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A Santu Lussurgiu: strategie per i borghi della montagna

Santu Lussurgiu, panorama da sud-est

Santu Lussurgiu, panorama da sud-est

il centro in periferia

di Giampiero Lupatelli

I borghi del XXI secolo: luoghi comunitari della sostenibilità

Il Comune di Santu Lussurgiu ha inteso l’iniziativa riguardo alla attrattività dei borghi lanciata dal Ministero della Cultura (MIC) nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza [1] come una straordinaria opportunità per mettere a fuoco la propria strategia di sviluppo locale sostenibile.

Ancor più, ha individuato questa iniziativa – oltre le sue contingenze frettolose e per taluni versi addirittura distorcenti – come il possibile punto di avvio di una manovra articolata e complessa che l’intera comunità lussurgese ha già da tempo in animo di mettere in campo. Una manovra da condurre con uno sguardo lungimirante e un approccio pro-attivo, necessaria innanzitutto per fronteggiare con successo le gravissime minacce alla sicurezza e alla qualità ambientale del territorio.

Nella stagione appena trascorsa il borgo di Santu Lussurgiu si è trovato drammaticamente esposto al dilagare degli incendi boschivi [2] che hanno trovato una evidente amplificazione del pericolo proprio nella eccezionale condizione ambientale del borgo, collocato alla soglia tra la foresta e i coltivi.

Al centro della strategia per rivitalizzare i borghi italiani, l’iniziativa del MIC mette l’istanza di aumentare la loro attrattività, cioè di accrescere la desiderabilità con la quale borghi oggi in parte abbandonati e in declino possono presentarsi alla attenzione di molteplici segmenti di domanda; gruppi di popolazione, diversificati per età, provenienza, aspettative e motivazioni.

La decisione di rivolgere a questi luoghi apparentemente “minori” una porzione più o meno estesa e più o meno intensa della attenzione di queste popolazioni richiede loro lo sforzo di spingersi oltre la pratica – frettolosa e superficiale – del consumo di un prodotto turistico preconfezionato. Sollecita invece l’insorgere di curiosità, interessi e sentimenti più articolati. Curiosità, interessi e sentimenti rivolti, intanto, a riconoscere, nella fisionomia dei luoghi e nel loro paesaggio culturale e sociale, la presenza di un rapporto consistente, equilibrato e sostenibile, tra i borghi e il territorio rurale di cui essi sono, ad un tempo, piena espressione ed elemento ordinatore.

I borghi come nodi di una rete neurale

Dobbiamo intendere il rapporto che lega i borghi con il loro contesto territoriale come un flusso di relazioni costantemente mantenuto e insieme modificato nello scorrere secolare del tempo. Le comunità che hanno fatto dei borghi le proprie sedi di vita e di lavoro hanno sempre giocato questo rapporto sulla capacità di attivare in questi luoghi – così circoscritti ma anche così concentrati – processi e percorsi (tecnologici e sociali) attraverso i quali è stato possibile valorizzare i servizi che la straordinaria generosità e ricchezza dei cicli biologici riesce ad offrire alle esigenze – sempre più articolate e complesse – della vita umana.

Processi e percorsi di trasformazione, di scambio, di ritualizzazione comunicativa che approssimano in maniera davvero emblematica ed eloquente il funzionamento di una rete neurale. Processi che in una economia primaria di sussistenza si manifestano nell’equilibrio degli apporti e dei prelievi regolato dalle consuetudini e dalle tradizioni, solo occasionalmente modificato dalla immissione di informazione e conoscenza di qualche illuminato apporto riformatore. Processi che la stagione della industrializzazione fordista ha drasticamente modificato, riducendo l’apporto umano ai sistemi di utilizzazione delle risorse ambientali, accentuando la natura “estrattiva” dei meccanismi di generazione di valore e ignorando, spesso, le esigenze della durabilità.

Processi che si ripropongono oggi nella assai più sofisticata stagione della Economia della Conoscenza nella forma dei servizi eco-sistemici; servizi di approvvigionamento, di supporto, di regolazione e culturali che la sensibilità e la consapevolezza dei contemporanei fa emergere e che cerca di tradurre in veri e propri pagamenti (per i servizi eco-sistemici ed ambientali); pagamenti capaci di regolare – anche nella equità dello scambio sociale e spaziale, tra nord e sud del mondo, tra città e campagna, tra aree metropolitane ed aree interne – le ragioni e le condizioni di comportamenti conservativi e manutentivi orientati alla sostenibilità.

