
Il vialetto del Cimitero Nuovo di Chongos Bajo durante il rituale di Tullupampay (ph. M. Cristina Pantellaro)
di Maria Cristina Pantellaro, Elia Otero Santiani [*]
Un campo nascente
In questo scritto si intende restituire una descrizione della fase di avvio di una ricerca etnografica svolta a Huancayo (nelle Ande peruviane) realizzata con lo scopo di indagare il culto dei defunti, e di approfondire le modalità di rappresentazione e le pratiche messe in atto dagli abitanti, durante i tre giorni celebrativi (1, 2, 3 novembre) de «Día de los Muertos». Nello specifico, si è inteso esplorare il «rituale di Tullupampay» che si svolge ogni anno il 3 novembre in Chongos Bajo, distretto della provincia di Chupaca nella regione di Junín. In questa occasione, oltre cinquanta famiglie portano i teschi dei loro antenati, le ‘calaveritas’, con i quali non hanno necessariamente legami di parentela pur definendoli tali, al Cimitero Nuovo di Chongos Bajo presso il quale viene svolta una celebrazione cattolica. Le famiglie che nel corso dell’anno conservano i teschi in altari domestici provengono da diversi villaggi limitrofi in Chongos Bajo e partecipano alla celebrazione con l’intento di far ‘ascoltare’ la messa ai propri antenati, come atto di cura e di benedizione.
La scelta di questo tema di ricerca deriva da una affinità di contesti e di ambizioni comparative tra il rituale di Tullupampay e il culto delle anime del Purgatorio a Napoli (Cfr. De Matteis, Niola 1993; Niola, 2003; Van Loyen 2020). Nel 2017 ho iniziato a lavorare sulle edicole votive di alcuni quartieri di Napoli (prima Pendino e successivamente i Quartieri Spagnoli), che sono diventate oggetto di ricerca dottorale nel 2019.
Il mio progetto di dottorato ha previsto una analisi del corredo materiale che si trova all’interno delle edicole votive, con particolare attenzione alle foto di defunti, la cui presenza e gli atti di preghiera a questi rivolti vengono di frequente enfatizzati nei casi in cui la morte è avvenuta tragicamente. Le foto che generalmente si trovano nelle nicchie destinate alle ‘anime del Purgatorio’, sempre presente al di sotto dello spazio nel quale vengono esposte le figure sacre, oggi hanno via via sostituito quegli elementi che hanno caratterizzato il culto per molti decenni: statue di terracotta di figure femminili e maschili, avvolte per metà dalle fiamme, e teschi o frammenti di ossa.
Il culto delle anime del Purgatorio sorge intorno al 1600 quando una nuova Chiesa controriformata [1] propose la cura delle anime dei defunti come pratica religiosa per stabilire un legame tra vivi e morti: i credenti attraverso messe e preghiere in suffragio del defunto contribuiscono all’ascesa delle anime in Paradiso assicurando loro il refrigerio (refrisco) dalle fiamme del Purgatorio [2]. Nel tempo, oggetto di particolare attenzione diventano le anime anonime e abbandonate, sepolte nelle fosse comuni, che non hanno beneficiato dei riti di compianto. Il rapporto si stabilisce attraverso l’adozione di un teschio, nel quale secondo la tradizione risiede l’anima del defunto, che viene scelto, accudito e custodito in apposite nicchie.
L’anima pezzentella (dal latino petere, chiedere per ottenere), detta anche capuzzella, invoca il refrisco, l’alleviamento della pena, e colui che la ‘adotta’, mediante pratiche di cura, contribuisce alla sua ascensione e, in un rapporto di reciprocità, in cambio chiede la ‘Grazia’ [3] e la protezione per sé stesso. All’interno delle edicole votive, ancora oggi, restano tracce della presenza delle ossa di defunti, sebbene il culto sia stato soggetto a restrizioni e divieti da parte della Chiesa cattolica nella seconda metà del secolo scorso [4] con un intervento di musealizzazione di alcuni dei luoghi più agentivi e rappresentativi in cui esso ha avuto la sua massima espressione [5].
Di guardare al culto di Tullupampay mi è stato suggerito da Elia Otero Santiani, collega e amica, antropologa peruviana che si è formata all’Università Sapienza di Roma e che per molti anni ha vissuto in Italia per poi trasferirsi nuovamente nella propria città di origine, Huancayo e insegnare le discipline antropologiche presso l’Universidad Nacional del Centro del Perù (UNCP) (https://uncp.edu.pe/). Grazie alle sue indicazioni, oltre ai riferimenti bibliografici, ho trovato sul web alcune interviste [6] ai custodi delle calaveritas di Chongos Bajo. In particolare, a colpirmi è stata la testimonianza di una donna che racconta di aver ricevuto in sogno la visita dell’uomo a cui appartiene il teschio di cui è la custode: “Se acercò en mi sueño un señor y me dijo nunca me llames calavera, yo me llamo Rafael”. Testimonianza la cui costruzione linguistica corrisponde esattamente alla dichiarazione di Carmela che si prende cura di un teschio che custodisce all’interno di una edicola nel quartiere Pendino che è apparso in sogno alla nonna (da cui lo ha ereditato) per comunicarle il suo nome: Pasquale (Cfr. Pantellaro 2021). L’attribuzione del nome nell’ambito del culto delle anime del Purgatorio ha una funzione molto importante perché è proprio attraverso questo atto, che sottrae la capuzzella all’anonimato e consente la ‘personalizzazione’ delle preghiere destinate a quel defunto in particolare, che rende possibile, insieme ad altri atti di cura, l’ascensione al Paradiso. Capuzzella che corrisponde a calaveras.
