Stampa Articolo

Voci, versi e canti che vengono da lontano

 

turiddu-portacd_imp2di Giuliana Fugazzotto e Mario Sarica [*] 

“Li multi vuci”. Il Contrasto cantato di tradizione popolare e la poesia della corte di Federico II 

Fra i documenti musicali più interessanti della tradizione popolare siciliana, spesso ancora in uso o presenti nel ricordo di molti cantori, troviamo alcuni canti monodici appartenenti a quella tipologia di componimenti poetici, caratteristici della letteratura latina medievale, conosciuti con il nome di Contrasto e diffusi nelle letterature romanze dei primi secoli. I testi, per lo più in versi, drammatizzavano la disputa fra due personaggi reali o immaginari su argomenti religiosi o profani.

Nella letteratura popolare sono famosi i contrasti fra i mesi dell’anno, fra città diverse, fra padrone e lavoratore, fra menzogna e verità e quelli “amorosi” fra l’uomo che cerca di convincere la donna del proprio amore, fra madre/padre e figlia in cerca di marito, ecc. Nella tradizione orale siciliana sono documentati diversi contrasti “amorosi” e la loro presenza ci offre lo spunto per alcune riflessioni sulla permanenza di generi e forme e sugli scambi bi-direzionali che la nostra letteratura sperimentò fra scrittura e oralità.

5_contrasto-di-cielo-d-alcamoLa culla del contrasto “amoroso”, nonostante esso sia ampiamente diffuso fra le letterature romanze, è considerata la Sicilia, grazie a Rosa fresca aulentissima, il contrasto attribuito al poeta Cielo d’Alcamo che lo avrebbe composto nella prima metà del XIII secolo e che Giorgio Piccitto, in un suo studio sul dialetto siciliano [1], collocherebbe nell’ambito linguistico della Sicilia orientale.

Salvatore Salomone-Marino e Giuseppe Pitrè, i grandi etnologi siciliani dell’Ottocento, nelle loro opere offrono un’ampia campionatura di contrasti, amorosi e non, e in particolare del Tuppi tuppi, documentato in diverse lezioni. Simile a quest’ultimo, per contenuti e svolgimento, è il contrasto denominato Li multi vuci che appare nella Raccolta di Canti popolari siciliani (1857) di Lionardo Vigo. L’autore lo inserisce anche nella sua successiva Raccolta amplissima di canti popolari siciliani (1870-74) e riferisce di averlo raccolto in area etnea. Per tutto il Novecento entrambi i componimenti continuano ad essere documentati e, grazie all’impulso dato alla ricerca dalla nascita della etnomusicologia, essi vengono raccolti e registrati nella loro completezza espressiva su buona parte del territorio isolano.

Il più antico documento riconducibile al contrasto Li multi vuci sembra essere una stampa conservata nella Biblioteca Universitaria di Bologna [2] dal titolo “Le molte voci. Opera dilettevole ove si comprende un bellissimo discorso, che fa un Giovine innamorato et una bellissima Canzone con la sua risposta. In Napoli. Con licenza de’ Superiori. 1621”. Il testo è in lingua italiana ma, per Giuseppe Pitré, si tratterebbe 

«di un testo letteralmente tradotto, che conta perlomeno tre secoli, e però da considerarsi come uno de’ documenti più antichi della nostra poesia popolare, non potendo ammettersi che le Multi Vuci fossero state composte il giorno innanzi alla versione medesima, in tempi nei quali lo stampare non era così facile e pronto come adesso, e le comunicazioni della Sicilia con Napoli erano abbastanza difficili. Prima che il contrasto siciliano passasse nel Continente e si facesse strada fino ad un traduttore e ad un tipografo foss’anche da strapazzo dovette passare del tempo. Le Multi Vuci offrono varianti, anzi diversità notevolissime con l’attuale testo popolare. Molti versi di quelle sono inediti, altri giovano a completare il testo medesimo e ne riempiono le lacune. Il fatto poi di una versione italiana antica di un canto siciliano non è nuovo. […]» [3] (Pitré 1893). 

