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Camilleri, oltre la fortuna del presente

copertidi Antonino Cangemi

La scomparsa di Andrea Camilleri ha suscitato una commozione popolare che non ha precedenti nella letteratura. Almeno in Italia. Lecito interrogarsi sulle ragioni di una simile partecipazione tra la gente comune e non solo tra gli intellettuali e sui motivi del successo – insolito nel nostro Paese – di uno scrittore divenuto con gli anni un’autentica star.

Naturalmente la prima spiegazione è legata alla fortunata serie di fiction televisive sul commissario Montalbano. La televisione rimane ancor oggi, anche dopo l’affermarsi di internet, il media più potente, il canale principale attraverso il quale si moltiplica la notorietà. Peraltro, la televisione ha concorso a rendere popolare Camilleri, oltre che con le fiction su Montalbano, con le tante interviste da lui rilasciate, con spot, con interventi vari.

Camilleri era un comunicatore come pochi, un affabulatore seducente e “sfondava” lo schermo come un uomo di spettacolo o un politico navigato. Eppure Umberto Eco, che di comunicazione se ne intendeva, era diffidente nei confronti del mezzo televisivo ai fini della promozione di un’opera letteraria. Uno sceneggiato televisivo, secondo l’autore de Il nome della rosa, invece che fare aumentare i lettori li faceva diminuire. A detta di Eco, chi assisteva all’adattamento televisivo di un romanzo poi non lo comprava e non lo leggeva. Eco però ha avuto torto riguardo al rapporto tra i romanzi di Camilleri e le sue fiction in Tv: col tempo sono aumentati sia i telespettatori che i lettori e quello di Camilleri è diventato un fenomeno di popolarità letteraria più unico che raro.

Le ragioni sottese al suo eccezionale successo popolare però non si limitano alla diffusione dei suoi romanzi tramite le fiction televisive e al suo uso sapiente del mezzo televisivo (Camilleri ne conosceva le potenzialità per avervi lavorato a lungo ed era stato lanciato come scrittore da Maurizio Costanzo in uno dei suoi tanti talk show). Vi è almeno un altro motivo insito al grande credito acquisito tra i lettori. La sete che questi avevano – in un panorama editoriale (almeno quello italiano) oscillante tra scelte troppo elitarie e scelte di basso profilo – di un’offerta letteraria d’intrattenimento di buona qualità. I lettori cercavano e non trovavano negli scaffali delle librerie romanzi che li intrigassero con storie ben congegnate, “artigianali” nella loro tessitura non artificiosa, in cui s’intrecciassero umanità, mistero, umorismo. Ed ecco che hanno trovato Camilleri e il suo Montalbano: quelle storie accendevano la loro ansia di far viaggiare la fantasia inseguendo trame lineari ma seducenti con personaggi ben connotati da diventare familiari, e inoltre divertivano. L’ambientazione in Sicilia e il linguaggio particolare in cui le storie erano scritte non limitavano l’interesse perché la Sicilia ha sempre avuto un fascino universale e la sua lingua, diffusa bene o male dai media ancorché non sempre comprensibile, accentuava la comicità di alcuni personaggi dell’universo di Vigata.

1È passato troppo poco tempo perché si possa esprimere su Camilleri un giudizio estetico che sia sufficientemente articolato e prescinda dalla simpatia o dall’antipatia verso le sue opere. Forse dovremo attendere alcuni anni per una valutazione autenticamente critica di tutto ciò che lo scrittore di Porto Empedocle-Vigata ha scritto, ed è tanto, tantissimo e di variegata ispirazione. Detto ciò, da lettore riflessivo e non certo da critico azzardo una previsione: Camilleri è uno dei pochi scrittori italiani contemporanei che rimarrà anche nei prossimi secoli. Rimarrà soprattutto perché ha inventato una nuova lingua che mescola il dialetto siciliano con l’italiano e che fa subito pensare al pastiche linguistico di Gadda. Quella di Gadda è però una lingua più letteraria e il suo sperimentalismo è assai più ardito.

