A trentasette anni dalla sua uccisione per mano mafiosa è ben strano porsi ancora questa domanda: chi ha paura di Mauro, della sua eredità morale, del suo esempio?
Per quasi quattro decenni la Città, in tal senso intendendo l’intero territorio per il quale si è battuto ed è morto, ha cercato tutti gli alibi per negargli l’onore dovuto: questione di donne, di terrorismo, di truffe finanziarie, di traffici disonesti. Tutto va bene pur di non riconoscere l’anima adamantina dell’uomo “che voleva cambiare il mondo”. Mascariamento si chiama dalle nostre parti questa operazione di disinformazione.
Ma oggi, trentasette anni dopo quella maledetta sera del 26 settembre 1988, con una sentenza definitiva della Cassazione che ribadisce la matrice mafiosa del delitto, perché la “Città” ha ancora paura dell’uomo che cercò di seppellire con una risata la mafia e il malaffare politico?
L’interrogativo si è riproposto con la sua dirompente forza distruttrice la sera del 7 aprile quando nel più capiente cineteatro di Trapani, pieno all’insperabile, Sky e la Palomar hanno concesso la proiezione del docufilm in due parti “L’uomo che voleva cambiare il mondo” appena andato in onda sulla tivvù a pagamento; era già accaduto a Torino dove Mauro era nato nel ‘42, anche lì teatro pieno, lacrime e applausi per il romantico giornalista-sociologo eroe della lotta di classe e dell’antimafia, quella vera e non parolaia.
Ma se nella città della Fiat, dove pure Rostagno lavorò giovanissimo per un breve periodo, l’omaggio al figlio andato a farsi ammazzare dall’altra parte dello Stivale nel suo anelito di giustizia era abbastanza prevedibile, se anche all’Università dove studiò con Renato Curcio, Marco Boato, Toni Capuozzo, ricorderanno in perpetuo con l’enorme lapide alla memoria “Mauro Rostagno, Studente contestatore a Trento, Spirito libero, Assassinato a Lenzi di Valderice (Trapani) per le sue inchieste sul fenomeno mafioso” e per farlo non hanno avuto bisogno di aspettare la sentenza della Suprema Corte arrivata nel 2020 ma fu sufficiente il primo grado che condannava i mafiosi mandanti ed esecutori definito nel 2015 (la lapide è del 2016), a Trapani il discorso è diverso, più complicato, contorto come gli ulivi delle campagne i cui frutti devono venire triturati, spremuti, filtrati per assicurare il prodotto migliore.
A Trapani la città ha risposto con affetto e riconoscenza verso l’uomo alla concessione dei produttori mediata dal sindaco, ed è accorsa in sala per applaudire convinta; “se non si riempie almeno a metà non rimango, me ne vado, troppa sarebbe la delusione” paventava prima dell’inizio Maddalena, la figlia minore di Mauro Rostagno che aveva solo 15 anni quando le uccisero il papà a cui aveva appena regalato la prima cravatta dai molti colori e tanto si era battuta per organizzare la proiezione, e il timore era tale che aveva proposto come location un altro locale meno capiente. Fortunatamente la disponibilità era solo del cineteatro maggiore perché in caso contrario tantissima gente sarebbe rimasta fuori. Una serata straordinaria, dunque, col film sceneggiato da Roberto Saviano e Stefano Piedimonte e diretto da Giovanni Troilo e con tanto pubblico “bello” del territorio. Una standing ovation ha accompagnato i titoli di coda. Più di una lacrima è scesa sui volti segnati dal dolore. Anche il matinée dedicato alle scuole era andato benissimo.
Tuttavia la sensazione, meglio la certezza, che a tanti anni di distanza la città non abbia perdonato a Mauro l’aver messo alla berlina potenti e mafiosi è fortissima. Una classe politica che per decenni è andata a braccetto col malaffare sembra aver prodotto molti tristi epigoni che alla fine riescono a condizionare l’attività anche di quanti almeno a parole cercano un futuro diverso per questa terra. Alla fine rischia di vincere la solidarietà della casta, pochissimi (nessuno?) hanno il coraggio di alzare la voce per indicare forte e chiaro, nome e cognome, chi si oppone al cambiamento concreto. Spesso sono episodi a prima vista marginali, minori, che possono fornire indicazioni e spiegazioni a comportamenti fondamentali che portano con sé il genoma di una società.
