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A Macomer il CPR degli orrori

immagine1a cura di NAGA

Un’area destinata al trattenimento di persone con problemi psichiatrici; un reparto di isolamento utilizzato per fini punitivi; persone con importanti problemi di salute; ripetuti episodi di intimidazioni a danno delle persone detenute. Il tutto nel contesto di una struttura gestionale incentrata sulla violenza, la sopraffazione e la razzializzazione.

Queste le denunce arrivate al centralino SOS CPR dell’Associazione NAGA ODV di Milano alcuni mesi fa che hanno indotto quest’ultima e la rete Mai più Lager – No ai CPR a verificare quanto stesse accadendo nel CPR di Macomer. Ne è nata un’ispezione al seguito dell’intervento della deputata Francesca Ghirra, il 23 marzo 2024, che ha scoperchiato gli orrori di uno dei Centri di permanenza per il rimpatrio più terribili ed isolati del Paese.

Il report di quella esperienza, e degli approfondimenti seguiti che hanno confermato la fondatezza delle denunce, è stato presentato il 15 ottobre presso la Camera dei Deputati dall’associazione Naga e dalla deputata Francesca Ghirra. Qui pubblichiamo il testo integrale. 

Introduzione

Questo report documenta quanto riscontrato durante l’accesso effettuato presso il Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Macomer (NU) il 23 marzo 2024 dalla parlamentare della Repubblica italiana Francesca Ghirra – che si è avvalsa come collaboratori di un operatore legale volontario dell’associazione Naga Odv e di un medico attivista della Rete Mai più Lager – No ai CPR. Lo scopo principale di questo documento è portare all’attenzione pubblica, dei decisori politici e se necessario della magistratura, la situazione del centro sardo che, lontano dai riflettori da tempo accesi su altri CPR, non ha ricevuto sufficiente considerazione in merito alle condizioni di trattenimento, alla grave inadeguatezza della struttura e al verificarsi al suo interno di episodi particolarmente gravi di violenze, sopraffazione e violazioni dei diritti delle persone trattenute. 

Tra varie denunce ricevute dal Centralino SOS CPR nel Naga Odv, erano pervenute segnalazioni di un reparto destinato al trattenimento di persone con problemi psichiatrici; di un reparto di isolamento utilizzato per fini punitivi; di alcune persone migranti con importanti problemi di salute; di ripetuti episodi di percosse e intimidazioni sulle persone migranti detenute da parte del personale del CPR stesso. Il tutto nel contesto di una struttura gestionale del centro incentrata sulla violenza, la sopraffazione e la razzializzazione. 

La gravità di tali denunce ha confermato l’urgenza di un accesso presso il CPR di Macomer. Il Naga Odv e la Rete Mai più lager – No ai CPR , nella notoria impossibilità di ingresso della società civile in questi luoghi, hanno quindi accettato di accompagnare per un accesso nella struttura la deputata Francesca Ghirra (i membri del parlamento hanno poteri ispettivi sui CPR pari a quelli sulle carceri), cogliendo l’occasione per verificare le denunce ricevute. Le nove ore durante le quali la delegazione è rimasta nel centro sono state sufficienti a raccogliere informazioni e documenti che sembrano fornire consistenti elementi a conferma di quanto segnalato al Centralino SOS CPR del Naga Odv. In particolare, le testimonianze dirette delle persone trattenute hanno contribuito a delineare il quadro di degrado, sofferenza e abbandono in cui versano le persone migranti detenute nel CPR di Macomer: un quadro che nei mesi successivi, con molta difficoltà e scarsa collaborazione da parte dell’ente gestore del centro (la cooperativa sociale “Ekene”, che si è recentemente aggiudicata la gestione del CPR di Milano) nonché delle istituzioni coinvolte, è stato supportato con i documenti che inizialmente, per quanto richiesti da una parlamentare delle Repubblica, non erano stati consegnati.

CPR di Macomer

CPR di Macomer

Le segnalazioni al centralino SOS CPR del Naga

Si riporta a seguire una sintesi di estratti dalle dichiarazioni ricevute dal centralino SOS CPR del Naga poi riprese da un post pubblicato sui social dalla rete Mai più lager – No ai CPR con il quale è stata presentata una sintesi delle trascrizioni delle telefonate: si tratta delle segnalazioni di cui sopra che hanno allarmato il Naga Odv e la Rete citata e motivato l’organizzazione dell’accesso presso il CPR di Macomer. Le due realtà hanno proceduto con tempestività e nel massimo riserbo per proteggere l’identità delle persone che hanno trasmesso le denunce.

“Il Settore C, degli invisibili”

Sono entrato il xxxx, ho visto subito che ero in un Alcatraz; dividono le persone in buoni e cattivi, i cattivi vanno al blocco B e soprattutto al blocco C. Quando arrivano le visite (dall’esterno, n.d.c.), fanno visitare solo il blocco A. I blocchi B e C sono dimenticati da tutti. (…) Nel blocco C non entra quasi il sole.

Lo strapotere del personale dell’Ente gestore: la razzializzazione come mezzo di controllo

Per Ekene lavorano solo marocchini. A comandare è A. (marocchino) con altre sette persone: gestiscono tutto. Il responsabile che deve gestire il centro non c’è, è sempre nascosto, “A.” è la facciata. I lavoratori picchiano chi capita. Le infermiere sono complici. Mettono gocce con la siringa nel cibo. 

Comunque, il giorno xxx, tre marocchini del personale sono entrati nel blocco C. Un marocchino e un tunisino sono stati picchiati, due miei amici. Li hanno messi in una abitazione: uno ha chiuso la porta ed è rimasto di fuori. Ci eravamo rifiutati di mangiare perché ci portavano sempre quella pizza dura e fredda. Abbiamo buttato tutto a terra e per questo sono venuti e li hanno picchiati. 

17 Agenti nel blocco C per 4 ore

Il giorno xxx, più di 17 carabinieri sono entrati nel blocco C, camera 20 alle 3:30 del mattino. Un tunisino ha rifiutato di tornare in patria ed è stato massacrato da tre o quattro (agenti, n.d.c.): quando si stancava un carabiniere di colpire è il turno dell’altro e così per quasi quattro ore di tortura e abuso di potere davanti all’ispettore di polizia e il responsabile della polizia di turno. C’erano le telecamere. 

Sopra al letto a castello lo stavano picchiando. Fuori dalla porta hanno circondato la stanza. Ci sono delle telecamere fuori alle finestre, rivolte verso l’abitazione, secondo me hanno ripreso tutto. Quando ho chiesto di fermarsi, alle 6.30 circa sono stato ammanettato e “bum”, questo marocchino che lavora lì mi ha dato un pugno in faccia, davanti alla stanza 20 del blocco C, davanti all’ispettore: buttato a terra davanti alla telecamera, non gliene frega niente, mi hanno lasciato lì. L’ispettore gli ha detto solo due parole: “vuoi rovinarmi la carriera?”.

Africa comanda Africa, la polizia non viene anche se ci sono risse, dobbiamo risolverla tra noi. 

Il tunisino è tornato senza essere curato in ospedale, visita leggera. Il giorno dopo al tunisino è stato negato di chiamare l’avvocato via whatsapp per evitare che mostrasse tutto il corpo blu di botte. Una volta che è andato a parlare lo hanno accompagnato 2 carabinieri o polizia per non mostrare il corpo alla famiglia. Finché un giorno decidiamo di rubare un telefono, circa tre giorni dopo. Solo per mandare la foto al suo avvocato. 

C’era un pazzo che dormiva in doccia, gridava da solo.

“Dio del Centro”

Fanno delle cose che nessuno può capire fuori. È come una mafia, ognuno nasconde i crimini dell’altro. Gli infermieri, ad esempio, non possono dare le medicine senza che A. dica qualcosa: A., marocchino, che non è un medico, è un responsabile. Se lui dice di dare 20 o 30 gocce, l’infermiera dà, se no niente. Se tu vuoi fare una visita psichiatrica, è A. che deve decidere quando devi vedere il medico. Io sono stato chiamato dopo un mese e quindici giorni. 

Poi portavano del mangiare e nel mangiare c’erano buchi di siringa, e noi quando mangiavamo vomitavamo. Quindi io non mangiavo, non ho mangiato per l’ultima settimana quasi niente.

Il giorno del sangue

Io sono uscito pochi giorni dopo questi fatti, quando abbiamo deciso di manifestare tagliandoci tutti. Io ho macchiato tutta la faccia di sangue, ho bevuto sangue. Il corridoio era pieno di sangue, i muri erano pieni di sangue, i vestiti. Se scrivi questa storia la devi intitolare così: “giorno xx di xxx, il giorno del sangue”.

Il blocco C era tutto pieno di sangue: con disegni, croci, noi bevevamo il sangue. Noi eravamo zombie lì, ci sono zombie lì. 

