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“For the Blood is the Life” di Francis M. Crawford: tradizioni popolari e vampirismo nella Calabria del ‘900

crawford-for-the-blood-is-the-life-copertina-b1-adi Francesco La Rocca

Francis Marion Crawford: un nome che oggi non evoca libri, novelle o testi in particolare, ma che per un lettore del XIX secolo avrebbe immediatamente richiamato alla mente uno dei più noti romantist dell’epoca: il «Magnificent Marion Crawford» [1]. Romanziere di mestiere, il successo delle sue opere lo ha reso da subito un autore di riferimento per il suo tempo, al punto che il critico e letterato Frederic T. Cooper ne predisse un successo immortale [2]. Nonostante ciò, dopo la morte i suoi lavori incontrarono sempre meno il favore del pubblico e della stampa, cosicché il nome di Crawford scomparve lentamente dal panorama letterario.

Considerato l’esito di quello che recenti studi definiscono il «caso Crawford» [3], ritengo sia da incoraggiare oggi una riscoperta attenta e consapevole di uno scrittore precursore del «romanzo popolare di successo» [4], del quale per lungo tempo si sono perse le tracce. In quest’ottica si colloca il mio contributo che, partendo da una ricostruzione biografica, vuole porre l’attenzione su uno dei suoi testi più longevi e rappresentativi: For the Blood is the Life – pubblicato per la prima volta nel 1905 sulla rivista “Collier’s: The National Weekly” e tradotto in Italia come Perchè il sangue è vita o Perché il sangue è la vita –, lavoro che spicca tra i racconti dedicati al soprannaturale, il filone di maggior successo della sua produzione. Proprio questo racconto, infatti, è uno dei pochi ad aver conosciuto successive ristampe, ma senza essere mai accompagnato da un’adeguata contestualizzazione critica né da riflessioni sull’identità dell’autore, la cui memoria è per lo più andata perduta. Pertanto, ho ritenuto necessario compiere un primo passo riunendo autore e testo, dedicando nella prima parte di questo intervento un’attenzione particolare al trascorso biografico di Crawford che, come si vedrà, ha sempre rappresentato un punto di partenza fondamentale per la sua ispirazione.

1-1Per completare questa operazione di ricostruzione storico-letteraria ho deciso di recuperare le illustrazioni dell’artista Walter Appleton Clark che originariamente abbellivano la pubblicazione sulla rivista “Collier’s”. Purtroppo, mi è stato possibile rintracciare solo una delle sette tavole originali, oggi conservata tra gli archivi della Biblioteca del Congresso di Washington (USA) ed è probabile che le restanti siano state vendute a privati, come lascia intuire una brochure del 1907 (“Drawing & Paintings by the late Walter Appleton Clark”) conservata nella libreria del venditore d’arte Knoedler & Co., nella quale cinque delle opere in catalogo figurano sotto il titolo For the Blood is the Life. Dunque, l’idea è stata quella di reperire una copia originale del numero 12 della rivista “Collier’s”, gentilmente fornita dalla biblioteca della Pennsylvania State University, così da ottenere delle scan in alta risoluzione da cui poter estrarre le immagini [5]. 

1-1Il destino di uno scrittore

Francis Marion, figlio d’arte, nasce a Bagni di Lucca (LU) il 2 agosto del 1854 da Thomas Crawford e Louisa Ward. Suo padre Thomas è un affermato scultore americano, autore, tra l’altro, del monumento a Washington in Richmond, Virginia (USA), il portone di bronzo dell’ala senatoriale del Campidoglio e della Statua della Libertà posta in cima alla cupola. Da parte di madre, invece, eredita il nome dell’illustre antenato Francis Marion, generale dell’esercito continentale ed eroe della Guerra d’Indipendenza.

Francis trascorre l’infanzia con i suoi genitori a Roma a contatto con le più illustri famiglie della capitale tra villa Negroni, palazzo Odescalchi e palazzo Colonna [6]. Tuttavia, con la morte prematura del padre, è Louisa a farsi carico della formazione del figlio e tentando di privilegiare le origini americane della famiglia gli proibisce di frequentare coetanei di origine italiana e di accedere alle scuole locali. La madre assume dei tutori privati per i primi anni di formazione e l’unica compagnia di cui Francis può godere è rappresentata dalle tre sorelle e dagli adulti che frequentano la casa [7]. Partendo da questo momento ha inizio un travagliato percorso formativo, il quale porta il giovane Crawford ad affrontare una serie di viaggi che ben gli valgono a posteriori l’appellativo di «intellettuale cosmopolita» [8]. Così, dopo aver attraversato l’Inghilterra, la Germania ed esser tornato in Italia per studiare il sanscrito all’università “La Sapienza” di Roma, sulla scia dei suoi studi decide di partire nel 1879 alla volta dell’India per approfondire le sue conoscenze della lingua. In India apprende l’urdu, dirige il quotidiano “The Indian Herald” ad Allahabad ed è sempre qui che, grazie al contatto con la cultura locale, inizia a sviluppare un profondo interesse per i temi del soprannaturale e del mistico [9], una passione che ne segnerà l’intera esistenza.

