Nell’estate del 1862 Fëdor Dostoevskij intraprese il suo primo viaggio in Europa, toccando diverse città tra cui Londra e Parigi. Il resoconto di questo viaggio diventerà il libro Note invernali su impressioni estive, libro di racconti e considerazioni sull’Occidente “regno del borghese”. Proprio nel Saggio sul borghese contenuto in questo volume leggiamo le seguenti parole:
«Liberté, égalité, fraternité. Molto bene. Che cos’è la liberté? La libertà. Quale libertà? La libertà, per tutti uguale, di fare quello che si vuole, nei limiti della legge. Quando è possibile fare tutto quello che si vuole? Quando si possiede un milione. La libertà dà un milione a testa? No. Che cos’è un uomo senza un milione? Un uomo senza un milione è colui che non fa tutto quello che vuole, bensì è colui del quale si fa tutto quel che si vuole. Cosa dunque ne consegue? Ne consegue che oltre alla libertà, c’è ancora l’uguaglianza, e precisamente l’uguaglianza davanti alla legge. Di quest’uguaglianza davanti alla legge si può dire soltanto che nelle forme in cui essa viene adesso applicata, ogni francese può e deve prenderla per un’offesa fatta a lui personalmente. Che cos’è dunque rimasto della formula? La fratellanza. Bene, quest’articolo è il più curioso e, occorre riconoscerlo, ha costituito fino a oggi la principale pietra d’inciampo per l’Occidente. L’uomo occidentale discorre infatti di questa fratellanza come di una grande forza motrice dell’umanità, e non s’accorge che la fratellanza non la si potrà trovare da nessuna parte, fino a che essa non esisterà nella realtà. Che fare dunque? Bisogna realizzare la fratellanza a qualsiasi costo (corsivo nostro)» [1].
Bisogna realizzare la fratellanza a qualsiasi costo: dunque la fratellanza o fraternità sembrerebbe più un compito, un orizzonte che una acquisizione, nonostante i millenni di storia dell’umanità, e ben lo comprendiamo osservando la cronaca, guardando alle tante guerre sparse per il mondo e alla ferocia del dibattito pubblico. Dostoevskij proseguirà la sua disamina sulla fratellanza invocando l’estremo sacrificio di sé (Cristo sulla Croce) per realizzare compiutamente la fratellanza sulla Terra: spogliandosi delle proprie prerogative e dai propri tornaconti personali, l’ingranaggio mortifero del profitto salterebbe in aria: «Ci son pure a questo mondo, dei fratelli… voi avete un animo nobile… e dovete, dovete comprenderlo!» [2]. E ancora: «Per rifare a nuovo il mondo, bisogna che gli uomini stessi, nella sfera psichica, compiano un rivolgimento in una nuova direzione. Finché tu non ti sarai fatto realmente fratello ad ognuno, non s’instaurerà la fratellanza» [3]. «Occorre amare», scriverà ancora Dostoevskij, occorre aspirare con tutti se stessi alla comunità, perché una società forte e solida deve reggersi sul principio: «Siamo forti se siamo tutti insieme» [4].
Purtroppo però il mito parla chiaro, come sempre, e al principio della storia dell’umanità vi è l’assassinio di Abele da parte di Caino, il demone della guerra che sorveglia le mosse dell’umanità tutta pronto a sedurre, blandire, dominare infine lo spirito degli esseri umani.
