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Città di fondazione. Il concorso per il piano di Pomezia

Pomezia, La piazza, progetto di Calza-Bini-Nicolini

Pomezia, La piazza, progetto di Calza-Bini-Nicolini

di Maria Ajroldi

Le città di fondazione dell’epoca fascista sono state oggetto di valutazioni molto diverse, da quelle fortemente critiche della cultura degli anni sessanta a quelle in parte positive delle riletture più recenti. D’altra parte la caratteristica più evidente di questa esperienza architettonico-urbanistica è stata, fin dall’inizio, la coesistenza di elementi contraddittori che riflettevano sia le tensioni culturali dell’epoca sia anche le forzature legate alla contemporanea politica del consenso. Questi insediamenti infatti erano stati pensati inizialmente come strutture di servizio legate alla bonifica, destinate alle necessità dei coloni le cui abitazioni erano comunque disseminate sul territorio. Solo in un secondo momento la possibilità di creare ex novo interi insediamenti urbani si era rivelata un efficacissimo strumento di propaganda per il regime e anche una occasione inedita per i professionisti del settore.

La prima contraddizione nasce proprio da questa strana genesi, perché le caratteristiche richieste dai concorsi indetti per la progettazione dei nuovi centri prevedevano strutture urbane, sia pure contenute, per abitanti che per la maggior parte di fatto non risiedevano in città. D’altra parte i nuovi insediamenti non comportavano la creazione di strutture produttive diversificate, o altri fattori che potessero alimentare una specifica condizione urbana. Di conseguenza gli edifici più significativi previsti per i nuovi centri avevano soprattutto funzioni di rappresentanza, e quindi erano destinati a configurarsi più che altro come scenari architettonici su scala allargata.

Planimetria del centro cittadino di Pomezia (arch. Petrucci, Tufaroli, Paolini, Silenzi) [Roccateli 1938]

Planimetria del centro cittadino di Pomezia (arch. Petrucci, Tufaroli, ing. Paolini, Silenzi) [Roccateli 1938]

La seconda contraddizione risulta necessariamente generata dalla prima: da una parte l’architettura dei singoli edifici poteva rapportarsi a un piano urbanistico relativo all’intera compagine urbana, e questo collegamento costituiva per i progettisti una condizione sicuramente privilegiata. Allo stesso tempo mancava un piano urbanistico regionale, che avrebbe potuto giustificare la collocazione e le funzioni dei singoli insediamenti. Di fatto i bandi dei successivi concorsi si differenziano solo per quanto riguarda il numero di abitanti e la posizione sul territorio, la quale a sua volta viene determinata dalle distanze reciproche fra le nuove urbanizzazioni. Di conseguenza i progetti elaborati per la realizzazione dei vari centri urbani si caratterizzano fondamentalmente solo dal punto di vista stilistico.

Infatti le scelte progettuali operate dai professionisti che partecipano ai relativi concorsi corrispondono a loro volta a due diversi orientamenti, in quel periodo compresenti nella cultura architettonica: da una parte le posizioni tradizionaliste che adottano un linguaggio di tipo classico, adattato, in questi casi, alla dimensione rurale prevista per gli insediamenti; da un’altra parte l’ala avanzata dei sostenitori del razionalismo architettonico, che costituiscono una presenza abbastanza significativa e ancora in auge presso i rappresentanti del regime.

Piano Regolatore di Pomezia, Progetto definitivo, Planimetria generale (arch. Petrucci, Tufaroli, ing. Paolini, Silenzi)

Piano Regolatore di Pomezia, Progetto definitivo, Planimetria generale (arch. Petrucci, Tufaroli, ing. Paolini, Silenzi) [Roccatelli, 1938]

Le vicende delle città pontine rispecchiano l’alternarsi di queste due posizioni, e il concorso per il piano di Pomezia può essere considerato l’ultimo atto di questa complessa vicenda, che in un certo senso ne riassume le principali caratteristiche. Nella pubblicazione del bando, il 1 ottobre 1937, si evidenzia una prima difficoltà che si era già manifestata nei casi precedenti, e cioè il poco tempo accordato ai professionisti per la presentazione dei progetti: in pratica solo due mesi, dato che la scadenza è fissata per il 30 dicembre dello stesso anno. Di fatto su ventiquattro gruppi che avevano fatto richiesta della documentazione relativa al concorso, i progetti pervenuti entro i termini risultano solo dieci. La Commissione incaricata in brevissimo tempo esclude dalle selezioni sette dei progetti presentati, concentrando la scelta sui tre gruppi più conosciuti, formati da professionisti vincitori di concorsi precedenti o comunque già noti ai componenti della Commissione stessa (Mariani, 1976).

