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Il “busillis” di Lincoln. L’Africa fuor d’Africa

 

nbts-viaggi-africa-mappa-bandieradi Elena Nicolai 

Incespico nella medesima citazione in due testi irrelati, letti a distanza di qualche mese l’uno dall’altro. In entrambi i libri improvviso appare Lincoln, cui francamente, e non me ne voglia chi legge, non sono solita pensare poi così spesso. Le parole di Abraham Lincoln generano interrogativi molto diversi tra un libro e l’altro e che questo articolo, è bene anticiparlo, lascerà irrisolti. Piuttosto, ne proporrà di nuovi.

Diceva dunque Lincoln: «Potete ingannare tutti per qualche tempo e alcuni per tutto il tempo, ma non potete ingannare tutti per tutto il tempo». La logica di Lincoln può essere ancora valida? È da qui, da questo busillis, che potrebbero aver inizio alcune narrazioni d’Africa.

L’Africa, un continente in transito? L’Africa è un continente in movimento. No, non è in viaggio: è in crisi. Si parla di una crisi migratoria africana: un movimento incessante, entro il continente, tra l’Africa e l’Europa (incluso il ritorno o il respingimento nelle zone di origine, inclusi i migranti che dall’Asia migrano illegalmente attraverso i Paesi africani), verso i Paesi del Golfo, il Nord America. Una crisi multidimensionale per cui masse di persone sono costrette a spostarsi, sono permanentemente dislocate; la crisi migratoria africana sarebbe, innanzitutto, una crisi delle persone sfollate (William, 2019).

siCosa genera queste crisi, quale la causa di questa costrizione al movimento? La vulgata sostiene la monolitica certezza che il problema di fondo sia la povertà, contro la quale occorre prendere le armi, lottare per eradicarla e accogliere chi vi sfugge, migrando. La povertà, dunque, spesso sola sul banco degli imputati. Finché non si mettono a fuoco alcuni dettagli, come al microscopio. A costringere milioni di persone a spostarsi è davvero semplicemente la tanto biasimata, oggettivizzata, povertà?

«Potete ingannare tutti per qualche tempo e alcuni per tutto il tempo, ma non potete ingannare tutti per tutto il tempo»: qui voglio inserire la prima occorrenza di quello che ho voluto chiamare il busillis di Lincoln. La trovo in uno dei libri di Harari (2021:32), XXI lezioni per il XXI° secolo, che così chiosa: 

«[…] il controllo governativo dei media mette in crisi la logica di Lincoln, poiché impedisce ai cittadini di comprendere la verità. Grazie al suo monopolio sui media, l’oligarchia al potere può costantemente rimproverare gli altri di tutti i suoi fallimenti e deviare l’attenzione verso minacce esterne, reali o immaginarie che siano. Quando vivete sotto un’oligarchia del genere, c’è sempre qualche crisi o altro evento che diventa prioritario […]. Producendo un flusso continuo di crisi, un’oligarchia corrotta può prolungare il suo dominio all’infinito». 

Vorrebbe dire che le crisi migratorie sono inventate, che non sono vere crisi, che sono generate dai nostri governi? No. Che il problema non esiste? No. Proviamo a postulare che ci sia qui un primo intoppo, o inganno, nel discorso sulle migrazioni e i migranti. Forse l’inganno è nel linguaggio costringente, funzionale ad un certo discorso pubblico.

Il linguaggio, la narrazione, mobilitano credenze scambiandole per realtà, inducendo ad un uso estensivo e vincolante delle cosiddette “parole simulacro” che altro non sono che credenze: «non definiscono delle verità dogmatiche alle quali ciascuno aderirebbe per intima convinzione, ma si esprimono nella forma di semplici proposizioni considerate vere in modo diffuso: vi si crede perché si crede che tutti vi credano» (Rist, 2013: 28); a queste si affiancano parole “avvelenate” come identità (Remotti, 2010: XII): «Perché e in che senso identità è una parola avvelenata? Semplicemente perché promette quello che non c’è; perché ci illude su ciò che non siamo […]»

Forse l’inganno è nel rigettare le responsabilità. Affermiamo che “la povertà costituisce il problema”, parliamo de “il problema della povertà”, “il problema dei migranti” e, senza saperlo, ci dimostriamo abili prestigiatori perché questa espressione ha difatti 

«[…] il doppio vantaggio di rigettare inizialmente la responsabilità del problema sulla parte debole e, poi, di far sparire dal “problema” chi si arroga il potere di porselo. Questo gioco di prestigio discorsivo permette, attraverso l’elisione dei rapporti sociali, di fare esistere una realtà nuova, apparentemente “oggettiva”, in questo caso, la povertà» (Rist, 2013: 399-400. Trad. dell’Autrice). 