Sulla fraternità e sullo sforzo per realizzarla qui e ora riflette Enzo Bianchi nel suo recente libro Fraternità. Leggiamo nella Prefazione che ne dà papa Francesco queste parole: «Se si definisce la fraternità nei suoi effetti occorre subito dire che essa è la resistenza alla crudeltà del mondo» [5]. Messi in dialogo i testi del Papa e di Dostoevskij e il bellissimo testo di Edgar Morin La fraternità, perché?, dal quale papa Francesco stesso prende spunto per alcune sue riflessioni sulla “crudeltà” del nostro tempo, ci restituiscono una definizione dell’essere fratelli davvero affine a una parola dimenticata, ossia “comunità”, scelta di convivenza e non imposizione, fraternità anziché discordia/pòlemos. Ci rendiamo conto di quanto pesi la speranza, di quanto costi fatica resistere alle tentazioni della discordia e del respingimento nei confronti dell’“altro”, di quanta sia la distanza stessa tra ciò che si pensa/dice e ciò che poi si fa; facciamo però riferimento a queste parole di Alexander Langer quali tracce chiare per il cammino dell’uomo sulla Terra:
«La convivenza pluri-etnica, pluri-culturale, pluri-religiosa, pluri-lingue, pluri-nazionale… appartiene dunque, e sempre più apparterrà, alla normalità, mai all’eccezione. Ciò non vuol dire però che sia facile o scontata, anzi. La diversità, l’ignoto, l’estraneo complica la vita, può fare paura, può diventare oggetto di diffidenza e di odio, può suscitare competizione sino all’estremo del mors tua, vita mea» [6].
Ritorniamo al libro di Bianchi, che è un vero e proprio prontuario di riflessione sulla comunità a partire dalla fraternità, e ritorniamo ancora una volta alla prefazione di papa Francesco, che puntualizza come la fraternità non possa realizzarsi che con una scelta decisa a favore della inclusione e della comunione umana: l’altro può essere un inferno, ma sta a noi tutti costruire le condizioni per una fratellanza forte incardinata nei valori della pace, oggi quanto mai attuali e cogenti. Lo stesso papa Francesco scriveva nella sua lettera enciclica Fratelli tutti del 2020:
«”Fratelli tutti”, scriveva san Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo. Tra i suoi consigli voglio evidenziarne uno, nel quale invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui egli dichiara beato colui che ama l’altro “quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui”. Con queste poche e semplici parole ha spiegato l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita» [7].
Queste brevi note che abbiamo fin qui tracciato chiamando in causa scrittori così lontani temporalmente e, forse, anche ideologicamente, costituiscono però una premessa necessaria per discutere con il testo di Enzo Bianchi, che ha una forma, come è costume dello scrittore monferrino, asciutta, priva di fronzoli ma molto “densa”: ogni parola, ogni riferimento ci suggeriscono alcune riflessioni che qui proponiamo. Luigi Zoja, nel suo La morte del prossimo, ha teorizzato la morte proprio del fratello, dell’altro, dopo la morte di Dio annunciata da Nietzsche. È facile rendersene conto se guardiamo alla nostra quotidianità, ai rancori e alle chiusure nei confronti degli altri, alla guerra che dichiariamo agli “altri automobilisti”, agli “altri passanti”, agli “altri vicini di casa”, agli “altri colleghi”; se guardiamo alle discordie familiari per motivi di denaro, interesse, prerogative da non toccarsi pena la lontananza e il rancore.
“Dov’è tuo fratello?”, la domanda oggi più che mai urgente e ineludibile. Dov’è tuo fratello? Perduto a Gaza o in un sobborgo di una nostra città, nascosto in un paese dell’interno o stipato con altri fratelli su un barcone nella ricerca di un posto migliore dove vivere. Dov’è tuo fratello? Forse soprattutto: chi è tuo fratello? Se è vero che il prossimo, fratello o sorella, è scomparso dal nostro orizzonte, noi dove siamo?
In epoca positivistica nacque la diatriba tra darwinismo sociale (“struggle for life”) di Huxley e mutuo appoggio teorizzato da Kropotkin: la vita non è soltanto predazione, lotta, esclusione ma anche accordo, cammino comune e, in una parola, fraternità. Kropotkin scriveva che, più che sull’amore e sulla simpatia reciproca, il mutuo appoggio o fratellanza tra gli umani si fonda
«sulla coscienza della solidarietà umana, non fosse essa che allo stato d’istinto; sul sentimento incosciente della forza che dà a ciascuno la pratica del mutuo appoggio, sul sentimento della stretta dipendenza della felicità di ciascuno dalla felicità di tutti, e sopra un vago senso di giustizia o d’equità che porta l’individuo a considerare i diritti di ogni altro individuo come uguali ai propri» [8].