Al termine di questo lungo percorso, Crawford ha contratto numerosi debiti, ha studiato le materie più varie, ha imparato a tirare di sciabola, conosce già alcune delle venti lingue che apprende nel corso della sua vita da letterato (tra cui l’urdu, il ceco, il tedesco, il latino, il francese e altre) [10] ma, soprattutto, ha raccolto abbastanza materiale per iniziare ad immaginare le sue storie. È il 1882, Francis ha solo ventotto anni e si trova in un club a New York con suo zio Sam Ward, al quale sta raccontando la sua esperienza in India e, in particolare, dell’incontro con un misterioso mercante di gioielli. Lo zio, affascinato dalla storia, invita il nipote a farne un racconto per una pubblicazione periodica ma, appena Francis si mette al lavoro, si rende conto di avere idee a sufficienza per realizzare un romanzo. Nasce così Mr. Isaacs: A Tale of Modern India, debutto letterario che consacra immediatamente Crawford al grande pubblico del suo tempo [11] e che anticipa nel genere dei racconti indiani la produzione di Kipling [12].

Immediatamente Francis comprende di poter fare della scrittura il suo mestiere e in soli due anni, tra l’82 e l’84, pubblica altri quattro romanzi il cui successo permette alla casa editrice Macmillan di attraversare la crisi finanziaria dilagante in quegli anni. In compenso, Crawford riceve dall’editore un attico a New York che diventa base d’appoggio per i suoi numerosi viaggi promozionali negli Stati Uniti. In poco tempo, dunque, i romanzi raggiungono un successo straordinario, tanto da giustificare la pubblicazione in vita di tre raccolte complete delle sue opere, con un totale di vendite per oltre un milione di dollari, una cifra enorme per l’epoca [13]. Nomi illustri si annoverano tanto tra gli ammiratori esteri, come nel caso di Robert Louis Stevenson (L’isola del tesoro, Lo strano caso del dottor Jekyl e del signor Hyde) che rivolge a Crawford lettere di sincera ammirazione [14], quanto tra quelli italiani, come la regina Margherita di Savoia, la quale decreta che la famiglia reale dovesse ricevere una copia di ogni libro pubblicato dall’autore rilegato in marocchino blu e con impresso lo stemma della corona d’Italia [15]. Non mancano, tuttavia, i detrattori, come il critico e letterato Henry James che in qualità di esponente del nascente “Realismo” si esprime con asprezza riguardo la notorietà raggiunta da Francis [16], il cui lavoro lo rende un affermato rappresentante del “Romanticismo”. Una distinzione, questa, che contraddistingue il dibattito letterario del secolo e che porta Crawford alla pubblicazione di un saggio incentrato sulla diatriba: The Novel. What it is? (1893), un documento fondamentale per ricostruire il suo pensiero circa il mestiere dello scrittore e il valore delle sue opere. Qui Crawford equipara lo scrittore ad un business-man [17], un imprenditore che con i suoi lavori deve mirare al grande pubblico e, in tal senso, ciò che rende un buon romanzo tale non può essere la sua adesione o meno al reale, ma semmai la capacità di trattare gli argomenti che riguardano gli elementi costanti della natura umana [18], vale a dire i conflitti e i sentimenti eterni, come l’amore: «[il romanzo] deve trattare principalmente l’amore, perché è la passione che in genere interessa maggiormente tutti gli uomini e tutte le donne […]. Il romanzo perfetto […] deve raccontare la sua storia a tutta l’umanità […]. Il suo realismo deve essere reale, tridimensionale, non piatto e fotografico […]» [19] [TdA].

2-2Alla base del successo di Crawford, dunque, vi è un’attenzione particolare ai temi delle opere e allo stile dei racconti che, in un modo o nell’altro, devono parlare ad una moltitudine di persone. Per tal motivo la sua penna è accuratamente calibrata per le esigenze di ogni genere di lettore e probabilmente per tal motivo il suo stile – afferma Walpole – «[…] non è mai brillante. Potrete riguardare tutte le pagine dove fornisce quadri storici senza trovarvi niente che valga la pena citare […]. Eppure vi si trova una limpidità innegabile» [20].

È così che, oramai uomo di successo e scrittore affermato, nel febbraio del 1884 si imbarca alla volta di Costantinopoli per sposare Elizabeth Berdan, assecondando la volontà di sua madre che organizza il matrimonio per procura. L’evento, seguito sul piano internazionale, è annunciato dal “New York Times”, dal quale si apprende che per l’occasione è presente il corpo diplomatico al completo affiancato dall’élite della società [21]. La coppia si trasferisce immediatamente in Italia, decidendo di passare l’estate nella comunità di Sant’Agnello (NA) presso la costiera sorrentina, prendendo alloggio nello storico hotel Cocumella. Crawford, che già ha visitato quei luoghi rimanendone profondamente affascinato, fatica sempre di più ad immaginare una vita lontana dalle meraviglie locali e gli stessi paesaggi di Sorrento entrano a far parte dei suoi racconti, ispirandone la produzione letteraria. È così che tra il 1886 e il 1887 la coppia decide di acquistare la vicina Villa Lina, proprietà dei De Renzis, per trasferirvisi definitivamente [22]. Ha inizio un’imponente opera di ristrutturazione dell’immobile, nella quale lo scrittore investe gran parte delle sue risorse economiche: in particolare, progetta e realizza i caratteristici archi di sostegno che proteggono la villa dalle mareggiate, in cima ai quali fa incidere la scritta “In Tempestate Securitas”. Il ricco e misterioso scrittore americano oramai noto ai locali come il “Principe di Sorrento” e la sua imponente villa a picco sul mare diventano immediatamente motivo d’attrazione locale e tema di fascino per i turisti, al punto da venire raffigurati nelle cartoline d’epoca, che trovano da subito buon mercato [23].

