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Una visita agli Etruschi di oggi. Identità e mito a Tarquinia

 

Veduta di Tarquinia

Veduta di Tarquinia

di  Eva Carlestål

«Sono etrusco» un uomo spontaneamente disse a me e al mio collega una delle prime sere durante la nostra visita a Tarquinia. Egli continuò spiegando che la sua famiglia ha le sue origini a Tarquinia, per quanto lui ne sappia. Nel corso di un vivace monologo ha poi elogiato gli Etruschi e la loro cultura. «Sono stati qui per primi e hanno fondato la nostra cultura», disse con orgoglio.

Gli studi genetici su campioni di antiche ossa etrusche mostrano «più strette relazioni evolutive con la sponda orientale del Mediterraneo per gli Etruschi più che per la moderna popolazione italiana». Questa «continuità genealogica limitata tra gli Etruschi [...] e le loro controparti moderne della Toscana richiede una spiegazione» (Vernesi et alii 2004). Tuttavia, questa discontinuità non sembra preoccupare gli abitanti dell’Etruria di oggi, molti dei quali fanno riferimento a se stessi come Etruschi. Tale identità etrusca moderna è ciò di cui tratta questo articolo. Come antropologa svedese ho svolto ricerche in diverse parti d’Italia. Nel 2005 sono andata per la prima volta in Etruria e ho da allora familiarizzato con luoghi come Blera (un piccolo paese in provincia di Viterbo), Cerveteri e ultimamente Tarquinia. Lo scopo dell’ultima visita è stato quello di avviare un nuovo progetto sull’eredità storica e culturale etrusca. Sarà uno studio multidisciplinare con un archeologo e due collaboratori antropologi. All’interno della struttura del mio contributo nel nostro studio d’equipe mi concentrerò su come questa eredità sia gestita e valutata dalla popolazione locale di oggi. Qui mi limiterò a presentare alcuni stralci dei miei primi incontri con gli abitanti di Tarquinia riferendomi agli stessi come Etruschi.

Chiunque venga per la prima volta a Tarquinia non può evitare di notare che questa città ha origini etrusche, poiché dappertutto si possono vedere distinte prove di come gli abitanti fanno uso del loro patrimonio. C’è una fila infinita di bar, ristoranti, agenzie di viaggio e Bed & Breakfast, nonché un cinema, una banca ecc. che portano nomi che includono le parole Etrusco, Etruria o hanno nomi etruschi che potrebbero essere meno noti per il visitatore straniero, come per esempio Ocresia e Velka – queste ultime essendo donne ritratte sui famosi dipinti tombali. Non è azzardato trarre la conclusione che l’uso dei nomi antichi è un modo consapevole per attirare i turisti.

Tuttavia, anche aziende che non si indirizzano principalmente ai turisti, come ad esempio una lavanderia e una discarica, portano nomi simili. Si aggiunga che il patrimonio etrusco della città è sottolineato da tutti i segnali stradali che indicano la via ai siti, agli edifici ufficiali e così via, ognuno dei quali porta anche la seguente dicitura: “Patrimonio Mondiale UNESCO per la necropoli Etrusca”. Questi segni sono accompagnati anche da una foto di Velia Velcha (vedi sotto) e sono corredati da applicazioni elettroniche moderne che danno al visitatore maggiori informazioni sulla città.

 Insegna di un esercizio commerciale con caratteri di scrittura ispirati al mondo etrusco (foto di Åsa Nilsson Dahlström)

Insegna di un esercizio commerciale con caratteri di scrittura ispirati al mondo etrusco (foto di Åsa Nilsson Dahlström)

Lo stesso nome della città mostra un altro modo di fare uso del patrimonio storico locale. Fino al 1872 il nome era Corneto, ma poiché c’erano altri posti nell’Italia appena unificata che portavano lo stesso nome, ciò causò confusione. Le autorità locali, non volendo respingere il nome Corneto che è associato al patrimonio storico locale, decisero di aggiungere il nome Tarquinia che una volta era il nome di un’altra città etrusca nelle vicinanze. Corneto-Tarquinia rimase il nome ufficiale della città fino al 1922. Quell’anno il nome è stato nuovamente discusso e ora la maggioranza dei membri del governo locale ha deciso di tornare all’antico originario e glorioso nome di Tarquinia, in quanto «più rispondente alla tradizione storica del Comune» (Dore 2010).