Quando io mi sono tagliato è perché mi odiava tanto questo A. che mi ha picchiato nei giorni precedenti. Sono andato dall’infermiera alle 9 del mattino e io ho visto che lui chiamava lei e le diceva di non mettermi la medicazione, mi ha messo solo la fascia. Poi alle 2 ho avuto l’udienza con il giudice e ho denunciato tutto. 

La polizia, quando ci siamo tagliati, diceva che avvisava ma non hanno fatto niente: la polizia non comanda niente dentro Macomer, comandano solo questi marocchini. Il responsabile sta sempre nascosto, non si fa mai vedere; c’è solo questo A., che a loro fa comodo che lui sta lì perché gli risolvono il problema.

I capi-sezione: “Africa comanda Africa”

Loro portano da mangiare nelle stanze e lo danno a qualcuno (dei trattenuti, n.d.c.) e lui divide il mangiare e alla fine lo accontentano con sigarette o cioccolate, o magari lo fanno uscire a telefonare. C’era uno che faceva da capo-sezione, come in Africa, sai. (Quello parlava con i suoi genitori 24 ore su 24, privilegiato, sai). 

Loro il lavoro lo fanno fare agli altri. Se ad esempio un africano (persona proveniente dall’Africa Subsahariana, n.d.c.) non gli piace, lo dicono ad uno di questi e loro lo picchiano. O ti minacciano e ti picchiano loro o mettono due, tre marocchini contro di te dicendo “quello ci ha insultato”: sigaretta per picchiare qualche africano poverino che è appena arrivato che sta chiedendo solo un asciugamano o solo un infermiere o un dottore.

Che dormita nella doccia

C’era con noi un detenuto che si chiamava B… Questo qua una volta ha chiesto ad A. una pastiglia, che gli ha dato uno spintone che quel ragazzo per tre mesi non gli ha più chiesto una pastiglia. Questo ragazzo poverino mangia e dorme nella doccia, fa tutto nella doccia. A volte dorme in corridoio… 

(…) Nel mese di XXX ha chiesto di tagliare la barba. Al suo ritorno noto che aveva il pizzetto di Hitler. Questo per sapere come si prendevano in giro le persone incapaci. È stato M. a fargli questo, è grave e B. si è arrabbiato ma non poteva fare niente

Ritardate le richieste di asilo

È successo anche verso il 17-18 dello stesso mese: un ragazzo pakistano, E., ha voluto chiedere protezione internazionale e gli dicevano sempre domani domani domani. È passato quasi un mese e quando E. è andato dal giudice, l’ispettore gli ha detto “tu non puoi chiedere protezione perché è passato un mese”. E ha detto “no io tutte le settimane vado a parlare con S. (l’informatrice legale dipendente dall’ente gestore del CPR, n.d.c.), e questa mi dice ‘la prossima settimana’ e mi accompagnava anche R, l’infermiera”. Poi il Giudice ha chiesto di parlare con chi accompagnava E. dall’informatrice per sapere se fosse vero e l’operatore ha risposto “il mio lavoro è accompagnare le persone alla porta, non so cosa succede dentro”. L’infermiera R. mette lei la sua parola su di te e decide se tu puoi fare protezione internazionale. Il Giudice ha chiamato i testimoni.

L’“ergastolo bianco”

C’è l’ergastolo bianco in CPR: la gente non sa niente, non sanno quando devono uscire, anche se chiedono informazioni, niente niente, Per loro sei uno cattivo, che se esce delinque, ammazza, è violento. Per loro sei così. Soprattutto i marocchini miei compaesani hanno una rabbia verso di noi. Loro dicono che hanno a che fare con consolati, vanno a richiedere qualsiasi carta per mandare qualcuno al suo paese. A. mi ha raccontato di aver lavorato in Marocco in un posto dove aveva visto che violentavano le persone con le bottiglie. Fanno sempre così, violenza psicologica. Sono tutti complici. Quando ho visto il responsabile, l’unica volta, è quando ho deciso di denunciare A. Lui mi ha detto “fate pace, o c’è il rischio che anche lui ti denuncia”. Io ho risposto “a me fa piacere andare davanti a un giudice”.

I sedativi nel cibo. Spray al peperoncino

C’era questo ragazzo che ha tentato di impiccarsi, ci siamo incontrati in isolamento, ha spaccato tutta la cella. E quando è venuto A. lui rifiutava la medicina e allora qualcuno gli metteva la medicina nel caffé. Anche a me una volta hanno portato un tè marocchino, appena l’ho bevuto mi sono addormentato. Il 23-24 di ottobre lo hanno picchiato dentro l’isolamento, ci hanno buttato spray al peperoncino dentro per calmarlo. Loro non uscivano più a respirare e sono usciti e hanno lasciato me dentro. Con la maglietta tappavo la faccia e dicevo “non potete lasciarmi qua”, e la comandante bella sorridente diceva “adesso ti passa”. Si chiama S.

Mettono dentro anche gente con i documenti

dentro mettono anche gente con documenti. Quando io ho dato il mio avvocato a loro, li hanno fatti uscire anche prima che il mio avvocato leggesse i loro documenti. Mettono dentro il primo che capita: puoi trovare di tutto. 

immagine2L’area amministrativa generale

Benché l’accesso della delegazione non fosse finalizzato a verificare il corretto funzionamento della struttura dal punto di vista amministrativo e gestionale, sono state raccolte informazioni anche su questi aspetti, in particolare per verificare se la gestione del CPR di Macomer da parte della cooperativa sociale “Ekene” rispettasse il capitolato d’appalto e la normativa vigente relativa ai CPR (Direttiva del Ministero dell’Interno del 19 maggio 2022). 

Alla delegazione è stato rappresentato un quadro di efficienza gestionale, con ostentazione degli sforzi profusi per rispettare capitolato e normativa. In effetti, se ci si fosse limitati a questo genere di indagine, in particolare negli ambiti di responsabilità della Prefettura e dell’Ufficio Immigrazione della Questura, il CPR di Macomer avrebbe rispettato quanto dettato dalla normativa meglio di altri CPR. 

Si sono però molto presto presentate delle criticità di rilievo. In primo luogo, il personale dell’ente gestore non è stato in grado di mostrare in maniera esaustiva il registro degli eventi critici. Si era fatto riferimento, in primo luogo, alla possibilità di avere a disposizione una copia mostrata con una rapida visualizzazione, attraverso la schermata di un telefono cellulare, del foglio excel sul quale venivano segnalati detti eventi. Il coordinatore del centro aveva spiegato che esiste un sistema di inoltro automatico alla Prefettura e che su quel foglio era rappresentato solo un sunto di quanto contenuto in quella comunicazione più dettagliata che avviene via PEC. Inoltre, da quel foglio risultava il dato, poco realistico, di soli quindici eventi accaduti nell’intero 2023. Di conseguenza, è stata richiesta una copia del registro, completa delle PEC, non considerando quella rapida occhiata come una dimostrazione della sua esistenza. Solo martedì 2 aprile, durante una seconda visita della deputata Ghirra, le sono stati consegnati i documenti richiesti: protocollo tra Prefettura e Asl, cartelle mediche delle persone che dichiaravano o mostravano evidenti problemi di salute, il piano di emergenza e evacuazione del centro e un file con copia delle PEC inviate alla Prefettura negli ultimi sei mesi per segnalare gli eventi critici (descritto in dettaglio infra al Cap. 6.1). 

Infine, dato che non era stato possibile parlare con un medico, si chiedeva di essere messi in contatto, per un confronto, con il responsabile dell’area sanitaria, per chiarire alcuni aspetti di quanto era stato descritto dal coordinatore del CPR e dall’infermiera di presidio. La delegazione ha più volte chiesto nello specifico se per regolare l’attività professionale esercitata all’interno del centro da una psichiatra dell’ASL di Nuoro fosse stato concordato e formalizzato un protocollo. Questo colloquio non è mai avvenuto perché il responsabile dell’area sanitaria non si è mai reso disponibile. Solo diverse settimane dopo l’accesso il medico della delegazione è riuscito a parlare telefonicamente con uno dei medici assunti dall’ente gestore, ricevendo per lo più risposte evasive e non chiarificatrici delle numerose criticità di salute evidenziate durante l’accesso, in particolare in merito alle condizioni di diverse persone detenute che mostravano problematiche che le avrebbero dovute far considerare inidonee al trattenimento nel CPR (cfr. infra Cap. 5). 

Riguardo agli altri aspetti di rispetto formale della normativa sui quali c’è stato il tempo di soffermarsi, non sono state riscontrate irregolarità di rilievo: lo spartano servizio di informativa legale concesso dal capitolato viene erogato in una stanza dove sono esposti, tradotti in più lingue, gli opuscoli previsti dalla normativa; l’assistenza psicologica è prevista, sia pur per le pochissime ore inserite nel capitolato; il presidio medico, organizzato con tutta la strumentazione prescritta in buono stato, è dotato di un software gestionale che permette di tenere una cartella clinica completa delle informazioni ad essa accessorie. 