È il nostro linguaggio che oggettivizza, quantifica e fa esistere una nuova realtà, facendola apparire molto semplice e irriducibilmente se stessa. Ma la povertà nasce da un rapporto sociale: in altre parole, esiste perché esiste la ricchezza. Poiché la povertà è 

«[…] una costruzione sociale, ci si deve aspettare che la sua definizione vari a seconda della posizione che occupa colui che la formula. […] Non si tratta, beninteso, di fare un elogio della povertà alla maniera di Rousseau, ma semplicemente di evitare di confondere la semplicità di certi modi di vivere con la “povertà modernizzata”, creata dall’estensione del sistema di mercato» (Rist, 2013:402. Trad. dell’A.). 

9782724639803_1_75I migranti, poi, non coincidono con i poveri, con i rifugiati, con gli sfollati e non tutte le traiettorie del tragitto migratorio giungono in Europa. Sgomberiamo il campo dalla povertà modernizzata, e proviamo a farne a meno quando parliamo di migrazioni (regolari e non); analizziamo i fattori di spinta e poi, brevemente, quelli di richiamo che sottendono alle migrazioni, con focus sull’Africa. Se c’è, un intoppo, inciamperemo e sarà il secondo busillis ancora senza soluzione. 

I push and pull factors che inducono migliaia di persone a spostarsi, ad abbandonare il luogo di origine e a migrare o ad essere sfollate, sono molteplici; i fattori di spinta possono dividersi tra accidentali e strutturali. L’essere sfollato e la progettualità migratoria non sono condizioni coincidenti, anche se possono essere indotte dagli stessi fattori. Tra i fattori di spinta accidentali un peso particolare assumono i conflitti, ad esempio religiosi o etnici, oppure tra clan, che creano come dirette conseguenze sia un gran numero di sfollati ma anche, soprattutto dall’Africa Occidentale e dal Nordafrica verso l’Europa, flussi di migranti definiti economici.

I fattori di spinta strutturali, invece, hanno effetti a lungo termine già ampiamente prevedibili come, ad esempio, l’aumento esponenziale della popolazione africana entro il 2050, che si prevede sarà circa il doppio di quella attuale. Questa crisi demografica è complicata dal fatto che circa il 60% della popolazione ha un’età inferiore ai 25 anni, da cui consegue una proiezione di crescita stimabile in aumento anche in seguito; sono poi rilevanti le pressioni ambientali, gli shock climatici sempre più frequenti che costringono a spostarsi (come la siccità, l’infertilità dei suoli, le inondazioni ecc.).

Per quanto riguarda invece i fattori di richiamo, la progettualità migratoria per prima registra la causa economica/lavorativa, la speranza di un migliore accesso ai mezzi di sussistenza, di una realizzazione personale e familiare migliore, oppure la libertà di esercitare liberamente il proprio culto, il proprio credo politico, ecc.

Les gens du voyage, come divengono per antonomasia i migranti, assumono nomi diversi a seconda di come si inseriscano in queste categorie di spinte e attrazione (immigrati, rifugiati, richiedenti asilo, ecc.) e, a seconda delle modalità del loro tragitto e ingresso, il percorso si biforca in legale/illegale (o regolare/irregolare).

I fattori di attrazione non sono meno incisivi dei fattori di spinta e, anche nel caso delle partenze irregolari, giocano un ruolo determinante. Le narrazioni e autonarrazioni delle comunità delle diaspore, la presenza di una rete di sostegno comunitario e di un network familiare nel paese identificato come meta del percorso migratorio, costituiscono un elemento di richiamo che agisce direttamente nei territori di origine perché crea aspettative e, indirettamente, avalla le false promesse dei trafficanti di esseri umani e delle reti che gestiscono i percorsi dei migranti irregolari, sminuendone i rischi e sviluppando in iperboli i presunti vantaggi.

