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Contro la “damnatio memoriae”. Per una storia delle donne

 

labirinto-delle-perdute-copdi Mariza D’Anna

La consapevolezza del ruolo della donna nella società potrebbe dirsi non più in discussione. È data per assodata nella dialettica maschile e femminile, nella sua funzione oltre la maternità e la famiglia, nella sua crescente ascesa nei diversi settori della vita sociale e politica. La festa che ancora le viene dedicata, l’8 marzo, si sforza anno dopo anno di trovare una ragione in più per “festeggiarla” nell’intento di non far dimenticare il ruolo che ha assunto con immane fatica e impegno costante nel corso degli ultimi due secoli. Intraprendenza, capacità, analisi, intelligenza nelle espressioni sociali le sono generalmente riconosciute nei dibattiti “civili”.

Ma, come è noto, tante restano le zone d’ombra e la dicotomia tra le accezioni verbali dichiarate e la pratica nella realtà è ancora presente e produce un divario lontano da essere colmato tanto nella sfera privata e così in quella pubblica. Di violenze, ingiustizie, soprusi e discriminazioni parlano ancora molto le cronache dei giornali nelle società più evolute, segni ancora indelebili di un confronto impari. A piccoli passi e con la concretezza che le è propria, le donne rivendicano un ruolo ma non dimenticano il passato né esitano ad esprimere sensi di colpa atavici. 

Ecco perché allora ogni scritto, ogni dibattito che le riguardi può assumere un duplice obiettivo: non dimenticare il passato e consolidare il presente. Quello che le donne non hanno potuto dire e non hanno potuto testimoniare ce lo racconta bene la scrittrice e giornalista nata a Licata, Ester Rizzo, che sulle tracce delle “donne perdute”, si era messa da tempo. Una predisposizione dell’anima e della coscienza la sua, supportata da lunghe inchieste archivistiche, documentali, testimonianze, ritagli di giornali e appunti, targhe e lapidi che ha raccolto nel lungo tempo in cui si è dedicata e ancora si dedica alle donne. «Da quando avevo 16 anni coltivo questa idea – dice Ester Rizzo – un’idea che piano piano nel tempo si è fatta strada e si è concretizzata nelle mie tante pubblicazioni».

Per molto tempo ha dovuto condividere questa passione con il suo impegno lavorativo che parlava di conti e finanza fino a quando le circostanze della vita le hanno consentito di lasciare il lavoro che occupava gran parte delle sue giornate e dedicarsi alla scrittura, fatta di ricerca e di impegno sul campo. Solo in quel momento – spiega – il suo orizzonte si appiana e si schiarisce e può finalmente concentrarsi su ciò che la appaga e che prende quasi la forma di una “missione”.

Ripercorrendo il contenuto dei suoi saggi, infatti ciò che salta agli occhi è la caparbietà delle sue ricerche e l’accuratezza nella consultazione delle fonti da cui attinge per riportare alla luce storie di donne perdute che vuole far emergere dall’oblio in cui sono cadute, per il tempo trascorso, per disattenzione o per altro. In Camicette bianche (edito da Navarra editore), la scrittrice aveva lavorato, con acume e saggezza, sull’identità delle giovani operaie che erano morte nel rogo della Triangle Shintwaist Company di New York il 25 marzo 1922. E a questo lavoro erano seguiti Oltre l’8 marzo (2014 e 2016), Le Mille, I primati delle donne (2016), Le ricamatrici (2018) e il suo primo romanzo Donne disobbedienti (2019)

“A tutte le donne perdute che non saranno mai più ritrovate” è invece dedicato l’ultimo saggio e raccolta di esperienze dal titolo Il labirinto delle perdute andato in stampa lo scorso anno sempre per Navarra editore. Già l’incipit enuncia una sconfitta ante ricerca ma è altresì una dichiarazione di non acquiescenza, di denuncia che attraversa la storia dei popoli e la storia delle donne. Per raccontare questi frammenti, intense pagine che fanno anche commuovere, e poter gridare allo scandalo dell’oblìo, Ester Rizzo utilizza il filo di Arianna e si addentra in un labirinto senza prestare attenzione all’epilogo di ogni singola storia o di ogni singola vita. «In quel labirinto, diventato pian piano magnifico cammino, ho trovato un tesoro inestimabile di coraggio, di intelligenza, di genio e di talento che ho voluto condividere», scrive.

Non è certo un’elencazione esaustiva delle “perdute” che la scrittrice ci vuole restituire ma nel suo viaggio ideale include donne protagoniste di fatti eclatanti o inserite in un contesto collettivo, vissute vicino a noi e lontanissime geograficamente, vicine e lontane nel tempo. «È un andirivieni del tempo dentro luoghi diversi e situazioni diverse, la mia ricerca vuole fare emergere chi intenzionalmente le ha collocate in quel labirinto in un perfido disegno che le vuole a tutti i costi sottratte alla conoscenza» annota Ester Rizzo.

marinella-fiume-siciliane-dizionario-biografico-emanuele-romeo«Donne sommerse nel grande mare della storia dove i loro corpi sono andati perduti… come tutto di loro… come i loro nomi… spesso perduti per sempre perché condannati alla peggiore delle morti: la damnatio memoriae, l’oblio della memoria… uccise due volte», scrive nella prefazione Marinella Fiume, scrittrice impegnata in politica, autrice nel 2006 del Dizionario delle Siciliane.