Un pensiero questo espresso dal filosofo russo ai primordi del Novecento, il secolo del sangue e dell’ombra oscura dei fascismi, dei campi di sterminio e dei genocidi. Un pensiero che può dialogare con quanto Enzo Bianchi scrive nel suo libro, ovvero che non dobbiamo incorrere nell’errore di considerare la fraternità astrattamente o solo in àmbito cristiano. Se consideriamo astrattamente la fraternità, allora possiamo dire senza timore di smentita che l’altro è mio fratello e non ci devono essere guerre, omicidi, separazioni tra gli esseri umani: Gaza è solo l’ultima confutazione in ordine di tempo di questa tesi, ma potremmo citare qui anche i tanti suicidi “indotti” sui social media dalla crudeltà sempre più feroce del nostro tempo, da questo perverso narcisismo che si è impadronito del dibattito pubblico, dei rapporti interpersonali.
Se rimaniamo nel “recinto” del pensiero strettamente cristiano, come potremmo parlare di fraternità quando, ad esempio, la Chiesa Ortodossa russa appoggia la guerra di Putin? Non dovrebbe essere la guerra contraria a ogni forma di cristianesimo? Come uscire da questa impasse? La fraternità è sforzo continuo, quotidiano di resistenza alla crudeltà, come ci propone Edgar Morin; è la fraternità il disinnesco del mondo capitalistico che consuma la vita e ci divide, ci rende individualisti, d’altro canto occorre l’assunzione di responsabilità da parte dei decisori politici e dei cittadini rispetto alla interazione feconda tra conflitto e mutuo appoggio per costruire la pace e la cooperazione tra gli umani: la fraternità deve rigenerarsi continuamente perché continuamente essa è provata col fuoco del conflitto. Scrive Morin:
«L’individualismo ha in sé, poi, aspetti negativi: l’egoismo e il degradarsi della solidarietà. Ciononostante, vediamo spesso che una fraternità dormiente si risveglia spontaneamente in occasione di incendi, terremoti, tra le vittime di un attentato e generalmente quando accadono delle catastrofi. Essa dorme, allora, ma è in grado di risvegliarsi» [9].
Per usare ancora un’espressione del Pontefice, bisogna che ognuno di noi si sforzi per essere “artigiano di fraternità e solidarietà”, proprio qui, proprio ora: in questo tempo in cui l’Europa per essere Europa ha bisogno di riarmarsi e non già di riattivare stato sociale, cultura, dignità del lavoro: in questo tempo nel quale il divario tra poveri e ricchi aumenta ferocemente e in tutte le parti del Mondo abbiamo un disperato bisogno di parole di convivenza, fratellanza. In questo tempo, vale a dire, come scrive Bianchi,
«di fronte alle patologie che ammorbano la nostra convivenza fino a minacciare la vita democratica, di fronte alle paure rinfocolate e acutizzate dai meccanismi di potere e dagli interessi politici, di fronte al rancore e alla rabbia che rischiano prima o poi di esplodere in violenza, ma anche di fronte alla globalizzazione dell’indifferenza di molti…» [10].
