Stampa Articolo

Ascoltare il dolore del mondo e sentirne l’anelito di speranza

copertina_guarrasi_exedi Annibale C. Raineri 

«Ho percorso un ponte di lava rappresa. Sotto i miei piedi scorreva la lava. Fuoriuscita dalla bocca del vulcano, una bocca nuova appena formata, scorreva lenta, avvampava. Ho corso quel rischio sotto la guida di un geologo esperto, che mi rassicurava dicendo che non c’era alcun pericolo. Ma, dentro di me, sapevo che quella voragine di pietra incandescente mi attraeva per la sua forza fatale. Mi lambiva solenne. Accadeva e eccedeva il mio mondo. Un passo falso e ne sarei stato annientato. Ho sfiorato l’abisso, ma non ho mai trovato le parole per dirlo. Il mio corpo, la mia mente, il mio cuore erano inadeguati rispetto a ciò che accadeva e eccedeva. La lingua che parlavo allora, la disciplina che praticavo, la vita che vivevo, altrettanto inadeguati. So solo che ho voluto sfiorarlo, l’abisso. Come una verità rivelata.

Tutto questo mi torna in mente, di notte, dopo più di trent’anni. Non è un sogno ma un’eco. Mentre mi sento avvolto dal turbinio della tempesta perfetta, ancora una volta qualcosa di incandescente, magmatico, mi sfiora. Ma non si tratta di lava né della bocca di un vulcano. Sono esseri umani in cammino. Migliaia di migliaia. Approdati da mondi vicini e lontani, sfiorano la radice dell’essere e non trovano né ristoro né pace. Tutto ciò che ho vissuto mi pare inadeguato: la lingua, lo stato, l’orizzonte degli studi, il mondo degli affetti più cari. Eppure, ancora una volta, una forza segreta, irresistibile, mi costringe a sfiorare tutto ciò. Qualcosa che accade e che eccede. Qualcosa di folle e inaudito. In questa babele di voci e di sguardi, in questa selva di conati inespressi, che avanza, troverò le parole» 

Forzo i lucchetti del laboratorio di Enzo Guarrasi e ritrovo questa pagina nel suo ultimo libro La tempesta perfetta. Quando l’umanità iniziò a cospirare contro se stessa (Museo Pasqualino editore Palermo 2024). è del marzo 2016, una sorta di diario intimo ed insieme pubblico: l’irrompere di un fiume di esseri umani in cammino, migliaia di migliaia, incandescente e magmatico, che fa riemergere dopo più di trent’anni il ricordo di un altro fiume, un fiume di lava, sfiorato perché cercato. Quello di Enzo è quindi un lavorio che ha tempi lunghi.

In questo frammento autobiografico si mostra, per me, il nucleo esistenziale che genera questo lavorio, il suo motore segreto. Si tratta di una ambivalenza, di una tensione dilemmatica il cui valore euristico rimanda e si fonda su un piano propriamente etico. Si tratta del terribile ma insieme meraviglioso, che in me richiama il deinòs del coro dell’Antigone («Molte cose tremende […] ma più tremenda è l’uomo» che significa anche «Molte cose mirabili […] ma più mirabile è l’uomo»), ma più ancora richiama la definizione che, nel momento più acuto del dramma La donna del mare di Ibsen, Ellida dà del termine tremendo: ciò che spaventa e al tempo stesso attrae.

Ecco il punto: sopportare la doppiezza della “tempesta perfetta” nella potenza del reale che essa evoca, è ciò che permette ad Enzo di porsi in relazione col tragico del tempo presente, che eccede l’orizzonte dei saperi e della lingua nella quale siamo stati immersi fin ora e scompagina le nostre vite quotidiane, ma insieme permette di cogliere in tale eccesso l’unico aggancio possibile per continuare a sperare.

Sfiorare, toccare, babele, nuova lingua.

