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Identità e prospettive della Tunisia nello sguardo di Kmar Bendana

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La spiaggia a La Marsa (ph. Roberto Ceccarelli)

di Simone Casalini

La Tunisia ha cominciato il suo nono anno dalla rivoluzione che, dal dicembre 2010 al gennaio 2011, ha cancellato il regime di Ben Ali e dischiuso le porte alla transizione democratica. Nel terzo trimestre del 2018 la crescita economica del Paese è stata del 2,6%, la disoccupazione salita al 15,5%, mentre il turismo ha fatto registrare importanti segnali di risveglio dopo gli attentati terroristici sulla spiaggia di Sousse e al Bardo che avevano compromesso i flussi.

Il quadro politico è, invece, fragile e fluttuante. L’alleanza tra Nida Tounès e Ennahda, che ha retto il governo in questi anni, è arrivata al capolinea; il presidente del consiglio Chahed ha promosso una sua formazione politica che va a parcellizzare ulteriormente l’offerta partitica tunisina. Questo è anche lo sfondo sul quale si giocheranno in autunno le elezioni politiche e quelle presidenziali che avranno il compito di ridelineare gli assetti di potere e di innervare una transizione democratica percepita debolmente dalla società.

Sono argomenti che ritornano con millimetrica cadenza negli scritti di Kmar Bendana, docente di Storia contemporanea all’Università La Manouba e ricercatrice all’Institut de recherche sur le Maghreb contemporaine. Durante le concitate giornate che consegnarono alla Storia Ben Ali, Bendana aprì un blog (Histoire culture dans la Tunisie contemporaine) nella piattaforma hctc.hypotheses.org per analizzare in tempo reale le trasformazioni che stavano cambiando la direzione di marcia della Tunisia. «Penso siano stati la paura e l’emozione a farmi scrivere – racconta – e la volontà di comprendere ciò che stava accadendo. È stato un atto incontrollabile. Anche i miei studenti mi hanno incentivato. In quel frangente ho avuto la sensazione di essere su due fronti: quello della cittadinanza e quello della ricerca. Il fatto che i miei testi potessero essere letti ovunque mi ha dato un senso di grande libertà».

Bendana ha avuto anche una collaborazione con il quotidiano La Presse de Tunisie, uno dei principali mezzi d’informazione tunisini, e ha dato alle stampe nel 2011 il libro Chronique d’une transition, una delle prime opere sulla rivoluzione compiuta. Rispetto al futuro imminente, la storica mantiene un approccio critico.

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La storica e docente all’università La Manouba, Kmar Bendana (ph. R. Ceccarelli)

Professoressa Bendana, in autunno la Tunisia celebrerà le elezioni politiche e presidenziali. Il quadro politico è incerto: Nida Tounès, il partito creato dal Presidente della repubblica Béji Caïd Essebsi, è in crisi; il Fronte popolare non sembra avere più consenso; Ennahda non presenterà un candidato alla presidenza, ma diventerà probabilmente il primo partito. Cosa ci dobbiamo aspettare?

«La situazione politica in Tunisia oscilla molto e rapidamente. Assistiamo simultaneamente al continuo proliferare di nuovi partiti (217 in tutto, di cui solo una dozzina rappresentati in parlamento) e alla crisi profonda dei vecchi: Nida Tounès ha perso diverse componenti che le avevano permesso di essere il primo partito nel 2014; il Fronte popolare non ha un consenso nazionale significativo e non riesce e rinnovarsi; Ennahda conosce una fase di tensione tra la base e i suoi tenori, numerosi casi dubbi – tra cui quello del servizio di sicurezza parallelo e delle associazioni coraniche finanziate da fondi non trasparenti – minano la reputazione morale del partito; El Massar ha un gruppo dirigente diviso. Nuove iniziative stanno per nascere come il partito del capo del governo Youssef Chahed, Tahya Tounès, che si è ufficialmente dichiarato; una coalizione Mouwatinoun (Cittadini) è in procinto di strutturarsi. Nuove formazioni politiche avanzano: Bani Watani di Saïd Aïdi, El Badil di Mehdi Jomaâ, entrambi ministri nel 2011. Infine, il partito storico di Afek Tounès si è ritirato dal governo e si rifà il look, altre personalità politiche cercano di capitalizzare le opportunità offerte dal momento. Alle elezioni municipali del 2018 abbiamo peraltro osservato che le liste indipendenti erano le prime nei sondaggi. Le dinamiche di gestazione delle nuove formazioni politiche tunisine trovano sostegno nell’attualità che alimenta le argomentazioni in favore di un ringiovanimento necessario mentre i commenti giornalistici informano sui volti nuovi. Si può dire che il paesaggio politico cambia a un ritmo sostenuto, in termini di figure e di discorsi. I prossimi mesi saranno caratterizzati ancora da incertezza».