Per questi tre gruppi viene indetto il 20 gennaio 1938 un concorso di secondo grado, con scadenza al successivo 10 febbraio, e con l’invito ad apportare alcune modifiche per una maggiore rispondenza ai termini del concorso, che risultano comunque come altre volte molto generici. In questa seconda fase all’interno della Commissione si delineano due posizioni molto precise, una capeggiata da Piacentini che vorrebbe far prevalere il progetto Calza Bini – Nicolini, l’altra in cui interviene soprattutto Aschieri a favore del piano presentato col Motto 2PST. Alla fine il progetto vincitore è quest’ultimo, di cui fanno parte gli stessi nomi che si sono aggiudicati precedentemente il concorso per il piano regolatore di Aprilia: C. Petrucci, M. Tufaroli, E. Paolini e R. Silenzi. L’accademico Piacentini esprime il suo dissenso, sottolineando il fatto che a suo parere il progetto Calza Bini – Nicolini è sicuramente migliore dal punto di vista urbanistico, e trattandosi di un concorso per un piano regolatore questo fattore, e non quello architettonico, dovrebbe essere determinante.

Piano Regolatore di Pomezia, veduta della Piazza principale

Piano Regolatore di Pomezia, veduta della Piazza principale (Petrucci, Tufaroli, Paolini, Silenzi) [Roccatelli 1938]

Questa precisazione di fatto evidenzia uno dei limiti già rilevati e del resto comuni a tutti i concorsi precedenti. Le riviste di architettura e urbanistica del periodo riferiscono gli esiti del concorso commentando in pratica solo questa seconda fase, e pubblicano, oltre al progetto del gruppo vincitore, quelli degli altri due che sono stati comunque prescelti per la seconda selezione. Degli altri sette concorrenti si perdono praticamente le tracce. Solo nel 1981 il bel libro Le città di strapaese, di Lucia Nuti e Roberta Marinelli, pubblica l’elenco dei dieci gruppi che hanno presentato i progetti entro i termini previsti, identificati dai nomi dei professionisti o, in alcuni casi, solo dal motto utilizzato per il concorso.

Nel frattempo alcuni di questi progetti hanno trovato strade diverse per una loro visibilità: ad esempio la rivista “Case d’oggi” nel numero di ottobre 1938 pubblica il progetto presentato col motto ACER, composto da C. E. Bernardi con A. Cambellotti e R. Barlattani. Più tardi l’archivio dell’Istituto Universitario di Venezia fra i lavori di Giulio Sterbini inserisce il progetto per il piano regolatore di Pomezia, che era stato presentato col motto 473A2260 ed era stato elaborato in collaborazione con Renato di Tomassi e Paolo Zella Milillo.

Una speciale risonanza nella cultura architettonica del dopoguerra viene riservata al progetto di Calza Bini – Nicolini, soprattutto per la sua adesione al linguaggio razionalista di cui costituisce un esempio significativo. Ad esempio nel 1976 la Biennale di Venezia presenta una mostra intitolata “Il razionalismo e l’architettura italiana durante il fascismo” e inserisce nell’esposizione le due tavole del centro di Pomezia presentate nel concorso.

Piano Regolatore di Pomezia, Il Palazzo e la Torre comunale

Piano Regolatore di Pomezia, Il Palazzo e la Torre comunale (Petrucci, Tufaroli, Paolini, Silenzi) [Roccatelli 1938]

Successivamente, e in questo caso in tempi molto recenti, il rinnovato interesse per le città di fondazione esita nell’apertura di un apposito Museo, inaugurato a Pomezia nel 2019 e comprendente una sezione specifica sulla storia della città, realizzata col contributo del C.E.S.A.R (Centro Studi Architettura Razionalista). Questo allestimento comprende una accurata ricostruzione dei tre progetti finalisti del concorso, ma anche il recupero (attraverso gli archivi privati) e la presentazione di due dei progetti scartati alla prima selezione. Uno è il progetto del gruppo A.C.E.R. (Bernardi, Cambellotti, Barlattani) di cui si conosceva qualcosa per la pubblicazione su “Case d’oggi”. L’altro progetto, del tutto inedito, è dell’architetto e urbanista palermitano Edoardo Caracciolo: un professionista in quegli anni ancora giovane, ma in seguito esponente di primissimo piano dell’urbanistica in Sicilia.