È su questi pull factors che il bando europeo FAMI aperto nel 2019, (topic 4), intendeva soffermarsi ed agire per creare campagne mirate di corretta informazione sui rischi connessi alle migrazioni irregolari e le reali condizioni di vita dei migranti irregolari in Europa, soprattutto rispetto alle concrete opportunità lavorative e di permanenza legale sul territorio.

Dato estremamente importante, la UE riconosceva il bisogno di agire in una dimensione integrata, sia nei territori di partenza che presso le comunità già sul territorio europeo, per incentivare modalità di ingresso legali o a rimanere e tornare nel proprio territorio di origine.

Si legge infatti nel testo del bando, nel topic 4 [Funding & tenders (europa.eu)]: 

«La decisione di intraprendere un viaggio irregolare verso l’Europa è spesso caratterizzata dal fatto di trascurare i rischi in cambio di una potenziale ricompensa. I potenziali migranti potrebbero sovrastimare le probabilità di successo, non fare una valutazione consapevole basata sull’evidenza o ignorare del tutto i rischi probabili. Le carenze delle passate attività di informazione e sensibilizzazione hanno spesso evidenziato quanto segue: 
-   pochi potenziali migranti ricevono informazioni o le considerano utili;
-  i migranti non si fidavano di alcuni canali di informazione e, nonostante l’abbondanza di notizie sulla situazione migratoria, il ricorso e la fiducia in notizie e informazioni affidabili erano ancora scarsi;
-  le informazioni negative presentate nelle campagne non sono state credute o sono state insufficienti per superare l’attrattiva delle informazioni positive alternative presentate da amici, familiari o contrabbandieri;
- alcuni migranti hanno scelto di ignorare le informazioni presentate, ritenendo di non avere altra scelta se non quella di migrare».         

È nel prospettare una possibilità di scelta informata che la UE ha promosso tali campagne informative, come infatti recitava il bando: 

«L’obiettivo generale delle campagne di informazione e sensibilizzazione è quello di comunicare informazioni obiettive sui rischi e le difficoltà del viaggio e sulle realtà legali, sociali ed economiche della vita in Europa, ai potenziali migranti, alle comunità vulnerabili, ai membri della diaspora e ai media locali. In definitiva, queste campagne dovrebbero consentire ai richiedenti asilo e ai migranti di prendere decisioni informate sui loro spostamenti e sui loro piani per il futuro. Inoltre, le campagne di informazione dovrebbero anche sottolineare l’opzione/alternativa del ritorno volontario nei Paesi d’origine per coloro che non necessitano di protezione internazionale e che ritengono che le loro aspettative non corrispondano alla realtà, né durante il viaggio né in Europa». 

Il problema non sembra della povertà e circoscritto ad un territorio lontano, un altrove senza legami e interazioni con il qui e organizzato su di un’unica direttrice da-a. La migrazione non sembra essere per tutti la soluzione. È importante arricchire anche il punto di osservazione, svincolandolo da un’ottica eurocentrica: una geografia delle migrazioni crea tragitti diversi in tutti i continenti, disegnando mappe di opportunità economica, di contiguità territoriale, di sicurezza legale, di accesso ai servizi, ecc.

In parte, le rotte africane conducono in Europa. Solo in parte. Laddove lo stato permanente di crisi, nel discorso pubblico, esorcizza per i governi il pericolo di una dimensionalità storica, di una memoria delle migrazioni, è invece opportuno recuperare l’elemento dinamico, diacronico, che storicizzi il fenomeno e le differenze che caratterizzano le comunità già da tempo presenti in un territorio rispetto ai nuovi arrivi.

Il fenomeno delle migrazioni, regolari e irregolari, dall’Africa in Europa, si dimostra in costante crescita a partire dalle primavere arabe (2011), con la crisi dei migranti del 2015 e nuovamente aggravata dalla crisi sanitaria del COVID-19, il che induce ad una lettura “continuista” dell’immigrazione e del volume dei flussi [Residence permits – statistics on stock of valid permits at the end of the year – Statistics Explained (europa.eu) ; Statistiques sur la migration et la population migrante – Statistics Explained (europa.eu].

