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Vito e Andrea Carrera: vicende familiari e percorsi artistici di due pittori trapanesi

Posted By Comitato di Redazione On 1 luglio 2021 @ 02:15 In Cultura,Società | No Comments

 

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Vito Carrera, San Raimondo (ph. archivio Museo Pepoli)

di Lina Novara

La storiografia più accreditata dell’Ottocento e del Novecento, in mancanza di dati certi sui pittori trapanesi Vito e Andrea Carrera, è pervenuta a conclusioni discordanti sulla loro biografia ed anche sul cognome diverse sono state le interpretazioni [1]. La maggior parte delle fonti documentarie riguardanti la famiglia riporta il cognome Carrera; altre Carreca, Carreri, Carriera ma anche Careca e Carrega. In documenti dell’archivio dei Gesuiti di Palermo per sette volte la firma autografa di Andrea è Carrera [2].

Le recenti ricerche d’archivio di Francesco Castelli (2016) e di Salvatore Accardi (2019) fanno luce, definitivamente, sui rapporti di parentela nell’ambito della famiglia Carrera e, di conseguenza, consentono di ricostruire la biografia di Vito e Andrea, oltre che chiarire, nell’ambito del panorama artistico siciliano, i loro percorsi stilistici che si estendono dalla fine del secolo XVI fino a quella del secolo XVII [3].

Ad indurci a credere che il cognome sia Carrera e non Carreca sono le firme apposte su dipinti di Vito e Andrea. VITUS CARRERA DREPANENSIS PINXIT ANNO DOMINI I603 si legge sul quadro raffigurante San Raimondo da Pinnafort, conservato presso il Museo Regionale Agostino Pepoli di Trapani. Un altro dipinto dello stesso soggetto presso la chiesa di San Domenico di Castelvetrano reca la seguente iscrizione: HUIUS IMAGINIS DIVI RAIMUNDI VITUS CARRERA DREPANITANUS DELINEÀTOR. E poiché l’iscrizione dipinta sulla tela è certamente di mano del pittore riteniamo che questi si sia firmato con il suo vero cognome: Carrera!

Il nome Andrea Carrera compare invece in un dipinto raffigurante Madonna del Rosario, San Domenico e Santa Caterina da Siena, conservato nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano ad Alcamo.

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Andrea Carrera, part. Madonna del Rosario (ph. G. Nifosì)

Anche in questo caso si tratta del nome e cognome del pittore dipinto sulla tela. Queste iscrizioni attestano che la famiglia fosse Carrera e ci inducono a credere che in alcuni manoscritti fosse avvenuta la trasformazione in Carreca a causa dell’interpretazione errata da parte di chi scriveva, senza troppa attenzione.

Poco convincenti appaiono, a mio avviso, le firme riportate nei dipinti raffiguranti San Nicola da Tolentino della chiesa dell’Itria di Trapani e la Trasfigurazione della chiesa di San Pietro, nella stessa città, nei quali si trova il nome Andreas Carreca, firma che potrebbe essere stata alterata durante un restauro o inserita successivamente da qualche incauto restauratore che ne voleva indicare l’autore.

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Andrea Carrera, S. Nicola da Tolentino

Personalmente ho avuto modo di rilevare che nel quadro della Trasfigurazione, in basso a destra si trova il nome Andreas Carreca e, a sinistra, una lacunosa iscrizione riferentesi probabilmente al committente, un ipotetico sacerdote; vi si legge anche una data, 1679 [4]. Questi dati sono emersi durante i lavori di pulitura effettuati nel 1997 dal restauratore Francesco Garozzo.

Anche in questo caso potrebbe trattarsi non della firma autografa ma di un inserimento postumo, anche perché nel 1679, come vedremo, il rinomato artista era già deceduto, mentre in quell’anno moriva un altro Andrea Carrera, «fratel cuggino» del più famoso pittore, che «visse contemporaneamente a costui con fama di pittore di seconda classe», come riporta Giuseppe Maria Fogalli [5].