È stato proprio a partire da queste informazioni preliminari che ho deciso di approfondire etnograficamente il rituale di Tullupampay in correlazione con il culto delle anime del Purgatorio. La relazione di lungo termine e lo scambio intellettuale con Elia Otero Santiani hanno arricchito e facilitato le attività di ricerca e ci tengo a ringraziare la collega per aver accolto con interesse e spirito estremamente cooperativo la proposta sino a farla diventare un terreno condiviso di indagine. A sostegno di questa iniziativa Elia Otero Santiani ha coinvolto il Colegio Profesional de Antropólogos – Región Centro [7], un’associazione professionale di cui è vicepresidente, nella quale convergono docenti e studenti della UNCP e ha reso possibile la partecipazione al lavoro sul campo di 8 giovani studiose e studiosi: Maicol Brani Gente Alanya, Heidy Daniela Zevallos Contreras, Xiomara Johana Torres Narvaez, Maritza Saida Cabrera Nieto, Luis Miguel Aranda Marcos, Flavio Italo Conozco Poma, a cui si sono aggiunte María José Arzola Arévalo e Katherine Nicole Callo Quispe. Questa ricerca è quindi frutto di un prezioso lavoro partecipato e co-autorale ed è stata, inoltre, inserita tra le attività previste nell’ambito della Missione Etnologica per il Sud America del Ministero Italiano degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) [8].
Cenni metodologici e gruppo di lavoro
Nei giorni precedenti alle celebrazioni del Día de los Muertos con Elia Otero Santiani abbiamo svolto riunioni con gli studenti e le studentesse della UNCP per mettere a punto le modalità di ricerca sul campo ed elaborare il programma di lavoro. Il rituale avrebbe dovuto essere documentato attraverso strumentazione digitale (foto-audio-video) e la somministrazione di brevi interviste non strutturate, destinate a coloro che custodiscono i teschi, per approfondire alcuni aspetti salienti del culto e consentire di raccogliere medesime informazioni e poterle comparare con le risposte di tutti gli intervistati. In particolare, gli elementi sui quali abbiamo scelto di soffermarci sono stati i seguenti: la raccolta di alcune informazioni sui custodi (una breve storia di vita, in riferimento ai dati anagrafici, la professione, la provenienza); la ricostruzione di genealogie attraverso i nomi dei defunti e del grado di parentela, qualora venisse riscontrato poiché, come è già stato detto, non tutti i teschi che vengono presi in custodia sono imparentati con coloro che li detengono; la descrizione dell’offertorio e della motivazione della scelta degli elementi che lo compongono; le modalità di cura, nella vita quotidiana e in occasione dell’evento rituale; il rapporto tra custodi e defunti (forme di dialogo e di reciprocità); il luogo domestico nel quale la calaveritas viene custodita. Abbiamo inoltre previsto la documentazione della funzione cattolica.
Per la raccolta delle testimonianze ci siamo quindi suddivisi in cinque gruppi e in totale abbiamo realizzato 21 brevi interviste che verranno restituite parzialmente nelle pagine seguenti. Mi preme puntualizzare che questa iniziativa rappresenta un momento iniziale di lavoro sul campo e che ai custodi delle calaveras è stata richiesta la possibilità di poter proseguire in altre sedi.
Il 3 novembre il Cimitero Nuovo di Chongos Bajo si affolla di giornalisti, di storici locali, di studiosi universitari (noi facciamo parte di questa moltitudine) che si approssimano ai gruppi di parenti, fotografano, interrogano. Non può considerarsi il momento ideale per stabilire una relazione di intimità con i nostri informatori con i quali, per queste ragioni, ci siamo intrattenuti con brevi momenti di conversazione, concentrandoci sulla partecipazione e l’osservazione dell’evento. Tuttavia, molte informazioni interessanti sono emerse.
Nei giorni successivi, a Huancayo i membri del Colegio hanno organizzato un incontro [9] in occasione del quale sono state presentate le prime riflessioni sulla documentazione raccolta nel corso della ricognizione del rituale di Tullupampay. L’incontro è stato svolto in maniera partecipata con il contributo di studiosi locali e del gruppo di ricerca. Tra questi hanno partecipato: Elmer Segura, Fred Goitendía, Ruben Vila.
Inoltre, per approfondire ulteriormente il culto del Día de Los Muertos il primo e il secondo giorno del mese di novembre, accompagnata da Elia Otero, ho avuto la possibilità di visitare alcuni cimiteri di Huancayo: il Cimitero Centrale, il Cimitero Ecologico, il Cimitero di Wichu Cruz, con l’intento di documentare visualmente le modalità di celebrare i defunti, attraverso l’osservazione delle commemorazioni, le forme rituali e le lunghe riunioni di familiari e amici che cantano, ballano, mangiano e bevono in prossimità delle tombe dei propri parenti defunti. Questa attività mi ha permesso di raccogliere molte informazioni propedeutiche alla riflessione sulle rappresentazioni all’interno delle nicchie mortuarie che spesso ricordano le commemorazioni delle edicole votive napoletane.
Qualche riferimento al culto di Tullupampay
Nell’area andina, le culture preincaiche del Periodo Intermedio Tardío (1100 – 1470 d.C.) esprimevano la loro religiosità attraverso un complesso sistema di divinità, tra cui spiccavano i defunti mummificati, in quechua i mallqui, che «sono le ossa o i corpi interi dei loro progenitori gentilizi – che avevano – i loro sacerdoti e ministri particolari» (Arriaga 1999). I mallqui erano considerati progenitori e antenati sacri dell’ayllu (era l’unità sociale, politica ed economica andina con legami di parentela e costituita in un territorio (Spalding 2008: 277). Erano anche considerati progenitori regionali, come nel caso del mallqui Macahuisa, figlio della divinità regionale degli Yauyos, Pariacaca (Taylor 2008: 87 – 89). I mallqui divinizzati conservati nelle grotte o machay del territorio degli ayllu – menzionati dai sacerdoti cattolici che estirparono ciò che loro consideravano idolatria – venivano trovati “accovacciati” dove venivano loro dedicati rituali collettivi con offerte in base allo status politico che avevano avuto in vita (Polia 1999; Taylor 2008; Arriaga 1999).