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Tunisi, una bancarella in un mercato popolare (ph. R. Ceccarelli)

L’astensione potrebbe essere elevata, si è attestata al 66,3% alle elezioni municipali del 2018. Un’altra incognita sono le leadership del Presidente della repubblica Essebsi e del capo indiscusso di Ennahda, Rachid Ghannouchi, entrambi con un ruolo decisivo dal 2011. Sarà ancora così nonostante l’avanzare dell’età?

«L’astensione rischia di essere il fenomeno più appariscente. L’interesse dei tunisini per la politica si è risvegliato nel 2011 e ha accompagnato le elezioni del 2011 con un certo entusiasmo e una relativa efficacia anche nel 2014. Questa infatuazione è stata in parte erosa dalla sfiducia verso la classe politica. Béji Caïd Essebsi et Ghannouchi stanno perdendo il loro ruolo egemonico a causa delle convulsioni interne ai loro apparati e dell’anzianità dei loro riflessi politici. La corruzione si è resa sempre più visibile e sensibile nei due campi, le loro immagini agli occhi dell’opinione pubblica si sono sbiadite. I due personaggi si scontrano e si ricompongono l’uno in funzione dell’altro – ora Essebsi si smarca da Ennahda che si avvicina al premier Chahed, nemico numero uno di Essebsi –, ma questo maneggio infastidisce sempre di più l’opinione pubblica. Essebsi e Ghannouchi mostrano pratiche sempre meno accettate e adatte alle necessità. La lotta tra i rispettivi apparati non occuperà più tutta la scena, la politica reale sta per tracimare nei loro rispettivi campi e poteri».

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Tunisi, Il tram sfila accanto ad una moschea (ph. R. Ceccarelli)

Dopo le elezioni municipali Souad Abderrahim è divenuta la prima sindaca di Tunisi. Si era presentata con Ennahda ed è stata una novità politica di rilievo. In più, pur essendo membro di un partito islamico, non indossa l’hijab. Le analisi del fenomeno hanno condotto in direzioni diverse: Ennahda cerca di modernizzarsi, ha sottolineato qualcuno; Ennahda utilizza dei simboli per veicolare un messaggio di modernità, ma conserva la sua ambiguità, hanno sostenuto altri commentatori. O ancora: il caso Abderrahim conferma che la Tunisia è un laboratorio nel mondo arabo. Chi è Souad Abderrahim? E qual è la sua lettura?

«Souad Abderrahim è a tutti gli effetti un’eletta di Ennahda. Quando era studentessa militava nell’Union générale tunisienne des étudients (Ugte), il sindacato di osservanza islamista che era avversario dell’Union générale des étudiants de Tunisie (Uget) negli anni Ottanta. Poi è stata deputata di Ennahda dal 2011 al 2014, quindi si è eclissata per dedicarsi alla sua professione di farmacista. Il suo ritorno come candidata alla carica di sindaco di Tunisi in occasione delle elezioni municipali è una carta che Ennahda ha voluto giocare sullo sfondo della crisi di Nida Tounès – si è affermata per soli due voti nel Consiglio municipale – che ha subito così una sconfitta ulteriore. Ennahda gioca molto sull’immagine delle donne nel suo dispositivo, soprattutto in chiave internazionale. Attraverso Souad Abderrahim il partito islamista segna un punto, mostrando il suo rinnovamento e la modernizzazione. La strategia tracciata da Burson-Marsteller, consigliere per la comunicazione e le campagne elettorali di Ennahda, ha portato ad un risultato importante. Il discorso femminista le offre anche un contesto favorevole: Abderrahim attribuisce le sue difficoltà al machismo della classe politica e alla forza del patriarcato nella società tunisina. Il suo linguaggio evidenzia elementi che si inseriscono nel mainstream di quello contestatore femminista».

