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Genealogia, prestigio e sacralità: gli Chorfa e la tribù Ahmar in Marocco

Esempio di marabutto di un cherif:  tomba di Sidi Abdelghni che si trova a nord est di Ecchemmaia

Esempio di marabutto di un cherif: tomba di Sidi Abdelghni che si trova a nord est di Ecchemmaia

di Latifa Talbi

Introduzione

Nel precedente articolo pubblicato su Dialoghi Mediterranei, ho trattato la figura di Sidi Abdel Rahman di Casablanca, un santo attorno al quale si era sviluppato un intenso culto popolare. In quell’analisi, ho accennato alla presenza degli chorfa, i discendenti del Profeta Mohamed (Pace sia con lui), che in Marocco rivestono un ruolo centrale nella legittimazione sociale e religiosa. In questo nuovo contributo, vorrei approfondire proprio la genealogia degli chorfa e il modo in cui il loro prestigio si intreccia con la storia della tribù Ahmar, situata nella regione di Marrakech-Safi.

Se gli chorfa rappresentano l’incarnazione della benedizione divina (baraka), il loro legame con alcune tribù ha conferito a queste ultime un riconoscimento speciale nella società marocchina. La tribù Ahmar, oggetto della mia ricerca sul campo, si distingue per la sua rivendicazione di una discendenza chereefa (santa), che affonda le radici in antiche genealogie e narrazioni orali.

11Gli Chorfa e la tribù Ahmar: tra genealogia e legittimazione sociale

I chorfa [1] rappresentano una casta sociale storicamente rispettata e onorata nel contesto marocchino. Ma chi sono realmente questi chorfa? Secondo la tradizione e il lavoro di diversi storici, tra cui Ibn Khaldun (Hamza, 2015), si tratterebbe di individui appartenenti a una genealogia sacra: discendenti diretti del Profeta Mohamed (pace sia con lui) (Rachik, 2020), in particolare attraverso la linea di suo nipote Hassan, figlio di Fatima (Hamza, 2015).

Questa discendenza conferisce un prestigio unico non solo in ambito religioso, ma anche sociale e politico. Molte delle dinastie che hanno regnato in Marocco, come quella Idriside, la dinastia Sa’diana, che ha avuto un ruolo importante con gli abitanti di Ahmar e successivamente, quella Alawide la quale governa attualmente il Marocco, sotto la guida di sua Maestà il Re Mohamed VI (Talbi, 2020). Essere cherif non è soltanto un fatto di sangue: è una condizione che plasma l’identità, le relazioni sociali, mentre in passato il loro ruolo era fare da arbitraggio tra gli uomini, proteggere i viaggiatori mantenendo sempre la loro neutralità nei confronti dei governi, al giorno d’oggi invece la loro figura si riduce a mediatori tra l’uomo e Dio (Rachik, 2020).

google-earth-tribu-ahmarLa mia ricerca sul campo si è concentrata sulla tribù Ahmar, nella regione di Marrakech-Safi, dove ho vissuto tre mesi tra Ras el Ain ed Ecchemmaia. Il nome stesso della tribù – Ahmar, ovvero “rosso” in arabo – è avvolto da un certo mistero. L’ipotesi più accreditata rimanda al colore rossastro del suolo che caratterizza l’area, una tinta che sembra aver lasciato una traccia tanto fisica quanto simbolica nel paesaggio e nella memoria collettiva.

Analizzando la storia della tribù Ahmar, emerge chiaramente un processo di costruzione identitaria fondato su una rivendicazione genealogica: i hmriin si dichiarano discendenti dei Bani Maqil, una tribù araba di origine yemenita discendente del profeta Mohamed (Pace sia con lui), arrivata in Marocco intorno al XII secolo. Inizialmente i primi hmriin si recarono a sud del Paese, precisamente vicino all’attuale Agadir per poi salire assieme alla dinastia Sa’diana, verso dove oggi sorge la tribù (Africano, 2004), la quale era abitata da popolazioni berbere (Talbi, 2020) e dai discendenti di un piccolo insediamento di arabi che arrivarono sul territorio tra il 700 e l’800 d.C. (Kridi, 2009). Successivamente, questa linea genealogica si sarebbe intrecciata con quella dei chorfa, rafforzando lo status spirituale e sociale della tribù attraverso due figure centrali: Sidi Ali Ben Naser e Sidi Siid Ben Naser. Questi due fratelli non solo vengono ricordati come capostipiti delle famiglie principali della tribù, ma anche come fondatori di luoghi di insegnamento coranico e scuole di equitazione frequentate dai rampolli delle dinastie Sa’adite e Alawite (Hamza, 2015).

Durante il regno dei Sa’aditi, nel XVI secolo, la tribù Ahmar avrebbe rafforzato ulteriormente il proprio prestigio grazie a un’alleanza militare e politica con la dinastia cherefiana. In particolare, avrebbe avuto un ruolo determinante nella celebre “battaglia dei tre re” contro il regno portoghese. Questo legame con il potere centrale non ha soltanto garantito alla tribù una posizione privilegiata nella regione, ma ha anche contribuito a legittimare la sua identità cherefiana agli occhi delle comunità circostanti.