Scavare sotto queste tracce che la polvere del tempo ha sepolto aiuta ancora oggi a spezzare la voce del silenzio o della reticenza, o della scarsa attenzione che la storia per moltissimi anni ha riservato alle “perdute” e che soltanto negli ultimi decenni è uscita dalle discussioni accademiche per assumere voce in un dibattito e nuova attenzione della collettività. «Perché la radice di tutti i problemi che affliggono ancora oggi le donne è una sola – scrive Fiume – l’invisibilità».

E allora la ricerca negli archivi, nei Tribunali, nelle carte ancora custodite dei manicomi, nei resoconti della polizia, negli epistolari privati, nei conventi, diventa una necessità per l’Autrice per intraprendere un percorso fuori dai canoni rituali in cui alcune di queste figure-simbolo sono state intrappolate nel tempo. Sono storie di donne coraggiose, di violenze subite, di intelligenze mortificate.

Il libro si compone di quattro parti: donne vittime dell’oblio, vittime di violenze, vittime del “perduto onore” e vittime del pregiudizio. Quattro segmenti utili per inquadrare il tempo e lo spazio in cui hanno vissuto. Si trovano in apertura le contadine siciliane in lotta alla fine degli anni Quaranta quando scoppiarono le battaglie prima per l’occupazione delle terre incolte e poi per fare applicare la legge Gullo che prevedeva la concessione ai contadini delle proprietà dei latifondisti. «Non v’è traccia delle donne che avevano lottato al fianco dei contadini, che avevano abbracciato gli ideali del Partito senza restare confinate tra le mura di pietra delle loro case». Nel 1977 Gisella Modica, scrittrice appartenente alla Società italiana delle letterate, suggerì una ricerca sulle donne che avevano preso parte a quegli aventi e le fu risposto “Perché?”.

  Teresa Meroni in un graphic novel


Teresa Meroni in un graphic novel

C’è la storia di Teresa Meroni che aderì al Partito Socialista giovanissima e delle pacifiste toscane che dopo l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 manifestarono contro la chiamata alle armi dei ragazzi del 1899. Ci sono le pescatrici delle isole Eolie: «Donne che hanno imparato a dare un nome ai venti, ad intuire la pericolosità delle onde violente, a leggere le ore nelle stelle. E dopo il duro lavoro correvano a casa ad accudire la famiglia».

C’è il grido delle donne afgane e nel capitolo “la Marocchinate” si evocano le violenze subite dalle donne in Italia ad opera dei goumiers, soldati di origine marocchina, algerina e tunisina arruolati dalle truppe francesi che combattere con gli Alleati. «Anche in Sicilia – scrive – i goumiers sbarcati in circa 12.000 con l’Operazione Hushy fecero scempio dei corpi delle donne».

Tra le donne vittime del pregiudizio, che occupano l’ultimo capitolo, ci sono le «donne sapienti al rogo»: le streghe. Donne perse a causa dei pregiudizi. Conclude Ester Rizzo: «La mia ricerca ha voluto dare un nome, dove è stato possibile, anche a quelle donne perdute nel numero impressionante dei roghi, sono poche, ma penso sia un riscatto per tutte».

La lettura del saggio e la sua agevole divisione in capitoli, la maggior parte brevi, ha un andamento scorrevole, a volte didascalico, direi giornalistico e informativo, e questo consente di entrare dentro le storie minime delle donne “perdute” con un approccio diretto e ficcante. Chiaro è l’intento divulgativo dell’autrice di raccontare, direttamente ma anche attraverso riferimenti di altre giornaliste, scrittrici, donne afgane, contadine, giudici, bambine “mancanti” e “streghe”, come sia ancora scarsa la conoscenza della vita vissuta e patita da tante e tante donne che avrebbero potuto scrivere parti della storia comune e che invece sono state destinate, per volontà e insipienza, all’oblio. 

Dialoghi Mediterranei, n. 55, maggio 2022
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Mariza D’Anna, giornalista professionista, lavora al giornale “La Sicilia”. Per anni responsabile della redazione di Trapani, coordina le pagine di cronaca e si occupa di cultura e spettacoli. Ha collaborato con la Rai e altre testate nazionali. Ha vissuto a Tripoli fino al 1970, poi a Roma e Genova dove si è laureata in Giurisprudenza e ha esercitato la professione di avvocato e di insegnante. Ha scritto i romanzi Specchi (Nulla Die), Il ricordo che se ne ha (Margana) e La casa di Shara Band Ong. Tripoli (Margana 2021), memorie familiari ambientate in Libia.

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