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Un’autoetnografia per immagini

Posted By Comitato di Redazione On 1 luglio 2020 @ 00:03 In Cultura,Immagini | No Comments

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Noto, Cattedrale (ph. Gaetano Sabato)

di Gaetano Sabato

Negli anni Novanta fotografare da dilettanti era decisamente diverso da oggi. Per me lo era ancor di più: non solo perché, adolescente, cominciavo a sbirciare alle prime armi un mondo affascinante, fatto in egual misura (mi sembrava) di istintiva ricerca e di tecnicismi (da conoscere e ricordare), ma anche perché il mezzo, una reflex analogica, doveva essere “preso in prestito” da mio padre prima di ogni uscita e opportunamente riposto rientrando a casa, per evitare che lui si accorgesse del vuoto lasciato sullo scaffale. Naturalmente era un prestito di cui solo io ero a conoscenza. Puntualmente, la conclusione di quelle giornate era uno scambio di battute: «Hai preso di nuovo la reflex?». E il mio essenziale «No!» pronunciato con un mezzo sorriso, tradiva la mia dichiarazione.

In quegli anni non avevo solo imparato a gestire meglio i “prestiti”, cercavo di destreggiarmi come potevo fra rullini, sviluppo e stampa. Ma su tutti c’era un aspetto che caratterizzava le mie giornate con la reflex, ciò che Landowski (2009) chiama “programma d’azione”: le uscite erano inserite in una scansione di piccole sequenze che sembravano riprodurre una specifica sintassi. Le escursioni a caccia di foto erano immaginate, a volte nei dettagli, immagini di future azioni che si riveleranno immagini. Le stesse uscite, quindi, andavano programmate, i luoghi da fotografare (spesso) accuratamente selezionati con delle esplorazioni nei giorni precedenti, la macchina controllata prima, caricata del rullino appropriato, accoppiata al flash. I rullini, anche per le personali risorse dell’epoca, non consentivano centinaia o migliaia di scatti.

Forse è vero che l’imperizia veniva compensata (e rassicurata) da questa scrupolosità, da quella sintassi che ordinava un processo e rendeva possibile gli scatti, tuttavia sarebbe stato difficile immaginare che, trent’anni dopo, il digitale avrebbe cambiato il modo stesso di pensare al processo del “fotografare”, affrancandolo dalla necessità di disporre di un apparecchio adeguato e totalmente dedicato, ma allo stesso tempo visibile a tutti e non di rado ingombrante. Avere una macchina di pochi millimetri di spessore da tenere in una tasca, capace di scattare foto ad una buona risoluzione, era il sogno di moltissimi. Al contrario, oggi sembra sempre più scontato che uno smartphone possa trasformarsi, all’occorrenza, in una fotocamera. È vero, si può obiettare che anche adesso uscire con una reflex (o con una mirrorless) implichi sempre una qualche programmazione simile al passato. Inoltre, si potrebbe aggiungere che piccoli apparecchi portatili e pronti all’uso sono sempre esistiti. Tuttavia, sarebbe riduttivo pensare che si tratti solo di una questione tecnologica: è ovvio che nuovi strumenti implicano nuove tecniche e nuovi approcci.

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Capo d’Orlando, Tramonto (ph. Gaetano Sabato)

Qui però voglio mettere l’accento sul “come” fotografare irrompa nella quotidianità (per questo facendone parte), all’interno di un flusso di altre programmazioni, attese, imprevedibilità, interazioni e processi di significazione che, per rimanere nella comparazione diacronica, i sistemi analogici strutturavano in modo diverso e che, invece, i sistemi digitali – almeno parzialmente – ridefiniscono. Partendo proprio dall’uso del cellulare non si può fare a meno di notare come la costante interazione fra la produzione/riproduzione di immagini e il Web abbia dato luogo a una nuova, costante dialettica. Sul piano della ricezione, o di quello che Barthes (2003) chiamerebbe spectator, ciò è particolarmente evidente se si considera l’importanza dei social network, utilizzati in forme sempre più sofisticate per veicolare e diffondere le immagini. Non è un caso se molte fotocamere moderne, ormai da anni, possono collegarsi a internet, rendendo immediatamente disponibili sui social network le immagini appena scattate. Questo gioco di rimandi reciproci è certamente una peculiarità dell’“epoca fotografica” che stiamo vivendo.