51ld3zmkl-_sx382_bo1204203200_Purtroppo nessun documento a stampa, antecedente la seconda metà del Novecento, offre informazioni sulla realizzazione sonora del Tuppi tuppi o de Li multi vuci; per questo motivo non sappiamo se i documenti raccolti venissero nella realtà recitati o intonati su una linea melodica e se la loro esecuzione fosse o no accompagnata da strumenti.  Non sappiamo, cioè, se poesia e musica fossero forme espressive parallele e complementari e se la poesia trovasse nella musica le sue strutture formali e i suoi principali canali di fruizione e diffusione.

È a causa di questo vuoto documentario se, ancora oggi, è vivo il dibattito fra gli studiosi sulla presenza o meno di elementi musicali nella poesia siciliana, presenza invece appurata nella tradizione dei trovatori occitanici. Finora, le uniche attestazioni di componimenti siciliani associati a una melodia sono i frammenti duecenteschi trascritti all’interno del codice notarile di Sant Joan de Les Abadesses conservati a Barcelona, Biblioteca de Catalunya, ms. 3871 [4], e il contrasto Dolze meo drudo attribuito a Federico II, che si trova a Parigi, Bibliothèque Nationale de France, Nouv. acq. fr. 6771.

Lo studio di questi documenti, condotto con un nuovo approccio metodologico dal musicologo Nino Pirrotta [5] prima e dall’etnomusicologa Tullia Magrini poi e basato sul confronto fra il testo poetico e la tradizione orale contemporanea, ha offerto però in anni recenti nuovi strumenti di riflessione e prospettive di ricerca. 

«[…] Difficilmente, infatti, si potrebbe dar ragione degli straordinari processi di frammentazione verbale di questa ballata [Dolce lo mio drudo] se non si pensasse che l’anonimo autore fa riferimento ad una tradizione di canto consolidata a livello orale, una tradizione che gli ha trasmesso il testo nella sua corretta forma esecutiva, strettamente vincolata all’uso di un supporto musicale» (Magrini 1986: 230) [6]. 

La Magrini, inoltre, riconoscendo il carattere essenzialmente orale della tecnica esecutiva basata su processi di frantumazione del verso e della parola ed individuandone la profonda connessione con uno stile di canto mediterraneo, sottolinea che «esso non si presenta come il frutto bizzarro e anomalo della variegata prassi esecutiva della canzone meridionale, ma come una delle tante realizzazioni di una tecnica che rivela una presenza significativa nell’area culturale del Mediterraneo orientale».

Alla luce di questi importanti risultati siamo sicuri che la metodologia di ricerca etnomusicologica e lo studio dei documenti raccolti nella loro completezza espressiva getteranno presto nuova luce sulle forme e le modalità esecutive della poesia siciliana medievale.

Non è certo questa la sede per uno studio approfondito e comparato fra le diverse lezioni dei contrasti Lu tuppi tuppi e Li multi vuci raccolte dal Novecento ad oggi, o fra quelli che presentano parti di testo in comune [7]. Ci limiteremo qui a dire che essi, simili per argomento e svolgimento, pur risultando spesso mutili, presentano tanti versi e strofe comuni a entrambi e attestano così, ancora una volta, il sapiente uso dell’arte combinatoria nell’espressività popolare. Le stesse melodie, su cui il testo prende forma espressiva, non sono univoche ma variano a seconda dell’area culturale-territoriale in cui vengono rilevate e al corrispondente bagaglio di conoscenze cui attinge il cantore.

Salvatore Corrao e compagni

Salice, Peloritani, Turiddu e compaesani, anni 50/60

L’occasione per riflettere su questo tipo di componimento poetico musicale ci viene offerta dalla recente pubblicazione di alcune registrazioni effettuate dal carrettiere cantore Turiddu Currao di Salice (ME) nel 1995 e recentemente pubblicate in Compact Disc [8]. La lezione de Le multi vuci di Currao, che il cantore indica come Milli vuci o Ottava riva (sic), è stata registrata in due momenti successivi, il primo con il supporto di tre musicisti popolari al violino, alla chitarra e al mandolino, e il secondo con il cantore solo in occasione di altre registrazioni monodiche. Nelle due sedute di registrazione Currao non esegue per intero il testo conosciuto, ma una volta esegue la parte iniziale del canto e l’altra la parte finale.