Capostipite della famiglia fu Andrea Carrera sr. (ca 1536-1616?), stimato scultore di Madonne, maestro corallaro e incisore di ambra. Sempre Fogalli riferisce che Andrea sr., «degnissimo padre del pittore Vito», dopo aver lavorato a Trapani, sul finire del secolo XVI si trasferì in Spagna su invito di un ufficiale spagnolo che gli procurò dei prestigiosi incarichi di lavoro presso la corte e la Chiesa locale [6]. Secondo lo stesso Fogalli, Andrea sr. si recò diverse volte a Londra per insegnare le tecniche di lavorazione delle pietre dure. Fu molto apprezzato e stimato e forse finì i suoi giorni in Spagna. Non abbiamo comunque certezza che lo scultore indicato da Fogalli sia proprio il padre del pittoro Vito, data la omonimia che spesso si ritrova in diversi documenti del tempo.

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Andrea Carrera, Trasfigurazione

Tra i numerosi figli che Andrea sr. ebbe dalla moglie Giovannella, ereditano la vena artistica del padre: Geronimo, nato nel 1568, ricordato come orafo e incisore che probabilmente rilevò la bottega paterna, Vito nato nel 1578, Giuseppe nato nel 1582 e Michelangelo nel 1591, tutti pittori [7]. Di un altro figlio Salvatore si sa poco o nulla.

Vito probabilmente, come gli altri suoi fratelli, comincia ad accostarsi all’arte nella bottega del padre; sebbene si ritenga che abbia appreso le tecniche della pittura dal palermitano Giuseppe Alvino non si hanno notizie certe di un suo alunnato presso l’Alvino il quale per i Carmelitani di Trapani aveva eseguito dei dipinti a partire dal 1579.

Vito quasi certamente ebbe presente il Sant’Alberto dell’Alvino, contornato da riquadri con scene della vita del Santo, tuttora nella chiesa del Carmine di Trapani, quando nel 1602 eseguì il San Raimondo da Pinnafort per la chiesa di San Domenico di Castelvetrano, al quale seguì, nel 1603, il San Raimondo della chiesa di San Domenico di Trapani, oggi nel Museo Regionale Agostino Pepoli.

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Castelvetrano, chiesa di S. Domenico, San Vincenzo Ferreri, di A. Benavides

Opere manieristiche entrambe nelle quali la salda figura centrale del Santo, arricchita con storie della vita nei riquadri, trova riferimenti nel San Vincenzo Ferreri della stessa chiesa di Castelvetrano, riferito ad un pittore di origine spagnola, Antonello Benavides, attivo a Castelvetrano tra il 1523 e il 1530, con influssi toscani, più precisamente riconducibili a Piero della Francesca,  nella salda figura del Santo, e con riferimenti fiammingo catalani nelle storie [8].

L’interesse per il Santo domenicano Raimondo da Pinnafort (1175-1275), terzo padre dell’ordine, va collegato con la sua canonizzazione, avvenuta sotto Clemente VIII Aldobrandini nel 1601, anno in cui Gaspare Bazzano esegue il San Raimondo con storie intorno, per la chiesa di S. Domenico di Palermo. Bazzano, fra l’altro, aveva lavorato con Alvino a Trapani fino al 1585. Sia nell’uno che nell’altro dipinto il Santo è raffigurato con i suoi attributi: la chiave e il libro. La chiave si riferisce all’autorevole ufficio ricoperto a Roma di penitenziere, ossia sacerdote autorizzato a confessare in tutti quei casi speciali di norma sottratti alla competenza di un prete ordinario e riservati all’autorità episcopale. Il libro allude invece agli Atti dei papi, su materie dogmatiche e disciplinari, raccolti e ordinati dal Santo, su incarico di Gregorio IX [9].