Golfo di Palermo, 2014 (ph. Valerio Bellone)

Golfo di Palermo, 2014 (ph. Valerio Bellone)

Conosco Enzo da oltre cinquant’anni – anche questa è una citazione – e in tutti questi anni ho provato una straordinaria affinità del sentire, qualcosa che sta più al fondo del sistema di pensiero, che da quella è costituito. Questa affinità mi ha portato, leggendo il suo libro, a confondere, nei pensieri che si andavano formando nella mia mente, i suoi pensieri dai miei, così che non saprei più dire cosa in essi proviene da lui e cosa da me, così che mettermi oggi al servizio di Enzo, scrivere del lavorio del suo pensiero è, inseparabilmente, mettermi al servizio di ciò che più mi sta a cuore, parlare di ciò che ribolle nell’intimo del mio travaglio. E ciò ha una ragione profonda ed articolata nella storia della nostra lunga amicizia, di quelle amicizie che sfidano il tempo anche in assenza di frequentazioni assidue. Ma specialmente ha una ragione in quella esperienza giovanile – lui studente universitario, io liceale – che ci ha insieme formati e i cui tratti essenziali ritornano, dopo oltre un cinquantennio, a dare i loro frutti: la dimensione comunitaria come esperienza e non come identificazione ad un significante, il discorso comune come esposizione soggettiva prima che come argomentazione apofantica o prescrittiva, l’avvicinamento all’estraneo sofferente come momento essenziale del proprio essere comunità. Ma su questa genealogia, pur essenziale per me, sarebbe troppo lungo soffermarsi in questo contesto.

Qual è il profilo di Enzo Guarrasi che emerge leggendo il libro?

Anzitutto il suo profilo di studioso che si rivolge alla “comunità scientifica”. è all’interno di tale profilo che si impone l’urgenza di destrutturare l’immaginario dominante, di «operare uno sfondamento nel regime del pensiero consolidato» per confrontarsi col carattere paradossale della realtà. Pensare l’inedito che si presenta innanzi, la tempesta perfetta, è possibile solo a patto di oltrepassare la «ristretta arena della comunicazione scientifica». è quindi la logica immanente alla stessa ricerca che lo costringe a rompere il cerchio della comunità scientifica (cui sente di appartenere) non solo attraverso una diversa metodologia di ricerca, ma specialmente attraverso l’irruzione della soggettività dentro il discorso del sapere.

Se quindi tale irruzione è implicata da una “geografia dell’ascolto” (in coerenza con la dimensione cosmopolita in cui «ogni destino nel suo svolgersi disegna un intero universo», così che è impossibile intendere un collettivo astraendo dal singolare vissuto) diviene più comprensibile il progressivo imporsi, anche nella scrittura di testi scientifici, di riferimenti autobiografici, del proprio vissuto emotivo e sentimentale. Non c’è infatti ascolto dell’altro che non si radichi nella esposizione di sé, nel provare a rendere esplicita, nel discorso, la spinta soggettiva che lo costituisce. Non si tratta quindi di mero stile formale ma del contenuto della cosa stessa.

Ed infatti, passando dal concetto di storia umana a quello di geostoria, secondo l’esposizione che ne offre Guarrasi, salta la contrapposizione fra soggetto agente ed oggetto agito, essendo l’ambiente che ci circonda propriamente un’ecumene costruita da «entità dotate di intenzionalità e singolarità», in continua, complessa, imprevedibile e pullulante interazione.

Se quindi la cosa stessa si è imposta all’occhio dell’osservatore in una diversa configurazione, anche il discorso che la rappresenta ha dovuto conformarsi secondo uno stile in cui il soggetto è egli stesso preso nel discorso del sapere, nelle sue domande e nella sua articolazione.

Marocco, 2014 (ph. Valerio Bellone)

Marocco, 2014 (ph. Valerio Bellone)

Il libro di Enzo Guarrasi trasuda di passione, la passione lo costituisce rispondendo ad una urgenza, l’urgenza di scrivere. In lui, però, la passione è qualcosa di diverso dalla passione civile, che pure c’è stata e c’è tuttora, ma subordinatamente. E in questo libro si comprende perché non si tratta di questo.

L’urgenza di Guarrasi muove dalla consapevolezza che ci troviamo nel mezzo di una cesura epocale che dissolve l’ordine linguistico, le categorie entro cui avevamo pensato anche il nostro impegno civile. Per comprendere ciò che accade occorre posizionarsi altrove, per poter ascoltare il dolore del mondo, ma insieme, direi sotto, sentirne l’anelito di speranza. Occorre avere di mira l’umano in quanto tale, e tendenzialmente il vivente, senza il carico identitario con cui fin ora lo abbiamo coperto e ingabbiato. 