Il testo da lui eseguito consta, nel complesso, di sette quartine di endecasillabi con differenti tipologie di rima, spesso rima alterna. Le prime due strofe corrispondono perfettamente alle prime due quartine delle due prime ottave pubblicate dal Vigo (1857) e alle prime due quartine delle lezioni di Tropea (1939) e di Sortino (2000) di cui abbiamo detto precedentemente (cfr. nota 7). Le medesime quartine sono presenti nella lezione di San Martino di Taurianova (1972) anche se in posizione diversa, e ben 36 versi della lezione di Currao sono presenti nel Tuppi tuppi raccolto a S. Alessio Siculo (1949) da G. Santoro, come si può vedere nella tabella seguente.

         
Salice (ME) Etna – Raccolta L. Vigo Sortino (SR) Tropea (RC) S. Martino di Taurianova (RC)
         
         
 Sunnu li vuci e di cumpassioni scummogghinu lu cori di l’amantiriccu mi sia

‘n dispirazioni 

focu chi adduma pi tutti sti canti

ILi multi vuci e li cumpassioniRimoddanu lu cori di l’amanti, 

Riccu mi viju in dispirazioni, Focu chi addumi pri tutti sti canti;

 Li multi uci e li cumpassionismòviri fannu lu cori (e) dd’ogni amanti.

Quannu ti visti, nn’ispirazioni:

focu ca addruma nna tutti li canti.

 Li multi vuci e li gran passioni scummogghianu lu cori di l’amantiriccu mi vitti ‘ndispirazioni

focu c’ajuma pi tutti li canti.

 Li molti vuci e li gran passioni
scoràggianu lu cori d’ogni amanti.
Riccu mi vitti e ‘n disperazioni,
focu ch’adduma pe’ tutti li canti.
 Giuvini, chi p’ amuri anni errantiarreti a li me porti non vinitiiò non su donna vacula e vacantica cunsintissi a ssi mali partiti

 

IIGiuvini, ca ppi amuri veni erranti, Arretu li me’ porti non viniti;Iu non su’ donna vacula e vacanti,

Ca cunsintissi a simili partiti;

 

 O ggiuvini ca dunni mia nni stati arranti,darreri li me porti (e) nnun viniti,nun sugnu donna d’àcula fistanti,

d’accunsintiri a sti mali partiti.

 Giuvini chi p’amuri jati arranti 

sutta li me finestri non viniti

ca no’ su donna vacula e vacanti 

pi’ cunsintiri a sti vostri partiti.

 

 Giuvani chi pe’ amuri jìti erranti,
vu’ arretu a li me’ porti non veniti:
no’ sugnu donna di cori acquistanti
pe’ cunzentiri a ‘sti vostri partiti.
 Scutati tutti e sintiti sta finie amava na donna c’un cori d’un liunicu li me beddi modi (e) ballarini

iò la puttai a simili ragiuni

 

XXIGiuvini, l’hati ‘ntisu a fini a fini,Comu sta donna fu veru liuni,Diu mi l’ha datu a mia tantu putiriDi purtari afficaci sti canzuni   Ora cât ntisu lu fini e llu sfini,sta donna aviva ncori (e) ddi liuni,cu le mei fausi nganni e mantu pinidi donna onesta la fici cumuni.

 

 Sintiti, cristiani, nsin’a fini:amai na donna,

 

‘n cori di liuni

cu li me tratti e tradimenti finiera

furesta e la fici cumuni.

 

 
 Lu carru supra un munti non po’ starie a la scinnuta  lu pinninu pigghiacu non ‘a cenni bbona la farinalu pani si lu mancia di canigghia

 

   Lu carru a la cchianata si tratteni,a la calata la fùria pìgghia.Pìgghiu na llebbri, la iettu dda nchianu,cu spara mègghiu la càccia si pìgghia.

Cu iàvi farina si la cerni bbeni:

lu pani nun si mància cu a canìgghia!