4Nonostante la proverbiale riservatezza che lo contraddistingue, Francis instaura un profondo rapporto di affetto e solidarietà con la comunità, impegnandosi in opere di beneficenza che lo rendono benvoluto da tutti. Da questo momento in poi i suoi viaggi in America si fanno sempre più rari e i giornali d’oltreoceano (“Scribens”, “Munseys”, “Haspers”) impegnano interi articoli per descrivere l’opulenza di “Villa Crawford”, il solitario ritiro dello scrittore italo-americano. Nella pacata quotidianità di Sant’Agnello e tra gli odori e le bellezze del luogo, Crawford si dedica anima e corpo alla sua produzione letteraria, lavoro che lo porta in soli ventotto anni a realizzare più di cinquanta opere tra romanzi, racconti e saggi [24], una fatica che certamente contribuisce a minarne il fisico. Basti pensare che la prolificità della sua penna gli vale nel 1887 due caricature del “Life”, in una delle quali è ritratto intento a consumare barili di inchiostro mentre con fisico da atleta ginnico sforna pagine a rotazione.

Mentre lo scrittore è intento ad arricchire le sue pubblicazioni, la Villa diviene un centro di attività sociale e culturale tanto che, nel registro degli ospiti, si possono leggere non solo i nomi dell’aristocrazia romana (Ghigi, Orsini, Odescalchi, Pallavicini, Colonna, Antonelli, Primoli), ma anche di esponenti del mondo letterario e delle arti, come lo scozzese Norman Douglas. Quest’ultimo conosce Crawford nel 1888 alle Eolie, stringendo un rapporto di amicizia che li porta nel 97 ad imbarcarsi insieme per una lunga crociera intorno all’arcipelago toscano. Nel suo romanzo autobiografico Looking Back lo scozzese descrive Crawford come un «uomo poliedrico, linguista, studioso e viaggiatore, […] dall’autentica passione per l’esplorare i sentieri meno noti dell’etnografia e della filologia» [25] [TdA].

Sono proprio la passione per il mare e l’indomita sete di avventura e scoperta che nel 1887 spingono Crawford ad esplorare la costa meridionale del basso tirreno, imbattendosi nella torre vicereale di San Nicola Arcella (CS) presso Capo Scalea. Lì scopre un luogo isolato dal mondo, una torre aragonese dall’incredibile fascino incorniciata in un ameno paesaggio marittimo a pochi passi da un borgo abitato da gente discreta e fornito di tutti i servizi necessari [26]. Decide, dunque, di fare della torre aragonese la sua seconda residenza, prendendola in affitto dalla famiglia Alario [27] e, come per la Villa di Sorrento, immediatamente si dedica ad un’opera di ammodernamento dell’immobile: fa costruire sulla sommità della terrazza una cucina con le pietre cavate nelle grotte del costone sorrentino [28] e vi trasporta tutti gli strumenti necessari per realizzare uno studio negli ambienti interni. In tal modo, la sede dell’allora Tor San Nicola, diventa il ritiro estivo in cui Crawford realizza una buona parte della sua produzione letteraria, compreso uno dei suoi racconti più celebri: For the Blood is the Life, ambientato nei dintorni della stessa torre.

2La misteriosa figura dello scrittore solitario non passa inosservata neppure sui lidi della terra calabra e presto qui Francis si guadagna gli appellativi di “Lord Inglese” e “Granforte”. Emblematica la testimonianza di Raffaele Lo Monaco, discendente della famiglia Alario, riportata da Gordon Poole in un suo articolo in cui l’uomo ricorda il carattere «superbo» e «poco socievole» [29] di Crawford. Nonostante gli aggettivi impietosi, va rilevato che anche nel circondario di San Nicola, proprio come accade a Sant’Agnello, Francis si dedica ad opere di beneficenza intessendo rapporti di amicizia con alcuni locali: versa offerte per la chiesa del posto, fa visita ai malati, si impegna in donazioni ed opere pubbliche. Emblematica in tal senso è la sua partecipazione al rito della lavorazione del maiale, un evento fondamentale per la cultura locale e che testimonia l’intenzione di Crawford di non voler entrare a far parte della comunità solo fisicamente, ma di volerne condividere le tradizioni e la cultura. L’episodio è descritto sempre da Gordon Poole che ricorda, inoltre, come gli uomini di Crawford si impegnassero nell’impresa sulla spiaggia di San Nicola per poi regalare buona parte delle carni ricavate ai presenti [30]. Al di là delle donazioni, bisogna sottolineare anche come Crawford si prodighi per il miglioramento concreto delle condizioni di vita locali, permettendo ad esempio al suo marinaio Luigi di dedicarsi alla costruzione di un pozzo per l’approvvigionamento d’acqua, sul quale viene posta una lastra ancora visibile che recita: “O marinai che vi dissetate / su questo lido ove in passato / non si trovava stilla d’acqua / pregate per l’anima di colui / che aperse questa fonte. / Anno domini 1905”. Insomma, Francis si ritrova a trascorrere sempre più tempo nell’isolata località calabrese dove «si fanno bagni da paradiso […] e l’aria è deliziosa» [31], passando il resto della vita facendo la spola tra Sant’Agnello, San Nicola e gli Stati Uniti.