Cos’è questo tempo presente che ci costringe, se ancora siamo capaci di patire, a lasciar cadere la passione civile per abbracciarne un’altra, più di fondo, più alla radice, ma insieme più elementare? Enzo Guarrasi lo indica come “tempesta perfetta”, risultato dell’azione di cento intenzionalità che, nel loro combinarsi, hanno come risultante un effetto propriamente catastrofico.

“Tempesta perfetta” evoca l’immagine del caos. A questo mira Guarrasi usando questo termine: un caos che cospira contro l’umanità, e i viventi, senza bisogno di una regia occulta, ma, aggiungo io, con una logica.

A fronte di questo caos Guarrasi mette in campo una strategia di scrittura che mira ad un qualche ordine (a questo serve scrivere!), in una situazione in cui non possediamo (ancora?) una lingua capace di fare una lettura organica e strutturata (ammesso che questo sia un compito da perseguire).

La sua scrittura assume così la forma della computazione degli elementi: 1, 1, 1… (guerre, migrazioni, muri, xenofobia, riscaldamento globale…), in modo che dalla serie possa emergere un quadro, un mosaico dalle mille tessere, e in quel mosaico si possa cogliere non solo l’ordine del dominio sui viventi ma anche la forza della vita, che spesso appare, più che in una singola tessera del mosaico, negli spazi di sutura fra alcune di esse: manutenzione, rigenerazione, accoglienza, solidarietà…

È infatti il limite il luogo dell’apertura: nel caos del luogo-limite del tramonto è possibile intravedere gli spiriti viventi che nell’ordine luminoso del giorno o nel buio della notte sono non visibili.

Ecco dunque che caos ha anche un altro senso rispetto a cospirazione: esso è il luogo-limite che prepara e permette l’aurora.

È esattamente questa doppia valenza della seriazione espositiva che rende La tempesta perfetta un libro importante, un libro che ci aiuta ad orientarci in questo tempo del tramonto, guidandoci lungo i diversi ordini logici, spaziali e temporali che lo compongono. Per questo motivo penso che il libro possa costituire un buon viatico per un seminario fra coloro che hanno il cuore tremante ma il desiderio ancora acceso di una buona vita.

Pianura Padana, 2013 (ph. Valerio Bellone)

Pianura Padana, 2013 (ph. Valerio Bellone)

Nel libro, Guarrasi ci parla di due rotture epistemologiche, due cambi di paradigma che hanno segnato la sua riflessione negli ultimi decenni. La prima rottura è quella che genera il paradigma cosmopolita, e le conseguenti geografie dell’ascolto, la seconda rottura è ciò che genera quello che potremmo chiamare paradigma di Gaia a priorità vegetale. Per due volte viene messo in questione il profilo epistemologico del sapere della Terra e dell’uomo. Ma le crisi del “sapere di”, che impongono i cambiamenti di paradigma, non rimandano allo sviluppo lineare e progressivo del sapere (Thomas Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche), quanto piuttosto al mutamento della cosa stessa, al suo essere pervenuta alla multipla eppure unitaria crisi radicale della sua costituzione storica (ma dovremmo dire geostorica), al suo precipitare catastrofico, che quindi mette in questione, prima che il profilo dei saperi che di essa fanno oggetto di ricerca, anzitutto il posizionamento soggettivo, il dove e il con chi si è scelto come luogo da cui ascoltare e guardare il procedere della vita. In questo quadro importanti e suggestive sono le pagine in cui Guarrasi indica nelle piante il collettivo dal quale si sente convocato.

Se ascoltiamo il racconto di questo doppio cambio di paradigma comprendiamo come ognuno di essi muova da un’urgenza interna, da un evento che ha messo in questione la nostra posizione nel mondo e le parole con le quali l’abbiamo interpretata. La geografia dell’ascolto è effetto del cataclisma che l’irruzione dei migranti ha prodotto nella nostra coscienza. Effetto ma insieme risposta. Umana, prima che scientifica, perché l’ascolto è anzitutto posizionamento etico, e solo successivamente può divenire metodo d’indagine. Il “paradigma vegetale” muove anch’esso da un’urgenza: «La terra brucia» scrive Guarrasi. Esso è quindi l’effetto dell’irruzione della catastrofe ambientale nella coscienza di uno studioso costretto a comprendere quanto gli universi simbolici costruiti a partire dalla centralità dell’uomo siano inadeguati a dire ciò che nondimeno viviamo.