Qualche ora più tardi, dopo l’accesso nei moduli detentivi e il confronto diretto con le persone migranti presenti nel CPR, l’impressione della delegazione sarebbe stata completamente diversa. 

immagine3La desolazione e l’abbandono nei settori abitativi

Le strutture del CPR di Macomer erano state progettate in origine per un istituto penitenziario, scopo d’uso per cui sono state poi giudicate inadatte: conserva ancora le caratteristiche architettoniche di un carcere di massima sicurezza, assolutamente desuete e inadatte a una vita comunitaria di qualsiasi genere, per quanto in detenzione. Le persone migranti vengono detenute in due edifici, ciascuno dei quali è diviso in due moduli: i moduli B DX e B SX, nel primo; il modulo C e quella che, stando alla segnaletica interna avrebbe dovuto essere un’infermeria, ma che si è rivelata essere una sezione destinata all’isolamento, nel secondo. 

La capienza dei tre moduli è, rispettivamente, di 20, 22 e 8 posti letto. Nella zona di isolamento ci sono due stanze. La prima è arredata con quattro letti da ospedale. La seconda, priva di arredamento tranne un materasso lasciato a terra, è stata descritta dal personale del CPR come un locale per contenere le persone che sono a rischio di atti di autolesionismo (nei fatti, una camera a-traumatica che rimanda a un contesto di tipo manicomiale, cfr. infra Cap. 5). La presenza di un calorifero metallico le cui lamiere non sono assolutamente protette sembrerebbe renderla inefficace a escludere il rischio che chi ci viene rinchiuso possa procurarsi gravi ferite. All’interno dei moduli abitativi ci sono quelle che erano state progettate come le celle del penitenziario che, pur private delle porte, rimangono tali. Nei moduli B DX e B SX le celle sono dotate di due letti ciascuna e dispongono di un bagno. Nel modulo C, dove una delle tre celle ha quattro letti ed esiste un piccolo spazio comune, i bagni e le docce sono comuni. Queste celle, nei due moduli più capienti, affacciano su uno stretto corridoio, su una parete del quale, in alto, è posizionato un televisore. Per poterlo guardare le persone detenute sono costrette a sedersi sul pavimento. Le uniche sedie presenti, infatti, sono inchiodate al suolo all’interno delle celle, così come i tavolini che costituiscono l’unico altro arredo.

Su un lato, il corridoio è delimitato da una porta di sicurezza sempre chiusa a chiave, sull’altro da una porticina aperta su piccolo cortile, circondato da mura alte cinque metri sormontate da barriere di filo spinato. Una conformazione che giustifica, anche visivamente, una delle lamentele più frequentemente ascoltate dai trattenuti: ‘siamo al 41 bis’. Altri definivano l’esperienza che stavano vivendo un ‘sequestro di persona’. 

immagine4La scarsa manutenzione di questi locali è ben rappresentata dalle larghe chiazze di muffa presenti nei bagni, dalle scrostature delle mura e dalle bottiglie di acqua attaccate ai rubinetti delle docce perché lo scarso gettito d’acqua impedirebbe di sciacquarsi senza adottare questo espediente.

All’interno della struttura, le uniche due aree di socializzazione previste nel progetto originario risultavano inutilizzate. Si tratta del locale adibito a mensa previsto per le persone che risiedono nei due blocchi B-DX e B-SX e di quella che è stata descritta come l’area adibita alle attività sportive, inutilizzata da molto tempo (sono state mostrate delle foto dello spazio mentre veniva utilizzato da operatori e persone detenute intenti a giocare a calcio). 

Infine, tutte le persone detenute con cui la delegazione ha discusso durante le ore dell’accesso nel CPR hanno confermato che non esiste alcun tipo di attività organizzata di tipo ricreativo/culturale all’interno della struttura. Tutti si sono lamentati di non aver nulla da fare per tutto il tempo. Tranne qualche partita di pallone fatta negli stretti cortili, (con palloni acquistati a carico delle persone detenute, a detta di alcune di loro, smentite dal personale dell’ente gestore).

Non è presente un’area dedicata alle attività religiose, per quanto prevista dal capitolato. Ed anche su questo tema la delegazione ha potuto constatare che tra i trattenuti c’è chi si è organizzato autonomamente: al tramonto si è chiaramente sentito il suono della voce di uno di loro che, dall’interno della sua cella, stava svolgendo la funzione di muezzin.

immagine5La delegazione ha fatto accesso in tutti i locali del CPR, accompagnata dal personale dell’ente gestore e da un folto gruppo di agenti di polizia. Ha incontrato le persone migranti detenute e discusso a lungo con loro: si è palesata chiaramente la loro condizione di degrado, sofferenza e abbandono, e in ciascuno dei tre moduli sono state descritte notevoli criticità dal punto di vista dello stato di salute di non pochi dei trattenuti, oltre a racconti che lasciano forti dubbi sulla tutela legale disponibile. Non da ultimo, sono state raccolte le prime conferme dei racconti di pestaggi subiti sia ad opera del personale delle forze dell’ordine che di quello alle dipendenze del gestore. La situazione che si è creata all’interno di ciascun modulo era abbastanza peculiare perché le persone, pur in presenza di agenti e personale del centro, si avvicinavano ai delegati per raccontare la loro situazione e lamentarsi di quanto stavano vivendo e subendo. Tentando di mantenere quel minimo di riservatezza necessario a non far sentire le parole, ma spesso non trattenendosi dal puntare direttamente il dito verso chi, agente o operatore, indicavano come responsabile di violenza, soprusi, pestaggi.

La tutela legale e l’accesso agli altri  diritti

Molte sono state le lamentele ricevute in relazione a carenza di assistenza legale o al mancato accesso ad altri diritti, in particolar modo a quello di comunicazione con l’esterno. Di seguito vengono riportati alcuni dei casi riferiti per evidenziare le principali problematiche che mostrano come il livello di tutela legale riscontrato risulta assolutamente inadeguato e poco adatto a permettere che le persone possano essere effettivamente messe in grado di poter far valere i propri diritti. (Riguardo allo specifico della tutela del diritto alla salute, cfr. infra Cap. 5). 

H.B.

Prima di essere recluso nel CPR, H. ha vissuto un percorso fortemente traumatico, segnato dalla permanenza per tre anni all’interno di istituti penitenziari per adulti, a causa di un errore nella valutazione della sua età: questo periodo è stato caratterizzato da una grande sofferenza, sfociata in numerosi atti di autolesionismo che hanno segnato permanentemente il suo corpo, in particolare a livello degli arti inferiori. Il trattenimento nel CPR dovrebbe essere funzionale alla possibilità di eseguire il rimpatrio di una persona correttamente identificata. Com’è possibile farlo se, nonostante l’evidenza fisiognomica e le proteste dell’interessato, vengono accettate come valide le generalità con cui è arrivato e che indicavano come data di nascita il 20.02.1984? H. è un ragazzo che dimostra a malapena i suoi reali vent’anni, e che porta indelebili sul suo corpo e nella sua mente gli effetti di tutti questi anni di detenzione in un contesto inadeguato alla sua età (cfr. infra Cap. 5 per le sue problematiche di salute). 

J.M.

Cittadino somalo arrivato in CPR in seguito alla scarcerazione avvenuta dopo aver completamente scontato una condanna. È stato vittima di alcuni dei pestaggi denunciati sia da altri trattenuti che da lui stesso (cfr. infra Cap. 6). Entrato nel CPR, ha fatto domanda di protezione internazionale poi rigettata dalla commissione competente. Il fatto che questo provvedimento non sia stato impugnato nei termini previsti dalla legge è un chiaro indicatore della scarsa cura con cui viene garantita l’assistenza legale nel CPR di Macomer. Rimasto nel centro anche dopo l’incendio del 24 marzo (cfr. infra Cap. 6), ha deciso di chiedere il rimpatrio volontario perché non riusciva più a reggere le condizioni di trattenimento. L’esecuzione della procedura prevede un passaggio a Roma per il necessario incontro con il console del suo Paese. Per questo motivo è stato trasferito presso il CPR di Ponte Galeria a Roma, dove ha spiegato che la sua richiesta di rimpatrio volontario era stata solo un espediente per uscire dal centro sardo. Ha quindi avanzato una nuova domanda di protezione internazionale grazie alla quale il Tribunale di Roma lo ha rilasciato, ritenendo che le sue probabilità di ottenere una forma di protezione internazionale siano elevate, considerando la situazione geopolitica del Paese di provenienza (Somalia). 

K.M.