Dal 2011 si era prosciugata l’immigrazione storica dall’Est Europa (rispetto soprattutto all’Italia), ripresa solo recentemente con numeri in crescita come conseguenza della guerra tra Russia e Ucraina; ad un’immigrazione sostanzialmente europea, a partire dal 2011 infatti si sostituiscono sempre più flussi dall’Africa e dal Medioriente, nonché dall’Asia. Questi flussi sono essenzialmente flussi misti, generati da un intreccio di motivi economici e di spinta, quali quelli descritti (conflitti, di mobilità economiche e mobilità forzate, ecc.) (Bontempelli: 2016).

La tappa intermedia, spesso senza soluzione, delle migrazioni, è impropriamente chiamata viaggio: è una rotta, un tragitto appunto che mira al suo fine, che a volte è percorsa a ritroso.

(Fonte : Les flux de migrants africains redéfinissent les problèmes de sécurité en Afrique (africacenter.org) )

Fonte: Les flux de migrants africains redéfinissent les problèmes de sécurité en Afrique (africacenter.org) )

Come si evince dalle mappe riportate qui di seguito, sono tre le rotte principali delle migrazioni irregolari in Africa: o dal Sahel-Sahara verso l’Europa, o dal Corno d’Africa verso i Paesi del Golfo e verso il Sud Africa. 

Non un movimento unilaterale delle migrazioni verso la UE quindi, ma movimenti su rotte che si muovono prevalentemente su tre assi distinti; l’Italia risulta essere un punto nevralgico di snodo verso i Paesi europei, come mostrato nella figura qui di seguito, dacché vi convergono la rotta occidentale, la rotta centrale e la rotta orientale. 

 

(Fonte: Migrations : Avant la Méditerranée, la dangereuse traversée de l’Afrique – Le Journal du Développement (lejournaldudeveloppement.com)

Fonte: Migrations : Avant la Méditerranée, la dangereuse traversée de l’Afrique – Le Journal du Développement (lejournaldudeveloppement.com)

L’Africa non viaggia, è dunque costretta al movimento, spesso irregolare, esposto a rischi e gestito da mafie internazionali, indotto anche dalle narrazioni delle comunità immigrate all’estero. Lo racconta bene la situazione attuale in Somalia, uno Stato federale che riemerge solo recentemente da lunghi anni di disgregazione dovuta alla guerra civile: dopo un difficoltoso e travagliato percorso elettorale fronteggia attualmente le sfide della prolungata siccità, delle dispute tra clan per le risorse idriche e del territorio, gli attacchi terroristici del gruppo di al-Shabaab, nonché le sfide per la rappresentanza politica (la cosiddetta Formula 4.5, cfr. Nastea, 2019).

Dall’inizio del 2022 sono 143,570 le persone dislocate in Somalia (Evictions: Eviction Information Portal (nrcsystems.net)) e si stima che gli sfollati interni (IDP) siano 2.9 milioni, uno dei numeri più alti del mondo ( 2022 Somalia Humanitarian Needs Overview- Somalia/ReliefWeb)), di cui 1.1 milioni a causa della siccità (IOM). La maggior parte dei rifugiati somali, circa l’80%, vive nei paesi confinanti (Somalia Refugee Crisis Explained (unrefugees.org)). Secondo le proiezioni dell’UNHCR, nel 2022 i richiedenti asilo in Somalia saranno circa 30,800 mentre i rifugiati di ritorno 131,117.

Somalia, Insicurezze alimentari (Fonte: Phil Holm AP)

Somalia, Insicurezze alimentari (Fonte: Phil Holm AP)

La Somalia è anche un Paese di transito per i migranti da altri Paesi, specialmente quelli confinanti: sono i migranti economici che cercano di raggiungere l’Arabia Saudita e che, molto spesso, rimangono sospesi, bloccati tra le frontiere. Per la maggior parte dei migranti in transito (non gli sfollati interni, si noti bene) in Somalia la progettualità migratoria si basa sul movimento “per trovare un lavoro, oppure un impiego migliore”. Sono, quelle del Corno d’Africa e della Somalia, crisi migratorie prolungate, generali: testimoniano la condizione di un continente intero, costretto al movimento.