C’è una tavola al centro e su questa una scodella; bianco il tovagliato, un bianco luminoso. Poi sgabelli, pedane. Tre uomini dalle vesti azzurre e dorate: mantelli, tuniche, sandali ai piedi; uno di questi uomini – quello che occupa il centro del quadro – ha una tunica rosso porpora. C’è caldo e i tre si sono soffermati davanti alla tenda di Abramo e Sara. Tengono in mano un bastone da pellegrini, che non deporranno neanche per cibarsi della provvidenza che daranno loro Abramo e Sara. Andreij Rublëv ha scritto/dipinto l’episodio di Genesi 18, 1-15 nella magnifica icona detta della Trinità o della Filoxenia, ovvero dell’amore e del rispetto nei confronti di chi è straniero, viandante, fratello e sorella. Secondo le credenze degli antichi Greci, dietro il volto di ogni viandante poteva nascondersi un dio “in incognito”, occorreva per questo dare ospitalità, accogliere l’altro come un dio: nel volto dell’altro c’è scritta anche la nostra storia, basta soffermarsi a guardare, ascoltare. Spesso è la paura che ci impedisce di accogliere l’altro, il fratello, il diverso da me; del resto, la paura è un sentimento adoperato ad arte da chi ha a cuore l’interesse proprio e dei pochi come lui, mentre l’accoglienza non bada al tornaconto personale.
Se il fondamento della fraternità per il Cristianesimo, come dimostra Bianchi, è il Dio padre di donne e uomini, occorre fare però attenzione a chi Gesù Cristo stesso chiama fratelli, ovvero “i più piccoli”, gli ultimi della storia, i servi della gleba, i reietti: tutti gli esseri umani indipendentemente dal loro credo religioso, dalle loro abitudini, dalla loro fede sono sorelle e fratelli. Dio è nel volto del fratello, nella relazione che si stabilisce con lei, con lui: «Gesù ci ha insegnato ad andare sempre oltre i confini stabiliti dalla fraternità carnale, etnica o religiosa. Egli non voleva che questi vincoli intralciassero l’incontro tra un essere umano e il suo simile» [11].
Siamo convinti davvero che possa avvenire l’incontro fraterno tra gli esseri umani? Siamo convinti che possa realizzarsi quella “fraternità universale” di cui parla la Gaudium et Spes? Ancora più concretamente: come “fare fraternità” in questo nostro tempo così istantaneo e contemporaneamente dilatato, in questa piccola contrada che pare essere il Mondo visto dal Web e parimenti in questa lontananza imposta da muri, dazi culturali, fossati riempiti contro il prossimo così come prigioni stipate di rifugiati? Come operare a favore della prossimità fraterna in un tempo nel quale le stesse parole, le grandi parole (storia, memoria, democrazia, dialogo, giustizia sociale), hanno di fatto perduto quasi completamente il loro contenuto?
«Un modo efficace di dissolvere la coscienza storica, il pensiero critico, l’impegno per la giustizia e i percorsi di integrazione è quello di svuotare di senso e alterare le grandi parole. Che cosa significano oggi alcune espressioni come democrazia, libertà, giustizia, unità? Sono state manipolate e deformate per utilizzarle come strumenti di dominio, come titoli vuoti di contenuto che possono servire per giustificare qualsiasi azione».
scrive papa Francesco [12]. Il pervertimento di queste grandi parole riguarda a nostro avviso anche la parola “fraternità”, perché se scaviamo nella parola osserviamo che fraternità non può esistere senza responsabilità cioè, più profondamente e precisamente, senza autentica partecipazione alla vita della comunità:
«L’iniziativa e la responsabilità, il senso di essere utile e persino indispensabile, sono bisogni vitali dell’anima umana. Una completa privazione di questo si ha nell’esempio del disoccupato, anche quando è sovvenzionato sí da consentirgli di mangiare, di vestirsi, di pagare l’affitto. Egli non rappresenta nulla nella vita economica e il certificato elettorale che dimostra la sua parte nella vita politica non ha per lui alcun senso» [13].