Durante il colloquio nel cortile del modulo dove dormiva ha riferito che il giorno in cui è stato fermato nel corso di un controllo dei documenti eseguito in strada a Cagliari, non sarebbe stato sottoposto a valutazione di idoneità alla vita in comunità ristretta, richiesta dalla normativa vigente per il trasferimento in CPR. Ha raccontato di essere stato condotto presso un centro sanitario non meglio specificato, rimanendo nella volante, e che sia stata l’agente di polizia che lo stava accompagnando al CPR ad aver ritirato la valutazione di idoneità firmata dal medico senza visitarlo. Non è stato possibile riscontrare la veridicità di tale racconto; ciononostante, è stato possibile raccogliere le evidenze del modo inadeguato con cui veniva gestita la sindrome asmatica di cui soffre, nonostante le varie segnalazioni inviate dal suo legale in merito (cfr. infra Cap. 5).

La tutela legale e l’accesso agli altri diritti 

D.I.

Di origine algerina, nel CPR risultava registrato per un errore con un alias, motivo che avrebbe rallentato le procedure per effettuare il rimpatrio volontario assistito, da lui richiesto in quanto esasperato dalle condizioni di trattenimento. La delegazione lo ha incontrato nella stanza di isolamento dove era stato portato in seguito a un gesto autolesivo a una mano messo in atto per protestare per gli ulteriori ritardi avvenuti dopo che, ben 12 giorni prima dell’incontro del 23.03, il console algerino aveva risposto all’Ufficio Immigrazione della Questura di Nuoro confermando le sue generalità. Il responsabile dell’Ufficio Immigrazione presso il CPR, contattato telefonicamente, giustificava le lentezze con la complessità della procedura, per poi stupirsi quando gli veniva comunicato che la risposta del consolato era già stata inviata da 12 giorni. Si impegnava quindi a sollecitare i suoi funzionari a procedere per completare il rimpatrio a partire dal lunedì successivo. La delegazione non ha avuto modo di restare in contatto con D., di conseguenza non è possibile sapere se questo impegno è stato mantenuto. 

H.N.

È la persona detenuta nel CPR che aveva preparato una lettera/esposto per lamentare le condizioni di trattenimento (cfr. infra Cap. 6). Documento che gli operatori del centro non avevano voluto ritirare quando lui chiedeva che venisse consegnata alle autorità indicate nell’intestazione, in particolare il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, istituzione indicata specificamente dalla normativa come possibile destinataria di missive di reclamo da parte di persone sottoposte a detenzione. Il fatto che H. nell’intestazione lo definisca Garante dei diritti umani non sembra un’imprecisione sufficiente a creare dei dubbi su quale fosse l’intenzione dello scrivente. Ha inoltre riferito che il personale del CPR non gli ha mai consentito di consultare il proprio telefono cellulare, anche solo per il tempo sufficiente a copiare dalla rubrica il numero del fratello per potersi mettere in contatto con lui utilizzando la cabina telefonica o il tablet. Per un mese intero si è visto rispondere che glielo avrebbero fatto fare il giorno successivo. La disponibilità del tablet, a detta di alcuni trattenuti, concessa a quelli tra di loro che se la meritano attraverso comportamenti graditi al personale. La versione fornita dagli operatori che hanno accompagnato la delegazione differisce in quanto lo strumento sarebbe utilizzabile 15 minuti al giorno da ciascun trattenuto.

Esempio ulteriore dell’isolamento dall’esterno cui sono sottoposte le persone trattenute nel CPR. 

Relazione medica

Si riporta di seguito una sintesi degli appunti presi dal dottore della delegazione, Dr Nicola Cocco – inviati tempestivamente anche all’ufficio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, senza alcun esito – relativi ai casi di persone migranti detenute le cui condizioni di salute presentavano motivi evidenti di inidoneità alla permanenza nel Centro stesso. 

Nel mese di maggio 2024 tali rilievi sono stati inviati dal Dr Cocco tramite PEC alla ASL di Nuoro per chiedere espressamente la rivalutazione di idoneità delle persone detenute con le maggiori criticità di salute: né la ASL, né l’ente gestore Ekene né le altre istituzioni cui la PEC è stata inviata (in particolare Prefettura e Questura) hanno mai risposto. 

Si ribadisce che sia durante il sopralluogo che attraverso le varie richieste dei documenti il sottoscritto ha più volte chiesto di potersi confrontare direttamente con un medico dell’Ente Gestore del Centro, per poter segnalare i suddetti casi di inidoneità. 

B.S.M.

Proveniente dalla Tunisia, 38 anni riferisce di essere nel CPR da più di cinque mesi e di essere portatore di viti di metallo alla caviglia destra: in seguito a caduta durante la permanenza nel CPR, ha riportato una nuova frattura all’arto già traumatizzato. Ne risulta un importante deficit funzionale che impedisce la fruizione degli ambienti del CPR (il paziente zoppica vistosamente e appare affaticato dopo aver compiuto anche brevi tragitti). Riferisce di essere stato condotto in PS dove, dopo medicazione, gli è stato prescritto l’utilizzo di stampelle, ma queste ultime (che sono presenti in infermeria) non gli vengono fornite per motivi di sicurezza all’interno del CPR. Per questi motivi si conferma che dal punto di vista clinico il paziente non sarebbe idoneo alla vita in un contesto come quello del CPR di Macomer.

Collateralmente segnala di essere iperteso ma di non riceve un monitoraggio e una terapia adeguata: descrive infatti un recente episodio di otorrea improvvisa, ascritto dal paziente a picco ipertensivo (al controllo della pressione riferisce di avere valori superiori ai 200 mmHg). 

J.Z.

Detenuto di origine afroamericana (provenienza USA), 60 anni. Ho intravisto dapprima J. nel cortile del Settore B-dX che vagava isolato ripercorrendo i propri passi e parlando apparentemente da solo. Dopo avergli posto alcune domande, ho richiesto colloquio individuale (condotto in inglese), che ha fatto emergere un quadro psichiatrico serio, con segni dissociativi nei confronti della realtà: il paziente, con aspetto trasandato, riferisce di “essere Richard Nixon”, che tale personificazione sarebbe rilevabile “nella Bibbia”, e che la sua famiglia lo starebbe aspettando “su una nave in un porto vicino” non meglio identificato. Orientato dal punto di vista spazio-temporale, mostra chiari segni persecutori anche nei nostri confronti, rifiutandosi a lungo di firmare l’autorizzazione per ricevere copia della sua cartella (consenso ottenuto dopo lunga discussione). Riferisce di prendere alcuni farmaci “per la testa” non meglio identificati.

Il quadro è quello di un disturbo psichiatrico attivo con segni psicotici assolutamente meritevole di approfondimento diagnostico e di presa in carico in luogo di cura, essendo inidoneo alla vita nel CPR. 

R.O.

Nato in Tunisia, 44 anni, il paziente presenta una documentazione medica in suo possesso che attesta un quadro di “fibrillazione atriale parossistica a rischio tromboembolico”, in terapia con farmaco anticoagulante che non sa specificare: si tratta di un quadro che meriterebbe uno stretto monitoraggio cardiologico, difficilmente attuabile nel CPR di Macomer. Inoltre, la terapia anticoagulante in un contesto detentivo particolarmente complesso come quello del CPR mette a serio rischio di sanguinamento il paziente anche per lievi traumatismi. Sarebbe poi da conoscere con urgenza il tipo di terapia anticoagulante in atto, per poterne valutare l’eventuale monitoraggio dei valori ematici e verificare la presenza di antidoto nel caso di sovradosaggio. A mio parere il quadro clinico è inidoneo alla vita nel CPR. 

H.B.

Di origine algerina, registrato con data di nascita del 1984, ma visibilmente più giovane: riferisce infatti di essere nato nel 2004. Ha raccontato un percorso traumatico caratterizzato da una detenzione di tre anni in un carcere per adulti dovuto all’errata assegnazione di maggiore età. Durante la detenzione in carcere si è procurato numerosissimi tagli a carico degli arti superiori e in particolare della gamba destra, talmente fitti e profondi da aver modificato il naturale aspetto dell’arto. Mostra chiari segni di sofferenza psichica e riferisce di essere in terapia con Entumin (clotiapina, un farmaco antipsicotico che necessita di stretto monitoraggio psichiatrico). Riferisce che durante la permanenza nel CPR, a scopo autolesivo, ha ingerito urina e feci (pica). Riferisce inoltre una settimana di isolamento quando è stato condotto nel CPR, e di soffrire di grave odontalgia che non è mai stata valutata da un dentista.

Il paziente necessita di una presa in carico specialistica per un quadro di  sofferenza legato alla prolungata detenzione che potrebbe essere definito di disturbo da stress post-traumatico, per cui dovrebbe essere rilasciato quanto prima in quanto inidoneo alla vita nel CPR. 

R.O.

