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I “Siculo-Tunisini” e la boxe
Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2021 @ 02:37 In Migrazioni,Società | No Comments
di Alfonso Campisi
I “Siculo-Tunisini” sono una razza a parte! Chiamati anche “Siciliani di Tunisi”, sono i siciliani nati e presenti in Tunisia, a volte da tre o quattro generazioni, di nazionalità italiana o/e francese e parlanti una lingua che è il “siculo-tunisino”, un misto di siciliano, arabo-tunisino, francese e italiano. Anche la loro lingua è una lingua a parte!
La comunità siciliana in Tunisia è stata sempre molto numerosa prima e durante il protettorato francese, superando di gran lunga il numero dei coloni. Difficile avere delle cifre esatte sulla presenza siciliana nel Paese nord-africano, i documenti disponibili nei consolati italiano e francese non riportano mai le stesse percentuali.
I siciliani di Tunisia, sono sempre stati nel passato più vicini ai tunisini che ai francesi, molti vivevano nei quartieri della città araba, in osmosi completa con i tunisini, un grande spirito di assimilazione, adattabilità e capacità di integrazione sia per gli uni come per altri. I siculo-tunisini vennero tuttavia spesso discriminati non solo dai francesi ma anche dagli intellettuali italiani che a quel tempo erano più impegnati a stringere rapporti con il colonizzatore francese che con i loro connazionali.
Nei siculi-tunisini, si era sviluppato un istinto, per certi versi molto naturale, quello della boxe. Questa nobile arte permise loro, tra le altre cose, di sfuggire alla povertà, di lasciare i ghetti in cui vivevano e anche di guadagnarsi la vita attraverso gli incontri organizzati a Tunisi. Per i siculo-tunisini spesso emarginati, la boxe era quasi diventata una necessità vitale.
I loro nomi? Gaetano Annaloro, Claude Milazzo, Stefano Albanese, Emile Buccellato, Jo Catalano, Paul Signorino, Paolo Occhipinti, Simon Carnazza, Leonardo Giliberti, Franco Titone, Vincent Gulotta… l’elenco è molto lungo! Tutte queste persone e altre arrivarono alla Goulette, i puristi dicevano, dal ‘canalone’, i ceti più popolari, dal ‘collo’. In ogni caso, arrivarono tutti al porto della Goulette, ma proprio tutti, presso questo arcaico e stretto collo di bottiglia che era allora il canale del porto di Tunisi in cui le navi cariche di emigranti siciliani, per attraversarlo, impiegavano circa tre ore, con un ritmo lento e esasperante.
I genitori e i nonni di Claude Milazzo e Gaetano Annaloro, i due pugili siciliani più dotati, faranno parte della storia della boxe in Tunisia. L’America, questo eterno miraggio dei siciliani, essendo troppo lontana e troppo costosa, è stata sostituita con i centocinquanta chilometri che separano Trapani da Tunisi. Molti siciliani arrivarono anche in barca, con documenti falsi, a volte totalmente indigenti, soprattutto coloro che avevano avuto problemi con la giustizia o la mafia. Spesso, le autorità locali, chiudevano gli occhi.
Tutti questi immigrati che si stabiliranno per generazioni nella Reggenza di Tunisi, costruiranno, con ingegno e fatica e spesso con mezzi di fortuna, la moderna Tunisia e non parteciperanno alla “Querelle italienne” che, spesso sulla stampa francese del momento, classificava e identificava tutti i siciliani di Tunisia come mafiosi e banditi, chiedendo alle autorità francesi di «bloccare quest’esodo di pericolosi miserabili».
È pur vero che tra la massa di immigrati siciliani c’erano parecchi pregiudicati, fuggiti dall’isola, e che continuavano a delinquere in Tunisia. Si griderà allora al “Danger sicilien”, il pericolo siciliano, e si presenterà la Sicilia con i soliti pregiudizi di rito. Lo studioso Loth per esempio malgrado fosse favorevole all’emigrazione siciliana scrive:
I nostri siculo-tunisini, erano felici in Tunisia, malgrado qualche episodio di intolleranza. Non troppo lontani dalla loro terra natale, in un Paese che assomigliava molto al loro, e nel quale anche le rovine romane erano le stesse! Qui hanno costruito interi quartieri, a volte quartieri ghetto, chiamati “Piccola Sicilia” spesso non lontani dal porto che, trovandosi ad un passo, dava loro la piacevole sensazione di poter partire da un momento all’altro per Trapani, Palermo, Messina, Catania, Mazara del Vallo, Siracusa… o per Pantelleria, la piccola isola sperduta tra la Sicilia e il Capo Bon, l’ultimo rifugio africano degli eserciti del III Reich e del Regio Esercito di Mussolini nel maggio del 1943.