Camilleri scrive come tanti siciliani, soprattutto della parte occidentale, parlano: l’italiano e il dialetto si sovrappongono e sono complementari, quel che non si riesce a dire in italiano lo si dice col dialetto e viceversa. Certo Camilleri non si limita a recepire la “parlata” media dei siciliani, ci mette anche qualcosa di proprio. Certe parole, locuzioni, verbi, per esempio, sono quasi sempre presenti nei romanzi di Camilleri, tanto da far ritenere ad alcuni che ciò sia un indice della limitatezza del suo vocabolario: si pensi ad espressioni quali “a tinchitè”, o a termini come “camurria” o “ammazzatine”, oppure ai proverbiali “cabbasisi”. La frequenza di tali vocaboli, a volte risalenti al dialetto arcaico, non è affatto espressione di una ripetitività rivelatrice di un linguaggio povero, ma è funzionale alla narrazione: accentua la comicità («nun mi rupiti i cabbasisi») oppure rimarca una certa musicalità che Camilleri, nato poeta, pretende nella sua prosa.

2In più occasioni Camilleri ha sottolineato che poesia e prosa rispondono a canoni musicali: in modo assai più accentuato la poesia, più timidamente la prosa. La musicalità esige degli schemi entro cui potere scorrere. Come le opere musicali sono racchiuse in spartiti, così la poesia si esprime con regole metriche e strutture compositive codificate (si pensi al sonetto). Seppure in misura inferiore, secondo Camilleri, ciò vale anche per la prosa. L’autore de Il birraio di Preston non mancava di ripetere che, quando aveva elaborato una storia da raccontare, aveva già in mente la struttura dentro cui la storia avrebbe preso vita. Aveva già un’idea, cioè, del numero di pagine e dei capitoli che avrebbero contenuto quella storia. Non solo: Camilleri leggeva ad alta voce ciò che aveva scritto mettendo alla prova la musicalità della sua prosa, se il suo orecchio avvertiva qualcosa di poco intonato, non pago riscriveva i periodi. Leopardi sosteneva che certe parole avevano in sé, rispetto ad altre, una forza musicale e poetica maggiore, e quelle parole ricorrevano nei suoi versi. Se si riconosce che anche la prosa ha una sua pur assai più limitata “cantabilità”, si giustifica il ricorrere di espressioni più incisive di altre sotto questo profilo.

Lo sperimentalismo linguistico di Camilleri va confrontato con quello di Verga. Mentre Camilleri usa un dialetto misto a italiano innestato su strutture sintattiche proprie dell’italiano, Verga non rinuncia alla lingua, ma la sintassi è quella del dialetto. Tra i due, quello che osa di più e raggiunge risultati più stupefacenti è Verga: sebbene l’autore de I malavoglia metta in atto la sua operazione linguistica (dopo di lui non più tentata da altri, almeno con gli stessi esiti) nella seconda metà dell’Ottocento, è molto più innovativo del contemporaneo Camilleri. Ciò però non toglie che Camilleri abbia introdotto nella letteratura una lingua che prima non esisteva e che adesso ha tanti (spesso cattivi) epigoni: e questo è un merito che non gli si può disconoscere.

3La valutazione dell’opera di Camilleri non può prescindere da una doverosa distinzione. Camilleri è stato l’autore (prolifico come pochissimi) dei gialli del commissario Montalbano, ma è stato anche uno scrittore di romanzi storici, come lui li definiva in modo appropriato. Vi sono dunque due Camilleri con cui i critici letterari dovranno fare i conti nel tempo. Non c’è dubbio che l’attenzione maggiore sarà dedicata all’autore di romanzi storici. Tra i più riusciti, La scomparsa di Patò, Il birraio di Preston, La stagione della caccia, Il re di Girgenti. Camilleri prende spunto, solitamente, da fatti storici della provincia agrigentina per ricostruirli e raccontarli a modo suo.