Le offerte consistevano in «piatti per dare loro cibo e bevande – tecti, sancu, coca, chicha – che sono mates, e bicchieri, alcuni di argilla, altri di legno e talvolta di argento e conchiglie». (Arriaga 1999). A i mallqui la comunità concedeva e riconosceva gli attributi che venivano trasmessi attraverso il cama o camaquen, che era la forza vitale; prevedevano e comunicavano la prosperità economica di un anno di buon raccolto, oppure no. Durante il periodo coloniale, i mallqui comunicavano anche ai loro sacerdoti l’esito dei problemi legali che il loro ayllu doveva affrontare (Taylor 2008; Spalding 2008). I rituali dedicati ai mallquis esprimevano il rinnovo della protezione verso il gruppo, verso gli ayllus, attraverso un’interazione fluida e costante con i viventi attraverso i rispettivi sacerdoti.
Nel XVI secolo, con l’imposizione del monoteismo attraverso violente politiche di distruzione delle religioni indigene fondate dalla Chiesa cattolica, i rituali dei Mallquis vennero smembrati. Attualmente, i rituali per i defunti in Perù sono il risultato di una fusione, a diversi livelli, tra i rituali andini di origine preispanica e quelli imposti dal cattolicesimo europeo, che ha istituito la festa di Tutti i Santi e il Giorno dei Morti il 1° e il 2 novembre. In Chongos Bajo, l’attuale rituale Tullupampay sarà una continuazione del rituale collettivo dei Mallquis? [10] Nel corso del tempo, le commemorazioni e i rituali per i defunti si sono trasformati. Oggigiorno, la comunicazione o l’interazione con i defunti hanno una connotazione più familiare o individuale che collettiva, come dimostra il rituale del Día de los Muertos nel distretto di Chongos Bajo chiamato tullupampay. Fino al 2021, il rituale del tullupampay veniva eseguito nel vecchio cimitero della città; nel 2022 il rituale continuerà nel nuovo cimitero.
Secondo il professor Agustín Castro Rodríguez [11], questo rituale avrebbe avuto inizio nel secolo scorso, con l’esecuzione della faena comunal obbligatoria indetto dalle autorità della comunità contadina e dal municipio; nei giorni precedenti del 1° novembre i membri della comunità dovevano pulire il cimitero; per il giorno previsto per la pulizia, le donne preparavano la chicha nei porongos, altri portavano coca e llipta che condividevano, masticandole tre volte durante il lavoro di pulizia; altri partecipavano anche con la musica al suono della tinya; i membri della comunità con i rispettivi attrezzi pulivano e riparavano la tomba dei loro defunti, portavano le croci alle loro case e le restituivano ridipinte, solitamente di colore marrone o nero con bianco. Durante la pulizia generale, le ossa trovate sulle superfici del cimitero vennero poste su una coperta, ma per loro trovare calaveritas “era un tesoro”, “era un colpo di fortuna”, così li portarono a casa. Il 30 ottobre preparavano un tavolo per questi calaveritas, era un altare, poteva essere sul pavimento o su una tavola, dove le calaveritas con i loro chullos venivano circondati da offerte chiamate churacuy: tanta guaguas, frutta, dolci, piatti preferiti del defunto, chicha, fiori venivano velati e rimanevano fino al 1° novembre. Secondo la loro credenza venivano assaggiati dall’anima del parente che andava a far visita, il 2 si potevano consumare le offerte del churacuy, mentre si pregava. Il 3 si teneva una messa speciale al cimitero. Le donne portavano i loro piccoli teschi alla messa nei loro quipe. I teschi vennero adagiati sulle mantas, ma alla messa venne portata anche la manta su cui erano state raccolte le ossa il giorno della pulizia del cimitero. In precedenza, era stata scavata una buca vicino al luogo dove è stata celebrata la messa dove, dopo la messa, i comuneros depostositavano le ossa dalla coperta, una volta benedette.
L’esperienza etnografica del 3 novembre a Chongos Bajo
Il 3 novembre, nel cuore del cimitero Nuovo di Chongos, alla fine di un vialetto che conduce a uno spiazzo con una tettoia, viene allestito un altare, un tavolo apparecchiato con una candida tovaglia bianca, un leggìo, i testi sacri e altri oggetti religiosi, presso il quale il prete, accompagnato da due chierichetti, celebra la messa organizzata dalla Parrocchia dell’Apostolo Santiago de Chongos Bajo. La messa inizia a mezzogiorno e, nell’attesa, il vialetto lentamente si riempie di donne, principalmente anziane, che siedono per terra, su un sottile gradino che le separa dal selciato, per allestire i loro altari provvisori. Molte indossano l’abito tipico del proprio villaggio di provenienza (generalmente una gonna a campana, un maglione di lana, un cappello e in alcuni casi le trecce). Con tranquillità dispongono davanti a sé un tessuto su cui poggiare la calaveras oppure il contenitore di protezione (solitamente di legno) nel quale viene custodita, e ‘allestiscono’ l’ofrenda, composta da oggetti (commestibili e non) che denotano aspetti peculiari del defunto.
