Lo spazio
L’essere umano è un animale terrestre che chiama Terra un pianeta composto per tre quarti dall’elemento liquido, tanto che il mare ha rappresentato per numerose popolazioni ed epoche la dimensione decisiva dell’esistenza. Anche per questo ciò che di solito viene definito con l’espressione storia del mondo (e che in realtà è soltanto la storia di una specie di mammiferi terrestri) può essere descritto anche come «la storia della lotta delle potenze marittime contro le potenze terrestri e delle potenze terrestri contro le potenze marittime» [1]. L’animale più grande – la balena – e quello più astuto – l’uomo – hanno avuto nel mare lo spazio di uno scontro millenario. Sono state le balene e i balenieri ad aprire le rotte e le vie d’acqua più sconosciute e ardite, fino a quando il rapporto tra di loro è stato paritario, fino a che non sono apparsi i macellai delle baleniere meccanizzate.
A partire dalle civiltà del Mediterraneo orientale sino a Lepanto (1571) le battaglie navali non furono altro che scontri di fanteria trasferiti sulle tolde delle navi ma già dalla sconfitta della Armada spagnola nella Manica (1588), con le bocche di fuoco dei cannoni e con i nuovi agili velieri inventati dagli olandesi, lo scontro di mare assunse le sue caratteristiche specifiche, che contribuirono a trasformare un popolo di allevatori come quello inglese nei dominatori del globo. I pirati, i corsari, gli schiumatori del mare furono tra i protagonisti di una trasformazione radicale con la quale l’Inghilterra trasferì la propria esistenza dall’elemento terrestre a quello marittimo [2].
Mutamento che fu contemporaneo – e strettamente intrecciato – non soltanto alle grandi scoperte geografiche, non soltanto alle nuove tecnologie belliche e navali, non soltanto allo scontro fra cattolicesimo e protestantesimo ma anche alla lotta che oppose il calvinismo “marittimo” al gesuitismo “terrestre”. Integrando e rendendo più plausibile la prospettiva di Max Weber, Schmitt scrive che «se invece ci volgiamo al mare, vediamo immediatamente la coincidenza o, se così posso dire, la fratellanza che, nella storia del mondo, unisce il calvinismo politico alle nascenti energie marittime europee» [3].
Con la comparsa del grande Impero inglese sull’acqua, muta radicalmente il modo di combattersi degli umani tra di loro. Nella guerra terrestre, infatti, a fronteggiarsi in campo aperto sono quasi sempre soltanto le truppe, i soldati, gli armigeri. La guerra marittima, invece, tende a colpire le risorse dell’avversario, a strozzare la sua economia, a cannoneggiare le sue coste e le città, a coinvolgere l’intera popolazione diventata tutta e inevitabilmente ‘nemica’. È la guerra totale, inventata dalla potenza marittima e calvinista inglese. Il suo dominio durò per più di due secoli, fino a quando trasformandosi da “pesce” a “macchina”, con la Rivoluzione industriale la Gran Bretagna sembrò attingere a una potenza incontrastata che invece di fatto rappresentò l’inizio della sua crisi. Con la meccanizzazione, infatti, vennero meno lo slancio iniziale e il dominio sulle tecniche della navigazione a vela e un’altra più potente “isola” calvinista si sostituì progressivamente all’antica madrepatria. Agli inizi del Novecento, l’ammiraglio americano Mahan propose la riunificazione fra l’Inghilterra e gli Stati Uniti allo scopo di garantire la perpetuazione del dominio anglo-americano sul mondo.
La potenza secolare dell’elemento marino – il Leviatano – ha successivamente contribuito allo sviluppo dell’aviazione e del fuoco che distrugge dall’alto. I due nuovi elementi – l’aria e il fuoco – delineano un’ulteriore trasformazione tesa alla sconfitta e al controllo dell’antico elemento terrestre. Il grande uccello mitologico, il Grifo Ziz, combatte per la sottomissione della Terra Behemot. Nella prima metà del Novecento nacque così, attraverso scontri e distruzioni immani, un nuovo Nomos della Terra, quello che dal 1945 al tempo presente ha controllato il pianeta, sconfiggendo l’Europa continentale, lanciando un fuoco immane e distruttore sul Giappone, imponendo all’intera umanità la globalizzazione dei suoi modelli di vita e della sua economia.