Con la nuova sensibilità ambientale delle generazioni è infatti maturata la consapevolezza che, per consentire ai cicli biologici di offrire durabilmente sostegno e supporto alla vita umana e alla sua organizzazione economica e sociale, è necessario che sui cicli della biologia l’uomo esprima una azione di manutenzione e di prelievo, rispettosa della loro sensibilità, esercitata in forme che assumano sino in fondo i crismi della sostenibilità, cioè della riproducibilità nel tempo dei processi vitali.

Santu Lussurgiu, panorama da nord-ovest

Santu Lussurgiu, panorama da nord-ovest

Le funzioni del presidio territoriale

Abbandono e sovra-sfruttamento del territorio e delle sue risorse rappresentano le due facce del venir meno delle condizioni di sostenibilità. Due facce solo apparentemente opposte ma invece identicamente convergenti verso il dramma della insostenibilità per le minacce che da esse conseguono in termini di degrado della qualità ambientale e di messa a repentaglio della sicurezza della vita sociale.

Si parla spesso delle funzioni di presidio che l’insediamento umano distribuito e diffuso, dunque innanzitutto i borghi, esprimono nei confronti delle condizioni di equilibrio e di sicurezza del territorio. Se ne parla spesso in termini metaforici, senza declinare concretamente le azioni di conservazione, manutenzione e regolazioni attraverso le quali il presidio diventa sicurezza. Facendole forse derivare come conseguenza – non intenzionale ma scontata – della presenza umana e dello sguardo vigile e ravvicinato che essa propone.

Non in questi termini semplicistici e riduttivi si deve porre invece una più consapevole strategia di sostenibilità che interpreta il presidio come esistenza ed applicazione di una concreta e matura consapevolezza della funzionalità ecologica del territorio, delle sue fragilità e delle sue esigenze di conservazione e manutenzione. Una strategia di azione che è pienamente consapevole del fatto che per garantire la funzionalità dei cicli ecologici bisogna applicare al territorio innanzitutto conoscenza e informazione; che questa può essere prodotta solo attraverso azioni di formazione superiore e di ricerca; che queste stesse azioni di formazione e ricerca vanno alimentate, nella propria economia, da flussi monetari sostenuti dai pagamenti eco-sistemici; che, a sua volta, far emergere il valore dei servizi eco-sistemici e generare le condizioni istituzionali  che ne  trasformino il valore in prezzo, richiede investimenti in conoscenza, dunque in formazione e ricerca.

Possiamo intendere i borghi del XXI secolo, sedi della vita associata di comunità orientate alla sostenibilità, come il luogo privilegiato nel quale il presidio e la sicurezza territoriale cessano di essere la mera rappresentazione retorica di un desiderio per diventare pratiche sociali alimentate dalla formazione e dalla ricerca. Di questo ruolo pioniere dei borghi del XXI secolo, “alla frontiera della sostenibilità”, il borgo di Santo Lussurgiu rappresenta una avanguardia esemplare e ad un tempo una testimonianza eccezionale.

L’eccezione ambientale, del Capitale naturale

Eccezionale è il rapporto con le risorse ambientali, acqua e foresta in particolare, che si presentano con dotazioni di straordinario rilievo e, al tempo stesso, in condizioni di fragilità altrettanto straordinaria, come i drammatici incendi dell’estate 2021 si sono premurati di portare all’attenzione degli osservatori (e speriamo anche dei decisori) non solo locali.

Il grande valore ambientale del contesto territoriale nel confronto del quale il borgo di Santu Lussurgiu si colloca è una sicura e rilevante motivazione di un investimento pubblico di grande rilievo; un investimento che individua nel capitale umano e nella formazione superiore il suo riferimento necessario e che sollecita il comune a costruire relazioni ed accordi con altri soggetti di primo piano sotto questo profilo: dal mondo delle Aree Protette, ai dipartimenti universitari delle scienze ambientali, alla stesse associazioni ambientaliste. Soggetti con i quali la candidatura ha rappresentato già l’occasione per intrecciare contatti e rapporti che dovranno confluire in un più stretto coinvolgimento nella gestione operativa del progetto.