Prima di proseguire con questa modesta e personalissima lettura “sociologica” della realtà trapanese è opportuno ricordare brevemente chi era Mauro Rostagno, l’uomo che morì per aver creduto nella possibilità di cambiare davvero il mondo.
Fondatore e leader carismatico di Lotta Continua aspirava a creare una società “in cui valga la pena trovare un posto” e per questo scopo si batté sempre contro le disuguaglianze e le ingiustizie, accanto ai poveri e diseredati; a Milano fondò Macondo il locale dove padrone di casa era la fantasia e ovviamente si scontrò con la morale benpensante del tempo (erano gli anni ‘70) che gli aprì per pochi giorni le porte del carcere con la inverosimile accusa di promuovere l’uso di droghe; a Palermo dove insegna sociologia alla facoltà di Architettura organizza l’occupazione non violenta della Cattedrale per assicurare una casa a chi non ne aveva; disilluso viaggiò in India sulle orme di Osho e tornato in Italia assieme a Cicci Cardella alla periferia di Trapani fondò la Comunità Saman per il recupero dei tossicodipendenti. Una vita sempre al servizio dei bisognosi.
A Trapani Rostagno portò i ragazzi della Saman nella televisione locale RTC per un impegno al di fuori della Comunità e lì andò incontro al suo destino, perché un mezzo potente come la tivvù che entra in tutte le case non poteva che risvegliare il rivoluzionario desideroso di cambiare in meglio il mondo, il sociologo che desiderava rendere protagonisti quanti nella storia non hanno avuto diritto di rappresentanza, il giornalista che amava spiegare a tutti l’essenza delle cose, il libertario che odiava la sopraffazione del potere fosse esso politico o mafioso. In televisione parlò, raccontò, diede la voce a tutti per le strade e nei palazzi. La parola contro il silenzio che i vincitori imponevano e i vinti subivano. Il Logos contro il Kaos. La vita che si riprendeva i suoi spazi.
Divenne immediatamente l’uomo più amato e odiato dalla Città-territorio. Sbugiardò i politici e sbeffeggiò i mafiosi, portò sullo schermo le piccole istanze quotidiane di chi campa con poche lire e gli affanni dei sindaci alle prese con i laccioli dei bilanci, lui comunista e barricadero divenne amico di preti e giudici che stavano dalla parte giusta. Troppo per un territorio abituato ai silenzi, che non aveva voluto vedere la raffineria di eroina più grande al mondo né sentire il rumore di spadini nelle logge massoniche segrete e deviate.
Così il 26 settembre del 1988, quando aveva appena 44 anni e la barba ancora nera, lo uccisero davanti alla Comunità Saman dove tornava dopo l’ultimo tiggì nella sua RTC.
Polizia e Carabinieri litigarono già davanti al corpo martoriato dai pallettoni e dai proiettili … e iniziò immediatamente il mascariamento. Omicidio di mafia, no vendetta di tossicodipendenti, questione di donne, truffe nella gestione amministrativa della Comunità. Ognuno aveva la propria verità.
Ai funerali religiosi del non credente Mauro, officiati nella Cattedrale di Trapani incapace di contenere l’immensa umanità che voleva dargli l’ultimo saluto, si ritrovarono anche i compagni dell’Università e delle lotte politiche. Non c’era Renato Curcio ancora in prigione e che Rostagno avrebbe voluto portare in tivvù. Arrivarono a dire anche che l’assassinio prendeva le mosse dai risvolti criminosi della lotta armata. Il punto più basso del mascariamento fu raggiunto quando un giudice dalla faccia di uomo – Gianfranco Garofalo il nome – provò a spedire Chicca Roveri, compagna di Mauro e mamma di Maddalena, a sfogliare i tramonti in prigione con l’accusa più infame: complicità nell’omicidio compiuto per nascondere la malamministrazione finanziaria all’interno di Saman. I tiggì nazionali che il 26 settembre ‘88 avevano aperto con “l’assassinio del giornalista sociologo” annunciarono che invece si trattava “di una questione tutta interna alla comunità di recupero dei tossicodipendenti”. Storie di droga e ruberie. Era il luglio 1996.