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Castelvetrano, chiesa di San Domenico, San Raimondo, di Vito Carrera

La commissione del quadro di Trapani arrecò al Carrera spiacevoli rancori con il pittore Narciso Guidone che era amico di Mario Marceca e Orazio Bernardi, anch’essi pittori, i quali avevano dipinto precedentemente per la stessa chiesa di San Domenico di Trapani un San Raimondo [10]; questo quadro non fu apprezzato dal priore del convento domenicano, che diede incarico a Vito Carrera di eseguirne uno nuovo, su modello di quello già realizzato per la chiesa di Castelvetrano. Guidone prese le difese dei due pittori Marceca e Bernardi e inveì contro Carrera fino a venire alle mani: questo episodio costò a Carrera l’arresto presso la casa del Capitano [11].

I rancori si acuirono nel 1604 quando Vito terminò i lavori ad affresco con l’Ultima cena e l’Annunciazione nella chiesa del Carmine di Trapani, commissionatigli dal priore Ramella nel 1601. Questi, rimasto insoddisfatto, denunciò Carrera alla curia civile che, prima di giudicare, volle ascoltare i pareri sulla vicenda di diversi testimoni. Ancora una volta Guidone non perse l’occasione per denigrare l’operato di Carrera influenzando negativamente il giudizio di altri col sostenere che il pittore era incapace di lavorare a fresco e di utilizzare tecniche e colori appropriati. Sebbene, alla fine, la corte gli avesse dato ragione, Carrera rimase amareggiato per la spiacevole vicenda e forse, per questo motivo, decise di trasferirsi a Palermo nel 1605 dove aprì bottega al Cassero, in dei locali di proprietà dei Gesuiti.

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Salemi, Madonna degli Angeli, di Mariano Smiriglio

Sempre nel 1604 un altro episodio vede nuovamente antagonisti Guidone e Carrera che partecipano entrambi ad un concorso per la realizzazione di un quadro con Madonna degli Angeli, da collocare sull’altare maggiore della chiesa Madre di Salemi [12]. Altro concorrente è Mariano Smiriglio. Guidone però non si cimenta nella prova – non conosciamo i motivi – e abbandona il concorso.  Viene scelta l’opera di Carrera che sarà posta sull’altare maggiore della chiesa Madre. Lo Smiriglio, forse per rifarsi delle spese, cede il suo quadro alla chiesa della Madonna della Pirrera, dove viene accolto come un capolavoro. Quando nel 1615 Smiriglio è nominato progettista dei lavori di ampliamento della chiesa Madre, fa in modo che la tela di Carrera venga sostituita con la sua.

Nel 1607 Vito da Palermo torna Trapani per sposare Antonia Magliocco dalla quale avrà sette figli tra cui Nicolò Andrea Giuseppe, nato nel 1610, meglio conosciuto come Andrea Carreca. Nello stesso anno Vito dipinse un grande quadro raffigurante il Cenacolo, destinato ad occupare tutta la parete del refettorio del convento della Zisa, ritenuto dal Di Ferro, una delle più significative opere del pittore, il cui linguaggio si ispirava al cromatismo veneto [13].

Tra il 1609 e il 1612 a Trapani esegue opere per la chiesa di San Matteo e di Santa Maria del Gesù. In quest’ultima, ancora oggi, si conservano quattro tele destinate ad essere applicate sulle ante dell’organo, raffiguranti la Visitazione di Maria a Sant’Elisabetta tra i Santi Francesco e Domenico. Anche qui pone la firma e la data: VITUS CARRERA DREPANENSIS PINSIT A. D. 1609 [14].

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Trapani, Visitazione di Maria a Sant’Elisabetta tra i Santi Francesco e Domenico, di Vito Carrera

L’episodio della visitazione trae spunto da un’incisione di Cornelis Cort (1530-1578) e ci mostra le due donne nell’atto di avvicinarsi per stringersi la mano. Nell’opera i personaggi emergono fortemente dallo sfondo con qualche accenno naturalistico ma tutta la composizione appare rigida e schematica: ben delineati sono tuttavia i contorni delle figure, soprattutto quelle dei due Santi, caratterizzati nelle fisionomie e negli attributi. Essi dominano prepotentemente tutto lo spazio della tela, secondo uno schema compositivo già usato nelle due versioni del San Raimondo.