Le politiche occupazionali dell’Occidente dominante e imperialista non prevedono certamente alla propria radice il senso di fraternità bensì un iniquo distribuire al ribasso stipendi aumentando il carico di lavoro. Quale mai fraternità può scaturire da un mondo/modo di produzione così totalmente disumanizzato? Le parole di Simone Weil ritornano attualissime oggi: se pur scritte nel mezzo del Secondo conflitto mondiale e nell’epoca dei totalitarismi, oggi rispondono ancora all’esigenza di ricercare un mondo nuovo, diverso, “umano”, fraterno. Gli incubi totalitari relegati nei manuali di Storia mostrano ancora gli artigli nelle parole di Trump, Musk, Netanyau, Putin in nome di un imperialismo bianco e sprezzantemente antidemocratico; l’Europa propone il riarmo sventolando la paura della guerra con il consiglio di rifornirsi di medicine, cibo, torce, caricabatterie per resistere nel prossimo imminente conflitto; i poveri non hanno voce, volti, mani: sono lontani da noi ma in realtà sono vicini, sono le parole lasciate cadere ai bordi dei marciapiede e spazzate dal vento. Sono le sorelle e i fratelli. Parafrasando le parole di Camus scritte all’indomani di Hiroshima sul settimanale della Resistenza francese “Combat”, la fraternità è l’ordine che dai poveri della Terra deve partire verso i governanti sordi e ciechi perché possano scegliere la via della ragione contro quella dell’inferno [14].
Lorenzo Orsetti era un ragazzo di Bagno a Ripoli in provincia di Firenze. Dopo gli studi scelse di lavorare subito per desiderio di indipendenza, ma non accettava acriticamente la società in cui viveva né le dinamiche del lavoro da cameriere prima e poi da cuoco. Dopo avere studiato e approfondito temi quali capitalismo, sfruttamento del lavoro, individualismo, Lorenzo maturò la decisione di unirsi alla rivoluzione del popolo curdo, un popolo senza Stato. Il 22 settembre 2017 partì quindi per la Siria del Nord-Est, unendosi ai partigiani curdi delle YPG. Leggiamo nel suo diario: «Non avete idea di che sollievo sia trovare un posto dove parole tipo: libertà, uguaglianza, democrazia, rispetto, femminismo, socialità… hanno ancora un senso, non sono state stravolte o, peggio, ancora (come da noi) svuotate di ogni significato» [15]. Lorenzo parte come tanti “internazionalisti” per la Siria del Nord-Est anche perché non ne può più dei troppi “muri” eretti a protezione della società occidentale, vuole incontrare gli altri, vuole rompere quei muri sui quali ipocritamente sono scritte frasi contro i muri stessi, contro l’isolamento. In Siria assumerà il nome di battaglia di “Orso Tekoşer” e combatterà con le sorelle curde del YPJ e con i fratelli curdi del YPG contro i miliziani dell’ISIS armati da Erdogan.
Dal suo diario leggiamo di eroiche imboscate, di città perdute e riconquistate, di dolorose morti di donne e uomini e, cosa che ci ha colpito molto, della fraternità e sororità che è alla base dell’essere nel mondo da parte dei curdi: per i curdi “si parte insieme e si torna insieme”, si porta a termine una missione insieme, si descrive la mappa di un territorio insieme; sotto i colpi di mortaio occorre recuperare il corpo di un fratello caduto anche a costo del sacrificio estremo, bisogna acquattarsi sotto i magrissimi ulivi e sperare di non essere “visti” da qualche drone. Eppure in questa guerra in cui i partigiani tentano disperatamente di conquistare terreno centimetro per centimetro la popolazione offre loro tè nero, conforti e parole, ripari.
“Orso” nei suoi racconti parla a noi che abitiamo da questa parte del Mondo e ci racconta di una fraternità fatta di gesti, sguardi, azioni concrete tra compagni di lotta. Quei compagni, come scrive, a cui
«voglio bene come a una famiglia (…) so che dalle nostre parti è difficile perché anche tra compagni in tutta la nostra vita c’è sempre stato questo individualismo di fondo che permea tutto, e invece qui è proprio diverso, una cura dell’altro, un’attenzione ai limiti dell’altro, ci si viene incontro si cerca di tirarsi su a vicenda, sembrano frasi fatte però in realtà c’è proprio…» [16].