È realmente l’emblema di un femminismo islamico? Nel contesto europeo e internazionale la circostanza che non indossi l’hijab è stata letta come un fattore di evoluzione dell’area islamista.

«È sicuramente uno dei punti più sottolineati e citati dagli osservatori. A mio avviso, è lontana dall’essere una femminista – peraltro nel 2011 ha condannato le donne nubili rilasciando dichiarazioni reazionarie – né è efficace nella gestione della municipalità. È un “uomo politico” opportunista che approfitta dell’attenzione mediatica indotta dagli islamisti per occupare lo spazio libero a suo vantaggio conformemente alla comunicazione di Ennahda che mira a soddisfare i desideri dell’estero di vedere il partito islamista dare segnali di modernità e democratizzazione (attraverso la posizione visibile della donna). Così Souad Abderrhaim diventa la mascotte del nuovo look di Ennahda e attira i flash, le attenzioni all’esterno dove è senza dubbio valutata positivamente. Dal punto di vista mediatico, quindi, il suo obiettivo è stato raggiunto perché la copertura internazionale è ampia, ma non ha certamente servito la causa delle donne né quella di una capitale, Tunisi, in cui la quotidianità (traffico, manutenzione, rifiuti, vita notturna) va progressivamente deteriorandosi. In particolare, la sua gestione di Tunisi passa attraverso una serie di messaggi e di iniziative facili da decifrare per il cittadino: per rivendicare una “politica verde” si fa ritrarre mentre pulisce le strade o lancia la domenica senza auto su avenue Bourguiba, ma la verità è che siamo sommersi dai rifiuti e che il traffico è soffocante».

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Tunisi, un negozio di spezie in una zona centrale (ph. R. Ceccarelli)

Il mar Mediterraneo è un ventre comune che ha facilitato nei secoli i contatti tra Europa, Africa e Medio Oriente. In Italia il governo Lega-Movimento 5 stelle si oppone agli sbarchi degli immigrati. La Lega e il suo leader, Matteo Salvini, hanno costruito il loro consenso contro i migranti.  Qual è la percezione dell’opinione pubblica tunisina?

«La Tunisia è un luogo di passaggio dei migranti da decenni e l’onda post-2011 non ha fatto che rinforzare questa posizione. La situazione politica instabile – il potere esecutivo è debole, quello giudiziario imbavagliato e la corruzione investe tutti gli ingranaggi –, i problemi economici crescenti accentuano il desiderio dei giovani di partire senza prendere in considerazione il prezzo. È un circolo infernale che indebolisce il Paese, mina la società, peggiora il comune sentire delle persone e non favorisce le riforme necessarie affinché la transizione democratica sbocchi ad un regime politico più stabile, più legale e meno ineguale (tra classi e regioni). L’opinione pubblica tunisina è formata da genitori inquieti per i loro figli: più del 50% della popolazione ha meno di vent’anni. Partire – legalmente o meno – rimane una soluzione per molte famiglie. L’onda migratoria non è stata arginata. Le soluzioni che inneggiano alla sicurezza sono inefficaci e gli accordi non potranno spuntarla sulla tendenza in ascesa: il bisogno di mobilità conquista i giovani di tutto il pianeta, con prospettive e mezzi ineguali tra Paesi dominanti e dominati. I giovani tunisini sono confinati nel loro Paese e ostacolati a partire, almeno che non siano selezionati da alcuni segmenti dell’economia europea. Continueranno a sognare di partire e a cercare di violare le barriere fisiche e legali con tutti i mezzi per vivere altrove. Non penso che il consenso generato dalla politica di interdizione dei barconi avrà una portata durevole. Inoltre, la circolazione illecita di capitali incontrollati evidenzia una mobilità “naturale” e contagiosa nel mondo contemporaneo “mondializzato”. Le leggi, gli accordi e i muri che vogliono impedire l’estensione di questa mobilità sono, a mio avviso, votate alla sconfitta. In ogni caso tali misure stimolano il conflitto e violenze insospettate e difficili da prevedere con le nuove tecnologie d’informazione». 

L’identità rimane un concetto centrale, spesso eccitato, e determina chiusure. La sua declinazione in senso plurale è una sfida senza tempo. Nella Costituzione è stata però ribadita l’identità arabo-musulmana.