Non sono pochi i segnali che indicano nel XXI secolo l’esaurirsi anche di questo Nomos, che però adesso va analizzato e compreso meglio attraverso il libro fondamentale di Carl Schmitt.
Pubblicato nel 1950, Il Nomos della terra raccoglie e sistematizza nel modo più chiaro e più ricco non soltanto la sapienza giuridica che Schmitt ha interpretato e inverato ma anche una vera e propria storia del Diritto internazionale dal Medioevo al Novecento e una compiuta, aperta e critica filosofia della storia.
I due concetti sui quali si fonda sono Ordnung und Ortung, difficilmente traducibili senza inserirli in un più ampio discorso sull’identità della Terra e del Mare nella storia dell’umanità. Il traduttore italiano sceglie la coppia ‘ordinamento e localizzazione’, la quale ha il merito di trasmettere l’inseparabilità, per Schmitt, dell’ordine politico con il radicamento nello spazio.
Anche la parola chiave, Nomos, non si riferisce a una qualche legge, regola o norma ma indica piuttosto una localizzazione sacrale, un muro che delimitando lo spazio gli assicura l’identità di un senso. Scrive infatti Schmitt che «per noi si tratta del processo fondamentale della suddivisione dello spazio, che è essenziale a ogni epoca storica; si tratta della combinazione strutturante di ordinamento e localizzazione, nel quadro della convivenza tra i popoli sul pianeta nel frattempo scientificamente misurato. In questo senso si parla qui di nomos della terra» [4].
La ‘convivenza tra i popoli’ è il significato ed è l’obiettivo del diritto internazionale e dei rapporti tra le comunità, le nazioni, gli Stati. Strutture diverse nel tempo e nello spazio ma tutte caratterizzate da una costante e millenaria dinamica di identità e differenza. Si può entrare infatti in una relazione pacifica con l’altro soltanto se si possiede una propria identità quanto più forte possibile. È infatti in questo modo che si evita, sino a che è possibile, l’insicurezza che è potenzialmente foriera di conflitto. Un conflitto che però non sarà mai eliminabile data la natura finita e animale della specie umana, data cioè la complessità dei suoi bisogni.
È anche per questo che sino al Novecento l’obiettivo del diritto internazionale e delle relazioni tra i popoli non è stata un’impossibile eliminazione della guerra ma una praticabile sua limitazione volta a evitarne gli esiti distruttivi ed esiziali.
Dopo le guerre successive alla dissoluzione dell’Impero romano, dopo dunque i conflitti medioevali tra i popoli cristiani, la novità rappresentata in età moderna dalla nascita degli Stati centralizzati e autonomi richiese l’elaborazione di un nuovo Nomos dell’Europa e del Mediterraneo, il quale ebbe compimento e ratificazione nelle paci di Westfalia del 1648 che chiusero la fase violentissima delle guerre di religione. Con i trattati successivi, ad esempio quello di Utrecht del 1713, si pose fine anche alla guerra di predazione sui mari e nacque in questo modo lo Jus Publicum Europaeum, il quale costituì «un capolavoro della ragione umana» per la sua capacità di porre fine ai «massacri delle guerre tra fazioni religiose» e limitando i conflitti alla forma della «semplice guerra tra gli Stati» come guerra circoscritta e guidata da regole che evitassero il coinvolgimento distruttivo delle popolazioni. L’esito fu costituito dal «fatto sorprendente che per due secoli non si ebbe sul territorio europeo nessuna guerra di annientamento» [5].
Poi arrivarono i ‘valori’, vale a dire il ritorno a guerre combattute in nome di principi assoluti e sacri. Nel Medioevo tali principi si riferivano alle verità teologiche; con la Rivoluzione francese e le guerre napoleoniche essi si fondavano su principi etici, riassunti nella formula dei ‘diritti dell’uomo’. La differenza con le guerre medioevali fu ed è comunque netta come capacità distruttiva e annichilente delle guerre contemporanee, a partire dalla disponibilità di tecnologie belliche inesistenti nell’età di mezzo.