Lorenzo Orsetti “Orso Tekoşer” sarà ucciso in combattimento nel villaggio siriano di Al-Baghuz Fawqani il 18 marzo 2019, ci lascerà i suoi diari e queste parole che consideriamo davvero un “testamento” in tempi bui:
«Vi auguro tutto il bene possibile e spero che anche voi un giorno (se non l’avete già fatto) decidiate di dare la vita per il prossimo, perché solo così si cambia il mondo. Solo sconfiggendo l’individualismo e l’egoismo in ciascuno di noi si può fare la differenza. Sono tempi difficili lo so, ma non cedete alla rassegnazione, non abbandonate la speranza, mai! Neppure per un attimo. Anche quando tutto sembra perduto e i mali che affliggono l’uomo e la terra sembrano insormontabili, cercate di trovare la forza e di infonderla nei vostri compagni. È proprio nei momenti più bui che la vostra luce serve» [17].
Lorenzo ha dimostrato la veridicità profonda della parola fraternità, non ne ha sventolato una inutile bandiera, ne ha dato testimonianza custodendo e curando l’altro come il Samaritano della parabola.
Chi è il mio prossimo? La domanda che il rabbino pone a Gesù riceve da lui una risposta “concreta”, non un precetto morale “vuoto” ma un’azione da tradurre nel quotidiano; il racconto del Samaritano avviene su una strada, una delle tante strade che percorriamo ogni giorno. Avviene nei villaggi della Siria del Nord-Est o nei nostri paesi della Sicilia interna; è un racconto “disturbante” perché sommuove dalle profondità la nostra quiete, la pigrizia e l’astenia. Ne scrive Enzo Bianchi:
«E su quella strada (…) passa un sacerdote: vede quell’uomo vittima, quell’uomo nella sofferenza, ma passa oltre senza fermarsi. Conosceva bene il comando dell’amore del prossimo, ma quello per lui non era prossimo, era un estraneo, uno sconosciuto. Certamente per lui era più importante la liturgia nel Tempio che l’eventuale cura dell’uomo sofferente…, come tanti cristiani, che sanno venerare altari e statue e coprirli di panni preziosi e di fiori, ma sono incapaci di fasciare una ferita inferta a un uomo che soffre!» [18].
Chi sperimenta la fraternità può incorrere nel dramma del tradimento: la fraternità tradita è una vera e propria morte, l’esperienza di Abele ucciso da Caino, racconto di Genesi che nei secoli ha ispirato pittori, romanzieri quali il Niffoi de Il pane di Abele [19], ed è stato anche al centro di numerose riflessioni dei padri della Chiesa, ad esempio i Padri della Filocalia: ne discutono Massimo il confessore, Pietro Damasceno, Macario Egiziano, Gregorio Palamas. Secondo Macario Egiziano fondamenti della fraternità sono
«la semplicità, la schiettezza, la carità vicendevole e gioia e umiltà, per non rendere vano il nostro sforzo innalzandoci o mormorando gli uni contro gli altri, e perché chi persevera incessantemente nella preghiera non si esalti di fronte a chi non lo sa fare; o chi si dedica al servizio non mormori contro chi è dedito alla preghiera» [20].
Anche qui la fraternità è una azione concreta, in questo specifico caso un modo ordinato di vivere la vita monastica e la vita di preghiera. L’intero corpus della Filocalia è un invito sì alla vita spirituale e alla preghiera, ma anche un “prontuario” di vita pratica: occorre non confondere la vita dello spirito con l’accidia, essa è bensì sforzo consapevole “nel” mondo e per gli altri. Cassiano Romano ritiene ad esempio che l’ira che precede ogni delitto sia da attribuire proprio all’individualismo, scrive infatti:
«conviene dunque a chi segue le divine leggi lottare con tutte le forze contro lo spirito dell’ira e contro il male nascosto dentro di noi: e non cercare deserto e solitudine perché in collera contro gli uomini, come se là non ci fosse nessuno che ci spinge all’ira e come se nella solitudine fosse più facile realizzare la virtù della pazienza. Perché allora vuol dire che desideriamo ritirarci lontano dai fratelli per superbia e per il rifiuto di biasimare noi stessi e ascrivere alla nostra personale noncuranza le cause del turbamento. Ciò dunque che è importante per la nostra correzione e pace non si attua attraverso la pazienza del prossimo nei confronti nostri, ma piuttosto per la nostra sopportazione nei confronti del prossimo» [21].