A queste, in particolar modo, si ricollega la figura di San Domenico, raffigurato in posizione eretta e frontale, con la gamba sinistra in avanti, sporgente dalla tonaca bianca che, assieme alla cappa e al cappuccio, caratterizza l’abito domenicano. Domenico nella mano sinistra reca il libro e il giglio mentre con la destra regge il modellino di una chiesa, alludente al sogno di papa Innocenzo III che vide il Santo sorreggere con le spalle le mura del Vaticano.

Da manierista Vito interpreta opere compiacenti alla Controriforma come la pala con I Santi Crispino e Crispiniano che il pictor civis Drepani si impegna a dipingere nel 1614 per i consoli dei calzolai che avevano una cappella nella chiesa di Sant’Agostino a Trapani; l’opera si trova oggi nei depositi del Museo Pepoli.

La buona fama acquisita da Vito a Palermo, dove si stabilisce definitivamente con la famiglia nel 1619, e i consensi ricevuti gli procurarono importanti incarichi come un dipinto raffigurante la Madonna del Pilere e San Giacomo (non più esistente, 1620) per la cappella di Guardia del palazzo reale, e quattro ritratti dell’imperatore Carlo V e degli imperatori della real casa del re Filippo II, commissionatigli dal vicerè di Sicilia, principe Filiberto di Savoia nel 1622. Questi dipinti rimasero però incompiuti per la morte sopravvenuta nel 1623, come si deduce da un ordine di pagamento nei confronti del fratello Giuseppe che portò a termine l’opera.

Quando Vito muore nel 1623 il figlio Andrea ha 13 anni e, forse su consiglio della madre, donna religiosissima che si farà suora in casa, intraprende la carriera ecclesiastica come chierico percependo dal Senato di Palermo una somma annua [15]. Tuttavia Andrea non tralascia di continuare ad esercitarsi nelle tecniche della pittura, i cui primi elementi aveva quasi certamente appreso dal padre Vito, e successivamente perfezionato nella bottega rilevata dallo zio Michelangelo.

Si tramanda che il famoso pittore monrealese Pietro Novelli sia stato suo maestro, cosa non certa: Pietro nel 1623 aveva 20 anni e avrebbe anche potuto accogliere nella sua bottega il giovane trapanese. È probabile che le famiglie Carrera e Novelli si conoscessero e che i capifamiglia Vito e Pietro sr, entrambi pittori, si stimassero e si frequentassero a Palermo; è presumibile che il giovane Andrea fosse affascinato dalle opere di Pietro Novelli, ma nessun documento, allo stato attuale delle ricerche, ci attesta un alunnato presso il Novelli né che questi, a sua volta, sia stato allievo di Vito [16].

Nel 1641, quando muore lo zio Michelangelo con il quale probabilmente aveva collaborato, Andrea acquisisce la bottega che era stata del padre e dello stesso zio, ma fino a quaranta anni (1650) ricopre la carica di chierico!