Umanesimi e massacro
Già il rapporto con le popolazioni delle Americhe, dopo la loro ‘scoperta’, è indice dei tanti interventi umanitari di natura imperialistica che hanno guidato l’azione dell’Europa prima e dell’Occidente dopo, come si evince con chiarezza dalle tesi del filosofo e uomo politico inglese del Cinquecento Francis Bacon, il quale «sostiene che gli Indiani sono, in quanto cannibali, ‘banditi dalla natura stessa’. Essi stanno al di fuori dell’umanità, hors l’humanité, e sono privi di diritti. Non è affatto paradossale che tali argomenti inumani siano sostenuti proprio da pensatori umanisti e umanitari. […] Con essa si accresceva la forza discriminatrice e di spaccatura propria dell’ideologia umanitaria» [6].
Il giurista spagnolo Francisco de Vitoria (1483-1546) elabora varie argomentazioni che giustificano la guerra della corona iberica contro i nativi americani, facendo riferimento a «motivi che nell’uso linguistico moderno verrebbero fatti valere quali tipici ‘interventi umanitari’ e che giustificano i diritti di occupazione e di intervento degli Spagnoli, se questi intervengono in favore di uomini ingiustamente oppressi dai barbari nella loro terra» [7]. Come si vede, nel XXI secolo siamo sempre e ancora in quell’ambito, quello per il quale valori etici e diritti umani guidano e giustificano il colonialismo e i suoi massacri.
Uno dei principi fondamentali di Westfalia fu il divieto di ingerenza negli affari interni di altri Stati; al contrario, le guerre etiche della modernità vengono scatenate per portare il bene e i valori ad altri popoli, sia che si tratti della ‘civiltà’, sia del ‘liberalismo’ politico sia del ‘liberismo economico’, sia appunto dei ‘diritti umani’ contro nazioni accusate di non rispettarlo. Nel XIX secolo cominciò dunque a venire meno quel sistema che, «in confronto alla brutalità delle guerre di religione e di fazione, le quali sono secondo la propria natura guerre di annientamento in cui i nemici si discriminano l’un l’altro come criminali e pirati, e in confronto alle guerre coloniali, che vengono condotte contro popoli ‘selvaggi’», produsse un sistema atto a limitare le guerre, condusse a «una razionalizzazione e un’umanizzazione di grandissima efficacia. Ad entrambe le parti in guerra compete con pari diritto un medesimo carattere statale. Entrambe le parti si riconoscono come Stati. Questo consente di distinguere il nemico dal criminale. Il concetto di nemico diviene capace di assumere una forma giuridica. Il nemico cessa di costituire qualcosa che deve essere annientato. Aliud est hostis, aliud rebellis» [8].
Con il declino di questo nomos venne meno il riconoscimento del nemico come justus hostis, al quale attribuire piena umanità, parità e diritto. Con il ritorno invece della guerra come justa causa fondata su ragioni morali, il nemico perse sempre più la sua umanità e oggi vediamo che esso è ridotto a semplice terrorista al quale non viene riconosciuta alcuna forma giuridica e diritto formale ma soltanto la qualifica di criminale di guerra che pertanto non ha diritto a garanzie e processi ma a un semplice e auspicabilmente definitivo annientamento. Per riferirci solo ai più recenti casi, si pensi alla Serbia di Milosevic, alla Libia di Gheddafi, all’Iraq di Saddam Hussein, alla resistenza palestinese di Hamas a Gaza.
Di fatto, questo è il tramonto del diritto romano e quindi di ogni possibilità di comporre i conflitti senza la distruzione totale del nemico. Il diritto romano operava infatti «una distinzione netta tra il nemico, l’hostis, e il criminale. ‘Hostes hi sunt, qui nobis aut quibus nos publice bellum decremivus: ceteri latrones aut praedones sunt’. […] Ma la capacità di riconoscere uno justus hostis è all’origine di ogni diritto internazionale» [9]. E invece, e ignorando i dubbi contro la guerra giusta sollevati anche dal giurista scolastico Francisco de Vitoria,
«la teoria odierna della guerra giusta mira proprio alla discriminazione dell’avversario in quanto artefice di una guerra giusta. La guerra stessa diviene un crimine nel senso penalistico del termine. L’aggressore viene definito criminale nel peggiore significato del termine, ed è posto outlaw come un pirata. […] Il problema della justa causa rimane al di fuori di tale ambito di determinazione concettuale. Già per questo motivo la distinzione moderna tra guerra giusta e guerra ingiusta non ha una relazione interna con la dottrina scolastica medioevale e con Vitoria. Quest’ultimo è a conoscenza, come lo è l’intera dottrina medioevale, di un bellum justum offensivum» [10].