«L’identità tunisina ha una lunga storia, è l’addizione di più culture. Si possono respirare quelle fenicie, berbere, ebree, cristiane. Abbiamo consegnato alla storia tre papi: San Vittore I, Milziade, San Gelasio I. La Tunisia di oggi è tutto e se si è tutto si può essere altro domani. La civiltà arabo-musulmana è importante, ma risale al VII secolo d. C.. Abbiamo avuto poi i turchi, i francesi, gli italiani. È sufficiente guardarsi intorno per cogliere questa origine mista: i toponimi, la cucina, la struttura delle case. Nel Novecento i muratori erano quasi tutti italiani, il disegno dei terrazzi rimanda al loro passaggio. Quindi non siamo né arabi né musulmani, ma una miscela delle culture e civiltà che si sono succedute. Il totalitarismo del pensiero è suscitare nelle persone l’idea che si è una sola cosa. Come si possa disinnescare questo dispositivo culturale e sociale è la vera sfida per aprire un varco al pluralismo».

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Tunisi, un panettiere al lavoro (ph. R. Ceccarelli)

Eppure l’identità musulmana è caratterizzante.

«L’identità musulmana è una strumentalizzazione dell’elemento religioso da parte dall’Islam politico: creare un’autonomia dalla religione e dall’Islam non significa disconoscerle, ma collocarle in una dimensione che non prevarichi le altre. Se poi volessimo insistere sul tasto della mera identità, quella berbera è sicuramente prevalente rispetto all’araba».

Nella fase costituente qualche deputato aveva proposto di inserire come identità quella mediterranea al posto dell’arabo-musulmana. Poteva essere un’alternativa?

«Abbiamo sicuramente un’identità mediterranea, ma questa idea è affiorata trent’anni fa per avvicinarci all’Europa e allontanare il Maghreb dall’Africa. È un’invenzione politica, ma l’Europa non ci vuole. Siamo africani quanto mediterranei, berberi e arabi: la Tunisia è una miscela culturale che non può essere catalogata in nessun modo».

Tunisi, Lo snodo centrale di Passage (R. Ceccarelli).

Tunisi, Lo snodo centrale di Passage (R. Ceccarelli)

La Tunisia affronta una transizione difficile, i bilanci sono sempre in bilico tra chiaro e scuro. Cosa vi manca?

«La transizione democratica tunisina ha evitato la guerra civile anche se ci è passata accanto dopo l’omicidio di Mohamed Brahmi nel 2013. Ma la democrazia va costruita, non si limita alla procedura elettorale. Soffriamo l’assenza di istituzioni forti e radicate. Avremmo bisogno di un nuovo modello economico e di sviluppo in grado di aprire un ciclo storico, invece continuiamo a reiterare i vecchi modelli perché c’è chi difende lo status quo. Alcune previsioni della Carta non hanno trovato ancora applicazione: la Corte costituzionale non si è mai insediata. La qualità della classe politica è ancora modesta. I deputati sono spesso lontani dalle esigenze dei cittadini. E poi c’è la questione dei giovani…»

La miccia della rivoluzione che poi è stata “istituzionalizzata”.

«La disoccupazione giovanile, soprattutto dei laureati senza prospettiva, è stato uno dei motori della protesta del dicembre 2010 che ha condotto alla fuga di Ben Ali. Sono la terza-quarta generazione dopo l’indipendenza conquistata nel 1956: la società tunisina ha conosciuto una crescita evidente sotto la guida di Habib Bourguiba, poi dagli anni Ottanta l’ascensore sociale si è bloccato. La rivoluzione tunisina è stata una conseguenza della grande crisi mondiale del 2008. La Tunisia è orgogliosa che i suoi giovani laureati trovino una collocazione in Francia, Italia, Germania, Paesi del Golfo, ma questa transumanza di manodopera specializzata indica tutte le difficoltà del Paese. Altri sono stati reclutati nel jihad internazionale, hanno combattuto, ucciso o sono stati uccisi. Sono seimila giovani, tra cui 500 o 600 ragazze, che sono stati arruolati con la complicità dello Stato e della polizia nei primi anni dopo la rivoluzione. La rete era talmente organizzata che tutto avveniva in Tunisia: pagamento, trasferimento al di là del confine e passaporto. Lei non sarebbe spaventato se il suo Paese autorizzasse tali procedimenti, corrispondendo alle famiglie un importo economico affinché suo figlio vada a uccidere? La questione dei giovani necessita di risposte urgenti e complesse».