 

 A la nchianata lu carru trattenia la calata la gran furia pigghia.Cu non cerni bbona la farinalu pani si lu mancia di canigghia.  Lu carru a la ‘nchjanata si tratteni,
a la calata po’ gran fùria pìgghja
e cu’ no’ cerni la farina bona
lu pani si lu màngia cu’ canìgghja.
 Iò non ni manciu di ssu jancu panie non nni manciu pi tanti janchizzisu mancia cu si ll’avi a ddi manciari

la donna vana non avi firmizzi

XXIVDisiddiru manciari jancu paniE non ni manciu pri tanti janchizziAcqua disìu di ssi frischi funtani

E non ni vivu pri tanti frischizzi

Disiddiru li munti fari chiani

E di li chiani poi farini autizzi

Mi secuta cui voli sicutari

La donna è vana e non teni firmizzi

 

     
 E mastru Petru cu lu matteddu a mmanisi mposi e lu ferru assuttigghia….      Io mi ndi vaju arretu sta muragghiasi venirà la morti non mi pigghia.Curri, forgiaru, cu’ martellu ‘nmanu a li tri botti lu ferru stortigghia.

 

 

Il modello musicale utilizzato prevede quattro frasi melodiche che si svolgono sillabicamente sulla quartina di endecasillabi in cui è organizzato il testo verbale. Esse hanno un andamento prevalentemente discendente e si svolgono in un ambitus di 11a, dal Sol4, la nota più acuta della strofa, al Re3, la nota più bassa che coincide con la finalis.

Il canto, nonostante proceda sillabicamente senza ornamentazioni melodiche e melismi, ha un andamento ritmico piuttosto libero, poco propenso all’alternanza degli accenti e alla scansione degli impulsi, anche se può scorgersi un andamento ternario soggetto a dilatazioni o accelerazioni agogiche. Nell’esecuzione, infatti, il cantore sembra voler arrotondare ogni spigolosità ritmica per lasciar fluire liberamente la melodia. Questo, nella versione con accompagnamento, rende difficoltoso il compito degli strumentisti che si limitano, quindi, ad eseguire arpeggi o note lunghe/ribattute in funzione di sostegno al canto e, fra una strofa e l’altra, eseguono brevi moduli melodico-armonici stereotipi palesemente giustapposti all’esecuzione vocale.

Le prime tre frasi musicali iniziano il loro profilo melodico partendo da una distanza di decima o undicesima dalla finalis e terminano, nell’ordine, sul La (raggiunto per gradi congiunti con un intervallo discendente di settima), sul Si bemolle (raggiunto con un intervallo discendente di sesta), sul Sol (raggiunto con un intervallo discendente di settima). La quarta frase, collocata nella parte più grave dell’intero percorso melodico, è l’unica che preveda un piccolo moto ascendente nel profilo melodico (nella prima frase è presente solo un salto di seconda utile a raggiungere l’apice melodico): dal Mi bemolle, infatti, viene raggiunto il La a una quarta superiore e da qui il canto viene condotto sulla finalis. 

milli vuci_senza strumenti

La trascrizione musicale è stata realizzata sulla prima strofa del canto eseguito senza accompagnamento strumentale 

Queste caratteristiche melodico-strutturali non si riscontrano frequentemente nei repertori analoghi e suscitano grandi suggestioni richiamando alla memoria i modelli modali greci e la successiva tradizione musicale delle corti medioevali.  La non perfetta aderenza agli schemi e ai procedimenti tonali, d’altronde, è ben avvertita dagli strumentisti che accompagnano il canto. Essi, infatti, con una certa insicurezza, adottano la tonalità di Do magg. (il cantore attacca il canto sul Sol, circa un tono sopra la nostra trascrizione) e alternano gli accordi di tonica e dominante, con una breve apparizione dell’accordo di secondo grado alla fine della terza frase, per cadenzare sulla finalis Mi, in conclusione della strofa, sul primo grado della tonalità.  

turiddu-portacd_impMpari Turiddu, u saliciotu” 

Salvatore Currao, Mpari Turiddu u saliciotu, torna a trovarci a distanza di vent’anni dalla sua scomparsa per regalarci con generosità, come sempre ha fatto nella sua prorompente esistenza, la contagiosa energia vitale affidata al canto e ai versi poetici, oltre che al racconto, specchio di uno sguardo luminoso sui sentimenti, la bellezza e i valori fondativi del suo e nostro orizzonte culturale di più antica memoria.