Per essere ancora più chiari (si tratta infatti di un punto fondamentale per comprendere il male del Novecento e del XXI secolo) nella guerra pre-ottocentesca
«l’avversario è considerato senza dubbio nella sostanza come justus hostis. Nella concezione moderna e discriminante della guerra la distinzione tra giustizia e ingiustizia della guerra consiste invece proprio nel fatto che il nemico non è più considerato justus hostis ma criminale. La guerra cessa pertanto di essere un concetto di diritto internazionale, benché non cessino affatto in essa le uccisioni, le depredazioni e l’annientamento, ma siano addirittura accresciuti da nuovi moderni mezzi d’annientamento. Nella misura in cui, da una parte, la guerra diviene azione penale nel senso del moderno diritto criminale, l’avversario non può più, dall’altra parte, essere justus hostis. […] La guerra è così eliminata, ma solo perché i nemici non si riconoscono più reciprocamente sul medesimo piano morale e giuridico» [11].
Queste affermazioni costituiscono la chiave di volta e la porta di ingresso se si vuole davvero capire il presente. Nel Medioevo la regolamentazione anche della guerra – non, ripeto, la sua utopistica eliminazione – costituisce anche un kat-echon, termine paolino con il quale si indica una forza frenante, la capacità di resistere alle dinamiche della distruzione e della dissoluzione. E questo può accadere, tra le strutture politiche, soltanto se si riconosce il pieno diritto del nemico, il quale può anche avere ragione. E invece già con la Dottrina del diritto di Kant (1797) viene inventata la figura dell’hostis injustus, del ‘nemico ingiusto’, nei cui confronti una guerra preventiva diventa una guerra giusta, di fatto diventa una crociata indotta da ragioni ideologiche e morali, non dal principio di realtà politica e giuridica.
Da Kant alle guerre giacobine, poi a quelle napoleoniche, passando per le guerre nazionalistiche e pervenendo ai bombardamenti umanitari del nostro presente, la figura dello justus hostis «viene dunque negata nella prospettiva di un’etica filosofica così come in precedenza era stata negata dalla teologia, e viene infine soppressa mediante l’introduzione di guerre discriminanti» [12].
Tale rovinoso processo si accompagna storicamente a un altro passaggio, che abbiamo già visto nel paragrafo introduttivo, quello dalla terra al mare e poi all’aria. Non è per caso che nel linguaggio mitico la terra è anche la madre del diritto, la fonte della giustizia che ricompensa con la crescita e il raccolto le fatiche che in essa vengono profuse. Il mare è invece definito tante volte da Omero ‘infecondo’, essendolo anche dal punto di vista giuridico, dato che in esso non esistono confini e stabili spazi. Il progressivo affermarsi dell’isola britannica costituisce la forma politica dell’apparire e del predominio del mare sulla terra. Al quale si aggiunse nel Novecento lo spazio aereo, la cui struttura e modalità è del tutto nuova e ha di fatto cancellato il rapporto tra terraferma e mare libero, a favore di un dominio dello spazio aereo che determina le vicende e gli esiti della guerra sia terrestre sia marittima.
Dottrina Monroe e Prima guerra mondiale
Si conferma in questo modo che i due eventi fondamentali della contemporaneità sono stati la Dottrina Monroe (1823) e la Prima guerra mondiale (1914-1918). Il secondo elemento è assai più conosciuto del primo ma è stato il primo a contribuire agli esiti del secondo.