Mi sono detto, allora, che non sarebbe bastato partire dalle foto scattate con lo smartphone: tutte le immagini di seguito, tranne una, sono state scattate con la fotocamera del cellulare, e tutte, tranne una, sono tratte dal mio profilo Instagram. Qui, infatti, si intrecciano casualità dello scatto, finalità comunicative, modalità di fruizione. Posso “condividere” degli scatti, ma rimanere nell’ambiguità semantica di un “like” (su Instagram a forma di piccolo cuore). La foto che ne ha ricevuti sarà piaciuta per i suoi criteri tecnico-estetici (quali composizione, esposizione, prospettiva), per i suoi contenuti, per l’etica che suppone, per il contesto che riesce a restituire o per un compromesso fra tutti questi aspetti, in una sorta di barthesiano punctum? (op. cit.). Talvolta si può contare su alcuni commenti, ma è noto che, a differenza di Facebook, la modalità di fruizione di Instagram è basata per lo più sulle immagini e meno sui dialoghi virtuali. Nel dubbio comincio con la prima foto che ho condiviso sul mio profilo.

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Genova, via Balbi (ph. Gaetano Sabato)

È via Balbi, a Genova, in uno scatto che tecnicamente presenta scelte discutibili, con “errori” evidenti che poi sono una costante in molte immagini pubblicate sul social: l’ho realizzata velocemente di notte e il sensore della fotocamera dello smartphone, non sofisticato come quelli moderni, per catturare più luce possibile ha esitato in una foto con molto rumore. In effetti, non ho recuperato gli scatti originari, qualitativamente migliori, ma al paziente lettore propongo le loro versioni presenti su Instagram che, tradizionalmente, abbassa la risoluzione dell’immagine in fase di pubblicazione. In questo modo ne avrà un’idea più chiara.

Via Balbi è una delle strade principali del centro storico di Genova, elegante e (almeno nel 2012) piena di studenti universitari durante il giorno e quasi deserta la sera. Quando ho scattato questa foto rientravo a casa dopo una giornata di viaggio. Ero stanco e avevo bisogno di rilassarmi. Da poco avevo sentito parlare di Instagram, così decisi di realizzare questa foto da postare sul social scoperto qualche giorno prima. Mi incuriosiva il gioco di luci che si riverberavano dappertutto, a compensare la mancanza di passanti, fatte salve quelle tre persone che, come me, camminavano solitarie con le spalle rivolte alla stazione Principe e una, sullo sfondo che sedeva in attesa, appoggiata a un muro.

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Palermo, Villa Trabia (ph. Gaetano Sabato)

In questo primo scatto-post ritrovo un intreccio di casualità e storia personale, ma non posso fare a meno di pensare che la sua produzione è stata determinata anche dalle modalità “pubbliche” di fruizione attraverso internet. Il che mi riporta subito a un’altra questione: cosa comporta “pensare” una foto per la pubblicazione su internet? In che modo cambia l’approccio alla fotografia? È il criterio estetico a prevalere sugli altri? Forse alcuni scatti ne risentono: è il mio “posizionamento sul campo”, come direbbero diversamente, anche se per motivi simili, Geertz (2001) e Clifford (1999), a fare intervenire alternatamente simmetria e asimmetria, in un continuo bilico fra studium e punctum (Barthes 2003). Basta spostare il punto di vista-scatto.

Ne sono esempi una panchina nel parco di Villa Trabia a Palermo, ben centrata nella composizione anche rispetto ai raggi di sole che scendono simmetrici e un fiore in bianco e nero che ha tutti i petali della corolla al loro posto, tranne alcuni. Elementi di giardini diversi, concettualmente nello stesso registro di pertinenza, ma lontani nella mia casuale (?) ricerca quotidiana di “soggetti” (o, meglio, “oggetti”?).

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Palermo (ph. Gaetano Sabato)

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Isola delle femmine (ph. Gaetano Sabato)

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Budapest, Giardino zen (ph. Gaetano Sabato)

Il mio “alibi” estetico, per citare ancora Barthes (2003: 29), contempla anche fughe e prospettive unificanti, come la spiaggia di Isola delle Femmine (vicino Palermo) con l’isolotto sullo sfondo: elementi naturali e frammentati come le alghe o le onde coi quali ho giocato consapevolmente per fissare similitudini geometriche, fino alla ricomposizione unitaria della prospettiva e nel riflettersi del cielo sulla battigia bagnata. E di riflesso in riflesso ritrovo altre due foto in cui è l’acqua a diventare specchio del contesto che ho voluto fermare: uno scatto che ritrae lo stagno del giardino giapponese, nell’Isola Margherita di Budapest e un altro che ritrae una pozzanghera in piazza Vittorio Emanuele Orlando a Palermo.