In Tunisia, i siculo-tunisini erano a casa loro, ma ogni volta che la sirena di una di queste navi, chiamate “Città di Trapani”, “Città di Tunisi” o “Città di Palermo”, urlava, il cuore degli anziani si stringeva di nostalgia. Tuttavia, viste le condizioni di accoglienza e di facile integrazione con gli autoctoni, i siciliani inviteranno i membri della loro famiglia e i loro amici rimasti in Sicilia a venire a stabilirsi in questo bellissimo Paese.
Bastava così una semplice frase capace di rassicurare i loro compatrioti siciliani decisi a lasciare la loro terra: “Vieni in Tunisia e mangerai spaghetti”. L’accoglienza e l’integrazione si riassumeva in questa banalissima frase, scritta centinaia e migliaia di volte in quelle belle missive che ridavano speranza ad un popolo triste ed esasperato dalla miseria. Più tardi, Luciano Tajoli, canterà, su una sedia a rotelle e sul palco del cinema “Le Colisée”, la sua canzone nostalgica “Terra straniera”, che dedicherà a tutti i siculo-tunisini.
Presente ovunque nel Paese nord-africano, il siciliano costituisce la massa laboriosa e ingegnosa, ma a causa del rifiuto di volersi naturalizzare francese, non avrà mai accesso alla funzione pubblica che gli avrebbe permesso invece di integrarsi completamente nel tessuto sociale e culturale. I siculo-tunisini, riusciranno comunque ad avere il loro vero e proprio organo, il quotidiano “L’Unione” e tanti altri ancora, a volte in lingua siciliana come “U Simpaticuni”. Mantenendo spesso la nazionalità italiana, rifiutando di naturalizzarsi francese a differenza di tanti altri italiani, i siculo-tunisini furono esclusi da tutti i tipi di incontri ufficiali, anche dai “tournois de pétanque”, i tornei di bocce!
Siamo lontani dai bellissimi quartieri del Belvedere, vicino allo stadio comunale che per un certo periodo porterà il nome di Géo André e che ospiterà il campionato mondiale dei pesi gallo, in un incontro tra il titolo mondiale, Al Brown, detto il ragno di Panama e Young Perez, il piccolo ebreo tunisino nato nei quartieri poveri di Tunisi.
Ma gli appassionati di boxe devono sicuramente ricordarsi di Claude Milazzo, nato a Tunisi il 18 ottobre 1929, da padre siciliano e madre maltese. Claude, già all’età di 15 anni, si predestinava ad essere un grande atleta. Si allenava sin da piccolo da Marcel Martin, un bretone che non scherzava con la disciplina e, grazie a questo rigore, Claude Milazzo vincerà contro Cohen, Snoussi, Bismuth, Micheli, Kaddour e Ben Hafsa.
Claude Milazzo, che non ha ancora vent’anni, sarà naturalizzato francese malgré lui, e incontrerà il tunisino Tahar Ben Hamer, già campione di Tunisia. Ferito alla testa, Milazzo abbandonerà il ring. La rivincita ebbe luogo il 17 settembre 1949 sul ring dello “Stade gaulois”, non lontano dell’allora Avenue Jules Ferry, dove Milazzo sconfisse Tahar Ben Hamer. Le vittorie si susseguirono una dopo l’altra. Milazzo, Annaloro, Albanese… faranno sognare tanti giovani siciliani di Tunisia e non solo.Dopo innumerevoli incontri internazionali, Claude Milazzo terminerà la sua gloriosa carriera a Roma, incontrando Guido Mazzinghi nel 1958. Morirà in Francia, lontano dal suo Paese natale.
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