A differenza di Sciascia, i cui romanzi-saggi si attenevano scrupolosamente ai fatti frutto delle proprie ricerche cercando di leggere in essi e di risolverne (e a volte, al contrario, accentuarne) i lati oscuri, i romanzi storici di Camilleri tradiscono la documentazione che ne è alla base. Camilleri aveva una fantasia straripante e l’esercitava anche nei romanzi storici, come da lui stesso ammesso. E però siamo nel genere del romanzo, ed è legittimo ed usuale che il romanzo, ancorché ispirato da fatti verificatisi nella realtà storica, travisi quei fatti, purché non li stravolga. Nei romanzi storici Camilleri ama mettere in risalto situazioni intricate, paradossali che richiamano più Pirandello che Sciascia, e li condisce non di rado di comicità, una comicità che a volte sconfina nell’umorismo, inteso pirandellianamente come «sentimento del contrario». I romanzi storici di Camilleri, come i gialli di Montalbano, scritti nella sua “lingua”, risultano di gradevolissima lettura ma, nello stesso tempo, nel ritrarre vizi e vezzi dei siciliani, inducono a riflettere.

4Camilleri era consapevole del valore dei suoi romanzi storici, che però non attiravano i lettori quanto i gialli di Montalbano. Quando Camilleri, quattro anni fa, fu ospite a Palermo della vetrina degli editori indipendenti “Una marina di Libri”, con la sua voce cavernosa provata da troppe sigarette e con la sua amabile ironia rivelò che, nelle sue intenzioni, dopo il secondo romanzo con Montalbano non ne avrebbe scritti più. Fu Elvira Sellerio a fargli cambiare idea: dati alla mano, gli dimostrò come si erano moltiplicate le vendite dei suoi romanzi storici per effetto del successo trascinante dei gialli di Montalbano. In quell’occasione Camilleri definì Montalbano il suo persecutore: mentre si accingeva a scrivere un romanzo storico, molto più laborioso per la ricerca che lo precede, il suo aguzzino gli si presentava col coltello tra le mani, glielo puntava al collo e lo costringeva a sospendere la stesura del romanzo storico e a scrivere – operazione decisamente più facile – un episodio sul commissariato di Vigata.

5I gialli del commissario Montalbano hanno i limiti di tutte le storie seriali. È stato detto che la Sicilia di Camilleri, riferendosi ai gialli di Montalbano, è espressione di una nuova Sicilia perché Montalbano è un vincente e i malviventi riesce a catturarli. In realtà, la Sicilia che fa da contorno in queste “storie” qualche volta, e più di qualche volta, rischia di mostrare il suo volto più folkloristico e stereotipato. Ed è comunque una Sicilia legata al passato: i gialli di Montalbano nascevano dalla lettura di fatti di cronaca degli anni ’50. Si tratta, tuttavia, di letteratura d’intrattenimento di indubbia qualità. E forse è arrivato il momento di riconoscere alla letteratura d’intrattenimento il credito che merita (a proposito perché non rivalutare un autore come Luigi Natoli tanto amato dal pubblico e così bistrattato dalla critica?). Il commissario Montalbano è disegnato nei suoi tratti caratteriali egregiamente: è un uomo energico, passionale, che incarna i valori della legalità (in lui vi è qualcosa del Maigret di Simenon); così come altrettanto accuratamente sono tratteggiati gli altri personaggi che gli ruotano attorno; esilarante è Catarella, umile e devotissimo commesso dal linguaggio assai incerto.

Con i gialli del commissario Montalbano, Camilleri ha segnato una svolta nella storia di questo genere in Italia. Prima, tra i romanzi polizieschi, prevalevano quelli urbani e le spy story, da Camilleri in poi si è imposto un giallo che, sulle orme di Simenon, vede protagonista la provincia (quella siciliana nell’autore di Porto Empedocle) e che privilegia la comicità rispetto all’azione e alla crudezza dei delitti (si pensi, per limitarci a un esempio, ai vecchietti del BarLume dei romanzi di Marco Malvaldi).

