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Eu-ropa. Per un’Europa porosa

picture-1di Massimo Canevacci

Le recenti manifestazioni pro-Europa mi hanno lasciato alquanto distaccato, oscillando tra indifferenza, disincanto e critica. Nel tentare di esplicitare queste mie perplessità, vorrei iniziare dalla prima, che è alquanto banale. A me è personalmente simpatico Serra, anche se ha perso quel gentile sarcasmo che caratterizzava i suoi scritti passati, per assumere un ruolo che è un serio problema: quello ormai implicitamente istituzionale (forse neanche più implicito) nella politica che ha trasfigurato da tempo il giornalista in personaggio politico. Pare che sempre più frequentemente questo ruolo sia l’anticamera per la Camera dei deputati.

In genere il mestiere del giornalista è affrontare con inchieste avanzate e scritture incisive i più diversi problemi che si affacciano in un Paese e anche al di fuori di esso; spesso non ha un focus, anche se le specializzazioni hanno invaso questa professione, il che rende la figura del giornalista adeguato al motto (un classico dei media): non tutto ma di tutto. Ecco, il giornalista deve essere in grado di affrontare e chiarire qualsiasi argomento che emerge dalla cronaca. E la cronaca è l’ecologia giornalistica. Infatti i migliori giornalisti sanno entrare nella cronaca e la rendono trasparente a un pubblico di lettori o sussurratori che non ha la possibilità di entrare in quei contesti specifici dove regna la cronaca. Il giornalista è giornaliero, quindi la cronaca è il suo ambiente. Chronicle è anche il titolo di diversi quotidiani o agenzie giornalistiche.  Dal giornalista emarginato e libero è nato l’investigatore privato che ha caratterizzato tanti film noir, classici e persino quasi attuali.

Ora, anzi da diverso tempo, il giornalista è diventato il politico. Il giornale è diventato il partito. I lettori sono l’elettorato.

Il quotidiano non è più solo cartaceo, ma, ovviamente, da tempo anche media (non medium), una pluralità comunicazionale inscritta nella visioni  diversificate di “mezzi ibridi” tra  tv-generalista  e i tanti medium online più o meno “social”. Non è casuale, quindi, anzi è necessario, che a La  Repubblica europea risponde Il Fatto pacifista. Vorrei tentare di sostenere che i due quotidiani non rappresentano la mia visione europea né pacifista. Se Serra è un galantuomo, delicato nei suoi prevedibili buoni sentimenti quotidiani, che a volte mi fanno sorridere e spesso anche condividere, la sua scrittura pro-Europa non mi convince, come non convincente è la ripresa del messaggio, altrettanto bello e onesto, di Ventotene.

Hand, sculpture by Oscar Niemeyer in the Latin America Memorial (São Paulo, Brazil)

Memorial dell’America latina, scultura di  Oscar Niemeyer São Paulo, Brazil

Non amo  l’eurocentrismo.  Anzi diffido di una prospettiva politica eurocentrica che la politica sussume, come si sarebbe detto una volta, dal giornalismo-cronaca che non può per costituzione  professionale penetrare nelle complessità delle storie, diffidando della cosiddetta Storia maiuscola e singolare (spesso purtroppo vista come universale da cantanti-poeti) che vorrebbe coincidere con Europa. Eurocentrismo mi sembra essere diventato il modello anche o soprattutto implicito, cioè dato per acquisito, del progetto costruttivo dei cosiddetti SUE o, meglio,  USE, che l’attore-regista Benigni vede come replica dagli USA nella sua empatica TV-ricostruzione.

Se molte acquisizioni sociali in Europa sono effettivamente da migliorare ma sicuramente modello, quelle militari lo sono molto meno, mentre quelle culturali – che dovrebbero essere il mio ambito di ricerca –  appaiono rinchiuse nelle eu-fortezze che si aprono per viaggi turistici, fughe giovanili e/o soggetti diasporici. Le attività ri-coloniali di Francia, Regno Unito sono sempre in atto, cui si affiancano le presenze “umanitarie” italo-spagnole-polacche ecc. che si dispiegano negli scenari bellici globali.

Lo “spirito” di Ventotene non poteva certo soffiare sulle conseguenze del colonialismo e ancor meno sul neo-colonialismo che non solo non si è mai fermato ma con l’assassinio di Lumumba in Congo – regolarmente eletto come i successivi assassinii di Allende in Cile o Joao Goulart in Brasile – ha causato un trauma non solo politico infame, che ha macchiato di sangue il Belgio o gli USA e l’intera Europa, quanto anche psico-culturale le cui conseguenze sono inimmaginabili  o comunque difficilmente verificabili empiricamente. Le celebri analisi di Franz Fanon arriveranno più tardi sulla scia della guerra di liberazione algerina, che di nuovo la Francia come potenza coloniale coagulata intorno ai pieds noirs ha cercato di soffocare, e De Gaulle è arrivato solo quando era chiaro persino ai moderati che mantenere i territori detti metropolitani sarebbe stato impossibile.