Nato in Tunisia 42 anni, presenta un aspetto emaciato e in particolare il braccio destro risulta fasciato con una medicazione in pessime condizioni igieniche. Riferisce di avere una frattura per cui è stato posizionato il gesso ma che non è stato sottoposto ad alcun controllo da settimane, e il braccio, che appare tumefatto per quanto valutabile, gli duole e non gli permette di svolgere gran parte delle attività quotidiane all’interno del CPR, motivo per cui andrebbe considerato inidoneo alla vita nel Centro e inviato quanto prima a rivalutazione ortopedica. 

K.A.

Detenuto di origine turca di 63 anni, riferisce di essere cardiopatico e di avere tre ernie discali che condizionano ogni sua attività per la sintomatologia dolorosa: giunge infatti al colloquio zoppicando e con difficoltà. Tali problematiche sarebbero emerse durante la permanenza nel CPR. In ogni caso mostra serie difficoltà a compiere anche i movimenti più semplici, per cui dovrebbe essere dichiarato idoneo alla vita nel CPR e inviato a valutazione neurochirurgica e cardiologica. 

K.M.

Nato in Tunisia 28 anni, riferisce di essere asmatico ma di non ricevere la terapia sintomatica corretta. Racconta inoltre che, condotto presso il luogo dove doveva essere valutato per l’idoneità alla vita in comunità ristretta, è stato lasciato nella volante della polizia mentre un agente andava a recuperare direttamente il certificato di idoneità dai sanitari, senza sottoporre a visita il paziente: tale anomalia annulla la validità di tale certificazione di idoneità, motivo valido per rilasciare il paziente quanto prima. 

d.I.

Di origine algerina, 40 anni, ha fatto richiesta di rimpatrio volontario da più di 12 giorni e, a causa delle lungaggini e della mancanza di informativa legale efficace, si è provocato un trauma contusivo a una mano come gesto di autolesionismo, per cui, su prescrizione medica, è stato posto nella stanza di “isolamento” adiacente al Settore C: tale stanza ha tutti gli aspetti di una stanza anti-traumatica di stampo manicomiale, essendo priva di ogni suppellettile e completamente spoglia, dotata solo di un materasso a terra e di un televisore affisso al soffitto (persistendo però un calorifero con grate taglienti in bella vista). Tale tipo di stanza pone il paziente in uno stato di abbandono totale nel nome della propria “sicurezza” e il suo utilizzo è da valutare approfonditamente, in particolare per quanto riguarda le prescrizioni mediche. Il paziente infatti al colloquio si è mostrato lucido, fermo nel ribadire le proprie richieste. Riferisce inoltre di essere in sciopero della fame. Si auspica una pronta risoluzione della sua situazione con il rimpatrio volontario richiesto. La gestione del suo isolamento per gesti autolesivi pone seri quesiti sull’appropriatezza di alcune misure di gestione delle problematiche di salute mentale, nonostante la presenza una volta alla settimana di una specialista psichiatra della ASL che lavora nel CPR (non è stato fornito un chiaro protocollo che regolamenti tale rapporto di collaborazione che tra l’altro prevedere anche l’approvvigionamento degli oppioidi per la terapia sostitutiva dei casi di tossicodipendenza). 

Una riflessione conclusiva, a seguito della raccolta di questi casi di criticità: nonostante l’infermeria del CPR di Macomer presenti caratteri di accettabilità in termini di organizzazione, fornitura e gestione, le condizioni delle persone detenute di cui si richiede una pronta dichiarazione di inidoneità confermano quello che si può definire il “paradosso della gabbia pulita”: a prescindere dalle condizioni materiali dei luoghi, in particolare dei luoghi di cura, il dispositivo della detenzione amministrativa e la sua applicazione architettonica nel CPR agisce sulla salute, sui corpi e sulle vite delle persone detenute in maniera evidentemente patogena, con quadro tanto più gravi quanto più lunga e la detenzione e con un sostanziale aggravamento dei quadri patologici accolti perché ritenuti (erroneamente) idonei. 

Infine, il Dr Cocco ha più volte sottolineato come alcune caratteristiche del CPR di Macomer mostrano dei segni di possibile “deriva manicomiale” di questi centri:

  • la presenza di una stanza a-traumatica utilizzata arbitrariamente per l’isolamento;
  • il trattenimento di persone con evidenti problematiche di salute mentale (in particolare la permanenza di Z., ancora nel settembre 2024 detenuto nel CPR), in deroga all’art. 3 della Direttiva del Ministero dell’Interno del 19 maggio 2022, che indica i “disturbi psichiatrici” come criterio assoluto di non idoneità alla vita nel CPR;
  • la presenza settimanale di una psichiatra della ASL di Nuoro, che viene addotta come giustificazione della permanenza di persone con problematiche di salute mentale, ma che di fatto si riduce alla conferma di una terapia sedativa e senza alcuno strumento moderno che garantisca standard qualitativi di gestione accettabili.

Queste caratteristiche, ben al di là di migliorare la gestione delle persone trattenute che presentano o sviluppano problematiche di salute mentale, di fatto normalizzano la presenza della sofferenza psichiatrica all’interno di luoghi di detenzione come i CPR assolutamente inadatti alla costruzione di percorsi di cura in termini post-basagliani: al contrario, la persistenza di sofferenza mentale, psichiatri presenti in maniera sporadica e utilizzo massiccio di psicofarmaci a scopo sedativo in un contesto di detenzione pone le persone detenute sulla china della già citata deriva manicomiale: queste persone dovrebbero essere dichiarate non idonee alla vita nei CPR ed essere prontamente prese in carico dai servizi territoriali di salute mentale. 

immagine6I riscontri sulle violenze

Il registro degli eventi critici e gli altri documenti inviati dall’ente gestore

Il documento, composto dalla successione delle PEC asseritamente inviate dal gestore alla Prefettura nel periodo compreso tra il 23 settembre 2023 e il 25 marzo 2024 non contiene alcun riferimento agli episodi di violenza, la cui responsabilità sarebbe sia degli agenti delle forze dell’ordine che degli operatori dell’ente gestore “Ekene”, riportati al nostro centralino, e nemmeno di quelli riferiti dai trattenuti incontrati durante la visita del 23 marzo, due dei quali hanno depositato formale denuncia in proposito. Rimane, comunque, un’importante conferma della situazione esplosiva che si è vissuta all’interno del centro in quel periodo. Considerazione che si può pacificamente ricavare dagli episodi segnalati, benché il testo sia palesemente incompleto. 

Per sincerarsi di tale incompletezza è sufficiente constatare che non vi è traccia dell’incendio, avvenuto il 24 marzo, che ha reso inagibili i moduli B DX e B SX, costringendo il Ministero dell’Interno a trasferire 18 degli ospiti in altri CPR. Il redattore si è preoccupato di segnalare l’arrivo di un presunto minorenne, avvenuto il giorno 25 marzo, ma non ha ritenuto opportuno scrivere una riga su quanto accaduto la notte precedente.

Nel documento vengono riferiti due precedenti incendi, proteste di singoli e collettive contro vari aspetti della detenzione amministrativa, tensioni e risse tra i trattenuti, sventate risse tra i trattenuti stessi e gli operatori del centro, segnalazioni di guasti alle cabine telefoniche, segnalazioni di problemi di salute e, soprattutto, numerosi episodi di danni contro se stessi che vengono definiti, alternativamente, atti di autolesionismo o anticonservativi, se non semplicemente descritti nella loro dinamica.

I tentativi di suicidio e le ferite auto inferte procedono in un crescendo che, negli ultimi mesi, ha indotto il direttore del centro, che redige, ad accorpare più episodi in una sola mail inviata con cadenza non regolare, ma tendenzialmente mensile. Ad esempio. quella del 29 febbraio con oggetto, ‘CPR di Macomer. Comunicazione delle notizie di rilievo inerenti alla regolare conduzione della convivenza – art 3 lettera A comma 2. Segnalazioni varie – Lesioni ospiti’, riporta sei episodi di questo genere, oltre a quello di una colluttazione tra due trattenuti.

Leggendo queste pagine si trovano i nomi di alcune delle persone incontrate durante la visita o, di altre, non più presenti nel centro, le cui vicende sono state riferite da chi era ancora trattenuto il 23 marzo. Spesso la versione fornita dal direttore alla Prefettura differisce da quella dei trattenuti. Il primo, il direttore, tende spesso a enfatizzare la capacità degli operatori e delle forze di polizia di mediare facendo rientrare gli episodi più pericolosi. I secondi, ossia le persone trattenute, riferiscono, diversi episodi di pestaggi, alcuni dei quali sembrerebbero coincidere con quanto riferito nelle segnalazioni inviate alla Prefettura.

Ad esempio H.N. riferisce dei pestaggi ripetutamente subiti da un trattenuto di nazionalità togolese che, a quanto si legge nella denuncia, sarebbero avvenuti in giorni sicuramente antecedenti al 24 gennaio.