Tunisi, Lo snodo centrale di Passage (R. Ceccarelli).

Tunisi, Lo snodo centrale di Passage (R. Ceccarelli)

Quando si fa riferimento all’ibridazione culturale è quasi automatico collocare in questo perimetro l’esperienza di numerosi intellettuali tunisini. Le radici storiche del Paese sono rizomatiche, per recuperare un concetto espresso da Gilles Deleuze e Felix Guattari in “Millepiani”, cioè protese in molteplici direzioni, abbracciando le culture fenice, berbere, arabe, francesi, mediterranee. La biografia stessa di Kmar Bendana si dirama in mille destinazioni, tra cui Parigi dove completò il dottorato ispirata dai corsi di Pierre Goubert, Maurice Agulhon e Michel Foucault. Rientrata a Tunisi nel 1982, nel novembre dello stesso anno ha avviato la sua carriera accademica ottenendo un posto da ricercatrice nel “Programma nazionale di ricerca sulla storia del movimento nazionale”.

Bendana appartiene alla schiera dei pensatori laici e critici rispetto alla connotazione religiosa del campo politico – in particolar modo influenzato dalla presenza di Ennahda – e alle debolezze di una transizione ancora incompiuta. «La Tunisia avrebbe bisogno di un’operazione alla Mani pulite” sostiene, alludendo al fenomeno corruttivo.

Come molte donne tunisine, Bendana esprime una forma d’indulgenza verso Habib Bourguiba, il padre della moderna Tunisia. L’azione di emancipazione dell’universo femminile mitiga anche i lati opachi del politico autoritario. La diversità tunisina e la sua collocazione geopolitica tra Europa, Africa e Medio Oriente sono l’eredità che si trascina nel presente e che continua ancora oggi ad essere alimentata nel dibattito pubblico come dimostra il rapporto redatto dalla Commissione delle libertà individuali e dell’uguaglianza di genere che ha generato due disegni di leggi ormai prossimi alla discussione nell’Assemblea dei rappresentanti del popolo. Tra le misure, figura anche la parità tra uomo e donna sull’eredità che sovverte le prescrizioni coraniche. I diritti civili, dunque, e le libertà individuali – per esempio con la previsione di eliminare il reato di omosessualità – come terreno di innovazione in cui spingere i destini della transizione democratica.

Dialoghi Mediterranei, n. 36, marzo 2019
Riferimenti bibliografici
Kmar Bendana, Chronique d’une transition, Editions Script, Tunis 2012.
Kmar Bendana, Histoire et culture dans la Tunisie contemporaine, Textes 2002-2012, ISHTC/ La Manouba, Tunis 2015.
Kmar Bendana, Parler en historienne après 2011, Publications de l’université de La Manouba, Tunis 2017.
Sophie Bessis et Souhayr Belhassen, Bourguiba, Groupe Jeune Afrique, Paris 1989.
Michel Camau e Vincent Geisser (a cura di), Habib Bourguiba: la trace et l’héritage, Karthala, Paris 2005.
Larbi Chouikha e Éric Gobe, Histoire de la Tunisie depuis l’indépendance, La Découverte, Paris 2015.
Gilles Deleuze e Felix Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma 2010.
Tania Groppi e Irene Spigno (a cura di), Tunisia. La primavera della Costituzione, Carocci, Roma 2015.
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Simone Casalini, giornalista professionista, è caporedattore del Corriere del Trentino/Corriere della Sera e collabora con la rivista di politica internazionale Eastwest, curando in particolare l’evoluzione sociopolitica della Tunisia. È laureato in Scienze politiche all’università di Urbino e si è occupato, più nello specifico, del pensiero critico della Scuola di Francoforte e del post-strutturalismo francese. Ha pubblicato Intervista al Novecento (Egon editore, 2010) in cui attraverso la voce di otto intellettuali – tra i quali Toni Negri, Franco Rella, Gian Enrico Rusconi e Sergio Fabbrini – ha analizzato l’eredità del secolo breve.
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