Ma l’assassinio crudele di Lumumba rappresenta il momento chiave dei cuori di tenebre irrisolti del colonialismo. Bisogna riprendere la Storia da quel sangue versato, mai affrontato dal diritto euro-internazionale per l’eccesso di interessi economici e strategici incorporati da un Presidente liberatore e per questo eliminato. Il caos organizzato successivamente non solo in Congo fu e ancora è il risultato compulsivo e irrisolvibile di quel delitto, la matrice di ogni violenza coloniale che minaccia l’impossibilità al mutamento persino seguendo quelle che dovrebbero essere le regole europee della democrazia.

81wpy31gl-_uf10001000_ql80_Lumumba è il fantasma che si aggira per l’Europa

Quando da qualche anno è iniziato un processo politico e culturale basato sulla de-colonizzazione (Rita Segato, Quijano, Mignolo), specialmente nelle aree latino-americane,  il silenzio dei governi e delle opposizioni europee su tale questione rende la prospettiva di una Unione Europea unificata in senso federale del tutto monca, anzi almeno per me inaccettabile.  Un celebre libro di  Eduardo Galeano Le vene aperte dell’America Latina ha commosso e agitato sin dal 1971 i processi di liberazione nel sud America fino ad arrivare nelle sensibilità di non pochi europei, fino alle accese posizioni recenti a carattere de-coloniale. 

Le vene aperte delle Afriche continuano a sanguinare e a irrorare le anime belle dei politici e persino dei manifestanti in buona fede  che accorrono in nome dell’Europa Federale. Ma quale Europa? Non si può costruire una nuova Europa senza affrontare e se possibile risolvere le vene sanguinanti che irrorano il fiume Congo, che farebbero impallidire Marlow.

Europa potrebbe unificarsi in senso federale se avesse la forza di una auto-analisi sul passato che è ancora presente e sui presenti attuali che non possono ignorare i processi de-coloniali, non certo per moralismo, ma solo in quanto si costruisce un futuro libero se si è liberi. Personalmente non sono libero se l’ Europa si chiude in fortezza, se non è aperta ai flussi identitari di soggetti diasporici che arrivano da ogni parte per mutare vita e identità, affini a quelli che nati da queste parti stanno decidendo di transitare al di fuori dei confini e delle strettoie eu-identitarie. Se si sostiene la pessima retorica che Grecia e Roma per prime, poi Francia e UK, assieme a Spagna e Germania, hanno disegnato il profilo della cosiddetta  civiltà europea, io scappo. L’Europa che mi attira o è porosa o non è.

Porosa significa un’Europa aperta ai flussi esterni, culturali e diasporici, curiosa, pronta allo stupore dell’altro per quanto diverso possa essere o presentarsi, un’Europa forata  dall’estraneo, dallo straniero, dal diverso. Un’Europa, insomma, non a carattere nazionalista-continentale, superba di un passato che ha tante ombre quante luci e chiaroscuri indefinibili, rinchiusa in un passato dubbio, con cui non sembra voler fare i conti con la ferocia del colonialismo vecchio e nuovo, dove persino i missionari cattolici e protestanti hanno deculturato popolazioni indigene conquistate nei territori materiali e nelle anime immateriali.

Colinia Cecilai , 1938 ca.

Colonia Cecilia , 1890 ca.

Amerei vedere i fratelli Gracchi come esemplari per praticare e diffondere una cittadinanza transitiva e non esclusiva, sentire le ingenuità di Senofonte che viaggia all’esterno della sua Grecia per capire usi e costumi diversi nelle sue istorie; ammirare la splendida giovinezza tagliata da morte prematura  di quell’amico esemplare di Montesquieu che già parlava  della “servitù volontaria” con La Boétie; accompagnare i viaggi inesausti di Alexander von Humboldt che transitava per le Americhe alla ricerca del senso scientifico della natura, così bella perché diversificata; ammirare lo spagnolo Pablo Picasso che rappresentava l’Europa distrutta e urlante dalla tecnica bellica.

La costellazioni di autori “miei” – o meglio “nostri” – si potrebbe allungare inserendo tanti altri personaggi nel campo delle arti o delle scienza che avevano una passione libertaria non rinchiudibile nello status quo. Lo Stato quo. Se non li conoscete, sono quegli anarco-socialisti che costruirono Colonia Cecilia, fondata in Brasile  secondo  principi repubblicani nel sottrarre al colonialismo la sua matrice linguistica (colonia) per farne un modello, uno dei tanti, che incorpora l’Europa da cui fuggire per poterla ri-costruire o ri-sognare come Cecilia. 

Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025

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Massimo Canevacci, docente di Antropologia Culturale presso l’Università di Roma “La Sapienza”, come Visiting Professor è stato invitato in diverse università europee, a Tokyo (Giappone), Nanjing (China). Dal 2010 al 2017, è stato Professor Visitante in Brasile:  lorianôpolis (UFSC), Rio de Janeiro (UERJ), São Paulo (ECA/USP – Instituto de Estudos Avançados IEA/USP). Tra i suoi libri: La Linea di Polvere. Meltemi, Milano, 2017; Meta-feticismo, Roma, Manifesto Libri, 2022; Stupore Indigeno, Napoli, Mar dei Sargassi, 2023;  Cittadinanza Transitiva, Milano, Meltemi, 2024.

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