5La sua irrefrenabile attività, tuttavia, deve arrestarsi. Negli ultimi anni che precedono la prematura morte dello scrittore, Francis è tormentato da precarie condizioni di salute. È afflitto da febbre, asma e problemi respiratori che il pomeriggio del 9 aprile 1909 lo portano ad un arresto cardiaco nella sua Villa di Sant’Agnello. La comunità internazionale e il piccolo borgo sono sconvolti dall’accaduto: il sindaco dichiara il lutto cittadino, le attività commerciali chiudono in segno di partecipazione, tutte le cariche presenziano alle esequie, la guardia cittadina presidia la Villa, arrivano telegrammi di condoglianze dal sindaco di Roma, dall’ambasciatore degli Stati Uniti e dall’ex presidente Theodore Roosevelt, mentre giornali italiani e d’oltreoceano spendono parole di commiato ed elogio per il defunto [32]. Un evento seguito su larga scala eppure, al di là dei grandi titoli e dei racconti postumi, l’unico resoconto fedele della dipartita di Francis è conservato in una commovente lettera che la moglie invia qualche giorno dopo ad un amico, in cui sono descritti con grande intimità gli ultimi attimi di vita dello scrittore: 

«[…] Mi consenta di dire da subito che non c’è niente di vero in tutto ciò che fu riportato dai giornali sulla morte di mio marito. […] Tredici giorni prima di morire stava nettamente meglio, tanto che i medici e tutti noi eravamo certi che stesse migliorando. La febbricciola, che lo aveva tormentato per tutto l’inverno, gli era passata; l’unica cosa che lo faceva soffrire era l’asma […]. Al mattino del 9 aprile fu portato su un terrazzino coperto da cui si gode la vista del giardino e a lui fece molto piacere starsene al sole, all’aria aperta, a godersi la dolce brezza primaverile. Intorno alle undici ebbe un arresto cardiaco, dal quale però si riprese benissimo tanto che pranzò regolarmente. Prima di ritirarsi in camera volle sedersi sul divano per leggere un po’ e in quel momento a un controllo delle pulsazioni, mi resi conto che erano piuttosto irregolari. […] Poco dopo, aprii la finestra e notai che aveva aperto gli occhi, mi sorrise e mi disse: “Grazie, mi piace vedere la libreria illuminata dai raggi del sole”. Detto questo, ci lasciò senza un lamento o la più piccola smorfia di dolore. […]» [33]. 

3-3For the Blood is the Life: il racconto e il folklore

È proprio nella torre di San Nicola Arcella che Crawford immagina e realizza For the Blood is the Life (1905), un racconto che, per usare le parole di un altro suo estimatore, H.P. Lovecraft, «tratta con potenza un caso di vampirismo da maledizione lunare nei pressi di un’antica torre tra le rocce delle solitarie coste dell’Italia meridionale» [34] [TdA].

La narrazione si svolge in un piccolo borgo della Calabria e affascina da subito il pubblico, facendosi forza di un tema evidentemente efficace per il mercato dell’epoca: il vampirismo. Bisogna infatti considerare che negli anni circostanti alla prima pubblicazione di For the Blood is the Life vedono la stampa testi che costituiscono le pietre miliari del racconto dell’orrore a tema vampiresco, partendo da Il Vampiro di John Polidori che già dal 1819 sancisce definitivamente la nascita del prototipo del revenant assetato di sangue umano, per proseguire con le opere di Ernst Hoffman, Vampirismus (1821), Nikolaj Gogol’, La sera della vigilia di Ivàn Kupàla (1832) e Il Vij (1835), Clarimonde Gautier, La Morte Amoreuse (1836), Thomas Prest, Varney il Vampiro (1845), Alekséj Tolstòj, La famiglia del Vurdalak (1847), Alexandre Dumas, La bella vampirizzata (1849), Guy de Maupassant, L’Horla (1887), Joseph Le Fanu, Carmilla (1872), fino ad arrivare al romanzo per eccellenza, Dracula di Bram Stoker (1897) [35]. Si potrebbe proseguire con facilità l’elenco fino a giungere ai giorni nostri, a testimonianza della longeva fortuna che il vampiro ha riscontrato nella letteratura (e non solo), ma vorrei porre l’attenzione su un racconto in particolare: Un mistero della Campagna (pubblicato nel 1887 e apparso per la prima volta in Italia nel 1993 [36]) di Anne Crawford, sorella maggiore dello scrittore. Anche in questo caso si tratta di un racconto a tema vampiresco ed è interessante notare che, al di là della generale tendenza di mercato, un probabile incoraggiamento alla stesura di For the Blood is the Life possa essere giunto dalla penna della sorella, la quale per prima si cimentò nel genere utilizzando come soggetto una compagnia di pittori, dettaglio che rimanda proprio all’inizio del racconto di Francis in cui si assiste ad un dialogo tra il suo alter-ego e un caro amico di famiglia, «pittore di professione».