La Somalia, al pari di altri Stati africani, ha anche una percentuale di crescita demografica altissima, con una media di 7 figli per donna, e la crescita demografica, si è visto, è uno dei fattori di spinta strutturali delle migrazioni; in che modo sono legate, migrazioni e aumento della popolazione negli Stati dell’Africa? Claude Meillasoux (2003:118-130) in un suo saggio: Per chi nascono gli africani? afferma che la crescita demografica appare come l’unica via di salvezza in economie dove lo sviluppo ristagna, dove le popolazioni sono impoverite da politiche di aggiustamento strutturale e tenute in una condizione di dipendenza alimentare: 

«la forte crescita demografica dei Paesi del Sud del mondo è il risultato non soltanto di comportamenti tradizionali, ma anche dell’inserimento delle popolazioni di tali Paesi nell’economia mondiale come fornitori di manodopera migrante e, nello stesso tempo, come base per industrie (occidentali) itineranti». 

Si crea una correlazione stringente tra aumento demografico, la migrazione come effetto correlato e il motivo propulsivo nonché fine ultimo: l’inserimento nell’economia mondiale. Ed ancora si legge: 

«A differenza dell’esodo rurale pre-bellico che, in Europa, avveniva in seno ad ogni Paese e aveva carattere definitivo, le migrazioni internazionali sono temporanee. I lavoratori migranti sono stranieri destinati, in grande maggioranza, ad essere respinti verso le loro regioni di origine. Le caratteristiche demografiche ed economiche dei Paesi adibiti alla riproduzione di tale manodopera e dei Paesi che l’impiegano tendono a divergere. I primi, al contrario dei secondi, vedono la loro popolazione crescere, ringiovanire e impoverirsi». 

71wqz4bl0alSecondo questa analisi, non si tratterebbe di migrare per godere di un diritto, dunque, ma di incarnare un dogma del liberalismo economico e culturale dell’homo mobilis, di rispondere ad una delle costrizioni dell’economia di mercato, l’unica via di partecipazione all’economia di mercato e via di “salvezza”.

Se povertà e accoglienza possono essere iscritte nel novero delle parole simulacro, o finanche avvelenate nella già menzionata accezione di Remotti (specialmente vero per “accoglienza”), non diversa sorte potrebbe toccare alla severa, inespugnabile, parola “diritto”, così radicalmente implicata dal liberalismo culturale. Scrive Michéa (2014: 142:143. Trad. dell’A.): 

«Al centro dell’immaginario liberale troviamo la celebre massima […] “fate fare, fate passare”. Una delle implicazioni logiche di questo dogma fondante è la necessità di riconoscere agli individui del mondo intero “il diritto fondamentale di circolazione e di stabilirsi dove vogliono”. […] In realtà, la sola domanda che importi è sapere se una società che incoraggiasse così il “nomadismo” e la mobilità perpetua (sia geografica che professionale) – e di cui, conseguentemente, il movimento browniano degli individui atomizzati fosse divenuto lo stato naturale – potrebbe garantire all’insieme dei suoi membri un’esistenza veramente umana». 

È vero che il discorso pubblico lega migrazioni alla nozione di diritto, un diritto fondamentale, senza però davvero discuterne in termini causativi nel dibattito politico (cfr. Sloman- Fernbach, 2017: 52 sgg.). Anche questo diritto, difatti, sembra iscriversi in una logica di mercato, di domanda-offerta: 

«Se il diritto di istallarsi dove si vuole è realmente “un diritto fondamentale” (e dunque “opponibile”) di tutti gli abitanti della terra, nulla dunque impedisce, in teoria, che centinaia di milioni di individui scelgano nello stesso momento di istallarsi nella stessa regione del globo (è pertanto più verisimile che le destinazioni “liberamente” scelte dall’homo mobilis debbano molto alla “legge” della domanda e dell’offerta e all’immaginario mimetico imposto dalla moda e la cultura mainstream […]). Secondo l’ipotesi libero-circolazionista, ciascuna regione del mondo dovrebbe dunque garantire permanentemente (pena di essere accusata di “xenofobia” e di “razzismo” dalle associazioni locali senza-frontiere) delle capacità di accoglienza smisurate […] e generalmente provvisorie» (Michéa, 2014: 148-149. Trad. dell’A.). 