Sempre durante la mia permanenza in Marocco, uno dei miei intervistati mi presentò un documento simile alla carta d’identità, appartenuto al suo defunto padre. Era un documento speciale, che attestava la sua discendenza dal lignaggio cherefiano, tale documento andava a rafforzare e a reclamare per diritto di nascita il suo status di cherif. Attualmente non è più necessario possederlo, anche se resta un velo di rispetto per questi individui (Talbi, 2020).

Questi racconti, raccolti tanto dalle fonti orali quanto dai pochi documenti scritti disponibili sul territorio, rivelano una narrazione complessa, stratificata, in cui la genealogia si intreccia alla memoria collettiva, alla spiritualità e al desiderio di riconoscimento. La tribù Ahmar, nella sua autodefinizione come “terra rossa dei santi”, diventa così il simbolo vivente di un Marocco in cui il sacro e il sociale si fondono, e dove la discendenza – reale o simbolica – dal Profeta Mohamed (Pace sia con lui) è ancora oggi una chiave fondamentale per interpretare le dinamiche di potere e prestigio.

fronte-carta-didentita-cherifIl concetto di Baraka: sacralità e potere sociale

Le figure del marabutti e dei chorfa sono strettamente legate alla credenza nella baraka [2], una forma di benedizione spirituale che può essere trasmessa in vari modi: per diritto di nascita oppure attraverso specifici gesti rituali, capaci di trasferire poteri straordinari.

Il modo più comune è la trasmissione ereditaria: nascere in una famiglia cherefiana significa ereditare la baraka. Tuttavia, come osservato da Westermarck durante il suo soggiorno in Marocco, vi sono pratiche molto più simboliche e corporee. Una di queste, che ho incontrato anch’io durante una delle interviste svolte nel maggio 2019, consisteva nel gesto di uno cherif che, sputando nella mano del suo servo, in questo modo gli trasmetteva i poteri legati alla baraka, come la capacità di guarire malattie, sistemare ossa rotte, diventare levatrici competenti, e così via. I chorfa, infatti, possono essere sia uomini che donne (Talbi, 2020).

Un altro caso riportato da Westermarck prevedeva che, al termine del servizio presso un cherif, il servo venisse invitato a consumare gli avanzi del suo pasto. In quel momento, il padrone pronunciava la formula rituale: “Hai preso un pezzo di pane” [3]. Un gesto semplice ma profondamente carico di potere simbolico e spirituale.

retro-carta-didentita-cherifNella tribù Ahmar, i concetti di baraka e di appartenenza ai chorfa sono tuttora vissuti intensamente. Ricordo in particolare l’intervista a una levatrice molto rispettata, riconosciuta dalla comunità come appartenente alla stirpe dei chorfa, e quindi portatrice di baraka. Raccontò che il dono le era stato trasmesso da sua madre, poco prima della morte, affinché potesse continuare a esercitare le pratiche della tradizione familiare.

Eppure, mi confidò con una certa amarezza, non aveva mai desiderato ereditare quel compito. Il dono, seppur sacro, non era stato scelto. Anzi, era lei stessa a incoraggiare le giovani madri a recarsi dal medico, a seguire i controlli e ad affidarsi all’ospedale, soprattutto in caso di parto cesareo o posizione podalica del feto (Talbi, 2020).

Mi raccontò di aver assistito al parto di una ragazza che, nonostante l’insistenza del medico affinché fosse operata, scelse di partorire in casa. Lei si presentò, ma fu chiara: “Questa è l’ultima volta. Se dovesse capitare ancora, recati in ospedale. Io verrò solo per le emergenze.”

Un’affermazione che racconta moltissimo: pur essendo portatrice di baraka, aveva scelto di prendere le distanze da un modello antico che oggi, in alcuni casi, può risultare rischioso. La baraka, in quel contesto, sembrava coesistere con un nuovo senso di responsabilità e con una visione più moderna della cura.

le tombe dei Chorfa Sidi Siid e Sidi Ali i due fratelli nouasser celebri nella tribù Ahmar, si trovano  sulla strada tra Ras El Ain ed Ecchemmaia

Tombe dei Chorfa Sidi Siid e Sidi Ali i due fratelli nouasser celebri nella tribù Ahmar, si trovano sulla strada tra Ras El Ain ed Ecchemmaia

Conclusione

L’analisi della tribù Ahmar e del loro legame con i chorfa mostra come la genealogia sia stata, e in parte sia ancora, un elemento essenziale nella strutturazione della società marocchina. La baraka, oltre a essere una forza spirituale, ha avuto un ruolo concreto nel garantire prestigio e autorità.