La dottrina Monroe crea il concetto e la realtà di emisfero occidentale contrapposto allo spazio europeo, dove la contrapposizione non è soltanto tra il nuovo e il vecchio, tra il mare e la terra ma tra sfere morali e politiche del tutto diverse. La potenza che ha creato l’emisfero occidentale, gli Stati Uniti d’America, identifica in se stessa una terra d’elezione prima di tutto morale, si attribuisce un primato etico e umanitario, pur essendo nata dallo sterminio e dal genocidio dei popoli nativi dell’America. Si tratta dunque di una civiltà eletta, di una nuova Gerusalemme, il cui manifest destiny consiste nel diffondere libertà e democrazia in tutto il mondo, all’inizio contro le monarchie ‘reazionarie’ dell’Europa e poi contro qualunque popolo e nazione che rifiuti di abbracciare i suoi principi. La politica degli USA successiva al 1823 continuò a oscillare tra isolazionismo e interventismo, sino all’evento chiave della Prima guerra mondiale, delle successive paci e della Lega delle Nazioni, voluta e di fatto imposta dal presidente americano Woodrow Wilson ma alla quale poi gli USA non aderirono. Con l’assenza degli USA dalla Lega delle Nazioni «l’Europa risultava posta in ombra dall’emisfero occidentale. La stessa Lega di Ginevra vi si era sottomessa fin da principio. Nell’art. 21 del suo statuto si era apertamente piegata dinanzi alla dottrina di Monroe» [13].
Sono interessanti e significative le modalità di questa assenza. Il presidente Wilson aveva infatti solennemente dichiarato il 19 agosto 1914 la neutralità degli Stati Uniti d’America; aveva ottenuto il suo secondo mandato con la rivendicazione del fatto che durante il primo mandato «he kept us out of war» ma il 2 aprile 1917 Wilson dichiarò che la pace mondiale e la libertà dei popoli richiedevano l’intervento degli USA nella guerra europea: «Solo così la Prima guerra mondiale divenne, da guerra europea vecchio stile, guerra che coinvolgeva il mondo e l’umanità intera» [14]. A quel punto gli Stati Uniti divennero il dominus delle paci e soprattutto della mutata situazione dell’Europa rispetto all’emisfero occidentale, del quale ora il Continente europeo divenne vassallo.
Così cominciò il tramonto dell’Europa, che negli anni Venti del XXI secolo sta avendo il suo compimento. «L’ordinamento eurocentrico finora vigente del diritto internazionale sta oggi tramontando. Con esso affonda il vecchio nomos della terra» [15].
Utopia e imperialismo
Si tratta di un esito pericoloso poiché restituisce spazio, legittimità e potenza alle ragioni più distruttive dei comportamenti umani, sia dei singoli sia delle comunità, le quali sono sempre ragioni teologiche e morali. Schmitt individua un nesso profondo tra utopia e nichilismo, tra l’utopia della cancellazione della guerra, la pace perpetua, e lo scatenarsi senza freni della guerra, come è accaduto con il tramonto dei princìpi di Westfalia e la pretesa del diritto di ingerenza nelle vicende interne degli altri Stati ‘per ragioni umanitarie’.
Ma chi stabilisce dove, quando e perché intervenire sulle vicende di altre comunità? Lo stabilisce il più forte, semplicemente; lo stabilisce la potenza mondiale che in un determinato momento ha la forza di sottomettere le altre ai propri interessi travestiti da principi universali, globali, assoluti.
Già dalla fine della Prima guerra mondiale, autentico suicidio dell’Europa che oggi va compiendosi sotto i nostri occhi, l’universalismo imposto dagli Stati Uniti d’America iniziò a significare che il luogo dove decidere le questioni europee non era più l’Europa. E non soltanto le questioni ma anche decidere il significato dei princìpi, dei valori, di parole come democrazia, libertà, legalità. Che cosa questi e altri principi significassero in qualunque luogo del pianeta, veniva spiegato e imposto dalla potenza che si sentiva (e si sente) l’incarnazione somma di tali valori. «Finché gli Stati Uniti si limitarono all’emisfero occidentale, tutto ciò riguardò solo questo grande spazio. Non appena però essi avanzarono la pretesa globale di un interventismo mondiale, la questione finì per toccare ogni altro Stato della terra» [16], a partire dall’Europa, soprattutto dall’Europa.