Il libro sottolinea il doppio passaggio, il doppio cambio di paradigma. Io voglio però sottolinearne la continuità, l’analogia potente che li caratterizza: per ambedue i paradigmi l’intero (ed il suo movimento) può essere colto non oltre, ma attraverso le singolarità in relazione. Sono le esistenze singolari che ci aprono lo sguardo della città cosmopolita allo stesso modo per cui Gaia non può essere intesa «come un superorganismo che tutto contiene e comprende, quanto piuttosto come la risultante mobile, fluida, complessa e imprevedibile di un pullulare continuo e costante di una molteplicità di agenti, ciascuno dei quali appare mosso da una propria intenzionalità».

Questo nuovo paradigma, che decentra la posizione dell’uomo, obbliga lo sguardo ad una prospettiva temporale più lunga, e non solo ad una più ampia estensione temporale. Questo ci fa comprendere più a fondo cosa sia la tempesta perfetta: in essa convergono in un unico punto spazio-temporale fenomeni che riguardano ordini temporali anche molto distanti. In queste pagine di Guarrasi ritrovo così qualcosa di analogo alla mia descrizione del presente come tempo catastrofico: la crisi contemporanea di più cicli temporali (dell’ordine dei decenni, dei secoli, dei millenni), che si allineano nell’attimo della loro crisi simultanea (Ancora. Cambiare il mondo nel tramonto della politica).

A questa temporalità complessa della tempesta perfetta Enzo contrappone i tre tempi del raccogliere, del conservare, del piantare. Anch’essi sono disposti secondo una propria temporalità, che è già all’opera, ma nei margini, nei bordi dell’azione anzitutto di donne, e di uomini, e che rimanda all’azione delle infinite individualità vegetali che rivestono la superficie della Terra.

Se guardiamo l’intero svolgersi del libro ci accorgiamo del fatto che la guerra ne costituisce uno dei fili conduttori. Essa è presente non solo nei punti, e non sono pochi, in cui si parla esplicitamente di essa. La guerra è presente nella terra che brucia ed uccide i suoi figli, nel Mediterraneo che inghiotte chi cerca di attraversarlo, nei muri che crescono ovunque, nell’economia della “guerra dei mercati”. Poiché guerra non è soltanto un conflitto fra Stati per il controllo di territori e risorse, guerra è un paradigma, una struttura formale, una delle forme possibili della relazionalità. Questa forma penetra in tutti gli ambiti della vita, per questo, ritengo, costituisce l’anima della “tempesta perfetta”.

La guerra necessita dèi, e alimenta il sistema delle identità, i confini invalicabili costruiti dalla potente macchina dell’immaginario. Ad esempio, a proposito del conflitto israelo-palestinese Enzo mostra la paradossalità dell’immaginario statuale che lo sottende: uno Stato è costituito da tre elementi unitari: un popolo, un territorio, una organizzazione. Nessuna di queste tre unità è reale.

Ma l’identità che allontana dal contatto umano non è solo quella costruita dai “cattivi”. Quando, animati da buoni sentimenti, incapsuliamo un essere umano nell’immagine definitoria di “vittima” abbiamo, per ciò stesso, costruito un muro tra noi e lui, muro che ci lascia nel nostro posto di privilegiati ormai del tutto privi di speranza.

Al polo opposto alla guerra sta l’ascolto, cioè l’apertura all’altro. Essa costituisce l’altro filo che si dipana lungo tutto il libro. Ma l’altro di cui parla Enzo non è il puro vuoto, sebbene per disporsi all’ascolto occorra imparare a svuotarsi di tutto il sistema immaginario che sottende agli universi linguistici con cui ci collochiamo, e collochiamo gli altri nel mondo. L’altro non esiste in sé, altro sono gli altri, singolari, dei quali disporsi ad ascoltare il racconto: la storia dell’altro. Persino nella contingenza più dura, quella della guerra, o di quel conflitto talmente asimmetrico che non può chiamarsi guerra, il conflitto israelo-palestinese, «non vi è alternativa praticabile» all’ascolto del racconto dell’altro, scrive Guarrasi.