Oggi, il culto dei chorfa e il loro ruolo nella società marocchina stanno attraversando un processo di trasformazione. Se da un lato la loro figura conserva un’aura di rispetto e sacralità, dall’altro assistiamo a un cambiamento nel modo in cui questa legittimazione viene percepita, con una crescente distanza tra il passato e le nuove generazioni.

In relazione al mio precedente articolo su Sidi Abdel Rahman, possiamo constatare come il culto dei santi e la venerazione delle figure cherefiane siano parte di un più ampio fenomeno che unisce storia, religione e società. Studiare queste dinamiche ci aiuta a comprendere meglio le tensioni tra tradizione e modernità nel Maghreb contemporaneo.

Durante il mio lavoro sul campo, ho spesso avuto la sensazione di entrare in uno spazio che, pur essendo aperto e ospitale, custodiva equilibri delicati. Ma non ero una ricercatrice qualunque: ero anche originaria della zona. Questo ha fatto sì che fossi ben accolta, sì, ma anche oggetto di una curiosità intensa. “Cosa ci fa una ragazza sola, tornata dall’estero, a fare ricerca nella terra dei suoi nonni? Perché si interessa ancora a queste cose?” – erano domande che non venivano sempre poste ad alta voce, ma che sentivo sussurrare nei gesti, negli sguardi, nei sorrisi lunghi.

È proprio in questa tensione — tra la volontà di osservare e il bisogno di appartenere, tra il rispetto del silenzio e la voglia di raccontare — che ho trovato la dimensione più autentica del mio percorso.

Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025
Note
[1] Salima Naji “Fils de saints contre fils d’escalaves: Lespélerinages de la Zawya d’Imi n’Tatelt”,2011 : 55 – “Cherif, un descedant légitime du Prophète. Les Chorfa idrissides sont, au Maroc, les plus prestigeux. Et, pour que cela soit su de façon incontestable par tous, l’arbre généalogique du saint est accroché dans son mausolée (Darih)…Le titre avéré de Chorfa indique le statut de cette lingée de saints: ces descedendants de saint sont au-dessus leurvoisins….Le Chérif ou la Chérifa (singulier de chorfa) est ce descen dant du Prohéte, noble par excellence.” Traduzione: “Cherif, un legittimo discendente del Profeta. I Chorfa idrissiti sono, in Marocco, i più prestigiosi. Noto da tutti e incontestabilmente da nessuno, infatti l’albero genealogico del santo è appeso nel suo mausoleo (Darih) … Il comprovato titolo di Chorfa indica lo stato di questa stirpe di santi: questi discendenti di sono al di sopra dei loro vicini …. Il Chérif o il Chérifa (singolare di Chorfa) questi sono i discendenti del Profeta, nobili per eccellenza”.
[2] The Arabic word baraka means “blessing”. In Morocco it is used to denote a mysterious wonder-working force which is looked upon as a blessing from God, a “blessed virtue”. It may be conveniently  translated into English by the word “holliness”, Edward Westermarck, “Ritual and belief in Morocco, 1926: 35. Vol.1 – Traduzione “La parola araba baraka significa benedizione. In Marocco è usata per definire una forza misteriosa vista come benedizione di Dio, una virtù, può essere tradotta in santità”.
[3] Edward Westermarck “Ritual and belief in Morocco”, 1926: 41 vol.1. – “You have taken the loaf of bread” – Traduzione “Hai preso la pagnotta di pane”.
Riferimenti bibliografici
Africano J. L. (2004) Descripción general del África y de las cosas peregrinas que allí hay ( trad. Serafin Fanjul), Granda, Fundaciòn El legado andalusì
Naji S. (2012), Fils de saints contre fils d’esclaves: les pèlerinages de la Zawya d’Imi n’Tatelt (Anti-Atlas et Maroc présaharien), Rabat, Centre Jacques-Berque
Rachik H. (2020), Socio Anthropologie rurale: Structure, organisation et changement au Maghreb, Casablanca, Editions Le Croisée des Chemins
Talbi L. (2020), La terra dimenticata; il culto dei marabutti, Libreria Universitaria, Torino
Westermarck, E. (1926), Ritual and belief in Morocco, London, Macmillan & co.
كريدية إبراهيم (2009) , ريباط سيدي شيكر: ببلاد احمر  Safi, Safi Graphe (Kridi)
المصطف حمزة (2015) , “قبيلة احمر“, Safi, Safi Graphe. (Hamza)

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Talbi Latifa, Laureata in Antropologia Culturale ed Etnologia presso l’Università di Torino, con una tesi pubblicata sul culto dei marabutti. Ha partecipato, nel 2019 a un progetto Erasmus+ in Marocco per una ricerca etnografica sul campo. Nell’anno 2023 ha pubblicato l’articolo “RAMADANCE: Sacro e profano online, tra mesi di penitenza e danze folkloristiche” nella rivista Africa e Mediterraneo (Dossier n. 99, 2024). Competenze multidisciplinari acquisite attraverso studi e attività di mediazione culturale, unitamente a una conoscenza avanzata delle lingue arabo, italiano, inglese e spagnolo.

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