Secondo quanto documentato da María José Arévalo Arzola e Katherine Nicole Quispe Callo [12], nel suo discorso iniziale, il sacerdote esprime un certo ‘scetticismo’ verso questa pratica, sottolineando che i resti dovrebbero riposare sottoterra e «nella pace del Signore». Tuttavia, celebra la messa in onore di questi defunti, ricordando l’importanza della fede cattolica ed evidenziando che per i familiari questa celebrazione rappresenta un promemoria simbolico del compleanno di questi ‘muertitos’, un modo per onorarli e dimostrare loro rispetto. La messa si articola in due parti principali, la Liturgia della Parola e la Liturgia dell’Eucaristia: un Canto di ingresso, un saluto liturgico, l’Atto di penitenza (Confesso) recitato dai partecipanti; una prima lettura relativa alla resurrezione dei morti e al riposo eterno a cui segue il canto dell’Alleluia. Il sacerdote durante l’Omelia associa i contenuti delle letture alla vita quotidiana dei fedeli, ricordando che attualmente la Chiesa cattolica sta perdendo fedeli e che è importante dedicare tempo a Dio; segue la liturgia dell’Eucaristia con la consacrazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo. Il sacerdote invita i fedeli a scambiarsi un gesto di pace, e spezza l’ostia consacrata, ma nessun fedele si avvicina durante il momento della comunione. Durante la messa sottolinea l’importanza della fede cristiana e la necessità di rafforzarla attraverso le ‘missioni’ che verranno sostenute grazie alle offerte in denaro raccolte durante la cerimonia. Prima dell’inizio della messa, infatti, i familiari si approssimano al tavolo della funzione per scrivere i nomi dei defunti su un quaderno e consentire al sacerdote di poterli menzionare durante la celebrazione e fanno la propria offerta.
Alla fine della messa il sacerdote percorre il vialetto nel quale sono stati esposti i teschi e con un fiore che immerge costantemente in un contenitore di acqua santa li benedice insieme a tutte le persone presenti. I chierichetti che lo accompagnano raccolgono i frutti che compongono l’ofrenda e altri contributi economici. In conclusione, viene svolto il rituale noto come Tullupampay: il sindaco mostra ai partecipanti, estraendoli da una scatola, dei resti umani che sono stati trovati durante la realizzazione di lavori edili e dopo la benedizione del sacerdote si recano in una zona del cimitero vicina allo spazio nel quale si è tenuta la messa per seppellirli e restituirli alla terra da cui, secondo le parole del prete, sono originari. Secondo il professor Agustín Castro Rodriguez, come menzionato nel paragrafo precedente, questo rituale di seppellire le ossa dopo la messa risale al secolo scorso.
Testimonianze
Proporremo di seguito alcuni stralci di interviste realizzate dai componenti del gruppo di ricerca in lingua originale per riflettere, preliminarmente, sui risultati della nostra esperienza etnografica. Il primo aspetto che è stato indagato si riferisce alla identità della calaveritas: Chi sono? A chi appartengono i teschi di cui si fanno custodi? Dalle testimonianze emerge che appartengono ai familiari dei custodi, sono spesso i genitori, talvolta i suoceri, i fratelli, in sintesi, i parenti stretti, ma sono anche resti di persone che non hanno mai conosciuto e che sono stati ritrovati nei cimiteri nei quali sono seppelliti i propri defunti, come nel caso di Reina che scambia la calaveras con tre bottiglie di birra, oppure in prossimità di luoghi in cui si svolgono attività lavorative, come nel caso di Karina. Per comprendere meglio questo aspetto bisognerebbe approfondire le modalità di sepoltura dei cadaveri e perché si trovano così frequentemente ossa disperse sui terreni (cfr, Mackinson, 2018; Grisales 2017; Pinto Saravia, 2016; Torres 2006). I testimoni spesso, pur non avendo vincoli di parentela con la calaveritas attribuiscono il termine Abuelito (nonno, nonnino) o bisabuelo (bisnonno) collocando il defunto nella categoria dell’antenato, dell’avo che sembrerebbe richiamare la somiglianza del rituale del mallquis con il culto dei Lari.
La costruzione di edicole votive per divinità minori, ad opera di famiglie e associazioni era già presente nei culti della religione greca. Durante il periodo ellenistico molte case di Napoli ne avevano di assai simili a quelle contemporanee. Le edicole sono state inoltre associate ai culti degli antenati della religione dei Romani (ricche testimonianze a Paestum, Pompei, Ercolano) dei Lari. Nel lararium, altare a forma di tempietto collocato all’interno dello spazio domestico venivano praticati sacrifici e recitate preghiere rivolte alle divinità protettrici della casa (Lari), della famiglia (Penati) e agli spiriti degli antenati defunti (Mani). La famiglia, per celebrare i riti religiosi legati alla nascita, al matrimonio e alla morte, veniva guidata dal Pater familias [13].
Nel caso di Reina il defunto le giunge in sogno per comunicarle il suo nome Guillermo, rivendicando la sua identità quando era in vita. Nel caso di Karina, per esempio, custodisce una calaveras che ha trovato il padre mentre pattugliava nella foresta negli anni ‘80 del secolo scorso, periodo di terrorismo. Lo conserva per affetto e per eredità ricevuta dal padre defunto. Karina ha costruito una teca molto singolare ricavata da un casco rosso da motociclista, sotto il quale ha posto una base di legno e ne conosce il nome: una donna, Azuleia che protegge la sua casa. In altri casi vediamo che insieme agli antenati vi sono altre figure, giovani nel caso di Maria, e che la parentela non sembra il motivo principale per custodire e accudire la calaveras.
REINA: Ah, eso fue en el cementerio, cuando enterraron a mi papá. Un señor se la encontró y dijo: “Les cambio por tres botellas de cerveza.”
X.N.: ¿Y aceptaron el cambio?
REINA: Sí, le dimos las tres botellas y me la llevé a mi casa.
L.A.: ¿Y cómo le puso el nombre?
REINA: Al principio le puse abuelito, pero no era su nombre.
X.N.: ¿Cómo lo supo?
REINA: En mi sueño me lo reveló. Se me apareció un señor alto, patilludo, gringo, me agarró y me dijo: ¿Por qué me has puesto Abuelito? Yo no me llamo así, yo me llamo Guillermo.
L.A.: ¡Ah, se le presentó en su sueño!
REINA: Sí, en mi sueño me lo dijo claramente.
X.N.: Entonces, desde ahí, se llama Guillermo.
REINA: Sí, pero no sé si fue mi familia o no.