3For the Blood is the Life, come di moda per quei tempi, segue la scia dei penny dreadful (settimanali dedicati al tema dell’orrore che dominano la scena della letteratura sovrannaturale proprio a partire dal XIX secolo) e fa la sua prima comparsa sulla storica rivista “Collier’s: The National Weekly”, nel numero 12 del 16 dicembre 1905. Ma in un mercato saturo di racconti da brivido a basso costo e di rapida fruizione è lecito domandarsi: cosa rende unico il lavoro di Crawford? Perché è necessario promuovere un’operazione critica di recupero del suo contenuto? In primo luogo, bisogna prestare attenzione all’ambientazione all’interno della quale l’autore sceglie di incorniciare le vicende, uno spazio scenico di indubbio fascino: una torre aragonese diroccata a picco sul mare, una terra avvolta da misteri e credenze popolari, un paesaggio desolato e aspro come le persone che lo abitano, tutti elementi che evocano nella mente del pubblico internazionale il desiderio di vivere in prima persona gli stessi brividi che corrono sulla schiena dei protagonisti. Non bisogna dimenticare, infatti, che la Calabria a partire dal 700 diventa meta di viaggiatori da tutta Europa, desiderosi di esplorare i resti della Magna Grecia e di provare la propria resistenza tra gli impervi paesaggi locali. La moda del Grand Tour si protrae per tutto l’800 fino agli inizi del 900 e diversi artisti e intellettuali si cimentano nell’impresa, come Edward Lear o il già citato Norman Douglas. Questi intellettuali sono soliti appuntare note di viaggio ed esperienze su taccuini che, una volta tornati in patria, diventano materiale da pubblicazione per un pubblico affamato di avventure in terre che immagina al di là dei confini dell’allora mondo civilizzato. In quest’ottica, For the Blood is the Life si classifica come un primato e un unicum nella letteratura otto-novecentesca sulla Calabria in quanto, pur sulla scia di un interesse generale per la storia e le ambientazioni calabresi, lo scrittore arricchisce il tutto con una vena sovrannaturale, trasformando le realistiche descrizioni dei paesaggi in scenari pensati per ospitare una storia dell’orrore.

Il secondo punto di unicità della narrazione riguarda l’abile inserimento di aspetti legati alla cultura popolare locale nel testo. Crawford, infatti, come riporta l’amico Douglas, è un appassionato di etnografia e, si può aggiungere, anche di superstizioni e occulto in generale [37]. Un altro episodio chiave in tal senso è rivelato sempre da Douglas, il quale ricorda:

«un giorno, poiché capitava che fosse il compleanno di Crawford, imprudentemente io brindai alla sua salute con del vino bianco. Questo lo terrorizzò; gli avrebbe portato sfortuna, giurò lui; dovevo annegarlo con del vino rosso – cosa che feci, ma anche così non rimase del tutto soddisfatto» [38] [TdA].

6L’interesse per la cultura popolare emerge sin dalle prime pagine del racconto, in cui nel paesaggio descritto dall’autore si staglia un’altra torre oltre a quella a picco sul mare, vale a dire la Torre della Scalicella, o Torre di Giuda. Anch’essa, come spiegato dal narratore, fa parte di quel sistema difensivo realizzato tra XVI e XVII secolo sulle coste calabresi per arrestare le incursioni dei pirati barbareschi, ma la particolarità del suo nome è dovuta al fatto che, secondo alcune leggende, lì sarebbe nato Giuda il traditore di Cristo. Il racconto non è un’invenzione di Crawford e trova riscontro nella tradizione locale, la quale rimanda, secondo studiosi locali, al ricordo di un tradimento da parte di una guardia del borgo che, in combutta con i pirati, non diede l’allarme al momento dell’attacco, permettendo ai saraceni di entrare in paese [39]. Ancora, si può trovare la stessa attenzione al dettaglio nel passo riguardante la morte di uno dei personaggi, episodio in cui Crawford descrive la fuga in massa della folla terrorizzata che fino a pochi attimi prima è radunata attorno al capezzale del morente. L’episodio è ispirato, chiaramente, all’importanza che la cultura popolare meridionale attribuisce al trapasso delle anime, un momento cruciale che fino al ‘900 viene accompagnato in Calabria, come nelle altre regioni del sud Italia, con tutta una serie di pratiche utili a favorire la pacifica dipartita dell’individuo [40]. Secondo queste credenze, infatti, senza le giuste precauzioni o le dovute celebrazioni funebri, all’attimo della morte lo spirito del defunto non può lasciare il luogo in cui si trova, diventando a tutti gli effetti una umbra [41], vale a dire un fantasma destinato a perseguitare i viventi. Da ciò quello che Crawford definisce nel racconto l’«orrore fisico per la morte» provato dai popolani, ovvero la paura di essere contaminati dalla vicinanza del cadavere e, quindi, concretamente danneggiati dallo spirito del defunto.