Anche io rischiai di finire in manette per una presunta falsa testimonianza perché interrogato da un giudice ragazzino, anch’esso con la faccia da uomo, non ricordai ciò che a lui piaceva per confermare la “pista interna” dell’omicidio. L’infamante accusa contro Chicca e il castello di menzogne della Procura trapanese durarono pochi giorni e ai primi di agosto le porte del carcere si aprirono per restituire la libertà e l’onore alla donna. Acqua passata.
La sentenza della Corte d’Assise di Trapani, datata 2014, confermò la matrice mafiosa dell’omicidio e condannò all’ergastolo il mandante e l’esecutore; in Appello e Cassazione le tesi accusatorie furono confermate anche se l’esecutore materiale venne assolto: poco male, è un killer di mafia che ha già sulle spalle quattro o cinque ergastoli. In fondo conta poco chi abbia premuto il grilletto, nel 1988 un assassino costava mezzo milione di lire a esecuzione … quello che importa è la certezza che Mauro Rostagno fu ucciso dalla mafia. Una delle tante vittime di mafia con un valore aggiunto, però: al pari di magistrati, poliziotti, avvocati, giornalisti, è stato ucciso per avere difeso la società civile, la legalità, la giustizia. Non passava da Lenzi per caso. Più avanti vedremo come questa particolarità sia fondamentale nella risposta alla nostra domanda iniziale: chi ha paura ancora oggi di Mauro?
Nel suo lavoro in televisione Rostagno scandagliava l’attività criminale, politica, culturale, sociale di tutta la provincia trapanese: i bilanci “creativi” e le logge massoniche “coperte” di Trapani, la produzione di eroina ad Alcamo, gli scandali degli enti teatrali a Marsala, la mafia di Castelvetrano e Mazara del Vallo, gli uomini d’onore di Paceco e Custonaci, i posti di lavoro in vendita, i confini inesistenti tra Comuni che condividono tuttora le strade, le truffe amministrative e la pulizia delle città, la cultura e le cattedrali nel deserto del Belìce, la Scienza che si incontrava ad Erice …
L’università di Trento che lo vide figliolo contestatore eppure prodigo ha aspettato solo la prima sentenza giudiziaria per rendergli il meritato onore: la targa alla memoria è stata affissa nel 2016, poco dopo la pubblicazione delle motivazioni a firma del presidente dell’Assise Angelo Pellino.
E il territorio per il quale Mauro Rostagno si impegnò nel capitolo finale della sua vita colorata? quello di cui si sentiva parte integrante in quanto come amava ripetere dagli schermi dell’emittente RTC “sono più trapanese di voi perché qui ho deciso di vivere e di invecchiare”.
Già, la Città … nessun Comune ha voluto raccogliere quella sua dichiarazione di amore. Ancora oggi a 37 anni dall’assassinio, a 11 dalla prima sentenza che condannò la mafia, a 5 dal pronunciamento definitivo della Cassazione. Qualche strada intitolata, la piazza simbolo delle sue denunce sociali a lui “dedicata”, e basta. Non un’aula istituzionale intestata, nessuna “cittadinanza onoraria” conferita a suggellare il suo rapporto viscerale col territorio, lui che si sentiva “più trapanese” di tutti noi.
Fermiamoci su questi due punti, “cittadinanza” e intitolazione. Potrebbero apparire vuote sovrastrutture, una semplice semantica dei rapporti sociali. Nella terra dove il potere tuttora si manifesta con l’ingresso delle processioni della Settimana Santa nei cortili dei potenti non è così. L’odio “alla memoria” ha la sua occasione: negare gli onori a chi è stato un nemico, non importa se proprio o del sistema di cui comunque fai parte. Ecco a chi fa ancora paura Mauro Rostagno.