Nel 1650 lascia la carica ecclesiastica e decide di sposare una abbiente vedova ericina, Petronilla Coppola; il 13 settembre di quell’anno, nella chiesa di San Cataldo ad Erice viene celebrato il matrimonio! La famiglia si stabilisce ad Erice e vi rimane forse quattro anni per poi trasferirsi, nel 1654, a Palermo. Questa notizia inedita, rinvenuta da Franco Castelli, fa chiarezza sulla vera identità del pittore Andrea, ora ritenuto figlio di Vito, ora di Salvatore e di Marta Morana. Nella storia della famiglia Carrera si sono determinati diversi casi di omonimia, avendo ciascun figlio di Andrea sr. dato al proprio primogenito il nome di Andrea. Per questo motivo buona parte della storiografia ha ritenuto che il pittore Andrea fosse figlio di Salvatore e Marta Morana e che si fosse sposato a Trapani nel 1632 con Barnaba Cicala e nel 1654 con Francesca Scolano. Ma Andrea, figlio di Salvatore e Marta, non è il famoso pittore, ma un suo cugino, Andrea Francesco, nato a Trapani nel 1607 e morto nel 1679, «pittore di seconda classe», ritiene Fogalli, del quale non si hanno notizie che documentino la produzione. Grazie ai risultati delle ricerche di Castelli si ha ora la certezza che il celebre pittore Andrea Carreca – il cui cognome in realtà è Carrera – era figlio di Vito e Antonia Magliocco e non di Salvatore e Marta Morano.

Andrea viene considerato il più dotato dei pittori trapanesi del ‘600 ed uno dei più attivi: la sua copiosa produzione è infatti sparsa per le chiese delle province di Trapani e Palermo.  «Un gran pittore [...] che concepiva con proprietà le sue composizioni… non poté compararsi alla forza esatta del Monrealese, specialmente alla finutezza delle sue teste e alla espressione dell’animo, e passioni interne del cuore» scrive Padre Fedele Tirrito da San Biagio (1788) [17]. Un pittore moderato, equilibrato, che usa con competenza il colore, abile nel comporre le scene, attento alle nuove istanze barocche.

Nel suo percorso artistico traspaiono i richiami allo stile del fiammingo Van Dyck, gli spunti della pittura veneta, la lezione caravaggesca filtrata dal Novelli e gli influssi del barocco romano, riconducibili a Pietro da Cortona, che il pittore associa alle buone capacità tecniche ed espressive. È, probabilmente, sempre il Novelli il filtro di tutte le influenze su Andrea: lo stile del Monrealese, pur agendo su di lui, viene rivolto verso la direzione barocca e in alcuni casi verso il classicismo barocco di Pietro da Cortona.

Di un presunto viaggio a Roma non si hanno riscontri documentari, né di un suo apprendistato presso il Van Dyck dal quale avrebbe appreso il gusto per i colori caldi e accesi e gli effetti di morbidità e raffinatezza pittorica. Nella fase più matura arricchisce le sue tele di sfondi illuminati, figure mosse, schiere di angeli e Santi in cieli radiosi. Per chiese e palazzi privati di Trapani e Palermo esegue numerosi dipinti, come ci informa la storiografia tradizionale, realizzando opere con soggetti mitologici e religiosi. A Palermo, intorno al 1664, lavora «a fresco» nella chiesa di San Giuseppe dei Teatini ed ha come collaboratore il giovanissimo Giacinto Colandrucci, la cui famiglia, probabilmente, aveva lontani rapporti di conoscenza con i Carrera [18]; durante questi lavori conosce mons. Giuseppe Cigala il quale, divenuto vescovo di Mazara (1670), chiama Andrea, nel 1674, per affrescare nella Cattedrale la cappella di San Gaetano, fondatore dell’Ordine Regolari Teatini. Tornato a Palermo agli inizi del 1677, vi muore il 27 febbraio dello stesso anno!

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Andrea Carrera, Madonna del Rosario (ph. G. Nifosì)

Evitando in questa sede di entrare nel merito del catalogo delle opere, cui peraltro Emma Gorgone ha dedicato ampio spazio, suddividendole in opere attribuite, «attribuzioni problematiche» e «nuove proposte attributive», ritengo opportuno soffermarmi su quelle che, a mio giudizio, sono le più significative ai fini del percorso artistico del pittore: la Madonna del Rosario, San Domenico e Santa Caterina da Siena di Alcamo e la Trasfigurazione di Trapani [19]. La prima contiene il corretto nome dell’artista, ANDREAS CARRERA, l’altra la data 1679.

