associate o agli enti di promozione sportiva”, che consente ai minori stranieri residenti in Italia ma privi di cittadinanza di essere tesserati presso le associazioni sportive a partire dai dieci anni di età. Tuttavia, questo non permette loro di vestire la maglia azzurra nelle competizioni internazionali.

Al di là delle questioni squisitamente etiche che derivano dal conflitto sopra menzionato tra ius soli e ius sanguinis, evidentemente discriminatorio per tutti quei giovani che si sentono italiani a tutti gli effetti ma che non lo possono essere in quanto incidentalmente nati fuori dall’Italia, il tema diventa cruciale per gli interessi delle stesse federazioni sportive, perfettamente consapevoli del potenziale racchiuso in queste promesse “straniere” dello sport. Sono infatti proprio loro ad invocare una corsia preferenziale che consenta a questi atleti di gareggiare con la maglia italiana anche in assenza della cittadinanza, come ha recentemente esplicitato il presidente del CONI, Giovanni Malagò. Questa opzione rimane però osteggiata da buona parte della politica italiana, la quale non sembra per nulla intenzionata ad allargare le maglie per l’ottenimento della cittadinanza o a introdurre di altri status intermedi. Negli scorsi anni sono stati presentati alcuni disegni di legge per rivedere l’attuale normativa ma nessuno di essi ha mai completato l’iter parlamentare [1].

516cplyiuulTuttavia, se andiamo ad analizzare alcuni dei requisiti richiesti dall’attuale procedura per l’ottenimento della cittadinanza, quali ad esempio il legame di sangue con avi italiani o la certificazione di una buona conoscenza della lingua italiana, vediamo che si tratta di elementi che richiamano al concetto di etnicità e di appartenenza nazionale, intesa come affiliazione identitaria ad un popolo accomunato da lingua, tradizioni e storia. Un’appartenenza che rimanda a tratti squisitamente culturali trasmessi preferenzialmente attraverso legami di sangue anziché dalla residenza sullo stesso territorio: niente a che vedere con la cittadinanza in senso stretto, che invece si riferisce al corpo di diritti e doveri dei cittadini nei confronti dello Stato.

Come ben spiegato da Gellner nel suo celebre testo Nation and Nationalism, il concetto di nazione e nazionalità non è solo un fatto politico ma è soprattutto un artefatto culturale che si aggancia fortemente al senso di identità delle persone (Gellner 1983). La nascita degli Stati Nazione tra ‘800 e ‘900 ha spinto le persone ad aggregarsi con forza attorno ad elementi di appartenenza culturale definiti aprioristicamente come “nazionali”. Ancora oggi le destre fanno leva proprio su questi elementi a fini meramente propagandistici, puntando sulle differenze che segnano la distinzione tra “noi” e “loro”, e alimentando così la paura del diverso, e la sua conseguente esclusione.

Il dibattito sulla cittadinanza in Italia è quindi di per sé ambiguo, in quanto tratta un tema che dovrebbe di per sé definire semplicemente (si fa per dire) la tipologia dei rapporti tra Stato e persone che vivono in modo permanente all’interno dei propri confini, mentre nei fatti assume connotazioni squisitamente culturali e identitarie.

51kiuiq2g5lQuesta ambiguità non è cosa nuova, come ci ricordano Castles e Davidson nel loro interessante lavoro del 2000, Citizenship and Migration. Globalization and the Politics of belonging (Castles et al. 2000). E questa stessa ambiguità è ciò che rende ancora più complesso il tema dello ius sportivi, il fatto di vedere l’Italia rappresentata da atleti che sembrano incarnare un’idea di italianità completamente nuova, che rompe schemi e luoghi comuni. Molti di noi troveranno di sicuro stridente vedere la maglietta azzurra indossata da un atleta di colore, soprattutto se non parliamo di Fiona May ma di storie migratorie difficili e tuttora misconosciute. Per altri invece, e mi auguro che siano la maggioranza, questo dovrebbe essere il segnale di una nuova Italia, che sa riconoscere il cambiamento in corso nel nostro Paese, e scoprire il valore di tutti coloro che l’hanno scelto come patria, indipendentemente dal loro luogo di nascita.

Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021

Note
[1] Attualmente in Parlamento sono ferme tre proposte di legge sulla cittadinanza, una delle quali a firma della senatrice Laura Boldrini. La proposta, oltre ad affermare lo ius soli come requisito principale per l’ottenimento dello status, introduce anche il concetto dello ius culturae, ovverosia la cittadinanza per coloro che abbiano completato un determinato ciclo di studi in Italia.
Riferimenti bibliografici
Castles, S. and Davidson, A. 2000, Citizenship and Migration. Globalization and the Politics of belonging, Basingstoke: Macmillan.
Gellner, E. 1983, Nations and Nationalism, Oxford: Blackwell.

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Chiara Dallavalle, già Assistant Lecturer presso la National University of Ireland di Maynooth, dove ha conseguito il dottorato di ricerca in Antropologia Culturale, collabora con il settore Welfare e Salute della Fondazione Ismu di Milano. Si interessa agli aspetti sociali e antropologici dei processi migratori ed è autrice di saggi e studi pubblicati su riviste e volumi di atti di seminari e convegni.

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