Questa rara occasione di ascolto di una memoria musicale di tradizione messinese perduta e dimenticata giunge grazie a “Me patri m’inzignau lu carritteri”, un’originale opera editoriale con CD e docufilm fruibile con il QR code, ultimo titolo della Phone, collana editoriale che accompagna il progetto di ricerca, studio e valorizzazione del notevole eppure vulnerabile patrimonio etnomusicologico siciliano del Museo Cultura e Musica Popolare dei Peloritani di villaggio Gesso.

Conosciuto a metà degli anni ottanta del Novecento, grazie al caro amico musicista Nicolò Gulli, salicioto come lui – autore di un contributo sul tema di assoluto interesse – ‘mpari Turiddu è stato uno straordinario compagno di viaggio, premuroso ed accogliente, oltre che “informatore” unico e prezioso, lungo i sentieri inesplorati di quella irripetibile stagione di ricerca etnomusicologica sul campo, al tramonto della cultura siciliana di tradizione orale. Un portatore di forme musicali di classe superiore e di saggezza di vita, pienamente consapevole di quanto fosse urgente e necessario raccontare e cantare, e dunque conservare la sua storia di carrettiere-cantore, resa affabile e affabulante dal suo vissuto, provando così a sconfiggere l’impietosa dimenticanza della memoria innescata dalle profonde mutazioni della nostra smarrita contemporaneità.

Il suo carattere fiero ed orgoglioso, alimentato da sentimenti ed affetti forti dalle profonde radici familiari, lo aveva aiutato anche ad affrontare il dolore più lancinante della sua esistenza, la perdita della giovane moglie, che lo lasciò solo con l’unica figlia Mariuzza in tenera età, verso la quale nutrirà, per il resto della sua vita, un sentimento paterno senza limiti.

Figura carismatica per l’intera comunità saliciota, di cui ci racconta Nicolò Gulli con un suo originale contributo, per i suoi tanti saperi di cultura di tradizione, e da sempre interprete esemplare dei diversi generi di canto, vissuti come sublimazione poetica dello stare al mondo e balsamo necessario contro i mali e le fatiche del quotidiano, ‘mpari Turiddu ci sorprende ancora una volta donandoci delle performance vocali memorabili. E tra le tante spicca la rarissima “Uttava riva o Milli vuci”, così la indicava, meglio conosciuta come “Li multi vuci”, lascito poetico-musicale davvero raro nelle fonti etnomusicologiche, per certi versi imparentato, soprattutto per i contenuti letterari lirico-amorosi, con la Scuola poetica siciliana nata nel XIII secolo alla corte di Federico II di Svevia, imperatore e re di Sicilia.

turiddu-portacd_imp-copiaUna svolta davvero epocale quella del cenacolo poetico isolano medievale, che sembra abbia avuto Messina tra i centri primari, animato singolarmente da funzionari, “notari” e giuristi, della Magna Curia, ispirato dai temi dell’amor cortese dei trovatori provenzali rigenerati anche da una vena di sentimenti popolareggianti siciliani in forma dialogica e di contrasto. E così germina la prima produzione lirico-amoroso in lingua volgare – il siciliano aulico – attestata anche dai versi mirabili delle canzoni di poeti messinesi, tra i quali spicca Guido delle Colonne, assieme a Oddo delle Colonne e Filippo da Messina, oltre ai più celebri Jacopo da Lentini e Cielo d’Alcamo. 

Ai documenti musicali inediti che compongono l’antologia sonora – peraltro la prima dedicata integralmente a ‘mpari Turiddu – Giuliana Fugazzotto riserva un’ampia ed acuta analisi etnomusicologica e anche di comparazione di più fonti del registro verbale-poetico. Dalle canzoni alla carrettiera, alle terzine carnevalesche,  dagli stornelli d’amore ai versi delle Ottave dialogiche ‘a contrasto’, emergono così luminose le singolari  qualità  vocali del cantore salicioto, unitamente all’ampio livello verbale di carattere amoroso, affidate ad una cifra stilistico-interpretativa inconfondibile, ricolma di poesia di vita e luccicante di colori emotivi e stati d’animo, costitutivi dei contesti cerimoniali e delle occasioni festive occasionali, tutte al maschile, da condividere con amici, poeti e cantori, con memorabili “divittute” innaffiate da tanto buon vino.