Planimetria per il Piano di Pomezia, a cura di Caracciolo

Planimetria per il Piano di Pomezia, Progetto Caracciolo

Anche il progetto di Caracciolo, come quello di Calza Bini – Nicolini, propone un linguaggio diverso, meno legato agli schemi abituali nella progettazione delle altre città di fondazione, che prevalentemente cercavano di conciliare una generica classicità di impianto col ruralismo dei materiali e dell’ambientazione in genere. Nel caso di Caracciolo, in particolare per quanto riguarda la tavola della piazza, più che il classicismo o il razionalismo sembra presente una vena espressionistica, che condiziona anche il taglio prospettico con effetto stranamente inquietante.

Piano Regolatore di Pomezia, progetto Caracciolo

Piano Regolatore di Pomezia, Progetto Caracciolo

Inoltre, per una circostanza probabilmente dovuta al caso, il Comune di Pomezia conserva la relazione tecnica che accompagnava il piano Caracciolo, inserita in una pubblicazione del 2013 dedicata alla storia della città. Nel 1940 la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Palermo organizza una mostra di architettura riservata ai docenti e Caracciolo presenta il progetto di Pomezia insieme ad altri lavori che probabilmente considera più interessanti. In effetti per vari dei partecipanti, in particolare quelli eliminati alla prima selezione, l’esito di questo concorso deve essere risultato particolarmente deludente.

Piano Regolatore di Pomezia, progetto Caracciolo

Piano Regolatore di Pomezia, Progetto Caracciolo

Nel 1954 l’Istituto Nazionale di Urbanistica promuove una pubblicazione intitolata Urbanisti italiani, e chiede a tutti i professionisti attivi nel settore di fornire una scheda con indicazione dei principali lavori realizzati. Caracciolo, così come altri progettisti riconoscibili nei gruppi della prima fase, significativamente omette di inserire la partecipazione al concorso per il piano regolatore di Pomezia. Le tavole relative sono depositate nel suo archivio per un prolungato riposo, e seguono la stessa sorte tavole gemelle ugualmente custodite nell’archivio di un altro giovane architetto, Pietro Ajroldi, che probabilmente avrà collaborato nell’elaborazione e nella stesura grafica del progetto (Cottone, 2012), anche perché in quegli anni condivide con Caracciolo vari progetti e interessi professionali.

In pratica sembra di poter immaginare, al di là degli esiti ufficiali del concorso, uno scenario professionale in cui si vanno sviluppando idee e posizioni che non trovano ancora terreno favorevole per il loro sviluppo ma diventeranno importanti riferimenti per il periodo successivo, nel fervore di idee e di opere che caratterizza il primo dopoguerra.

Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021
Riferimenti bibliografici
L. Balsi, M. R. Da Frè, Pietro Aschieri architetto, Roma 1977
D. Cottone, Tradizione e modernità. Le architetture di Pietro Ajroldi, Roma 2012
C. De Seta, Architettura del Novecento, Torino 1981
P. Marconi, Concorso per il piano regolatore di Pomezia, in “Architettura”, 1938, fasc. IX
R. Mariani, Fascismo e città nuove, Milano 1976
A. Melis, Il concorso per il piano regolatore di Pomezia, in “Urbanistica”, 1938, n 1
L. Nuti, R. Martinelli, Le città di strapaese, Milano 1981
C. Roccatelli, Arsia. Carbonia. Guidonia. Pergusa. Pomezia, in “L’Ingegnere”, aprile 1938.
“Tuttopomezia”, Quaderni di ricerche storiche, n1, aprile 2004, “Fondazione e inaugurazione di Pomezia” 

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Maria Ajroldi, architetto, si occupa di Storia dell’architettura moderna e di Cultura dell’abitare. Su questi argomenti ha scritto Dimensione casa (Milano 2011). Ha lavorato in studi professionali con esperienza specifica nella progettazione di impianti di servizio. Ha pubblicato articoli di architettura e antropologia dell’abitare sul web magazine della Casa Editrice Hevelius e su altre riviste specialistiche. Ha svolto un incarico come docente al master “Scienze della Cultura e della Religione” dell’Università di Roma Tre. Ha collaborato con diverse associazioni di promozione sociale.

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