(Luis Miguel Aranda Marcos, Xiomara Torres Narvaez; Entrevistada: Reina García Justo – 52 años)
C.L.: Mi mamá, su mamá.
E.O.: Ah, ya, de tu mami, su mamá. ¿Ella era de aquí?
C.L.: No, de Chupaca.
E.O.: Ah, de Chupaca.
(Maicol Gente Alanya, Elia Otero Santiani; Entrevistada: Celedonia Elguera)
C.P.: ¿Su nombre?
A.L.: Es mi bisabuelo.
(Daniela Zevallos, Cristina Pantellaro; Entrevistada: Aurora Lermos Cerrón)
MARÍA: Es mi abuelito.
L.A: Ay, pero también vemos, por ejemplo, una calaverita que parece de un niño, ¿verdad?
MARÍA: Calaverita niña, se llama Inés.
X.N: Ah, Inés.
L.A: ¿Y esta otra?
MARÍA: Se llama Bartolomeo.
X.N: Ah, Bartolomeo e Inés.
L.A: ¿Inés es de aquí?
MARÍA: No, ella es ayacuchana.
X.N: ¿Fue encontrada en Ayacucho?
MARÍA: Sí.
L.A: ¿Y la otra calaverita?
MARÍA: También es de mi abuela.
(Luis Miguel Aranda Marcos, Xiomara Torres Narvaez; Entrevistada: María Luz Vera)
K.A.: Esta calaverita es de mi papi, él se encontró cuando estaba en la selva patrullando, y si, lo que él contaba, era que esta calaverita lo protegía, protegía su base pues no, que gracias a Dios nunca paso nada, llego sano y salvo y ya lo trajo a la casa cuando vino a trabajar acá porque antes trabajaba en la selva, en esa época del terrorismo.
F.C.: ¿Tu papá sigue vivo?
K.A.: No, mi papá falleció hace 3 años.
F.C.: En honor a él lo tienes entonces.
K.A.: Sí, sí, sí. Él era el que le hizo prácticamente esta urnita, él era el que le trataba bien, el que tenía fe y bueno digo ahora que me lo deja tengo que continuar pues no, no, conozco mucho del tema de las tradiciones, pero ahí, siempre reservándole que va a cuidar la casa porque eso es lo que ha pasado, pues no, cuidar la casa […]y como que todas las casas empezaron a robar, hubo un tiempo que empezaron a robar, y mi casa no, mi casa no robo. Entonces, incluso la vecina vino, nos dijo, si habíamos escuchado, nosotros estábamos de viaje y decíamos no, seguro Azucena, y le puso el nombre, pues, Azucena.
F.C.: ¿Cómo se llama?
K.A.: Azucena
(Flavio Italo Conozco Poma; Entrevistada: Karina Atencio – 30 años)
Dalle testimonianze dei custodi non sembra vi sia un luogo domestico convenzionale in cui porre le calaveras. Alcuni le tengono nella propria camera da letto, altri su un tavolino dedicato, su una finestra, oppure in un angolo del proprio soggiorno. In tutte le circostanze viene comunque allestito una sorta di altare sul quale i custodi dispongono degli oggetti: nella maggioranza dei casi si accende una candela in particolari giorni della settimana stabiliti dai custodi, sembrerebbe arbitrariamente. Tra le offerte menzionate in modo ricorrente: fiori, frutta, piccole pietre, i dolci tipici della festa dei defunti. In alcuni casi, vengono recitate delle preghiere mirate alla richiesta di protezione della casa. Una delle prerogative dei teschi è quella di incutere paura e per questa ragione vengono sottratte alla vista dei visitatori, e ‘abbellite’ con l’utilizzo di involucri, generalmente chullos, chullito, gorrito, cappelli tipici della tradizione di Huancayo.
L’intento è quello di sottrarre allo sguardo la nudità del resto osseo e la mostruosità della morte. Coprire il capo della calaveras ha inoltre la funzione di proteggerlo dal freddo come spesso sottolineato dagli intervistati. Se nel culto delle anime del Purgatorio le capuzzelle sono generalmente in Purgatorio avvolti dalle fiamme e devono essere ‘rinfrescate’ (il refrisco) in questo caso, è al contrario il freddo, l’elemento dal quale il defunto deve essere confortato.
L.A: ¿Ese cajoncito está en su sala?
REINA: Sí, en una parte.
X.N: ¿En una esquinita?
REINA: Sí, en una esquinita.
L.A: ¿Como un altarcito?
REINA: Ajá.
X.N: ¿Y en ese altarcito siempre le pone velitas?
REINA: Sí, sus florcitas, sus velitas, de todas maneras.
L.A: ¿Y cómo es la conexión con la calaverita? O sea, la tiene en el altarcito, pero ¿cómo se comunica con ella?
REINA: Tienes que pedirle, como si le estuvieras pidiendo a nuestro Señor.
X.N: ¿Como si fuera una oración?
REINA: Sí, hay que rogarle también para que cuide la casa y la familia.
(Luis Miguel Aranda Marcos, Xiomara Torres Narváez; Entrevistada: Reina García Justo – 52 años)
F.O.: Es una tradición; en vez de fruta le ponemos canchita. Aunque en casa también frutita le ponemos; a veces manzana, naranja, de todo lo que hay en la mesa se lo traigo también; a él se le da de todo. Ahorita está en trenzado de choclo que mi hija le ha hecho bonito para que se sienta, del tiempo que tenía de la mazorca, y lo ha trenzado ahí se sienta. Él tiene diario su cigarrito, su piedrita. Le ponemos clavelitos, en casa hay y esa florcita le pongo; se lo cambio.
(María José Arévalo Arzola, Katherine Nicole Quispe Callo; Familia Olivera)
C.P.: ¿Los conocía?
H.G.: No a ninguno, así como cráneo nomas
D.Z.: Me mencionaba que estaba en su casa. ¿Está al costado de alguna cruz o imagen católica?