Il registro cita due episodi relativi a questa persona, il primo avvenuto il 22 dicembre e il secondo il 10 gennaio. In entrambe le occasioni, la segnalazione alla Prefettura non cita alcuna violenza avvenuta nei confronti del trattenuto T.S. Nel primo caso, ad esempio, si rileva che ‘Al fine di evitare scontri fisici gli operatori e la vigilanza hanno sempre mediato con l’ospite facendolo calmare ed ottenendo il rientro nel blocco. La versione di H.N. invece, riporta quanto segue: ‘scortato da 15 agenti di polizia che, al suo rifiuto di attraversare la porta, lo hanno preso a manganellate. In seguito, altri agenti lo hanno preso a manganellate in due occasioni quando voleva uscire dalla porta principale del modulo per prendere una boccata d’aria’.

Di altri episodi riferiti dai trattenuti, che se confermati sarebbero gravissimi, nel registro non vi è alcuna traccia nemmeno sotto forma  di una differente versione riferita dal gestore alla Prefettura. Si consideri ad esempio quanto riferito al centralino SOS CPR e riportato supra al Cap. 2 nel paragrafo intitolato ‘IN 17 AGENTI NEL BLOCCO C PER QUATTRO ORE DI TORTURA’, che è stato confermato nella sua dinamica dalla denuncia depositata da H.N., una volta trasferito al CPR di Ponte Galeria e che, secondo quanto da lui riferito, sarebbe avvenuto nella notte tra il 14 e il 15 novembre 2023. Nei giorni immediatamente successivi a quella notte il gestore comunica alla Prefettura due sole segnalazioni del tutto estranee a quanto riferito dai due trattenuti, in modo del tutto indipendente l’uno dall’altro. Quel prolungato pestaggio durato quasi tutta la notte, e avvenuto nel tentativo fallito di rimpatriare un trattenuto, non sarebbe mai avvenuto. E non c’è nemmeno traccia del fatto che non sia stato possibile effettuare un rimpatrio programmato. 

Un altro riscontro a quanto riferito al centralino è individuabile nel file che contiene l’elenco storico delle presenze nel CPR fin da quando Ekene ha assunto la gestione, dopo aver vinto la gara d’appalto. In questo file sono contenuti i dati sufficienti a verificare, ad esempio, che i nomi delle persone citate, come testi o vittime, del pestaggio delle notte tra il 14 e il 15 novembre 2023 corrispondono, anche per la nazionalità dichiarata, alle persone presenti quella notte nella stanza 20 del modulo C, dove si trovava la persona che, resistendo al tentativo di rimpatrio, avrebbe subìto quelle quattro ore consecutive di quelle che, se confermate, possono essere senza dubbio definite come vere e proprie torture.

 Le memorie dei trattenuti

Nel corso dei colloqui avvenuti durante la visita, durante i quali i trattenuti hanno firmato le autorizzazioni alla consegna delle cartelle mediche all’onorevole Ghirra, due di loro si sono presentati portando con sé un documento manoscritto. In questi testi si trova il racconto di quanto accaduto all’interno del centro nei mesi precedenti. Compilati separatamente da due persone che alloggiavano in due settori distinti della struttura, contengono affermazioni che descrivono una situazione all’interno del CPR molto simile a quella riportata negli audio trascritti nel primo capitolo di questo report. H.N, in seguito Habib (per motivi di riservatezza, altrove nella relazione, indichiamo le generalità solo con le iniziali. In questo capoverso, e in quelli immediatamente successivi, assegniamo alcuni nomi di fantasia per maggior leggibilità), ha circostanziato gli episodi già descritti nella sua memoria depositando una denuncia presso la Procura di Oristano, nella quale viene descritto, tra gli altri, lo stesso gravissimo episodio accaduto nel blocco C nella notte tra il 14 e il 15, novembre riguardante il già citato e prolungato pestaggio, avvenuto per opera di agenti di polizia, di un trattenuto che si opponeva al rimpatrio. In questo testo vengono riferiti altri episodi di violenza tra cui alcuni altri pestaggi subiti, sia da parte di agenti di polizia che da parte di operatori del centro, da un cittadino togolese, T.S., avvenuti anch’essi all’interno del blocco C. 

Assume particolare rilievo ai fini di un riscontro il racconto di quanto subìto da una persona, che viene individuato come, M.J., in seguito Samuel. Samuel è un cittadino somalo, il quale ha riferito a Habib di essere aver subìto un pestaggio dagli agenti di polizia che lo stavano trasferendo al blocco C. Habib aggiunge che due operatori del centro avrebbero trascinato Samuel fuori dal blocco dove avrebbe subìto un nuovo pestaggio, avvenuto in un luogo non coperto dalle telecamere di sorveglianza.

La seconda memoria, consegnata da Maaz, contiene, oltre alle lamentele generali sulle condizioni di vita nel centro, un riferimento a un pestaggio subìto da un cittadino somalo. Maaz non ha presentato formale denuncia ma, in seguito, ha riferito al centralino in modo più dettagliato quanto avvenuto a questa persona che qui chiamiamo Samuel [1]. La coincidenza del nominativo e della nazionalità fanno pensare che si possa trattare della stessa persona citata da Habib e che l’episodio possa essere lo stesso che a quest’ultimo, stando alla sua denuncia, è stato raccontato da Samuel al momento del suo trasferimento dal blocco B SX, dove risiedeva Maaz, al blocco C dove si trovava Habib.

Lo stesso Samuel, che già durante il colloquio avvenuto il 23 febbraio aveva denunciato di essere vittima di un pestaggio effettuato da alcuni agenti di polizia durante il terzo giorno di permanenza a Macomer, una volta trasferito nel CPR di Ponte Galeria ha deciso di presentare formale denuncia per alcuni episodi accaduti durante il suo trattenimento, uno dei quali sembra riconducibile a quello descritto dagli altri due trattenuti. In pratica, l’impressione è che Samuel, Maaz e Habib stiano parlando tutti e tre dello stesso episodio: uno dei pestaggi che Samuel avrebbe subìto. 

Le due memorie, pur con toni e dettagli differenziati, non si limitano a descrivere episodi di violenza ma denunciano  anche  violazioni sistematiche dell’accesso al diritto alla salute, al diritto di difesa e a quello di comunicazione con l’esterno. Oltre al controllo totale sulla vita dei trattenuti messo in atto dal personale di Ekene che opera con un regime di assoluto arbitrio nel fare, o più frequentemente negare concessioni o esaudire le richieste, anche le più semplici, che vengono effettuate dalle persone trattenute. Ad esempio, come segnalato in precedenza, H.N. lamentava di avere inutilmente, per oltre un mese, chiesto di poter rapidamente consultare il proprio cellulare, sequestrato al momento dell’ingresso, al solo scopo di recuperare il numero di telefono del fratello. M. K., dal canto suo, lamenta di aver chiesto per parecchi giorni di poter essere ricevuto dall’ufficio immigrazione senza che gli venisse concesso. Segnala, invece, che un suo compagno di cella aveva chiesto da più di un mese di essere rimpatriato senza che ciò avvenisse. Potrebbe trattarsi dello stesso D.I. incontrato nella cella d’isolamento dalla delegazione la cui condizione è già stata descritta nel capitolo relativo alla condizione medica dei trattenuti. 

Come dicevamo, la memoria di H.N è stata prodotta sotto la forma di una segnalazione indirizzata al Garante dei diritti umani, alla Corte europea dei diritti umani e al Consiglio superiore della Magistratura. La sua richiesta agli operatori del gestore di inoltrarla perché venisse consegnata è stata del tutto ignorata in aperto contrasto con l’articolo 14 del decreto legislativo 286/98 (Testo Unico Immigrazione) che prevede che i trattenuti possano far pervenire comunicazioni di questo genere ai garanti delle persone private della libertà, sia a livello territoriale che nazionale. Il documento è interessante perché dimostra una notevole consapevolezza dei propri diritti di una persona che vive sul territorio italiano da parecchi anni e che, al pari di tutte le altre persone che possono confrontare la propria esperienza in un CPR con quella fatta in carcere, ritiene che a Macomer la tutela di questi diritti sia incomparabilmente inferiore rispetto al trattamento sperimentato negli istituti penitenziari. Nel testo, per trovare un termine di paragone e cercare di far comprendere la dimensione dei disagi e dei maltrattamenti subiti dalle persone trattenute, cita (con errore di trascrizione del nome proprio che diventa Alexander) Anton Cechov, facendo un evidente riferimento all’inchiesta che lo scrittore russo pubblicò su quanto constatato nei mesi da lui passati in visita all’isola di Sakhalin, al largo della Siberia orientale nel 1895. Lì dove venivano inviate le persone condannate ai lavori forzati e, poi al confino, nella Russia zarista.