Quando ho proposto a un’alta carica istituzionale del Comune di Trapani di intitolare l’aula consiliare a Mauro mi è stato risposto che “non è una iniziativa politicamente perseguibile”. Questo dopo 32 anni dalla notte di Lenzi, 5 dopo la sentenza di Assise, uno dopo la conferma in Appello. Non politicamente perseguibile per un’Amministrazione cittadina ufficialmente “progressista”. La “dedicazione” della sala consiliare “alla memoria delle donne e degli uomini trapanesi e non, vittime di mafia” tra cui dunque anche Rostagno, avvenuta nel 2023 ed esibita dal sindaco della Città nella serata del docufilm, serve solo a tacitare la coscienza (gli eroi son tutti giovani e belli …) e non toglie nulla alla gravità del primitivo messaggio: dal 1988 a oggi nel capoluogo si sono alternate 10 Amministrazioni, 8 sindaci e due Commissari straordinari, ma quella pazza idea resta non perseguibile “politicamente”. A chi fa paura, dunque, Mauro? Perché in nessun Comune del territorio gli è stata conferita quella cittadinanza onoraria che avrebbe dato ufficialità al suo sentirsi “più trapanese di noi”? Eppure gli strumenti ci sarebbero tutti, e anche i precedenti.
Il Comune di Trapani ha un Regolamento per il conferimento della cittadinanza onoraria che risale al 2013, Mazara se n’è dotata nel 2017, Erice nel 2024, e comunque i Consigli comunali possono concederla anche in assenza di regolamento. Eppure nessuno ha mai pensato seriamente di avviare l’iter amministrativo, nemmeno nel capoluogo dove la “cittadinanza onoraria” è stata conferita in pochi giorni al patron delle maggiori squadre di calcio e basket cittadine ma sono occorsi tre anni per concederla alla senatrice Liliana Segre … per non dire della recentissima bocciatura del conferimento alle ONG che salvano i disperati in mezzo al Canale di Sicilia. I Leghisti che governano la città insieme al Pd e altre liste genericamente progressiste non hanno dato i loro voti necessari e la proposta della Giunta comunale (una anomalia, come vedremo) è stata bocciata.
In questi giorni sull’onda delle emozioni suscitate dal film di Sky sull’uomo che voleva cambiare il mondo qualcosa sembra muoversi, ma su percorsi tortuosi e certamente sbagliati. Il Regolamento è chiarissimo: la proposta di conferimento può essere presentata dal Sindaco, dal Presidente del Consiglio, da un terzo dei Consiglieri, da duemila cittadini. Non ci sono altre strade. Presentata la proposta questa inizia immediatamente il suo iter burocratico e viene sottoposta al Consiglio che può approvarla “a maggioranza dei suoi componenti”. Un regolamento semplice, ben fatto. Invece il Consigliere che ha pensato alla cittadinanza per Mauro Rostagno intende presentare una “mozione” che impegni l’Amministrazione ad attivarsi per il conferimento. Un nonsenso. La “mozione” è un suggerimento rivolto all’Amministrazione, che può tenerne o meno conto: va presentata alla Presidenza del Consiglio, iscritta all’ordine del giorno dei lavori consiliari, discussa in aula e infine votata, se approvata diviene un invito all’Amministrazione ad avviare un iter che per regolamento non ha bisogno di tutti questi passaggi, anzi non li prevede neppure.
La semplificazione amministrativa da quelle parti resta una sconosciuta. L’ho fatto presente al giovane Consigliere progressista e gli ho chiesto perché non seguire il dettato del regolamento, più veloce e lineare. La risposta è stata disarmante: “Ci vogliono le firme di un terzo dei Consiglieri e non sono certo di poterne raccogliere otto”. Otto firme per Mauro Rostagno cittadino onorario, potrebbero non trovarsi nell’assise di ventiquattro componenti dove i progressisti siedono con i leghisti. “Allora sottoponi il documento alle firme e fai nome e cognome di chi non vuole firmare, è il momento di dire basta alla solidarietà di casta” è stato il mio invito. Non ho più saputo nulla.