4-4Vale la pena notare, inoltre, che nella cultura popolare calabrese esiste una vasta tradizione riguardante gli spiriti vincolati ai tesori o ai sentieri di campagna, che in qualche modo sembra rimandare a uno degli snodi fondamentali del racconto. Nella storia, infatti, uno dei personaggi si trasforma in vampiro non in seguito ad una maledizione o al morso di un essere sovrannaturale, ma dopo che il suo corpo esanime viene sepolto da due malviventi insieme ad un forziere trafugato già colmo di denaro sporco. In Calabria, fino al ‘900, è opinione comune che uccidere e seppellire una persona nello stesso nascondiglio di un tesoro sia un modo per legare magicamente lo spirito al posto e, dunque, per proteggere il nascondiglio da eventuali malintenzionati [42]. Si aggiunga a ciò che, nel racconto di Crawford, al malcapitato scomparso non è dedicata alcuna esequie in quanto si pensa fuggito insieme ai ladri e, ciò, impedisce evidentemente allo spirito di abbandonare il piano dei viventi, condannandolo definitivamente ad un destino di non-morte. Una volta generati, l’unico modo per sfuggire a questi spiriti secondo le prescrizioni locali, è quello di evitare i sentieri in cui sono stati commessi gli atti violenti che li hanno portati alla morte o altri luoghi particolari, come i crocevia, a meno che non si voglia diventare spirdati, ovvero “posseduti”. Non a caso il protagonista si imbatte nello spirito famelico proprio nel crocicchio che separa la campagna dal villaggio ed è sempre lì che questo lo “possiede”, congelando il suo sguardo negli occhi del protagonista ed affascinandulu.

Ritengo, alla luce di questi riscontri, che Crawford abbia pensato un’operazione letteraria mirata a mescolare il folklore e le credenze del luogo con un tema ben più riconoscibile agli occhi del grande pubblico, come quello del vampirismo. È in questo modo che la nascita di uno spirito vagabondo vincolato ad un tesoro maledetto diventa la storia di un vampiro assetato di sangue, una natura ibrida che ben gli vale nella narrazione il generico quanto orrorifico appellativo di «Cosa».

7Un’operazione di sincretismo che si può riscontrare anche in un’altra sua celebre opera a tema sovrannaturale: La strega di Praga in cui – annota Alessandra Contenti – l’autore non si pone problemi nel mischiare il motivo egizio della mummificazione (tema in voga per quegli anni) a quello del folklore ebraico-praghese, presentando un Golem che porta al contempo i connotati della mummia [43]. Evidentemente un tentativo di realizzare quella che Crawford definisce «epica moderna» [44], cioè un’opera letteraria in grado di recuperare l’identità e la tradizione di un luogo per dargli nuova linfa e riportarla su un piano universale. Un’operazione che per certi versi anticipa le tendenze della contemporaneità prevedendo la necessità del mercato, oggi più che compiuta, di allargare il campo delle tematiche artistiche ad un pubblico su vasta scala pur mantenendo l’attenzione sulle particolarità dei luoghi, dei popoli che li abitano e la loro identità storica. Insomma, una scelta artistica che fa di Crawford un precursore della modernità.

Infine, proprio la «Cosa» rappresenta il terzo elemento di unicità, nonché uno degli aspetti più originali del testo. L’autore, infatti, si distacca dallo stereotipato personaggio del vampiro aristocratico tipico della cultura inglese per descrivere una creatura che non è un nobile antiborghese arroccato nel suo castello ma, al contrario, una povera donna che si barcamena quotidianamente per cercare di guadagnarsi poche briciole di pane e un posto asciutto dove dormire. Una figura «zingaresca», per utilizzare le parole del narratore, che diventa metafora della povertà di una terra maledetta, perseguitata da criminali e affollata di spiriti, in cui i figli dall’animo gentile come Angelo Alario, il protagonista, sono condannati ad espiare le colpe dei padri e ad essere perseguitati per le malefatte di chi li ha preceduti.

51ti6mcclglConclusioni

Molti sono gli elementi che fanno di For the Blood is the Life un esempio emblematico della letteratura crawfordiana: dai costanti riferimenti autobiografici presenti nella narrazione [45] alla naturalezza dei dialoghi, che ben si accordano con la concezione del romanzo come «pocket-stage» [46], un palcoscenico tascabile. Tuttavia, ciò che rende veramente unico questo racconto è la sapiente fusione tra riferimenti storici, un raffinato studio delle tradizioni popolari e una scenografia suggestiva che incornicia una storia da brividi ineguagliata nel suo genere.

Tutti questi elementi, armoniosamente combinati, hanno permesso all’opera di Crawford di fare breccia nell’immaginazione del pubblico, sopravvivendo fino ai giorni nostri perfino quando l’identità del suo autore è andata in gran parte perduta. Un caso esemplare in tal senso è datato al 2009 (Kindle 2011) per la raccolta Storie di Vampiri della Newton Compton Editori dove, nello spazio dedicato alla biografia dell’autore tutto ciò che si può leggere è: «di lui non si hanno molte notizie».