La dottrina Monroe dell’‘America agli americani’ significò ‘il pianeta agli americani’, a cominciare dall’‘Europa agli americani’. Va invece detto, contro ogni pretesa civilizzatrice del colonialismo occidentale, che gli altri non hanno nessun dovere di conformarsi ai principi liberali e capitalistici, poiché gli altri hanno le loro culture e i loro sistemi.
Allo scopo di superare le resistenze delle altre comunità politiche all’imposizione dei valori della potenza dominante, la guerra si è trasformata in una pratica umanitaria di polizia, volta a condurre ogni luogo, Paese e civiltà ai parametri e ai valori della civiltà occidentale: «Nella misura in cui oggi la guerra viene trasformata in azione di polizia contro turbatori della pace, criminali ed elementi nocivi, deve anche essere potenziata la giustificazione dei metodi di questo police bombing. Si è così costretti a spingere la discriminazione dell’avversario in dimensioni abissali» [17].
Lo abbiamo visto, come accennato, in Serbia, Libia, Iraq, Palestina. La vicenda di Gaza può ben essere compresa a partire anche dalla seguente riflessione di Schmitt: «Il diritto di resistenza e quello dell’autodifesa possono essere buoni diritti, e al contrario una serie di disposizioni senza possibilità di opposizione, tali da annichilire ogni idea di autodifesa, ovvero un sistema di norme e di sanzioni capace di eliminare tacitamente ogni perturbatore, possono significare una terribile distruzione nichilistica di ogni diritto» [18].
Si può aggiungere certamente anche l’Ucraina, per la quale è stata ignorata – insieme a molti altri elementi – anche la semplice ma necessaria distinzione tra l’aggressore operativo, la Russia, e l’aggressore strategico, la NATO, la quale non ha rispettato gli accordi presi con l’Unione Sovietica al suo tramonto sulla non espansione della NATO verso l’Europa dell’Est e ha invece organizzato una serie di colpi di stato mascherati da manifestazioni democratiche, tra le quali il più grave e foriero di disastri è stato il colpo di stato di Maidan del 2014, che sottomise l’Ucraina al controllo degli USA.
Scrive Schmitt che «senza l’immediata istituzione di tribunali internazionali imparziali, il vecchio principio secondo cui la miglior difesa è l’attacco si capovolgerebbe altrimenti nel nuovo, secondo cui proprio la difesa può essere il migliore e il più efficace degli attacchi», ad esempio provocando il nemico, come la NATO e l’Ucraina hanno fatto con la Federazione Russa, «e in tali definizioni dell’aggressore restano deliberatamente fuori dall’attenzione le cause più profonde della guerra, quali ad esempio il riarmo generale e la mancanza di sicurezza» [19], che sono due delle ragioni per le quali la Federazione Russa è stata costretta a intervenire in Ucraina per difendere i territori russofoni e impedire di avere gli eserciti della NATO direttamente ai propri confini dell’Europa meridionale. Gli USA accetterebbero la presenza delle armi russe in Messico o in Canada? No, e avrebbero ragione. Anche questo realismo è espressione dell’etica della responsabilità, difesa da Max Weber contro i gravi pericoli ai quali conduce ogni etica della convinzione, vale a dire il moralismo che pretende di diventare azione politica.
Occidente vs Europa
La filosofia del diritto elaborata da Carl Schmitt nella prima metà del Novecento pone quindi in abbagliante evidenza come l’Occidente sia diventato il vero nemico dell’Europa e l’Unione Europea costituisca la struttura che conduce a dissoluzione la cultura e la civiltà europee nella dinamica globalizzata sottoposta al dominio degli USA:
«La formula dell’emisfero occidentale era diretta proprio contro l’Europa, l’antico Occidente. Non era diretta contro la vecchia Asia o l’Africa, ma contro il vecchio Ovest. Il nuovo Ovest avanzava la pretesa di essere il vero Ovest, il vero Occidente, la vera Europa. Il nuovo Ovest, l’America, voleva sradicare l’Europa, che fino ad allora aveva rappresentato l’Ovest, dalla sua collocazione storico-spirituale, voleva rimuoverla dalla sua posizione di centro del mondo» [20].