Entro questo contesto di cooperazione per la valorizzazione ambientale del territorio sono collocate anche le azioni immateriali indirizzate a realizzare una attività di ricognizione e progettazione di una rete di fruizione escursionistica che oggi appare carente e che rappresenta invece una essenziale infrastruttura della fruizione ambientale e delle correnti turistiche che a questa si rivolgono.

Santu Lussurgiu, ex Iss. Carta Meloni

Santu Lussurgiu, Palazzo Carta Meloni

L’eccezione culturale, del Patrimonio

Eccezionale è il rapporto con la tradizione culturale e la storia delle istituzioni formative; in particolare di quelle istituzioni formative in ambiente rurale che rappresentano una componente singolare e significativa della tradizione sarda. In primo piano è qui la presenza di un bene/istituzione culturale come il Palazzo Carta Meloni, già sede del liceo linguistico dei Padri Scolopi e ora di proprietà comunale; bene di significativa consistenza e di grande valore storico e testimoniale, anche per la ospitalità offerta agli studi del giovane Gramsci.

Il recupero di Palazzo Carta Meloni  nei suoi caratteri architettonici e nelle sua vestigia culturali offre un riferimento decisivo per immaginare, progettare e realizzare funzioni di educazione ambientale, formazione superiore (summer school, seminari residenziali, etc) e ricerca caratterizzata sul profilo delle scienze forestali, naturalistiche, organico-biologiche; nel rapporto diretto con istituzioni universitarie e di ricerca, nel solco di una tradizione formativa che ha conosciuto storicamente ragioni di interesse e di notorietà,  nella prospettiva dichiarata ed espressa dei servizi eco-sistemici e delle green community.

Questo posizionamento delle funzioni educative in materia ambientale in un segmento “alto” che è quello della formazione post secondaria- non terziaria e della formazione terziaria, ben si concilia con la possibilità che l’investimento pubblico abbia funzione di magnete nei confronti di investimenti privati di recupero e riabilitazione dei molti volumi inutilizzati presenti nel Centro storico di Santo Lussurgiu, valorizzando peraltro un patrimonio di cultura dell’accoglienza già presente e significativo e costituendo un vero e proprio trampolino di lancio per esperienze di innovazione organizzativa (Cooperativa di Comunità) che si stanno avviando. Le azioni immateriali previste si rivolgono con particolare attenzione a questo profilo gestionale.

Da ultima una considerazione estemporanea unisce il dato storico della presenza di Antonio Gramsci come allievo del convitto, alla attenzione – che sembra ricevere sempre maggiore considerazione – ai caratteri meno squisitamente politici e dottrinali del suo pensiero, segnalandone altri di più marcata impronta umanistica. Primo tra tutti l’attenzione ai temi di una educazione ambientale ante litteram che traspare dalla sua corrispondenza familiare. Non ci è parso irriguardoso scegliere come motto L’albero del riccio per un progetto che vuole portare l’educazione ambientale nelle stanze frequentate dal pensatore di Ales.

img_0004-1800x1000-product_popupUna eccezione alla norma

Tanto eccezionali sono lo spessore delle sensibilità e delle strategie ambientali del Comune e il valore del suo progetto culturale, da giustificare anche una eccezione a quella previsione che “di norma” le linee guida del Ministero della Cultura e poi la Manifestazione di interesse sollecitata dalla Regione Sardegna vorrebbero limitare le candidature a borghi con meno di 300 unità immobiliari. Limitazione che esprime (un po’ rozzamente) la ragionevole preoccupazione originaria di escludere da questo campo di interesse – visto il carattere evocativo e impressivo della definizione di borgo e invece la carenza di una tassonomia convincente per la sua classificazione – di realtà attribuibili piuttosto alla condizione urbana. Cosa peraltro che non pare proprio riuscita, a leggere le cronache di Stupinigi.