Nonostante il racconto si sia affermato come uno dei principali successi di Crawford, il testo non ha mai conosciuto una pubblicazione autonoma o una disamina critica in grado di metterne in luce le peculiarità. Al contrario, il suo inserimento in antologie accanto a classici immediatamente più riconoscibili al pubblico non ha giovato affinché For the Blood is the Life potesse spiccare in tutto il suo valore. È proprio questa constatazione che mi ha spinto a strutturare un percorso così ampio sperando, in tal senso, di poter fornire un contributo alla riscoperta di un autore andato per lo più dimenticato e di un testo che conserva un forte legame con l’identità locale calabrese, nonché un valore intrinseco che merita rinnovata attenzione. 

Dialoghi Mediterranei, n. 74, luglio 2025
Note
[1] Poole G. M., F. Marion Crawford, Scrittore per mestiere, in A. De Angelis e G. M. Poole (a cura di), Il magnifico Crawford, Scrittore per mestiere, Istituto Universitario Orientale, Sant’Agnello (NA), 1988: 4.
[2] ivi:. 7.
[3] Ambrosini R., Francis Marion Crawford, intellettuale cosmopolita, in G. M. Poole (a cura di), A hundred years after: new light on Francis Marion Crawford, Franco di Mauro Editore, Sorrento (NA), 2011: 175.
[4] Poole G. M., op. cit.: 4.
[5] Ad oggi disponibili presso la Biblioteca dell’Area Umanistica dell’Università della Calabria di Rende (CS). Nonostante si possa evincere dalla tavola conservata nell’archivio della Biblioteca del Congresso che tutte le opere dell’artista fossero interamente a colori, le scan riportano i disegni per come pubblicati dall’editore, che ha deciso di mantenere solo tre illustrazioni parzialmente a colori per la stampa. Approfitto di questo spazio, infine, per ringraziare il Centro Studi e Ricerche Francis Marion Crawford di Sant’Agnello (NA), associato alla Francis Marion Crawford Memorial Society di Nashville in Tennessee (USA) che, insieme all’associazione Premio Torre Crawford di San Nicola Arcella (CS), sono le uniche realtà a mantenere vivi gli studi e la memoria. Ringrazio nello specifico Antonino De Angelis, fondatore e presidente del Centro Studi, che con grande disponibilità e altruismo si è impegnato affinché io ricevessi i testi che sono andati a comporre la colonna portante del mio contributo.
[6] De Angelis A., Osservazioni preliminari, in G. M. Poole (a cura di), A hundred years after: new light on Francis Marion Crawford, Franco di Mauro Editore, Sorrento (NA), 2011: 165.
[7]  Pilkington J. Jr., Genio letterario o romanziere da quattro soldi?, in G. M. Poole (a cura di), Il magnifico Crawford, Scrittore per mestiere, Arti Grafiche Boccia s.r.l., Fuorni (SA), 1990: 116.
[8] De Angelis A., Francis Marion Crawford e il mare, Un cosmopolita coi piedi in acqua, in P. Enzo (direttore di), La terra delle Sirene, Rivista del Centro di Studi e Ricerche Multimediali Bartolomeo Capasso, Sorrento (NA), n. XLI dicembre 2022: 105.
[9] Per una ricostruzione dettagliata della cronologia e degli spostamenti è possibile consultare Pilkington J. Jr, op. cit.: 116.
[10] Poole G. M., Introduzione, in G. M. Poole (a cura di), A hundred years after: new light on Francis Marion Crawford, Franco di Mauro Editore, Sorrento (NA), 2011: 171.
[11] Pilkington J. Jr, op. cit.: 117.
[12] Ambrosini R., op. cit.: 190-191.
[13] Pilkington J. Jr, op. cit.: 119.
[14] Ambrosini R., op. cit.: 180.
[15] Poole G. M., F. Marion Crawford… op. cit.: 5.
[16] Vidal G., Il romanzo politico da Dario il Grande al presidente Chester Arthur, in G. M. Poole (a cura di), Il magnifico Crawford, Scrittore per mestiere, Arti Grafiche Boccia s.r.l., Fuorni (SA), 1990: 128-129.
[17] Isoldo L., Crawford, Howells e l’arte del romanzo, in G. M. Poole (a cura di), A hundred years after: new light on Francis Marion Crawford, Franco di Mauro Editore, Sorrento (NA), 2011: 206.
[18] Ambrosini R., op. cit.:182.
[19] Crawford F. M., The Novel. What it is?, Macmillan and company, New York, 1893: 44.
[20] Kitahara T., Il mondo sovrannaturale di F. Marion Crawford. L’arte di narrare, in G. M. Poole (a cura di), A hundred years after: new light on Francis Marion Crawford, Franco di Mauro Editore, Sorrento (NA), 2011: 215.
[21] Pilkington J. Jr, op. cit.: 118.
[22] De Angelis A., Francis Marion Crawford e il mare… op. cit.:106-107.
[23] De Angelis A., Crawford a Sant’Agnello, in A. De Angelis e G. M. Poole (a cura di), Il magnifico Crawford, Scrittore per mestiere, Istituto Universitario Orientale, Sant’Agnello (NA), 1988: 20.