Nel primo la statua del giovane pescatore si riflette assieme alla vegetazione. L’impressione di quiete e di equilibrio provata nel giardino giapponese ricorre alla memoria: tuttavia, ciò che mi colpisce, riguardando lo scatto, è il ruolo giocato dal riflesso. Sono i colori della vegetazione attorno allo specchio d’acqua quasi immobile a riflettere la loro immagine, componendo l’immagine più grande. Non sembra esserci soluzione di continuità fra (i pur diversi) piani prospettici dell’immagine. Il mio punto di osservazione ne risulta quasi depotenziato, inserito nel gioco prospettico del progettista del giardino a cui, inconsapevole (?) ho partecipato. Il giardino budapestiano, come la pozzanghera palermitana, riflettono un’alterità che non è visibile nell’inquadratura. Implicano una piegatura, riflettono insomma i mille piani del non visibile e del non detto. Dentro a una pozzanghera sembrano esserci scorci di cielo annuvolato, s’incontrano due mondi paralleli.

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Palermo, pozzanghera (ph. Gaetano Sabato)

 

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Budapest (ph. Gaetano Sabato)

Grazie ad un’altra immagine torno nuovamente a Budapest, stavolta in piazza Lajos Kossuth, alle spalle del Parlamento. Ero lì e davo le spalle allo storico edificio, dopo un caldissimo pomeriggio estivo passato a esplorare le due rive del Danubio. Pochi minuti prima di puntare nella stessa direzione il mio smartphone avevo visto passare uno degli ormai iconici tram gialli, scattando velocemente questa foto non appena ne era ricomparso un altro, prima che anch’esso uscisse fuori dal mio obiettivo. Riguardando questo rapido scatto a posteriori, mi sembra che venga fuori da una lunga preparazione, fatta di «attesa e proiezione in avanti […] che si dispiega in […] agentività spazializzata, temporalizzata e attorializzata» (Montes 2020). Invece, inquadrare e scattare è durato pochi istanti, in un’immediatezza e in un automatismo che mettono quasi in dubbio l’agentività.

La fotografia, nel suo processo, ridefinisce tempo e spazio, non solo rispetto a ciò che essa inquadra e ferma (cioè nel prodotto), ma ancor di più rispetto al soggetto che opera lo scatto. Lo rende protagonista dell’azione, ma contemporaneamente lo sospende in un’attesa (spesso breve) e in una tensione che lo proiettano verso il risultato finale.

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Gatta (ph. Gaetano Sabato)

Già dai tempi dell’università l’antropologia, prima, e la geografia, dopo, mi hanno insegnato a considerare la fotografia con un approccio diverso, libero dalle pure istanze estetiche, complicando motivazioni, processi ed esiti. Che si tratti di questioni identitarie o di definire il paesaggio, la dinamica osservatore/osservato è per me una delle più interessanti in qualunque (ri)produzione di immagini. E gli occhi vispi di una gatta che sbirciano da dietro due cuscini nell’intimità della casa non fanno eccezione: prima di scattare lei mi osservava non osservata, dal suo inespugnabile nascondiglio, in un frammento di vita quotidiana in cui specchiarmi e ritrovarmi, in quello che Augé (1999) definirebbe “riconoscimento”.

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Nebrodi, bruco (ph. Gaetano Sabato)

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Farfalla sull’aereo (ph. Gaetano Sabato)

Ancora più straniante (e al contempo affascinante), invece, la vita microscopica degli insetti, spesso in trasformazione, dal bruco proteso in avanti, per metà su una foglia verde, alla farfalla accanto a me, trovata all’interno della cabina di un aereo di linea davanti al finestrino, forse desiderosa di cambiare aria o inconsapevole epifora del volare. Singolare anche il solito e necessario gioco di prospettive semantiche: fotografare il minuscolo va sotto il nome di “macrofotografia”. Con uno smartphone ci si può fermare anche nei momenti e nei luoghi meno opportuni, nel tentativo di catturare la crescita di tre piccoli funghi sotto a un gradino, mentre attorno piove senza sosta. Eviti di calpestarli per un soffio e loro sembrano ringraziarti posando per il tuo scatto.