Un cantore di tradizione, per esprimersi al meglio, diceva spesso ‘mpari Turiddu, deve padroneggiare e dunque sapientemente amalgamare tre “ingredienti basici”, ovvero la “comica” (espressione e postura vocale, con la tipica voce di testa), l’“accentivo” (controllo della dinamica melodica, con melismi e glissati) e la “cadenza” (quadratura metrico-ritmica, pulsante e regolare), e lui, questi caratteri distintivi dei grandi cantori di tradizione, li ha sempre incarnati splendidamente.

Ed ora, riemerge improvviso in me quella sorta di mantra che ‘mpari Turiddu amava ripetere, ovvero che “i motti sa ‘nn’a muntuari”, ovvero che i defunti devono essere sempre ricordati dai vivi, per esorcizzare l’ombra della morte e risanare la perdita irrimediabile delle amicizie e degli affetti più cari, per continuare a tenerli stretti a noi lungo il sentiero di vita che ci tocca seguire, rinnovando il dialogo con loro.

Vedi, ‘mpari Turiddu, i tuoi saggi consigli non sono caduti nel nulla, e ora i tuoi canti risuonano ancora una volta scintillanti di vita, oltre il tempo e lo spazio, che tutto consuma. E noi ti ringraziamo e gioiamo per questo nuovo felice e rigenerante incontro con te, lasciandoci avvolgere ancora una volta da quel tuo canto alla bellezza e all’amore, che fendeva come una lama il silenzio del tuo notturno e solitario viaggio da Salice a Messina – dalle due di notte alle sei del mattino – lungo i tornanti dei colli peloritani, scandito dall’incedere lento e ritmato cigolio del tuo carretto, affidato al passo sicuro del tuo forte e fedele mulo.  

Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2023 
[*] Il primo testo Li multi vuci. Il contrasto cantato di tradizione popolare e la poesia della corte di Federico II è firmato da Giuliana Fugazzotto. Mario Sarica è l’autore del secondo testo, Mpari Turiddu, u saliciutu. 
Note
[1]  G. Piccitto, “Stao=staci nel Contrasto di Cielo d’Alcamo”. In Lingua nostra, X (1949): 33-36.
[2] Le molte voci. Opera dilettevole ove si comprende un bellissimo discorso, che fa un Giovine innamorato et una bellissima Canzone con la sua risposta. In Napoli. Con licenza de’ Superiori. 1621. (in-8°, car. 4 n.n., consegn. A2). Biblioteca Universitaria di Bologna, Misc.Tab. I, N. III 268.
[3] Giuseppe Pitré, “Del contrasto popolare siciliano ‘Li multi vuci’ in una stampa napoletana del sec. XVII”. In Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, vol. XII, 1893: 414-435.
[4] Per uno studio approfondito di questi documenti si veda Maria Sofia Lannutti, “L’ultimo canto: musica e poesia nella lirica catalana del medioevo (con una nuova edizione del “Cançoneret” di Sant Joan de Les Abadesses) in Romance Philology Vol. 66, No. 2 (Fall 2012): 309-363. Brepols, University of California Press. In questo lavoro l’autrice riferisce delle diverse interpretazioni e attribuzioni di uno dei frammenti, il cosiddetto testo “siciliano”, ma propende per la sua realizzazione da parte di un poeta catalano che abilmente riproduce i modi espressivi della poesia siciliana.
[5] Nino Pirrotta, “Musica polifonica per un testo attribuito a Federico II”, in L’Ars nova italiana del Trecento, II, Certaldo, 1968: 97-112.
[6] Tullia Magrini, “‘Dolce lo mio drudo’: la prospettiva etnomusicologica”, in: Rivista italiana di musicologia vol. 21 (1986): 215-235.
[7] Qui di seguito le lezioni di Tuppi tuppi e Li multi vuci, raccolte dal Novecento ad oggi e di cui siamo a conoscenza, con parti di testo in comune.
1939. Li multi vuci. Cantore Saverio Giuditta, Tropea. Raccolto da Giuseppe Chiapparo. Cfr. G. Chiapparo, Un vecchio contrasto calabrese: “Li multi vuci”, in Archivio trimestrale per la raccolta e lo studio delle tradizioni popolari italiane, anno XIV, 1939, fasc. I-II: 85-93. All’interno dell’articolo vengono forniti il testo verbale e la trascrizione della melodia. 1949; Tuppi tuppi. Raccolto da Giuseppe Santoro a S. Alessio Siculo (ME); Cfr. G. Santoro, in Archivio Storico Messinese, anni L-LI (1949-1950), serie III, vol. II. Messina, società messinese di storia patria, 1951: 59 e segg. 1972. Li molti vuci, raccolto da Domenico Caruso nel 1972 a S. Martino di Taurianova. Li molti vuci. Contrasto d’amore, all’indirizzo http://www.brutium.info/folklore/folklore18.htm). L’autore fornisce solo la trascrizione del testo.  1995. Milli vuci. Cantore Turiddu Currao, Salice. Raccolto da Mario Sarica. 1998. Tuppi tuppi. Cantore Vincenzo Bottitta, di anni 89, Gagliano Castelferrato (EN). Raccolto da Pino Biondo; Cfr. Il Carnevale, con due cd allegati, Ethnica Enna 10, 2000. Li multi vuci. cantore Concetto Di Mauro, Sortino (SR). Raccolto da Sergio Bonanzinga. Cfr.  S. Bonanzinga, Sortino. Suoni, voci e memorie della tradizione – CRICD, Palermo 2008 con 2 CD
[8] Me patri mi ‘nsignau lu carritteri, a cura di M. Sarica e G. Fugazzotto, CD con booklet allegato, Phoné 15, 2022. 
__________________________________________________________________________________ 
Giuliana Fugazzotto, dottore di ricerca in “Studi audiovisivi: cinema, musica e comunicazione”, è stata docente di Etnomusicologia presso l’Università di Udine-Gorizia e di Informatica musicale presso l’Università di Bologna. Negli anni Novanta, in seguito alla sua collaborazione con il Centro di Sonologia Computazionale di Padova, ha pubblicato lavori pionieristici di analisi etnomusicale con l’uso di tecnologie informatiche. Ha svolto un’intensa attività di ricerca sul campo in Sicilia e in Sardegna e ha raccolto, studiato, restaurato e ripubblicato per le etichette Ethnica e Phonè le fonti storiche dei repertori siciliani-italiani registrate su dischi a 78 giri, di cui possiede una delle più importanti collezioni private. Fra i suoi ultimi lavori ricordiamo: “Sta terra nun fa pi mia”. I dischi a 78 giri e la vita in America degli emigranti italiani del primo Novecento (Udine, Nota); I quattro siciliani. La straordinaria vicenda di Rosario Catalano e del suo quartetto nell’America degli anni Venti (Udine, Nota); Ethnic Italian Records. Analisi, conservazione e restauro del repertorio dell’emigrazione italo-americana su dischi a 78 giri (Cargeghe, Editoriale Documenta). 
Mario Sarica, formatosi alla scuola etnomusicologica di Roberto Leydi all’Università di Bologna, dove ha conseguito la laurea in discipline delle Arti, Musica e Spettacolo, è fondatore e curatore scientifico del Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani di villaggio Gesso-Messina. È attivo dagli anni ’80 nell’ambito della ricerca etnomusicologica soprattutto nella Sicilia nord-orientale, con un interesse specifico agli strumenti musicali popolari, e agli aerofoni pastorali in particolare; al canto di tradizione, monodico e polivocale, in ambito di lavoro e di festa. Numerosi e originali i suoi contributi di studio, fra i quali segnaliamo Il principe e l’Orso. Il Carnevale di Saponara (1993), Strumenti musicali popolari in Sicilia (1994), Canti e devozione in tonnara (1997); Orizzonti siciliani (2018).

______________________________________________________________

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Società. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>