Segue l’elenco delle lamentele che comprendono: l’utilizzo del modulo C come luogo per rinchiudere le persone con problemi psichici e quelle da punire per loro intemperanze; l’asfitticità e la ristrettezza degli ambienti (dove ricordiamo che le persone possono essere rinchiuse fino a 18 mesi) quasi completamente privi di luce naturale e claustrofobici, tali da pro- vocare tendenze suicidarie; la totale impossibilità di svolgere attività al loro interno; l’esistenza di un gruppo di operatori di Ekene che si fa scudo delle forze di polizia per esercitare violenza contro le persone trattenute; la mancanza di psicologi e dentisti; la funzione svolta dalla psichiatra e dai due medici del centro, la prima definita complice della direzione, i secondi addetti esclusivamente alle visite per i nuovi venuti (quelle di presa in carico all’ingresso nel centro); la violenza esercitata sistematicamente sia dalle forze dell’ordine che dagli operatori. E altro ancora. Il documento si chiude con il disegno della pianta del modulo che riproduciamo in queste pagine. Un disegno che, inserito in quel testo, sembra avere la funzione di dare, a chi avrebbe dovuto leggerlo (ricordiamo che i destinatari originari erano le autorità di garanzia da lui individuate), una rappresentazione anche visiva della ristrettezza e inadeguatezza del posto in cui era costretto a vivere.

 Le denunce dei trattenuti

Alcune delle persone incontrate durante i colloqui svolti all’interno del centro, durante i quali sono state raccolte le liberatorie per chiedere di consegnare all’onorevole Ghirra le loro cartelle cliniche, hanno manifestato fin da subito la precisa volontà di denunciare quanto riferivano rispetto agli episodi avvenuti durante la loro permanenza. Ciò, in alcuni casi, è avvenuto nel periodo successivo alla visita, ma esclusivamente quando le persone sono state nella condizione di non essere più trattenute a Macomer. Oltre al comprensibile timore di subire ripercussioni personali nel caso le avessero presentate subito, ci si è scontrati anche davanti alla difficoltà di comunicazione con chi era ancora rinchiuso nel centro; difficoltà ulteriormente peggiorata dall’incendio avvenuto il 24 marzo, il terzo in sei mesi, che ha coinvolto i due moduli nei quali abitava la maggioranza delle persone e che sono stati resi inagibili per parecchi giorni. Nel CPR di Macomer, infatti, i telefoni cellulari vengono sequestrati all’ingresso e sono a disposizione dei trattenuti solo poche cabine telefoniche a pagamento, con una pessima linea sempre disturbata. L’accesso ad una linea whatsapp messa a disposizione dal gestore è di carattere più premiale ed episodico che altro. L’unico telefono allora disponibile era quello del modulo C che, come viene segnalato più volte anche nel report eventi critici, risulta frequentemente inutilizzabile e, comunque, è accessibile solo per chi può permettersi di pagare le chiamate. In alternativa, il gestore forniva la possibilità di fare telefonate attraverso un tablet sulla cui effettiva disponibilità per i trattenuti abbiamo già riferito come la versione che riferiscono loro differisce da quella data dagli operatori dell’ente gestore (cfr. infra  Cap. 4). Molte persone non si fidavano a usarlo perché ritenevano che le comunicazioni fossero controllate, spesso anche sulla base di “avvertimenti” ricevuti dal personale in tal senso, che riferiva di essere al corrente delle loro comunicazioni con il centralino SOS CPR del Naga Odv.          

A questa difficoltà nel mantenere i contatti con chi era stato conosciuto il 23 marzo si è, in parte, ovviato perché alcuni di loro, a seguito dell’intervenuta inagibilità dei locali a causa degli incendi intervenuti nei giorni successivi sono stati trasferiti nel CPR di Ponte Galeria a Roma. Un luogo dove l’ente gestore quantomeno (dopo l’ultimo decesso nel febbraio 2024, e le correlate accuse di ritardo nei soccorsi) consegna un cellulare di vecchia generazione e, cioè, privo delle caratteristiche di uno smartphone che permettono di catturare immagini, registrare video, audio e conservare documenti nella memoria interna, oltre che di inviare ai propri interlocutori questi contenuti. Pur con questi limiti, tale situazione ha permesso alle persone trasferite di contattare il centralino SOS CPR grazie al quale è stato possibile metterle tempestivamente in contatto con legali sulla piazza romana che sono potuti intervenire ottenendo la liberazione di alcune di queste persone e provvedendo a recepire il contenuto delle denunce che, in seguito, sono state depositate presso la Procura di Oristano. 

Macomer, i detenuti del CPR

Macomer, i detenuti del CPR

Conclusioni

L’accesso eseguito presso il CPR di Macomer il 23 marzo 2024 oggetto di questo report ha confermato le numerose criticità delle condizioni di vita e di violazione dei diritti che caratterizzano questi luoghi di detenzione amministrativa e che il Naga Odv e la Rete Mai più lager – No ai CPR denunciano ormai da anni. 

Degrado igienico-sanitario, ma anche sociale, culturale e psicologico; sofferenza, fisica e mentale, in assenza di una reale tutela del diritto alla salute e alle cure come sancito dall’art. 32 della Costituzione per ogni individuo; abbandono, nei termini dell’assenza di un “orizzonte di vita” e dalle caratteristiche patogene dell’attesa del momento del rimpatrio; violenza, etero- e auto-diretta, come unico “linguaggio” che intercorre in un luogo dove ogni altro tipo di reale comunicazione viene messo a tacere. Con numerosi episodi riportati di violenza subite per mano dalle forze dell’ordine oltre che dal personale. 

Un quadro che puntuale si ripresenta in tutti i centri di permanenza per il rimpatrio, comunque denominati (CPT, CIE), da oltre 25 anni, ovunque dislocati e da chiunque gestiti. Emblematico il caso del CPR di via Corelli di Milano, che nel recente semestre di commissariamento da parte della Procura di Milano (sotto, quindi, almeno sulla carta, la garanzia del migliore dei gestori possibili) ha riprodotto le medesime dinamiche di violenza e abbandono, oggetto anche di esposti ora all’esame della stessa Procura (con il consueto corto circuito). 

Non può che derivarne la considerazione che tale contesto – disumano, criminogeno e torturante oltre che illegale nella sostanza, dietro il paravento formale di leggi ingiuste –, sia intrinsecamente ricollegato, e anzi sia un effetto deliberatamente ricercato e concepito come connaturato al sistema della detenzione amministrativa delle persone migranti, private  della libertà personale in ragione dell’assenza di titolo di soggiorno sul territorio, e non di un reato. 

Si vuole, in sostanza, che questi luoghi conservino la (assolutamente fallimentare) funzione di deterrenza auspicata e quella elettorale di mostrare “il pugno di ferro” contro un’emergenza frutto di una narrazione alimentata ad hoc con meri fini intimidatori e propagandistici, da tutti i governi succedutisi nell’ultimo quarto di secolo. Emergenza che tale non è, già per il semplice fatto che i flussi migratori verso l’Italia e la Fortezza Europa da presidiare ad ogni costo (in termini economici e di diritti umani) continuano incessanti da ormai da decenni e, fattisi strutturali, meriterebbero ben altro approccio, senza pretesa di “gestione” di un fenomeno naturale nei fatti ingestibile e inarrestabile. Del plateale fallimento invece dell’altrettanto truce funzione di questi centri, ossia quella della deportazione, parlano i numeri, nonostante i roboanti proclami: numeri (circa 3.000 persone all’anno) tali da richiedere almeno 200 anni per rimpatriare tutte le persone prive di titolo di soggiorno sul territorio italiano, sempre che da oggi non se ne aggiungessero altre. 

Sta di fatto che il colpevole “lasciar fare”, dinanzi a tutto questo, di gran parte della politica e dell’opinione pubblica (che ora forse sembra accennare ad un principio presa di coscienza, della quale con presunzione vogliamo prenderci qualche piccolo merito), ha fatto sì che il criterio dell’accoglienza delle persone migranti, inizialmente quantomeno professato, sia stato gradualmente – e definitivamente ormai oggi – soppiantato da quello della detenzione amministrativa indiscriminata (anche delle persone richiedenti asilo fino a ieri titolari di permesso di soggiorno in forza di un diritto costituzionalmente protetto). Detenzione amministrativa al dilagare della quale stiamo oggi assistendo: CPR, hotspot, zone sterili degli aeroporti internazionali, “locali idonei” nelle caserme, e ora strutture appunto per persone richiedenti asilo alla frontiera (concetto sempre più evanescente e “diffuso”), sono ormai assurti a sistema e anche a paradigma “esportato” in distopiche enclavi neocolonialiste, con una novella versione edulcorata dei lager libici (a tutt’oggi finanziati dal governo italiano) e dei correlati accordi milionari con dittatori scellerati, oltre Mediterraneo e ora anche oltre Adriatico. 