Già, non vi è alternativa. Cosa impossibile, aggiungo io, ma proprio per ciò necessaria. Poiché l’eccezionalità del tempo della tempesta perfetta non deve farci arretrare di fronte all’impossibile, se esso è, come è, l’unica possibilità.

Il libro si chiude, ancora, con la percezione della povertà delle parole che possediamo di fronte alla enormità del dolore.

«Devo confessare – scrive Enzo parlando del conflitto israelo-palestinese – che più vedevo affermarsi la logica della guerra senza esclusione di colpi e aumentare il massacro di civili, più la mia mente e il mio cuore vacillavano. […] Di fronte all’orrore che provo, le scarne parole che riesco a mettere insieme, sono veramente poca cosa. La mia solidarietà va al popolo palestinese e al suo dramma incommensurabile. Ma il mio cuore batte da una parte soltanto e sono tutte le vittime di questo conflitto e di ogni guerra». . 

La piena solidarietà va al popolo palestinese, ma il cuore batte per le vittime, tutte. In quel «ma» si concentra tutta la potenza etica del discorso, ampio ed articolato, di Guarrasi.

Campagna della Gallura, 2015 (ph. Valerio Bellone)

Campagna della Gallura, 2015 (ph. Valerio Bellone)

Avendo completato la lettura dei mille ragionamenti in cui si snoda, in queste centoquaranta pagine, il suo pensiero, un messaggio rimane, ed inequivoco: di fronte alla catastrofe non c’è altro che scegliere, come luogo nel quale porsi per guardare il mondo, quello verso il quale ci conduce la nostra umana capacità di empatia. Ed è un luogo di parte: il luogo della vittima. Senz’altra definizione. Ripeto: senz’altra definizione. Il linguaggio è preciso: non la figura di vittima con la quale copriamo (e allontaniamo) col dominio dell’immaginario la singolarità e vitalità inesauribili di ciascun essere umano, ma la parte esclusiva («una parte soltanto» scrive Enzo) come luogo nel quale pormi per guardare il mondo e sentirne le voci.

Il libro si chiude con queste parole: 

«Pochi fotogrammi di questa immane tragedia mi rimbalzano ossessivamente nella testa: due bambini molto piccoli che fuggono i bombardamenti, un maschietto e una femminuccia, il maschietto ha una bandiera bianca in mano. Salviamo quei bambini, fermiamo questa guerra prima che si ottunda in noi ogni lume di ragione. Prima che si estingua ogni barlume di umanità». 

Ecco: la parte di ciascuna vittima, qualsiasi sia la lingua che parla, è il luogo in cui soltanto può accadere, in questo mondo lacerato, l’evento di una umanizzazione ancora possibile.

Ma forse quel luogo è solo un piccolissimo foro, un buco nella crosta, o la cruna di un ago attraversando la quale potremo, forse, afferrare il filo sottile che ci lega al respiro dell’universo. 

Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025

________________________________________________________

Annibale C. Raineri, ha avuto una prima formazione in “Gioventù studentesca” fino al ’68; in seguito ha alternato esperienze di dissenso cattolico – è stato tra i fondatori di “Cristiani per il socialismo” a Palermo – ed ateismo, cui perverrà definitivamente alla metà degli anni ’70. Dal ’69 all’84 ha attraversato l’esperienza della “sinistra rivoluzionaria” dal “Circolo Lenin” a “il manifesto”, da “Pdup per il comunismo” a “Praxis”. Nei primi anni ’90 ha animato a Palermo l’esperienza nazionale della “Società per la rinascita della sinistra” e ha avuto un impegno anche in Rifondazione comunista. Laureato in filosofia, dopo anni di insegnamento nella scuola di servizio sociale E.SI.S. C. Vittorelli, ha lavorato come funzionario nell’amministrazione della Regione Sicilia. Delegato sindacale Cgil in produzione”, negli anni ’80 e ’90 ha animato, dall’esperienza di “Essere Sindacato”, la lotta dentro l’amministrazione regionale per la dignità del lavoro pubblico e contro lo scambio tra il sottosistema politico e quello economico, permeato da contiguità mafiose. È responsabile nella Comunità dell’Arca della fraternità siciliana “Tre finestre”. Ha pubblicato nel 2002 il volume ANCORA Cambiare il mondo nel tramonto della politica, edito da Area Navarra.

______________________________________________________________

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Letture. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>