Oggi, negli anni Venti del XXI secolo, tale progetto si è di fatto realizzato.
La filosofia della storia di Schmitt coglie e comprende la vicenda dell’Europa a partire dalle potenze che la superano, le potenze del βίος e del πόλεμος. Ancora una volta: la guerra può e deve essere limitata perché non può essere cancellata dalla storia umana. Chi pensa di eliminare il conflitto tramite il dominio dei valori prepara in realtà la catastrofe attuale.
La seconda presidenza Trump sta infatti cancellando le finzioni con le quali la colonia Europa ha giustificato a se stessa la propria servitù agli Stati Uniti d’America. Ora il dominio del padrone americano appare per come realmente è: brutale, colonialistico, violento. Merito di questo miliardario è aver sollevato il velo – «gli allòr ne sfronda», direbbe Ugo Foscolo [21] – e posto davanti agli occhi degli europei la verità del dominio e della servitù.
È talmente palese il disprezzo degli USA verso i colonizzati europei da gettare nello sconcerto i ceti dirigenti delle nazioni prone e il corrotto governo dell’Unione Europea guidato da Ursula von der Leyen. Non si aspettavano proprio di essere ricambiati con il soldo dell’umiliazione, dopo aver fatto in tutto e per tutto gli interessi degli USA, distruggendo l’Europa in una guerra per procura contro la Federazione Russa e persino accettando il sabotaggio del gasdotto NordStream2 che riforniva di gas russo Germania ed Europa a costi molto vantaggiosi.
La psicologia collettiva e la filosofia della storia ci insegnano da sempre che un padrone può ben avvalersi dell’opera dei servi ma naturalmente non li rispetterà mai, proprio perché sono servi.
Tra i Paesi europei l’Italia è particolarmente disprezzata. Che cosa ha fatto la Federazione Russa all’Italia? In quali circostanze, modi, azioni ha aggredito il territorio italiano o le sue rappresentanze, ha tradito gli accordi commerciali o politici, ha leso i diritti dei cittadini italiani? La risposta è: niente, la Russia non ha fatto niente all’Italia nella sua storia recente. E tuttavia, pur senza aver subìto dalla Russia il minimo affronto o pericolo, l’Italia ha contribuito e sta contribuendo in modo massiccio – militarmente, finanziariamente, politicamente – alla guerra degli USA e della NATO contro la Russia [22].
E questo accade anche a costo di sottrarre risorse finanziarie (soldi) alla sanità, alla scuola, all’università, ai trasporti. Lo fa il governo Meloni e lo fanno con altrettanto zelo le cosiddette ‘opposizioni’ guidate dal Partito Democratico. Perché accade? Perché, come spesso nella sua storia, l’Italia e i suoi governi sia di ‘destra’ sia di ‘sinistra’ sono senza onore, il che vuol dire che non fanno gli interessi degli italiani ma quelli dei padroni che guidano tali governi, ridotti a colonie.
«Wer sich aber zum Wurm macht, kann nachher nicht klagen, daß er mit Füßen getreten wird. Ma chi si fa verme, non può poi lamentarsi d’essere calpestato» [23].
Dolorosa e sostanziale testimonianza di tutto questo è infatti che la stessa struttura politica – l’Unione Europea e le sue articolazioni finanziarie – che con Draghi e con von der Leyen aveva per anni escluso categoricamente che si potesse deviare dal cosiddetto ‘patto di stabilità’ allo scopo di fornire ai cittadini europei i servizi sanitari, scolastico-universitari, pensionistici, dichiara ora che tale ‘patto’ può e deve essere sospeso per riempire l’Europa di armi. Ciò che non si poteva fare per salvare la sanità, i bambini, gli anziani, la formazione scolastica e universitaria, i trasporti, il lavoro (in Grecia e in tutta Europa) è ora richiesto e voluto per continuare una guerra e incrementare il militarismo, per dissipare in questo modo le risorse e le vite dei cittadini europei.
Qui si mostra la reale natura del liberismo e del capitalismo, una natura che è sempre guerrafondaia, sempre distruttiva, sempre antisociale.