Come si diceva, bisogna avere pazienza e lasciare che scorrano gli anni per un giudizio attendibile su Camilleri. Buona parte della critica ha puntato i riflettori sui suoi punti deboli. Qui gioca la popolarità dell’autore. Come notato dallo storico e umanista Virgilio Titone (geniale in talune intuizioni), uno schema mentale elementare conduce a valutazioni semplicistiche che tendono ad associare arbitrariamente gli opposti. Per effetto di tale meccanismo riduttivo, una donna bella è necessariamente stupida e un uomo diligente è dotato di scarsa intelligenza e creatività. Similmente ragionando – e accade molto più spesso di quanto si creda – uno scrittore baciato dal successo è uno scrittore mediocre. In forza di questo pregiudizio, Simenon, autore quanto mai prolifico e di notevole successo commerciale, per lunghi decenni è stato ignorato dalla critica. Spero che ciò non si ripeta per Camilleri (l’accostamento tra i due può sembrare improprio se si considera lo spessore letterario di Simenon, uno dei romanzieri più importanti dell’intero ‘900).

6A margine due notazioni. Una sul singolare e capriccioso universo editoriale. Camilleri ha venduto milioni di copie di libri e però è entrato nei circuiti editoriali che contano abbastanza tardi e ha raggiunto il successo sulla soglia dei settant’anni. Vero che da giovane e da maturo la passione letteraria in lui è stata secondaria, ma è pure vero che, pur essendo un uomo di teatro e di televisione inserito in contesti culturali significativi, il suo primo romanzo, Il corso delle cose, lo pubblicò, nel ’78, con una casa editrice a pagamento anche se lui non sborsò una lira perché il titolo del romanzo e la casa editrice comparvero nei titoli di coda dello sceneggiato televisivo che vi fu ricavato.

Camilleri, malgrado l’età elevata, sino all’ultimo spese le sue inesauribili energie anche cimentandosi in interventi politici e civili. Avversò il governo giallo-verde non risparmiandogli coraggiosi e graffianti appunti. Quando la televisione lo ha ricordato in occasione della scomparsa, l’impressione è che si sia esagerato nelle celebrazioni (che non furono concesse in misura paragonabile a Umberto Eco). Attenzione, non si vuol dire che lo scrittore, l’uomo e il personaggio pubblico Camilleri non li meritasse. Si vuol dire altro: che tanti clamori avevano lo scopo di far rientrare lo scrittore di diritto nell’alveo del “nazional-popolare”, inteso non in senso gramsciano, facendo dimenticare le sue posizioni politiche scomode.

Dialoghi Mediterranei, n. 39, settembre 2019
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Antonino Cangemi, dirigente alla Regione Siciliana, attualmente è preposto all’ufficio che si occupa della formazione del personale. Ha pubblicato, per l’ente presso cui opera, alcune monografie, tra le quali Semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi e Mobbing: conoscerlo per contrastarlo; a quattro mani con Antonio La Spina, ordinario di Sociologia alla Luiss di Roma, Comunicazione pubblica e burocrazia (Franco Angeli, 2009). Ha scritto le sillogi di poesie I soliloqui del passista (Zona, 2009), dedicata alla storia del ciclismo dai pionieri ai nostri giorni, e “Il bacio delle formiche” (LietoColle, 2015), e i pamphlet umoristici Siculospremuta (D. Flaccovio, 2011) e Beddamatri Palermo! (Di Girolamo, 2013). Da ultimo, D’amore in Sicilia (D. Flaccovio, 2015), una raccolta di storie d’amore di siciliani noti. Collabora col quotidiano on-line BlogSicilia e con vari periodici culturali.

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