Tutto questo con la complicità del fatto, gravissimo, che la detenzione amministrativa, in assenza (consapevole e voluta) di una legge organica che la disciplini, costituisce una vasta prateria dove la discrezionalità e l’arbitrio dello Stato possono sbizzarrirsi impunite. 

Ebbene, in tale disastroso costante scenario, l’esperienza dell’accesso al CPR di Macomer, qui riportata senza pretesa di esaustività, ha saputo offrire qualcosa di insolito, o che molto probabilmente tale neppure è, ma del quale da oggi abbiamo però evidenza documentata. Ci riferiamo al fenomeno della razzializzazione violenta come strumento di controllo delle persone detenute. Le diverse denunce raccolte dal Centralino SOS CPR del Naga Odv hanno descritto la presenza di una organizzazione informale all’interno del CPR e dipendente direttamente dall’ente gestore Ekene, costituita da persone assunte in base alla provenienza (i “marocchini” del personale dell’ente gestore più volte citati come i reali controllori della vita all’interno del CPR e autori di violenze a carico delle persone migranti detenute) sfruttandone in maniera pregiudiziale atteggiamenti razzisti e razzializzanti nei confronti degli “africani”, provenienti dall’Africa Subsahariana. 

Sarà ovviamente la magistratura ad accertare eventuali responsabilità penali individuali, confidiamo a tutti i livelli, anche apicali, di chi non ha vigilato o ha vigilato e voluto l’instaurarsi e l’incancrenirsi di questa situazione; ma quanto raccolto dal Naga Odv e dalla Rete Mai più lager – No ai CPR descrive una realtà inquietante e, sotto il profilo sopra accennato, ancora poco analizzata della vita all’interno dei CPR: come nel fenomeno del caporalato, persone razzializzate e sottopagate possono diventare agenti di sofferenza per persone ulteriormente razzializzate e recluse in una detenzione dura, incomprensibile e patogena. Una situazione di deriva sociale che, oltre all’intervento della magistratura per le specifiche denunce, meriterebbe un’attenta riflessione sociale, antropologica e, naturalmente, politica.

foto-1-cpr-1024x681Il Naga Odv e la Rete Mai più lager – No ai CPR esprimono profonda preoccupazione per il fatto che “Ekene Cooperativa Sociale Onlus” (questa la denominazione per esteso del gestore del CPR di Macomer al momento del nostro accesso, ora sostituita da Officine Sociali), si è da poco aggiudicata anche il bando di gestione del CPR di Milano, che affiancherà quella del CPR di Gradisca d’Isonzo, nel quale, tra il gennaio 2020 e l’agosto 2022, hanno trovato la morte quattro persone. 

Quanto invece ai pestaggi ad opera delle forze dell’ordine (che nelle testimonianze più sopra riportate costituiscono la gran parte e le più atroci delle violenze riferite), essi non costituiscono invece purtroppo una novità, ma vanno anzi ad aggiungersi al terrifico quadro di violenza normalizzata di cui sopra, che – nessuno può più ignorarlo -, assieme alla notoria somministrazione “disinvolta” ed indiscriminata di farmaci sedativi, costituisce lo strumento primario di gestione di questi luoghi. 

Va da sé che, alla luce di quanto sopra, le criticità della detenzione amministrativa  (e quindi anche del CPR di Macomer) non sono in alcun modo “attenuabili” con qualche accorgimento o redimibili o sanabili, neppure con una qualche estemporanea “bonifica” di circoscritte iniziative giudiziarie: è la detenzione amministrativa stessa – porto franco dei diritti, come spesso bene viene definita – a portare con sé un ineludibile strascico di razzismo, violenza, tortura e offesa alla dignità umana, del quale anche le vicende illustrate in questa relazione, lungi dal costituire un’eccezione, sono solo una delle tante esemplificazioni ormai ampiamente (quanto faticosamente, vista la totale opacità del sistema) documentate. 

Le conclusioni sono tanto facili a trarsi, quanto ormai da troppo tempo  ignorate: i CPR sono luoghi strutturalmente causa di sofferenza e violazione dei diritti, e devono essere chiusi quanto prima. Con l’urgenza data, oltre che dalla necessità di un passo di civiltà, dalle oltre 40 morti registrate in questi luoghi negli anni e dalle violenze che quotidianamente si verificano in tutti i CPR e strutture analoghe d’Italia (e forse, presto, d’Albania). 

Dialoghi Mediterranei, n.71, gennaio 2025 
Note
[1] Di seguito uno stralcio delle dichiarazioni di Maaz, con nomi di fantasia.
1)  «Nel CPR di Macomer (d’ora in poi anche solo “CPR”) il cibo servito era scadente, avevamo solo una coperta a testa anche se avevamo freddo, e non c’erano sedie: guardavamo la televisione seduti in corridoio sul pavimento. I materassi erano lerci e molto consunti. Le celle erano sempre sporche e l’acqua calda non c’era sempre. 
2)  La gestione del CPR è di fatto nelle mani di tale Ahmed che a sua volta sovrintende ad un gruppo di personale di nazionalità marocchina cui è affidato di fatto il mantenimento dell’ordine con la forza.
3)  Ho assistito o altre volte avuto notizia, nel corso della mia permanenza nel CPR, a pestaggi di persone trattenute.
4)  In particolare l’accanimento di tale gruppo di operatori era rivolto nei confronti delle persone di colore (centro – sud Africa). Ricordo ad esempio che un giorno M.A., poi trattenuto come me a Ponte Galeria, il giorno dopo l’incendio (il 25 marzo 2024) solo per aver citofonato più volte per avere una sigaretta si è preso tanti schiaffi dagli operatori e da Ahmed.
5) Mi pare fosse nel mese di febbraio 2024, quando ho assistito dalla finestra al pestaggio di un trattenuto somalo dal nome di J. [“Samuel”], avvenuto nell’area (cioè nel cortile) dove di solito giocavamo a pallone, del settore B dx verso le ore 13-14. Ho visto Ahmed. con una decina di agenti che hanno manganellato il ragazzo somalo perché lo ritenevano responsabile di alcune proteste delle ore precedenti. Ad assistere c’era anche un ispettore e anche un’ispettrice. Anche Ahmed. lo picchiava. Come me, hanno assistito alla scena tra l’altro anche il trattenuto H.B. mentre il marocchino R.S. (grande di età e malato, an- ch’egli trattenuto) rimasto a Macomer dopo il nostro trasferimento, intervenuto per difendere il ragazzo somalo, ha preso alcune manganellate.
6)  Ci sono due stanze di isolamento nel CPR di Macomer utilizzate per scopi punitivi. La sera prima del trasferimento, dopo l’incendio del 23 marzo, vi sono stato messo anche io e vi ho trovato tre persone con la schiena fortemente arrossata da segni di colpi, le quali dicevano di essere state malmenati dagli operatori (Ahmed e Khalid – altro operatore – omissis -) e da agenti di polizia. Uno di loro (il suddetto R.S., assistito dall’avv. M.) aveva subito in passato due operazioni al fegato. Tra loro c’era anche un algerino di nome H..
7)  Anche H.B., un ragazzo molto giovane con problemi di fragilità psichica, che a Macomer mangiava le proprie feci e beveva la propria urina (anche davanti alle infermiere R. e S. – omissis), a febbraio-marzo era stato messo in isolamento e picchiato con manganelli da agenti di polizia e Ahmed., in testa e sulla schiena perché aveva chiesto una coperta, per quel che so. All’esito hanno anche denunciato B. stesso.
8 – 9) Omissis
10)  Quando ci hanno caricato sul pullman verso l’aereo per portarci a Roma, sono rimaste in- dietro alcune persone salite per ultimo sul pullman. In particolare H.N. lamentava di non aver ricevuto tutto il denaro lasciato in deposito e per questo era stato buttato per terra e picchiato da Ahmed.e Khalid..
11)  Ahmed. assume cocaina per restare sveglio in CPR, la porta addosso o nell’ufficio o in macchina, dove a volte va ad assumerla per poi tornare. Nel settore C punitivo (dove mettono i più “pazzi” e dove sono stato rinchiuso anche io) per premio perché mi ero comportato bene mi ha  offerto 0.2 grammi di cocaina. Avevo riferito questo episodio anche a B..». 
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Naga, è un’organizzazione di volontariato laica, indipendente e apartitica nata a Milano nel 1987. Il Naga è una ODV: Organizzazione di Volontariato. il Naga è un Ente del terzo Settore iscritto al RUNTS. Ogni giorno 400 tra volontari e volontarie del Naga forniscono assistenza sanitaria, sociale e legale ai cittadini e alle cittadine straniere e si impegnano per la difesa dei diritti di tutti e tutte. 

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