Città medie e centri storici che certo potrebbero costituire una rilevante destinazione alternativa rispetto alle concentrazioni dei flussi di visitatori nelle maggiori città d’arte (obiettivo non irrilevante per il MIC e le sue Strategie) ma che difficilmente potrebbero rappresentare un contributo allo sviluppo economico e sociale dei territori rurali, di quella Italia delle aree interne e montane che l’investimento sui borghi del PNRR chiama però esplicitamente in causa.

«Gli interventi in questo ambito si attueranno attraverso il “Piano Nazionale Borghi”, un programma di sostegno allo sviluppo economico/sociale delle zone svantaggiate basato sulla rigenerazione culturale dei piccoli centri e sul rilancio turistico. Le azioni si articolano su progetti locali integrati a base culturale» [3].

Santu Lussurgiu, Cascata di Sistrampu de sos molinos

Santu Lussurgiu, Cascata di Sistrampu de sos molinos

Montagne e Borghi

Montagne e Borghi sono legati da un nesso profondo; forse più profondo ancora della comune radice indoeuropea BhERGh che li avvicina nell’esprimere una essenziale funzione di difesa che, le une come gli altri, svolgono nei confronti della vita umana.  Non che non ci siano borghi fuori dalle montagne o che queste non ospitino (anche) vere e proprie città. Ma la natura dell’insediamento diffuso, isolato, arroccato che il borgo esprime con tanta immediatezza ed efficacia, è quella connaturata all’insediamento montano che deve cercare i suoi spazi e le sue economie tra le pieghe di un territorio corrugato ed impervio.

Per questo l’investimento di un miliardo di euro previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per la rigenerazione dei Borghi è un tema cruciale e una sfida essenziale per le politiche della montagna. Ad una lettura che si fermi alla superficie dei fenomeni questo investimento è in linea con una matura consapevolezza sui destini e le chance del turismo culturale che del turismo tout court è, per l’Italia, una componente essenziale e, specie in termini economici, tendenzialmente prevalente.

Un investimento che ha come obiettivo prioritario quello di diffondere flussi che oggi presentano polarizzazioni sulle grandi città d’arte, troppo accentuate per essere sostenibili; un investimento che parrebbe essere coerente e conseguente alla nuova attenzione rivolta al risiedere diffuso e discosto che la pandemia ha fatto maturare nelle popolazioni metropolitane e che ha trovato pronta risposta mediatica ai vertici delle professioni del costruire.

Questa interpretazione – ancora esterna al tessuto sociale ed economico della montagna – porta con sè i rischi di una deformazione della visione – un errore di parallasse – gravido di rischi e di minacce. Ci porta infatti a vedere il borgo essenzialmente come spazio costruito. Uno spazio dissanguato dai flussi del lungo declino demografico che le montagne hanno conosciuto nella stagione fordista; uno spazio da riempire di nuovi contenuti: quelli costruiti nell’immaginario delle aspirazioni e dei bisogni delle popolazioni metropolitane e internazionali che qui volgono il proprio sguardo in fuga dalle città, sostenuto dalla inattesa scoperta della facile smaterializzazione delle relazioni.

Santu Lussurgiu

Santu Lussurgiu

Lo sguardo del PNRR

A questo mondo, alla sua estetica (e alla sua etica, ora sempre più carica dei valori della sostenibilità) può dunque rivolgere la propria attenzione l’investimento sui Borghi, preoccupato di costruire innanzitutto una visione attraente. Può farlo anche in modo consapevole e maturo, senza incorrere nei rischi del pittoresco o nelle forme di una (implicita) colonizzazione culturale degli spazi; può saper essere inclusivo e socialmente responsabile oltre che ecologicamente irreprensibile.

Il guaio, però, è che è proprio il punto di osservazione (e di applicazione) ad essere sbagliato. Quello di una domanda che genera altrove i suoi riferimenti e i suoi modelli poco preoccupandosi di aderire – con la cautela necessaria – ad un tessuto comunitario certo gravemente logorato ma pur tuttavia non assente, come le tante storie del riabitare l’Italia ci hanno mostrato.