Chi ha ancora paura di Mauro Rostagno?
Dopo Marx … aprile*
La Primavera di Trapani è sfiorita molto presto. La Città ideale ha lasciato il posto a quella reale. La Città di Mauro che parlava con tutti e dava la parola a tutti, presente in buona parte al cineteatro per abbracciarlo ancora, si è fatta da parte mortificata dalla Città reale che si nasconde dietro i silenzi complici e al Logos preferisce il Kaos degli accordi politici contronatura, che non sa sorridere perché ha paura di essere seppellita da quella risata.
*Grazie, Mauro, anche per questa tetragona ironia, abbiamo condiviso le battaglie civili e la musica e mi piace ricordare il tuo stupore divertito nel constatare come un compagno e un liberale potessero andare tanto d’accordo.
Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025
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Ninni Ravazza. Giornalista e scrittore, è stato subacqueo delle tonnare siciliane e sommozzatore corallaro. Ha organizzato convegni e mostre fotografiche sulla cultura del mare e i suoi protagonisti. Autore di saggi e romanzi, per l’Editore Magenes (Milano) ha scritto: Corallari (2004); Diario di tonnara (2005 e 2018); Il sale e il sangue. Storie di uomini e tonni (2007); Il mare e lo specchio. San Vito lo Capo, memorie dal Mediterraneo (2009); Sirene di Sicilia (2010; finalista al “Premio Sanremo Mare” 2011); Il mare era bellissimo. Di uomini, barche, pesci e altre cose (2013); Il Signore delle tonnare. Nino Castiglione (2014); San Vito lo Capo e la sua Tonnara. I Diari del Secco, una lunga storia d’amore (2017); Storie di Corallari (2019); L’occhio in cima all’albero (2022; finalista al Premio letterario “Carlo Marincovich” 2023); Il Mozzo e l’Ammiraglio (2024, in finale al Premio letterario “Carlo Marincovich” 2025) . Dal libro Diario di tonnara è stato tratto l’omonimo film diretto da Giovanni Zoppeddu, prodotto dall’Istituto Luce Cinecittà, in selezione ufficiale alla Festa del Cinema di Roma 2018, di cui l’Autore è protagonista e voce narrante. Tra gli altri suoi libri dedicati al mare: L’ultima muciara. Storia della tonnara di Bonagia (Trapani, 1999-2000-2004); La terra delle tonnare (Trapani, 2000); Il tonno fatato (Sassari, 2003); Un fiore dagli abissi. Il corallo: pesca, storia, economia, arte, leggenda (San Vito lo Capo, 2006); Pesca, stabilimenti e trasformazione del pescato in provincia di Trapani (Università di Bari, 2006); Epos, eros e thanatos. Il mondo immutabile della tonnara (Venezia, 2010); L’ultimo rais della tonnara Saline. Storia di Agostino Diana (Sassari, 2011); I Suoni del Lavoro. Canti e preghiere dei pescatori siciliani (San Vito lo Capo, 2012); Nicolino il pescatore (Palermo, 2018); I tonni, i cavalier, le feste, gli amori. Storia della tonnara di San Giuliano (Trapani, 2019); Rais. Una storia di mare (Trapani, 2020); Cianchino. L’isola delle illusioni (Roma, 2023, finalista al Premio letterario “Carlo Marincovich” 2024). Ha vinto il Premio Nazionale di Giornalismo “Pippo Fava” (1987); il Premio Nazionale “Un video per un Museo” dell’HDS Italia (2001), sezione Mediterraneo, con il video “La tonnara nascosta”; il Premio Internazionale “Orizzonti Mediterranei” 2002 per il sito internet www.cosedimare.com; nel 2018 per il suo impegno in favore del mare gli è stato conferito il Premio Unesco.
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