Il quadro raffigurante la Madonna del Rosario, eseguito tra il 1654-1658, è un dipinto tutto pervaso di luce e movimento, nel quale il pittore definisce il suo linguaggio operando una sintesi tra classicismo e barocco; l’impianto piramidale della composizione e la posizione delle due figure dei Santi su livelli diversi rimandano infatti al classicismo dei Carracci, mentre è barocca la spazialità del cielo azzurro popolato di putti festanti che determinano un moto circolare attorno alla Vergine seduta su una nube, raccordando così il mondo terreno con quello divino. Qui Carrera codifica i suoi toni di colori – il blu nel manto della Vergine, il giallo nella veste dell’angelo – e usa un panneggio vaporoso e increspato, ispirato al classicismo barocco.

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Andrea Carrera, part. Trasfigurazione

A 48 anni, dopo presunti esordi manieristici ma sicuramente novelleschi, Andrea Carrera è un pittore barocco, attento agli episodi romani. Due anni dopo la sua morte, nel 1679, la firma Andreas Carreca  viene apposta sulla tela raffigurante la Trasfigurazione nella chiesa di San Pietro a Trapani [20]! Questa anomalia induce a porsi una domanda: forse qualche altro pittore portò a termine il quadro lasciato incompleto da Andrea? Oppure fu un artista omonimo ad eseguire il dipinto? L’enigma al momento rimane irrisolto! La Trasfigurazione ci mostra comunque un Carrera «diverso», più evoluto e più originale. L’opera per l’aspetto iconografico fa evidente riferimento alla Trasfigurazione raffaellesca. L’impaginazione della scena si sviluppa su due livelli: quello inferiore con gli Apostoli e quello superiore con i profeti Mosè ed Elia, mentre la figura di Cristo che, come se inscritta in un cono il cui vertice va ad inserirsi nello spazio vuoto tra gli Apostoli, fa da elemento di congiunzione tra i due registri. Rispetto alla divina figura raffaellesca, quella di Carreca è più studiata e piroettante, con gli abiti svolazzanti; diversa è la tipologia umana del volto che trova riscontri in raffigurazioni del Novelli.

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Andrea Carrera, Angelo Custode (ph. archivio Museo Pepoli)

Anche Pietro fa tornare in mente sembianze e movenze di alcune figure novellesche e in particolare quella dello stesso Apostolo nell’Assunzione della Vergine della chiesa dell’ex convento dei Cappuccini di Ragusa, o della Pentecoste dell’oratorio del Rosario di San Domenico. Le tre figure degli Apostoli, colti di sorpresa, sono vivacizzate dalla cromìa dei rossi e animate dal moto delle braccia, in una concezione dinamica che sembra risentire del linguaggio caravaggesco-riberesco, mediato dal Novelli. Il pittore qui riduce all’essenziale l’ambientazione, ci presenta le figure in modo più immediato, ponendole all’osservazione quasi su un unico piano e le immerge direttamente nell’atmosfera, seguendo i dettami dell’arte barocca finalizzata a commuovere e persuadere il fedele della verità della fede. La novità sta nell’uso sfaldato del colore che tralascia di definire i contorni immergendo le figure in un’atmosfera densa di vapori, così come avviene nell’Annunciazione di Chiusa Sclafani e nell’Angelo Custode del Museo Pepoli di Trapani. 

Il dipinto è stato quasi ignorato dalla critica tradizionale anche se menzionato da storici ed eruditi. L’assenza di fonti documentarie, al momento, lascia dei dubbi sul riferimento al famoso Andrea: acquisire la certezza che si tratti di un altro artista indurrebbe ad una revisione del percorso artistico e produttivo di Andrea Carrera, dovendo questi condividere la sua fama con un altro pittore!