H.G.: No
D.Z.: Están aparte y ¿por qué lo puso?, porque vi que otros lo ponen al costado de Jesucristo. Usted ¿porque lo tiene alejado?
H.G.: porque uno para que no se asusten los visitantes, prefiero tenerlo en un cuarto donde nadie lo vea, cuando tenga acceso solo, los visitantes por ejemplo se asustan, por tanto temor y otros creen que ya es otra cosa.
(Daniela Zevallos, Cristina Pantellaro Entrevistado: Helen Guillermo)
F.C.: Eso no sabía, mamita. ¿Y ellos cuando tú duermes? ¿Te Protegen?
Anónimo 2: Sí. Cuando duermo.
F.C.: ¿Usted dónde lo guarda exactamente, en su casita?
Anónimo 1: Tiene su capillita especial hecho de madera, yo lo arme. Solo lo traje en caja de zapatos.
F.C.: ¿Y usted cómo lo cuida? ¿Cómo lo preserva?
Anónimo 1: Ah, yo lo cuido bastante. Yo para su misa lo he bañado todo bien bonito. Sí, yo le tengo limpio.
Anónimo 2: Uno de allá de Huachac, bien pintadito. Con su cigarro, le trae un cigarrito.
Anónimo 1: Cigarro también fuma bonito. Mi yerno le da su cigarro.
Yerno del anónimo 1: Mi abuelo fuma conmigo. Cada vez cuando lo velamos, lo pongo un cigarro ahí. Sin el viento lo termina.
Anónimo 2: A mí no me lo termina (el cigarro)
F.P.V.: Coquita o cigarro; tiene su piedrita. Cuando vino rateros y mi padre estaba delicada de salud llegaba a las 12 de la noche, me iba a dormir; me levanto de improviso y veo que la escalera de la calle estaba poniendo para que entre y le digo “¿Y tú qué haces? ¿Para qué estás acá? ¿No me puedes defender?”; entonces veo sus piedras que tiene y le digo “Entonces préstame” y empecé a gritarle al ratero palabras soeces y se fue y pensé y le dije “Bueno, me has hecho despertar, gracias”.
¿Qué otras cositas tienen?
Sus gorritos, para que no le haga frío; tiene varios chullitos.
¿Le pone flores?
Sí, le ponemos flores, cualquiera; como está al lado de mis otras imágenes le ponemos también.
(María José Arévalo Arzola, Katherine Nicole Quispe Callo; familia Palacios Vásquez)
La maggior parte degli intervistati raccontano di dialogare e di aver ricevuto le visite dei defunti in sogno. Quando dialogano generalmente è per chiedere la protezione della casa dai furti, ma condividono anche momenti della vita quotidiana, e si rivolgono a loro per avere consigli e per raccontare i propri problemi. In caso di pericolo vengono ‘avvisati’ da questi protettori e difesi con azioni concrete. Le testimonianze ci raccontano che i vicini o i parenti, in assenza dei proprietari dell’abitazione, hanno visto la presenza alla finestra di qualcuno o sentito rumori o passi. In questo modo assurgono al ruolo di guardiani che si palesano, in assenza del proprietario, per vegliare sulla casa.
¿Nunca le ha dado miedo?
Por qué me va a dar miedo, es mi hermano; al vivo hay que tenerle miedo.
¿Usted conversa con él?
Sí, le digo que cuide la casa; yo tengo historias de él. Mi vecina un día me llama porque yo me fui a trabajar de noche y me dice “¿Por qué has apagado la luz?” “¿Por qué le digo?, yo no he apagado la luz” “Yo te he venido a buscar y me has apagado la luz” “Yo ahorita estoy en mi trabajo” le digo y me dice “Ah, ya sé quién ha sido, el Manuel”. Y otro es que hay vecinos delincuentes que se han querido subir y él se paró en la ventana con un sombrero militar y a mi inquilina dice que le han dicho “La señora no es soltera ¿no?” “¿Por qué?” “Hay un hombre arriba” y decía “Entra para que te mate” iba a decirle que no pero mejor que quede así. Incluso a mi hermana misma le ha pegado, le ha sacado de la casa en su sueño y yo vivo en casa de mis papás, no es mi casa; así a mi sobrina también le ha hecho y cuando vino mi sobrina me dice “Me han jalado mi pelo” “¿Por qué será? ¿Qué habrás hecho?” le digo; así personas que no son gratas los saca.
¿Cada cuanto conversa con él?
Cada vez que salgo “Voy saliendo le digo”.
Aparte de encargarle la casa ¿Le ha hecho alguna otra petición?
Sí, siempre está; o sea tú tienes que confiar en él, mis vecinas me dicen así “De acá de lejitos le pido y me concede”.
(María José Arévalo Arzola, Katherine Nicole Quispe Callo; Familia Olivera).
X.N: Ah, ya. ¿Y cuál es su relación con la calaverita? ¿Tal vez usted le habla?
FELICITA: Ah, sí.
L.A: ¿Siempre tiene comunicación con esa calaverita?
FELICITA: La cuidamos, adoramos, velamos, y le prendemos su cera.
(Luis Miguel Aranda Marcos, Xiomara Torres Narvaez; Entrevistada: Mujer de 83 años – Felicita Fernández)
Anónimo 1: Parece mentira. Cuida la casa. Cuida bastante. Cuando, por ejemplo, hay personas. Yo lo dejo libre en mi casa. Todos del alrededor les roban, de mí no roban. Dice, cuando no estamos. “¿A quién dejas a tu casa? Me dice.” Nadie le digo. “Hacen bulla en tu casa.” Están sonando tinas, lavan ropa, ¿Qué hacen en tu casa?, me dicen.
Anónimo 2: Sí cuida. Yo sí tengo bastante fe. Yo tengo fe. Te cuida bastante. Para que te pase cualquier cosa. También te avisa. Si sucede cualquier cosa te avisa.