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Palermo, funghi (ph. Gaetano Sabato)

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Madrid, Palacio de Cristal (ph. Gaetano Sabato)

A proposito di spazio, c’è un luogo nella splendida Madrid, il Palacio de Cristal, nel Parque del Retiro, che sembra definire in modo estremo il concetto di “frontiera” elaborato da Lotman (Lotman e Uspenskij 2001). Quando ho scattato questa foto ho cercato di fissare un raggio di sole che è entrato attraverso le ampie finestre di vetro, proiettando ombre e luce sul pavimento e formando demarcazioni, incroci, sovrapposizioni, definendo per pochi minuti spazi e frontiere simboliche. L’edificio, nella sua interezza, sembra essere una sorta di tautologia, poiché consente all’esterno di farsi interno (la luce e il calore del sole; riflessi e ombre) e viceversa (la trasparenza delle pareti proietta lo spazio “chiuso” all’esterno).

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Siracusa, Mimo (ph. Gaetano Sabato)

 

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Parigi, Alba (ph. Gaetano Sabato)

Altre due foto mi sembra che condensino diversi problemi, quali osservazione, prospettiva, attesa, spazio e performance. Si tratta di un mimo di spalle a Ortigia, Siracusa e di un uomo in Place de la République a Parigi, entrambi di spalle. Nella prima il mimo, appoggiato a un lampione, si prepara alla sua performance in piazza. Ho scattato velocemente questa immagine non osservato, cercando di catturare almeno un gesto della sua quotidianità, prima che “entrasse nel personaggio”, prima che trasformasse ogni azione in performance artistica nel corso della sua esibizione. La preparazione e la “trasformazione” di un mimo è forse più lenta di quello che si possa immaginare. Sono rimasto ad osservare alcuni minuti, in attesa (la sua e la mia), fino a quando questa porzione di piazza è divenuta ciò che Gregory (2004) chiamerebbe “spazio di performance”, risemantizzata dall’arte del mimo e dalla timida presenza del pubblico che iniziava a circoscrivere un nuovo spazio dell’immaginario. Il secondo scatto ritrae un mattino invernale a Parigi, in una Place de la République d’alberi spogli. Il sole è ancora basso, con una morbidezza di colori e di luce tipiche dell’alba. Attraversavo la piazza mentre il mattino si svelava lentamente e già decine di persone, come me, si muovevano per raggiungere le loro destinazioni. Ho inquadrato questo angolo e mi sono accorto che un uomo, poco più che una silhouette nera, era appoggiato a un lampione, in attesa. Mi è sembrata un’ottima metonimia della giornata che avevo davanti, fatta di rapidi spostamenti e di soste. Anche perché sembrava guardare lontano, oltre la frammentarietà dello spazio della piazza, dove la vista era continuamente deviata da alberi ed elementi architettonici.

Il movimento nello spazio sposta continuamente il punto di vista, ridefinendo le immagini. Mi piace scattare foto mentre sto camminando, proprio per cogliere questa dinamica. Fare foto con uno smartphone aiuta a mantenere il movimento, ma quasi inevitabilmente il risultato sarà una scarsa messa a fuoco. Ho scelto di ritrarre così degli ambulanti sotto i portici di via Ruggero Settimo a Palermo. Tutti migranti, il loro sguardo ha incrociato il mio in una frazione di secondo, ma è bastato a lasciare in sospensione il mio e il loro spostamento. Un semplice scatto, neppure tecnicamente apprezzabile, non può rendere conto della sofferenza e delle scelte che inducono le persone a tentare una nuova esistenza in un altro luogo.

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Palermo, Migranti ambulanti (ph. Gaetano Sabato)

Ma, con tutti i suoi limiti, questa istantanea mi ricorda che il primo rimedio alla quotidiana indifferenza è cercare di allenare lo sguardo. Anche se sfocato, come questa foto, è comunque un tentativo di fissare nella memoria storie e speranze che necessitano di visibilità. Infine, il movimento in treno, mentre attraversavo la Sicilia da Est a Ovest. Per i geografi il paesaggio è «concetto aperto e problematico, anche ambiguo» (Cusimano 1999: 20), similmente a come il concetto di cultura lo è per gli antropologi. Se il paesaggio è «punto di partenza dell’esplorazione del mondo» (Dematteis 1999: 157), anche uno rubato da uno scatto dal finestrino può mostrare i (molti) piani e le (molte) direzioni di cui è composto. A me ne suggerisce alcune anche per l’immaginazione, nonostante l’appiattimento della prospettiva. Il muro di fiori e fichi d’India, i rilievi in lontananza e le nuvole leggere che aprono a nuove possibilità e sguardi mi ricorda il sorriso di un giorno di primavera, durante un viaggio in cui prospettive e riflessioni prendevano il volo.