Dialoghi Mediterranei, n. 50, luglio 2021
Note
[1] Sui Carrera si vedano, tra l’altro, i seguenti testi che contengono la bibliografia precedente: G. M. Di Ferro, Biografia degli uomini illustri: dall’epoca normanna sino al corrente secolo, Trapani 1830; A. Gallo, Elogio Storico di Pietro Novelli, Palermo 1825-1828; M. Serraino, Trapani nella vita civile e religiosa, Trapani 1968: 143, L. Novara, Andrea Carreca, pittore trapanese del ‘600, in «Trapani» 1976, XXI, n.215: 9-17; L. Novara, Andrea Carreca, in «L. Sarullo, Dizionario degli artisti Siciliani», Pittura II, 1993, ad vocem; E. Gorgone, Andrea Carrera e la scuola di Pietro Novelli, Palermo 2006.
[2] L. Novara, Andrea Carreca …, cit., 1993, ad vocem.
[3] F. Castelli, Per una biografia di Andrea Carreca. Primi appunti luglio 2016, Trapani 2016; S. Accardi, Le carte scoperte, Trapani 2019: 11-25. Per le fonti d’archivio si rimanda ai due testi qui citati.
[4] L. Novara, Trasfigurazione in «Jesus Hominum Salvator», a cura di AM. Precopi Lombardo e P. Messana, Erice 2009: 60-62. Nella stessa chiesa di San Pietro si trova un altro dipinto attribuito ad Andrea Carreca: La chiamata all’apostolato di Sant’Andrea.
[5] F. M. Fogalli, Memorie biografiche degl’illustri Trapanesi, per santità, nobiltà, dignità, dottrina ed arti, 1848, ms. Museo Regionale Agostino Pepoli, Trapani, ad vocem.
[6] Ibidem.
[7] F. Castelli, Per una biografia …, cit.: 34; S. Accardi (Le carte…, cit.:17) riferisce, su base documentaria, che Girolamo esercitò il mestiere di spataro.
[8] A. Giardina, F.S. Calcara e V. Napoli, La Chiesa e il Convento di San Domenico in Castelvetrano, Castelvetrano 2014: 109.
[9]G. Bongiovanni, Studi e ricerche sulla pittura in Sicilia, Bagheria 2013: 429-430.
[10] S. Accardi, Le carte…, cit.: 11-25.
[11] Ibidem.
[12] G. S. Cremona, La città di Salemi Illustrata per diverse notizie spettanti (1762, ms. Archivio chiesa Madre di Salemi), trasc. da S. Riggio Scaduto, S. Riggio Maltese, Salemi 2007; P. Cammarata, Il Castello e le campane, Palermo 1993:106-107.
[13] G. M. Di Ferro, Biografia …, cit.: 63-64
[14] M.P. Demma, S. Francesco, La Visitazione di Maria a S. Elisabetta, S. Domenico, in «Opere restaurate nella provincia di Trapani 1987-1996», scheda 2, Palermo 1998:19-21.
[15] F. Castelli, Per una biografia …, cit.: 61.
[16] Ivi: 47.
[17] F. Tirrito da San Biagio, Dialoghi familiari sopra la pittura (1788), a cura di D. Malignaggi, Palermo 2002.
[18] F. Castelli, Per una biografia..., cit.: 74-75.
[19] E. Gorgone, Andrea Carrera…, cit.: 20-38.
[20] L. Novara, Trasfigurazione…, cit.: 60-62.

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Lina Novara, laureata in Lettere Classiche, già docente di Storia dell’Arte, si è sempre dedicata all’attività di studio e di ricerca sul patrimonio artistico e culturale siciliano, impegnandosi nell’opera di divulgazione, promozione e salvaguardia. È autrice di volumi, saggi e articoli riguardanti la Storia dell’arte e il collezionismo in Sicilia; ha curato il coordinamento scientifico di pubblicazioni e mostre ed è intervenuta con relazioni e comunicazioni in numerosi seminari e convegni. Ha collaborato con la Provincia Regionale di Trapani, come esperto esterno, per la stesura di testi e la promozione delle risorse culturali e turistiche del territorio. Dal 2009 presiede l’Associazione Amici del Museo Pepoli della quale è socio fondatore.
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