Il tradimento di Caino non è il solo che osserviamo nella Bibbia: terribile è quello dei fratelli di Giuseppe contro il loro fratello minore e, soprattutto, quello di Giuda nei confronti del suo maestro: come è possibile, si chiede Enzo Bianchi, passare dall’amore all’odio mortifero? I Padri della Filocalia attribuiscono il tradimento di Caino alla “tristezza”, cioè a quella condizione dello spirito definita come “philautìa”, egoismo, sguardo rivolto su se stessi, chiuso, asfittico che degenera nell’invidia, ovvero nella condizione di chi “non vede” più l’altro.
Quanta fatica considerare oggi l’essere umano “capax boni”, quanto lontano dalla capacità di bene l’uomo che sceglie di bombardare le scuole a Gaza; quanto lontane nel tempo e nello spazio appaiono le parole di Dostoevskij, Camus, Morin sulla fraternità da instaurare qui ed ora mentre le parole dei decisori politici virano decisamente su propositi di divisione, conflitto, violenza. Se come nulla fosse Trump propone a un attento Netanyau di deportare il popolo palestinese e creare in Gaza un parco divertimenti per ricchi, allora niente abbiamo appreso, siamo fuori da tempo e storia e abbiamo anche dimenticato la somiglianza con un Dio di pace e concordia. Chi è questo Dio? «Mostrami la tua umanità e comprenderò il tuo Dio! Mostrami la tua umanità e mi avrai raccontato il tuo Dio!», è questo un proverbio testimoniato dal vescovo del II secolo Teofilo di Antiochia che ci interroga sul nostro essere umane e umani qui, in questo tempo crudele e feroce nel quale, come scrive Enzo Bianchi, «la fraternità-sororità può sembrare una condizione naturale, ma in realtà è un compito che sta sempre davanti a noi. La fraternità va costruita giorno dopo giorno perché non è spontanea, anche se inscritta nel succedersi delle generazioni umane» [22]. La fraternità va costruita anche e soprattutto con chi non la pensa come noi, è difficile ma a questo ci chiama l’umanità che siamo. D’altra parte, ove possa maturare la fraternità non bisogna in alcun modo pensare che essa duri per sempre, perché, come ci ricorda ancora Morin «Polemos e Thanatos lavorano all’interno di Eros come Eros lavora all’interno di Polemos e Thanatos. Ripetiamolo senza posa: tutto ciò che non si rigenera degenera, e questo vale anche per la fraternità» [23].
L’altro, lo straniero, il fratello viene a noi incontro in modo imprevedibile e ci sorprende sempre, “epifania di humanitas” scrive Enzo Bianchi in un altro suo libro, L’altro siamo noi. Come il piccolo Dimitrios della poesia di Vittorio Sereni:
«Alla tenda s’accosta / il piccolo nemico / Dimitrios e mi sorprende, / d’uccello tenue strido / sul vetro del meriggio. / Non torce la bocca pura / la grazia che chiede pane, / non si vela di pianto / lo sguardo che fame e paura / stempera nel cielo d’infanzia. // È già lontano, / arguto mulinello / che s’annulla nell’afa, / Dimitrios – su lande avare / appena credibile, appena / vivo sussulto / di me, della mia vita / esitante sul mare» [24].
A noi umani il compito di costruire ponti di dialogo dove guerra e discordia scavano profondi solchi di distanza e di morte, dove la vita degli umani si allinea perfettamente alla formula etsi Deus non daretur e ogni omicidio, ogni assassinio ci sembrano quasi infernale, ineluttabile e burocratica routine.
Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025
Note
[1] Fëdor Dostoevskij, Saggio sul borghese, in Note invernali su impressioni estive, Feltrinelli, Milano 2025:85
[2] Cfr. Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Einaudi, Torino 1992:277
[3] Ibidem: 402.
[4] Fëdor Dostoevskij, “Saggio sul borghese”, in Note invernali su impressioni estive, op. cit: 88.
[5] Cfr. la Prefazione di papa Francesco al libro di Enzo Bianchi, Fraternità, Einaudi, Torino 2024.
[6] Cfr. Alexander Langer, La scelta della convivenza, e/o, Roma 2022: 37.
[7] Papa Francesco, Fratelli tutti. Lettera enciclica sulla fraternità e sull’amicizia sociale, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2020: 3.
[8] Pëtr Kropotkin, Il mutuo appoggio fattore dell’evoluzione, Libreria Internazionale di Avanguardia, Bologna 1950: 28
[9] Edgar Morin La fraternità, perché? Ave, Roma 2020:37.
[10] Enzo Bianchi, Fraternità, op. cit: 7
[11] Ibidem: 26.
[12] Papa Francesco, Fratelli tutti. Lettera enciclica sulla fraternità e sull’amicizia sociale, op. cit: 14 e 15
[13] Simone Weil, La prima radice, tr. di F. Fortini, Comunità, Cremona, 1954: 21
[14] Albert Camus, editoriale sul settimanale francese “Combat” dell’8 agosto 1945.
[15] Lorenzo Orsetti – Heval Tekoşer Piling, Orso. Scritti dalla Siria del Nord-Est, Redstarpress, Roma 2021: 39.
[16] Ibidem:. 103, 104
[17] Ibidem: 3.
[18] Enzo Bianchi, Fraternità, op. cit.:51
[19] Salvatore Niffoi, Il pane di Abele, Adelphi, Milano 2009
[20] Macario Egiziano, Sulla preghiera, in Filocalia, vol. 1 a cura di Nicodimo Aghiorita e Macario di Corinto, traduzione, introduzione e note di M. Benedetta Artioli e M. Francesca Lovato della Comunità di Monteveglio, Piero Gribaudi Editore, Milano 1995:126.
[21] Cassiano Romano, in Filocalia, Vol. 1, op. cit: 136
[22] Enzo Bianchi, Fraternità, op. cit.: 79.
[23] Edgar Morin, La fraternità, perché? op. cit.: 56.
[24] Vittorio Sereni, “Dimitrios”, in Diario d’Algeria, Einaudi, Torino 1998:11
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Nicola Grato, laureato in Lettere moderne con una tesi su Lucio Piccolo, insegna presso le scuole medie, ha pubblicato tre libri di versi, Deserto giorno (La Zisa 2009), Inventario per il macellaio (Interno Poesia 2018) e Le cassette di Aznavour (Macabor 2020) oltre ad alcuni saggi sulle biografie popolari (Lasciare una traccia e Raccontare la vita, raccontare la migrazione, in collaborazione con Santo Lombino); sue poesie sono state pubblicate su riviste a stampa e on line e su vari blog quali: “Atelier Poesia”, “Poesia del nostro tempo”, “Poetarum Silva”, “Margutte”, “Compitu re vivi”, “lo specchio”, “Interno Poesia”, “Digressioni”,“larosainpiù”,“Poesia Ultracontemporanea”. Ha svolto il ruolo di drammaturgo per il Teatro del Baglio di Villafrati (PA), scrivendo testi da Bordonaro, D’Arrigo, Giono, Vilardo. Nel 2021 la casa editrice Dammah di Algeri ha tradotto in arabo per la sua collana di poesia la silloge Le cassette di Aznavour. Con Giuseppe Oddo ha recentemente pubblicato Nostra patria è il mondo intero (Ispe edizioni).
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