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Paesaggio siciliano (ph. Gaetano Sabato)

A questo punto, al lettore forse un po’ smarrito vorrei fornire non tanto delle conclusioni, ma una chiave di lettura di quanto fin qui proposto. Ho iniziato parlando della mia storia di vita, raccontando le mie esperienze significative com’è in uso nelle autoetnografie, andando indietro con la memoria all’inizio della mia passione per la fotografia, citando i primi tentativi di realizzare degli scatti. Ho voluto inoltre illustrare come il subentrare della fotografia digitale a quella analogica abbia aperto a nuove possibilità, cambiando anche radicalmente l’approccio alla fotografia. Quindi ho commentato singole immagini che per me sono significative, non solo a livello personale, ma perché mi consentono di riflettere su alcuni temi fondamentali che sono al centro di importanti dibattiti scientifici, sia per l’antropologia culturale che per la geografia, quali la programmazione, l’attesa, la frammentarietà, la riflessività, la dinamica osservatore/osservato e il posizionamento del ricercatore. C’è un rapporto speculare fra narrazione e immagini: queste ultime raccontano e rappresentano una storia di vita (in questo caso la mia), collegandone vari momenti. Infine, va tenuto presente che una storia di vita si può cogliere solo per frammenti, proprio come un’immagine. Nel mio breve saggio, insomma, ho inteso mettere in relazione narrazione e immagini, così come la tensione tra totalità e frammento.

Dialoghi Mediterranei, n. 44, luglio 2020
 Riferimenti bibliografici
Augé M., Disneyland e altri nonluoghi, Bollati Boringhieri, Torino 1999.
Barthes R., La camera chiara. Nota sulla fotografia, Einaudi, Torino 2003.
Clifford C., Strade. Viaggio e tradizione alla fine del secolo XX, Bollati Boringhieri, Torino 1999.
Cusimano G., Luoghi percorsi discorsi, in Cusimano G. (a cura di), La costruzione del paesaggio del paesaggio siciliano: geografie e scrittori a confronto, La memoria, Annali della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo, Palermo 1999: 7-27.
Dematteis G., Una geografia mentale, come il paesaggio, in Cusimano G. (a cura di), La costruzione del paesaggio del paesaggio siciliano: geografie e scrittori a confronto, La memoria, Annali della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo, Palermo 1999:155-164.
Geertz C., Antropologia interpretativa, Il Mulino, Bologna 2001.
Gregory D., The Colonial Present, Blackwell Publishing, Oxford-Malden 2004.
Landowski E., 2009, “Avoir prise, donner prise”, Nouveaux Actes Sémiotiques, 112 (consultabile online: https://www.unilim.fr/actes-semiotiques/2852).
Lotman J., Uspenskij B., Tipologia della cultura, Bompiani, Milano 2001.
Montes S., Una ferita al dito, in “Dialoghi Mediterranei” n.42, marzo 2020, (http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/una-ferita-al-dito/)

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Gaetano Sabato, dottore di ricerca e, attualmente, assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Catania, è docente a contratto di Geografia per la scuola primaria e dell’infanzia presso l’Università degli Studi di Palermo. Utilizzando la prospettiva della Geografia culturale si occupa di globalizzazione, turismo, teorie della mobilità, rappresentazione dello spazio, contemporaneità, geografia e letteratura, geografia urbana, percezione del rischio e didattica della geografia. Su queste tematiche ha pubblicato diversi articoli scientifici. È autore della monografia Crociere e crocieristi. Itinerari, immaginari e narrazioni, Giappichelli, Torino 2018. Con Leonardo Mercatanti ha curato il volume Geografie digitali. Spazi e socialità, StreetLib, Milano 2018 e con Mercatanti e Stefania Palmentieri il volume Marginalità, sostenibilità e sviluppo. Analisi teorica e casi studio del Mezzogiorno, SteetLib, Milano 2019. È peer review di alcune riviste scientifiche e membro del comitato editoriale di alcune collane scientifiche.

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