Michéa descrive questa condizione come mobilitazione generale, o di “vita liquida”, citando esplicitamente Bauman. Ma in questo mondo mobilitato, che gode liberamente di questo suo inalienabile diritto, si acuiscono differenze di tipo socio-economico, privilegiando proprio la ristretta minoranza privilegiata che tale diritto ha impugnato per tutti: 

«Nella pratica, un mondo retto dal movimento browniano degli individui atomizzati sarebbe dunque, salvo alcune minoranze privilegiate (come ad esempio gli uomini d’affari, gli artisti dello showbusiness o l’élite universitaria), un mondo dove predominerebbero necessariamente gli impieghi precari, i junk job e i contratti a tempo determinato. […] Infine, e soprattutto, una società in cui la condizione delle gens du voyage – o dei migranti – sarà divenuta il modello di tutta l’esistenza legittima (per quanto a prima vista possa apparire romantica) non sarà affatto propizia all’esercizio di un vero potere popolare» (Ibidem: 144-145. Trad. dell’A.). 

613zozrawlLe migrazioni, potrebbero non essere, necessariamente, soluzioni né tantomeno soluzioni umane, ma costrizioni funzionali? Generano movimenti continui, fluidi, generali: i migranti sono infatti parte di quegli etnorami postulati da Appadurai (1996), mondi immaginati, transnazionali, in continuo movimento, di masse deterritorializzate (che includono i turisti, i pendolari, tutti gli individui itineranti): nel caso in esame, un’Africa fuor d’Africa. Continuamente sospinta altrove; l’Africa si scopre al di fuori?

Qui inciampiamo nell’ultimo degli intoppi, degli interrogativi che ci poniamo in questa analisi: l’esistenza dei migranti oltre la provvisorietà (anche delle promesse) che proiettano parole simulacro quali emergenza e accoglienza. I movimenti migratori dai territori ex colonie verso gli Stati europei metropoli, soprattutto Francia e Gran Bretagna, ma anche Paesi Bassi e Germania, hanno dal dopoguerra portato al definirsi di politiche e modelli di assimilazione e integrazione differenti per questa Africa fuor d’Africa, fluidamente interconnessa e interdipendente negli equilibri geopolitici tra le regioni di provenienza e quelle di residenza.

Non è possibile in questa sede analizzare le politiche migratorie europee o dei singoli Stati ma è utile sottolineare come la presupposta fluidità delle migrazioni investa il campo delle relazioni internazionali e degli assetti geopolitici transnazionali; tuttavia, le migrazioni sono sempre, al contempo, emigrazioni e immigrazioni.

Si comprende una migrazione solo se vista nei suoi tre momenti costitutivi di partenza (contestualizzazione nella regione di origine), tragitto (modalità e rotte della migrazione, come abbiamo brevemente descritto), e di arrivo (modalità di stanziamento, residenza, lavoro, network socio-familiari, ecc.) a cui può molto spesso associarsi una quarta tappa del ciclo migratorio che è quella del ritorno.

coverConnesso allo status giuridico del migrante è il riconoscimento della sua stessa esistenza giacché, come scriveva Abdelmalek Sayad (2006: 13 sgg.), «esistere è esistere politicamente».

In un etnorama, una comunità immaginata e costretta alla mobilitazione generale, come si esercita la propria esistenza (politica)? È in questo quadro che l’esistenza degli immigrati, la comparsa di cittadini con background migratorio nelle legislazioni degli Stati di arrivo e permanenza dei migranti è, nel discorso pubblico, spesso una scoperta, quasi ex abrupto.

Seconda occorrenza del busillis di Lincoln: “Potete ingannare tutti per qualche tempo e alcuni per tutto il tempo, ma non potete ingannare tutti per tutto il tempo” in Michéa (2014: 145-146. Trad. dell’A.) 

«Viene in mente, in effetti, la celebre formula di Abraham Lincoln […] Il fondamento logico di questa convinzione ottimista – che legittima il ricorso al suffragio universale – è l’idea che con il tempo una data comunità finisce sempre per accumulare un’esperienza collettiva sufficiente degli uomini e delle cose e che diviene così progressivamente capace di giudicare quelli che si candidano. Un ragionamento di tale sorta si basa peraltro su di un postulato implicito. Che il nucleo duro di una tale comunità conservi nel tempo un minimo di stabilità […] Nell’ipotesi, al contrario, della logica del turn-over permanente […] è chiaro che la costituzione di un’esperienza politica comune diventerebbe rapidamente problematica e che le possibilità di “ingannare tutti tutto il tempo” ne sarebbero pertanto accresciute…». 