Il fatto è che i decisori politici liberali che governano l’Europa e la UE sono ormai affetti da una dissonanza cognitiva, da un distacco così inaudito dal reale, che se non verranno fermati condurranno il Continente all’autodistruzione. Questi decisori politici, infatti, pensano e agiscono secondo l’antico principio colonialista, con la convinzione di essere gli unici detentori della Civiltà, del Bene e della Verità. Una convinzione che ha condotto l’Europa al suo trionfo ma che ora la instrada verso la dissoluzione. E questo accade perché siamo ormai alla psicopolitica. Una patologia che in Italia è stata di recente testimoniata da quanti hanno scoperto il patriottismo per continuare a danneggiare i cittadini, per ridurli alla miseria e alla morte. E che sono scesi in piazza per chiedere più armi, il che vuol dire meno servizi, meno sanità, meno scuola e formazione, meno trasporti.
Dell’Unione Europea si può dire ciò che afferma Francesco Berni nel suo rifacimento dell’Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo: «Così colui, del colpo non accorto, / andava combattendo, ed era morto» [24].
La condizione affinché l’Europa continui a vivere è dunque che l’Unione Europea e la NATO si dissolvano.
Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025
Note
[1] C. Schmitt, Terra e mare. Una riflessione sulla storia del mondo, trad. di G. Gurisatti, con un saggio di F. Volpi, Adelphi, Milano 2002: 18.
[2] Cfr. F. Braudel, Civiltà materiale, economia e capitalismo (secoli XV-XVIII), trad. di C. Vivanti, Einaudi, Torino 1982; sull’Europa di Braudel segnalo il mio La “Longue durée”. Sulla storiografia di Fernand Braudel e delle “Annales”, “Dialoghi Mediterranei”, n. 69, settembre-ottobre 2024: 30-39.
[3] C. Schmitt, Terra e mare, cit.: 86-87.
[4] Id., Il Nomos della terra nel diritto internazionale dello «Jus Publicum Europaeum», trad. e postfazione di E. Castrucci, cura editoriale di F. Volpi, Adelphi, Milano 1991: 71.
[5] Ivi: 177.
[6] Ivi: 108.
[7] Ivi: 116.
[8] Ivi: 166.
[9] Ivi: 32.
[10] Ivi: 135.
[11] Ivi: 138.
[12] Ivi: 206.
[13] Ivi: 325.
[14] Ivi: 390.
[15] Ivi: 15.
[16] Ivi: 405.
[17] Ivi: 430.
[18] Ivi: 229. Su Gaza e la Palestina rinvio alle numerose analisi pubblicate sui numeri più recenti di ‘Dialoghi Mediterranei’, tra le quali il mio Sul genocidio dei Palestinesi, “Dialoghi Mediterranei”, n. 68, luglio-agosto 2024: 176-186.
[19] Ivi: 364.
[20] Ivi: 381.
[21] U. Foscolo, Dei Sepolcri: verso 157.
[22] Che si tratti di ‘una guerra per procura’ è ora apertamente ammesso dall’Amministrazione USA. Come è stata essa a iniziare tale guerra, sarà essa a chiuderla.
[23] I. Kant, Die Metaphysik der Sitten – La Metafisica dei costumi [1797], trad. e note di G. Vidari, Laterza, Bari 1973: parte II, I sezione, II capitolo: 297.
[24] Canto LIII, ottava 60.
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Alberto Giovanni Biuso, professore ordinario di Filosofia teoretica nel Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania, insegna Filosofia teoretica, Metafisica e Filosofia delle menti artificiali. Ha anche insegnato Epistemologia, Sociologia della cultura e Storia dell’estetica. È collaboratore, redattore e membro del Comitato scientifico di numerose riviste italiane ed europee. È direttore scientifico della rivista Vita pensata. Tema privilegiato della sua ricerca è il tempo, in particolare la relazione tra temporalità e metafisica. Altri temi di cui si occupa sono: la mente come dispositivo semantico; la vitalità del pensiero classico greco e romano; le strutture ontologiche delle intelligenze artificiali; la questione animale come luogo di superamento del paradigma umanistico. Il suo libro più recente è Logos. Scritti di estetica e letteratura (Mimesis, 2025). Il suo sito web è www.biuso.eu.
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