Un approccio diverso dovrebbe partire invece, prima che dalla materialità del borgo, dalla trama tenue e lacerata e pur tuttavia di straordinaria anti-fragilità, delle relazioni comunitarie. Relazioni che al borgo hanno dato una vita e una storia; che nel loro appannarsi ed affievolirsi hanno consentito e accompagnato i processi di materiale degrado degli immobili; che nella loro capacità di rigenerarsi, possono riannodare i fili degli interessi – materiali, culturali e sentimentali – di popolazioni diverse, per provenienza e motivazione, e tuttavia capaci di riconoscere i tratti di un sentire comune; capaci di percepirsi ed esprimersi come una realtà fluida, nomade e provvisoria che sa farsi comunità.

Comunità depositarie della narrazione retrospettiva che ai borghi conferisce il sapore e il valore storico e culturale che intendiamo come primaria economia d’ambiente, esternalità positiva che offre ai progetti di vita e di impresa che si vogliono accogliere ragioni nuove e diverse di solidità e di successo.

Comunità che ancor più sono il tessuto generativo capace – proprio nella fatica del rigenerare se stesso – di alimentare il sogno di una immagine nuova della quotidianità dei luoghi della montagna, dei suoi borghi; nuova nelle attività che vi si svolgono, nelle persone che li frequentano, nelle relazioni che vi si costruiscono, nella prossimità come nel cosmopolitismo delle biografie accolte, prima che delle tecnologie utilizzate.

Comunità (e comuni) che sono le uniche (gli unici) capaci forse di sostenere nella quotidianità il lavoro paziente e intricato necessario a riannodare i fili e a ritessere le trame di un sistema di relazioni radicato nei luoghi ed animato dalla capacità di questi di costruire una geografia sentimentale nella quale si riconoscano le popolazioni vecchie e nuove della montagna.

Quelle popolazioni vecchie e nuove che a questi luoghi rivolgono il proprio sguardo con gli occhi della nostalgia e con quelli della speranza, con la miopia dolce che non percepisce tutte le tempeste che si addensano all’orizzonte, ma che non si possono evitare, ma anche con la lungimiranza di chi è consapevole del proprio contributo – per minuscola che sia la scala della sua applicazione – alla sostenibilità della presenza dell’uomo sul pianeta.

Uno sguardo affettuoso che si rivolge ai luoghi, chiedendo loro un medesimo ristoro sentimentale

Dialoghi Mediterranei, n. 54, marzo 2022
Note
[1] Con l’Investimento 2.1 Attrattività dei borghi della terza Componente, Turismo e Cultura, della Missione Uno, Digitalizzazione, Innovazione, Competitività e Cultura, del PNRR
[2] Si ricorda che con Delibera del Consiglio dei Ministri 26 agosto 2021 pubblicata in GU n.215 del 8-9-2021 il Governo ha provveduto alla Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza dell’eccezionale diffusione degli incendi boschivi che hanno determinato uno straordinario impatto nei territori colpiti delle Regioni Calabria, Molise, Sardegna e Sicilia a partire dall’ultima decade del mese di luglio 2021
[3]  Cfr. Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza #nextgenerationitalia: 108.

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Giampiero Lupatelli, economista territoriale, laureato nel 1978 in Economia e Commercio all’Università di Ancona studiando con Giorgio Fuà e Massimo Paci, dal 1977 opera nell’ambito della Cooperativa Architetti e Ingegneri di Reggio Emilia (CAIRE) dove si è occupato di pianificazione strategica e territoriale concentrando la sua attenzione sui temi della rigenerazione urbana e dello sviluppo locale delle aree interne e montane. Ha collaborato con Osvaldo Piacentini e Ugo Baldini nella direzione di importanti piani e progetti territoriali di rilievo nazionale e regionale. È Vice-Presidente di CAIRE Consorzio, fondatore dell’Archivio Osvaldo Piacentini per cui è direttore della Rivista “Tra il Dire e il Fare”, componente del Tavolo Tecnico Scientifico per la Montagna presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, membro del comitato scientifico della Fondazione Montagne Italia, della Fondazione Symbola e del Progetto Alpe del FAI, oltre che del Comitato di Sorveglianza di Rete Rurale Nazionale. Ha recentemente pubblicato il volume Fragili e Antifragili. Territori, Economie e Istituzioni al tempo del Coronavirus per i tipi di Rubbettino editore.

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