Le attuali condizioni di movimento perpetuo potrebbero dunque mettere in forse la dimensione temporale per cui una comunità matura un’esperienza comune, politica, lasciando spazio all’inganno di tutti.

Non ci sono risposte al busillis di Lincoln in questo articolo ma un’ultima suggestione: l’esistenza politica dei migranti può essere garantita nei termini della trasmissione culturale, della condivisione di un’esperienza politica comunitaria locale? Il liberalismo culturale che legittima le migrazioni condanna al contempo ogni tendenza “conservatrice”, “identitaria” delle comunità locali di arrivo e permanenza dei migranti, inneggiando alla produzione di sempre nuovi valori. Per evitare l’inganno, come può realizzarsi una trasmissione culturale in questi etnorami d’Africa fuor d’Africa? 

Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2023 
Riferimenti bibliografici 
Appadurai A. (1996), Modernity at large. Cultural dimension of Globalization, Minnesota: Public Worlds series London – Minnesota.
Bontempelli, S. (2016) “Da «Clandestini» a «Falsi Profughi». Migrazioni forzate e politiche migratorie italiane dopo le Primavere Arabe”, in “Meridiana”, no. 86: 167–179.
Ceccorulli M., Fassi E. (2019), La strategia europea di contrasto al traffico dei migranti: il caso della Libia in Possibilità delle indipendenze in Africa, in “Afriche e Orienti”, anno XXI, numero 1/2019: 172-173.
Fejerskov A. M., Zeleke M. (2020), What we know: Return migrants, masculinity and wellbeing, “no place for me here”, in The challenges of Ethiopian male return migrants, Danish Institute for International Studies: 16-35.
Harari Y. N. (2021), XXI lezioni per il XXI secolo, Bompiani, Firenze.
Meillasoux C. (2003), Per chi nascono gli africani?, in Gli immigrati in Europa. Diseguaglianze, razzismo, lotte, a cura di Basso P. e Perocco F., FrancoAngeli, Milano: 118-130.
Michéa, J-C (2014), Le complexe d’Orphée. La gauche, les gens ordinaires et la religion du progrès, Champs, Flammarion.
Nasteha M. A. (2019), Somalia’s Struggle to Integrate Traditional and Modern Governance Systems: The 4.5 Formula and the 2012 Provisional Constitution, in “Journal of Somali Studies”, 6, n° 1, June 2019: 41-69.
Remotti F. (2010), L’ossessione identitaria, Laterza, Bari.
Rist G. (2013). Le développement. Histoire d’une croyance occidentale (4), Paris: Science Po. Les Presses.
Sayad A. (2006), L’immigration ou les paradoxes de l’alterité, Paris.
Sloman S., Fernbach P. (2017), The Knowledge of Illusion. Why we never think alone, Riverhead Books, New York.
William W. (2019), Frontières en évolution : La crise des déplacements de population en Afrique et ses conséquences sur la sécurité, Centre d’études strategiques de l’Afrique Rapport d’analyse No. 8, Washington D.C.. 
Sitografia 
Residence permits – statistics on stock of valid permits at the end of the year – Statistics Explained (europa.eu)
Statistiques sur la migration et la population migrante – Statistics Explained (europa.eu)
Migrations: Avant la Méditerranée, la dangereuse traversée de l’Afrique – Le Journal du Développement (lejournaldudeveloppement.com)
Les flux de migrants africains redéfinissent les problèmes de sécurité en Afrique (africacenter.org)
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Elena Nicolai, dottoressa di Ricerca in Italianistica e in Filologia Classica, si è poi specializzata in migrazioni e politiche sociali a Ca’ Foscari. Ha pluriennale esperienza nell’ambito della Cooperazione Internazionale in vari Paesi, tra cui Pakistan, Togo, India, Tunisia; ad oggi consulente presso la sede AICS Somalia, Mogadiscio. È docente di Pedagogia Interculturale nel Corso di Specializzazione per le attività di sostegno agli alunni con disabilità (UNINT). Fra i suoi ultimi lavori scientifici ricordiamo: Breviario pakistano: mappe interculturali e prospettive pedagogiche (2022); L’Almagesto arabo: alcune note sulle traduzioni greco-arabe di al-ağğāğ e di Isāq ibn unayn-ābit ibn Qurra, QSA (2018).

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