Anónimo 2: Te cuenta. Te avisa en tus sueños, ha te cuida.
(Flavio Italo Conozco Poma; Donna di 75 anni e donna di 92 anni)
Anónimo: Dependiendo de lo que le pidas. Si quieres un trabajo, le haces un altar, y él te ayuda.
L.A: Ah, ya entiendo. ¿Y por qué tiene una gorrita ahí?
Anónimo: Es mi propia. Le hemos traído una gorrita como regalo.
X.N: Ah, ok. Entonces, todo lo que uno ofrezca es como parte de ese vínculo con la calaverita.
Anónimo: Así es. A todo lo que tú pidas, él te responde.
(Luis Miguel Aranda Marcos, Xiomara Torres Narvaez; Entrevistado: Anónimo).
M.G.: ¿Cuando usted le habla a la calaverita, recibe respuestas?
E.O.: En sueños, así sueñas, a veces.
C.L.: A veces, soñamos con los muertitos y mandamos a hacer misa comunitaria los domingos, mucho cuando lo sueño. Yo tengo ya dos hermanos fallecidos, uno de la pandemia y uno ya mi hermano, que era planchador. Con tanto golpe, así, se ha encogido. Se murió con los nervios. Y otro le sueño, le sueño. Entonces voy a la parroquia, le digo, ¿me puede hacer la misa de comunitaria? Sí, cada muertito cinco soles, por 25. Mi abuelita, que en su casa mi mamá nos ha criado, como la única hija era, nos ha criado. Y de allá nosotros salimos también.
(Maicol Gente Alanya, Elia Otero Santiani; Entrevistada: Celedonia Elguera)
Conclusioni
In queste pagine non è possibile proporre delle riflessioni più puntuali sul confronto tra i due culti per ragioni di limiti di spazio espositivo. Si tratta di fornire un primo quadro di alcuni aspetti che sono emersi dalla ricerca e che lasciano ampie possibilità di approfondimento (cfr. Navarro Campos, Lopez Cangalaya 2013; Perales, Rodríguez, 2011). Esistono ricerche svolte da studiosi locali con i quali andrebbero comparate le indagini. Mi preme piuttosto dare voce ai giovani studenti/studentesse con i quali ho condiviso questa esperienza etnografica e valorizzare l’aspetto didattico e le riflessioni di coloro che hanno partecipato. Riflessioni nelle quali emerge non solo la ormai consueta attitudine autoriflessiva che caratterizza i contesti di ricerca, attraverso l’approccio ermeneutico, in cui mentre si osserva ‘l’altro’ si acquisisce autoconsapevolezza di alcuni aspetti di sé, delle proprie posture e posizionamenti, e si elaborano i temi in modo più approfondito, ma anche della utilità di fare esperienza sul campo sin dai primi anni di studio.
«A volte la paura e il nervosismo ci paralizzano, facendoci bloccare, ma basta un momento di coraggio per scoprire che siamo capaci di fare più di quanto crediamo. L’antropologia non è solo lo studio delle culture, ma l’incontro tra le persone, tra le loro storie e i loro sentimenti, diventando e vivendo come uno di loro. Ogni conversazione, ogni intervista è un ponte verso la conoscenza che richiede molto impegno e dedizione. E osservando la morte, paradossalmente comprendiamo di più sulla vita, sulla memoria e sul modo in cui il tempo ci plasma» (Maicol Brani Gente Alanya)
«Questa esperienza del cimitero di Chongos Bajo, durante Tullupampay mi ha fatto riflettere profondamente sull’importanza dell’empatia e della sensibilità nella ricerca. Mi ha ricordato che dietro ogni offerta e ogni rituale ci sono storie ed emozioni umane che meritano di essere ascoltate e rispettate. La ricerca non riguarda solo la raccolta di informazioni, ma anche la comprensione e la connessione con le persone e le comunità che stiamo studiando e, in questo caso, con le anime dei defunti onorate in questo giorno. Questa esperienza mi ha insegnato a essere più consapevole del mio ruolo di ricercatore e a essere più attento alle esigenze e ai sentimenti degli altri, soprattutto in un contesto sacro ed emotivo come Tullupampay. Spero di portare questa lezione con me nella ricerca futura e nella mia vita personale» (Luis Aranda Marcos)
«Comprendere il comportamento umano resta uno dei più grandi misteri da risolvere, a causa della vasta storia culturale di ogni gruppo sociale. In questo senso, studiare l’interazione delle persone con la morte ci consente di comprenderne il profondo significato culturale e il modo in cui viene percepita dalle diverse società. Dopotutto, la morte non è solo un fatto biologico, ma anche un fenomeno sociale con un impatto profondo, che ci invita a riflettere sul suo significato nel nostro contesto culturale» (Maritza Cabrera Nieto).
«L’esperienza vissuta durante la messa di Tullupampay a Chongos Bajo mi ha permesso di osservare una profonda manifestazione di sincretismo culturale tra il mondo andino e quello cattolico. Questo rituale funerario non solo onora i defunti, ma riflette anche il modo in cui le comunità rivalutano il corpo e lo spirito attraverso pratiche post-funerali uniche, come la decorazione di teschi umani con offerte e oggetti personali. La Messa, organizzata dalla Parrocchia dell’Apostolo Santiago, diventa un atto simbolico di purificazione e memoria collettiva, dove sacerdote e fedeli convergono in uno spazio di rispetto e di credenze condivise. I racconti degli abitanti del villaggio sui loro teschi come esseri protettivi arricchiscono la comprensione del rituale e del suo contesto. Questa esperienza ci ha permesso di riflettere sulla ricchezza simbolica della morte e su come questa venga ridefinita in ogni cultura» (Flavio Italo Conozco Poma).
Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025
[*] Questo testo è frutto del lavoro di un gruppo di ricerca. Il primo e secondo paragrafo sono stati scritti da Maria Cristina Pantellaro; il terzo da Elia Rosio Otero Santiani; il quarto e il quinto sono il risultato delle trascrizioni degli studenti e delle studentesse che hanno partecipato con alcune riflessioni di Maria Cristina Pantellaro.
Note
[1] Per secoli è stato custodito nell’Ipogeo della Chiesa di Santa Maria delle anime del Purgatorio ad Arco.
[2] Nella tradizione napoletana le anime dei defunti prima di arrivare in paradiso si trovano nel Purgatorio che nella rappresentazione iconografica sembra sostituire l’inferno, con luoghi avvolti dalle fiamme e generalmente rappresentati con il coloro rosso.
[3] La Grazia è una richiesta di ‘aiuto divino’ che, se esaudita viene contraccambiata con atti di penitenza e di impegno verso l’entità a cui è stata rivolta. Solitamente è richiesta ai Santi, e non ai defunti.
[4] Nel 1969 il Cardinale Ursi lo vieta perché era oramai troppo diffuso il ricorrere a resti anonimi, piuttosto che ai santi
[5] La Chieda del Purgatorio ad Arco, si veda https://www.purgatorioadarco.it/; il Cimitero delle Fontanelle, si veda www.cimiterodellefontanele.com.
[6] Realizzato da Francisco Arango e fruibili al link https://www.youtube.com/watch?v=onyu4GtnQVU),
[7] Organizzazione di professionisti che contribuisce allo sviluppo regionale, alla difesa della pratica professionale e alla governance nei dipartimenti di Pasco, Huancavelica, Huánuco e Junín. Il Colegio ha sede a Huancayo, capoluogo della regione di Junín, e della Provincia di Huancayo e città di base per gli spostamenti nelle altre zone del territorio https://www.facebook.com/AntropologosCentro/?locale=es_LA
[8] Il direttore responsabile della missione Etnologica per il Sud America è Alessandro Simonicca che ringrazio per questa opportunità.
[9] È stato svolto un incontro presso il Ministero della Cultura di Huancayo, organizzato dal Colegio Profesional de Antropologos – Region Centro (https://www.facebook.com/AntropologosCentro/?locale=es_LA)
[10] Sebbene nel periodo coloniale Spalding (2008, p. 284) affermi che anche i nativi avevano aspettative individuali nelle consultazioni e nell’interazione con i mallqui.
[11] Intervista al professore Agustín Castro Ro dríguez originario di Chongos Bajo (30 marzo 2025).
[12] Sono due studentesse del gruppo di ricerca della UNCP. Hanno documentato visualmente la celebrazione e realizzato una relazione che la descrive nel dettaglio. Hanno inoltre intervistato alcuni membri delle famiglie custodi delle calaveritas.
[13] I Lari spiriti protettori degli antenati defunti vegliavano sul buon andamento della famiglia, della proprietà o delle attività in generale; i Penati, esseri spirituali, simili agli angeli custodi del Cristianesimo erano gli spiriti protettori di una famiglia e della sua casa (Penati familiari o minori), ed anche dello Stato (Penati pubblici o maggiori) e i Mani erano divinità dell’oltretomba.
Riferimenti bibliografici
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Navarro Campos, C., Lopez Cangalaya, Y., F., 2013, El poder de las calaveras y el ritual del Tullupampay, en la creencia de las familias de Chongos Bajo, tesis, Huancayo – Perú, Universidad Nacional del Centro del Perú.
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Perales, M., Manuel F. Rodríguez A. (2011) Tullupampay descripción etnográfica de un ritual en homenaje a los difuntos en el valle del Mantaro, Junín, Arqueología y Sociedad Nº 23, Museo de Arqueología y Antropología, UNMSM.
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Maria Cristina Pantellaro, Dottoranda in antropologia culturale alla Sapienza, Università di Roma, presso il Dipartimento Saras, con una ricerca sulle edicole votive dei Quartieri Spagnoli di Napoli che ha l’obiettivo di indagare i processi contemporanei dell’abitare popolare nello “spazio pubblico”, attraverso l’analisi di pratiche singolari e plurali (“modi di fare”) e nuove forme di uso dello spazio. Ha conseguito il diploma presso la Scuola di Specializzazione in Beni Demoetnoantropologici della stessa Università. Per molti anni ha lavorato con fondazioni ed enti di ricerca per la realizzazione di progetti, sia a livello nazionale che internazionale, e per indagini antropologiche, nel settore no-profit; gli ambiti di intervento nei quali ha principalmente svolto le attività professionali sono: educazione e formazione, inclusione sociale e cultura. Tra le recenti pubblicazioni: Esperienze di travestimento femminile a Bellizzi Irpino (2020); Graffitismo vs Public Art? Riflessioni sulle trasformazioni di pratiche urbane contese da istituzioni, abitanti e artisti (2021); Edicole votive a Napoli tra memorie contese e pratiche dell’abitare (2021).
Elia R. Otero Santiani, ricercatrice presso l’Universidad Nacional del Centro del Perú, attuale vicepreside del Colegio Profesional de Antropologos – Región Centro del Perù, si occupa di ricerche nell’ambito dell’antropologia del patrimonio culturale, patrimonio bioculturale, antropologia storica, ecologica e religiosa. Laureata nella Facoltà di Lettere e Filosofia in Antropologia Culturale presso l’Università La Sapienza di Roma, con un Master in Filosofia e Interculturalità presso l’Università Roma Tre e un Master in Disegno dell’accoglienza presso l’ISIA ROMA DESIGN. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienze Ambientali e Sviluppo Sostenibile presso l’Università Nazionale del Centro del Perù. Ha condotto e conduce ricerche sulle Ande, presso comunità rurali delle regioni di Lima e Junín in particolare conoscenze tradizionali ancestrali dei popoli indigeni, sulla decolonizzazione del patrimonio museale etnografico e sul processo della religiosità andina di origine preispanica.
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