[24] De Angelis A., Francis Marion Crawford e il mare… op. cit.: 105.
[25] Douglas N., Looking Back, An autobiographical excursion, Harcourt Brace and Company, New York, 1933: 403.
[26] Poole G. M., Crawford a Tor San Nicola, in A. De Angelis (a cura di), Genius Loci, Annuario del Centro Studi e Ricerche Francis Marion Crawford 1998-1999, Nicola Longobardi Editore, Castellammare di Stabia (NA), 1999: 59-60.
[27] De Angelis A., Francis Marion Crawford e il mare… op. cit.: 109.
[28] De Angelis A., Osservazioni… op. cit.: 168.
[29] Poole G. M., Crawford a Tor… op. cit.: 59.
[30] Poole G. M., Il successo è questione di retorica, in G. M. Poole (a cura di), Il magnifico Crawford, Scrittore per mestiere, Arti Grafiche Boccia s.r.l., Fuorni (SA), 1990:. 61.
[31] Poole G. M., Crawford a Tor San Nicola… op. cit.: 60.
[32] Le solenni esequie di Francis Marion Crawford, da Il Roma, Napoli, 13/14 Aprile 1909, in A. De Angelis e G. M. Poole (a cura di), Il magnifico Crawford, Scrittore per mestiere, Istituto Universitario Orientale, Sant’Agnello (NA), 1988: 18.
[33] Moran J. C., Resoconto della morte di Francis Marion Crawford da parte della signora Elizabeth Marion Crawford, in G. M. Poole (a cura di), A hundred years after: new light on Francis Marion Crawford, Franco di Mauro Editore, Sorrento (NA), 2011: 250-251.
[34] Lovecraft H. P., Supernatural horror in literature, Dover Publications INC, New York, 1973: 70.
[35] Per la cronologia vedere Pilo G. e Fusco S. (a cura di), Storie di vampiri, Newton Compton Editori, Roma, 2009. 
[36] Crawford A., Un mistero della campagna romana, in P. Erberto (a cura di), Polidori Il Vampiro seguito da Un mistero della campagna romana di Anne Crawford, Tascabili Economici Newton, Roma, 1993.
[37] Contenti A., F. M. Crawford e il magico, in G. M. Poole (a cura di), Il magnifico Crawford, Scrittore per mestiere, Arti Grafiche Boccia s.r.l., Fuorni (SA), 1990:43.
[38] Douglas N., op. cit.: 405.
[39] Garritani G. M., La torre di Giuda, in L. Stocchi (diretto da), Bollettino mensuale del circolo calabrese in Napoli, Fascicolo I Anno III Gennaio 1893, Pei tipi di Michele D’Auria, Napoli, 1893: 125-126.
[40] Dorsa V., La tradizione greco-latina negli usi e nelle credenze popolari della Calabria Citeriore, Arnaldo Forni Editore, Cosenza, 1884: 92-94.
[41] Accattatis L., Vocabolario del dialetto calabrese, Dai tipi di Francesco Patitucci, Castrovillari (CS), 1895: 787.
[42] Lombardi Satriani R., Credenze popolari calabresi, Falzea Editore, Reggio Calabria, 1997: 117.
[43] Contenti A., op. cit.:.46.
[44] Crawford F.M., op. cit.: 70.
[45] A tal riguardo, Gordon Poole fornisce un’accurata ricostruzione di tutti i parallelismi tra il testo e la vita dello scrittore nel già citato “Crawford a Tor San Nicola”. Così è possibile scoprire che i protagonisti sarebbero gli omonimi di Cristina Tucciarelli e Angelo Maria Alario, la coppia da cui Crawford fitta la torre di San Nicola Arcella; il “nano” a guardia della stessa torre rimanda ad uno dei marinai della ciurma che lo accompagna nel suo viaggio da Sant’Agnello a Scalea e il pittore con cui l’alter-ego dello scrittore dialoga nella storia altri non sarebbe che il caro amico Henry Brokman, illustratore di alcune sue opere.
[46] Crawford F.M., op. cit.: 49. 
Riferimenti bibliografici
Accattatis L., Vocabolario del dialetto calabrese, Dai tipi di Francesco Patitucci, Castrovillari (CS), 1895;
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Francesco La Rocca, dottore in Scienze Filosofiche, ha conseguito la laurea magistrale, con il massimo dei voti, presso l’Università della Calabria con una tesi sperimentale dal titolo “Filosofia, misticismo, folklore: avventure del pitagorismo”. Di recente, ha pubblicato Il Natale in Calabria tra XIX e XX secolo per Edizioni Erranti di Cosenza. Dal 2019 svolge attività culturale e di studio nel campo dell’arte e della ricerca socio-educativa, partecipando anche alle attività dell’associazione Emergenti Visioni – Centro Studi di Sociologia Teatrale impegnata, da anni, nell’utilizzo di tecniche drammatiche per l’indagine e l’intervento sociale. Come operatore teatrale, ha partecipato a diversi progetti. È impegnato, altresì, in un’intensa attività di valorizzazione del patrimonio storico-culturale calabrese e ha realizzato alcuni  prodotti audiovisivi.

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