Tutto sommato, è impossibile per qualsiasi visitatore non notare che questo è uno dei luoghi dove gli Etruschi vissero circa due millenni e mezzo fa. Oppure dovremmo cambiare il tempo verbale e dire che questo è un luogo in cui gli Etruschi hanno continuato a vivere per più di 2500 anni? Ci sono Tarquiniani che darebbero una risposta affermativa a questa domanda.

Le statistiche mostrano che nel 1871 Tarquinia aveva 4.326 abitanti e che ha avuto sempre un aumento demografico lento ma stabile, raggiungendo i 16.016 abitanti nel 2011 [1]. Anche se è vero che c’è stata una immigrazione su larga scala soprattutto dalle Marche, la maggioranza della popolazione ha molto probabilmente avuto per lungo tempo le proprie radici qui, e così può dire, come ha fatto l’uomo di cui si riferisce nella premessa, che le proprie famiglie hanno sempre vissuto qui, per quanto se ne sappia. Ciò è proprio il contrario dello sviluppo della vicina Cerveteri. Come Tarquinia, Cerveteri è una città di tombe etrusche famosa nel mondo e dal 2004 le due città costituiscono un patrimonio comune sulla lista dei beni culturali mondiali patrocinati dall’UNESCO. Tuttavia, pur essendo in antichità una grande città, Cerveteri si estinse quasi completamente prima del 1871, avendo solo 383 abitanti. Dopo un lento aumento essa conobbe una crescita esplosiva durante la seconda metà del XX secolo, diventando un sobborgo moderno di Roma con 35.207 abitanti nel 2011 [2].

Nell’autunno del 2012 ho trascorso tre settimane a Cerveteri e non una volta ho sentito alcuno riferirsi a se stesso come Etrusco, il che è logico in quanto la grande maggioranza della popolazione sarà ben consapevole del fatto che le proprie famiglie non vivono lì da molto tempo. Il mio terzo e ultimo esempio sarà Blera, situata a circa mezz’ora di auto da Tarquinia. Questo piccolo villaggio con circa 3.300 abitanti non ha registrato radicali cambiamenti demografici di cui i Blerani di oggi siano coscienti. Qui ho conosciuto informatori che mi hanno confermato che sentivano fortemente le loro radici etrusche.

Uno dei più famosi figli di Tarquinia in tempi moderni è lo scrittore e poeta Vincenzo Cardarelli (1887-1959). Nonostante la sua famiglia appartenesse al gruppo di persone spostatesi a Tarquinia (suo padre era marchigiano e sua madre lombarda), è stato talvolta chiamato l’Etrusco di Tarquinia (Vecchio 1989), sebbene lui stesso non abbia mai usato tale epiteto. Egli lasciò il suo luogo di nascita da giovane e per anni visse una vita vagabonda prima di stabilirsi definitivamente più o meno stabilmente a Roma. Cardarelli amò e odiò Tarquinia o meglio Corneto-Tarquinia, tale era il nome ufficiale quando egli era adulto e il nome che ha sempre preferito, desiderando di essere lì quando era lontano, raramente visitando il luogo e volendo partire il più presto possibile durante ognuna delle sue rare visite. Era la Tarquinia del suo periodo che odiava, ma ciò che lo attraeva era il paesaggio circostante e, non ultima, la civiltà etrusca. In Il cielo sulle città egli racconta degli Etruschi e delle loro tombe con i famosi dipinti e, nella poesia Nostalgia, scrive della «fanciulla bellissima dei Velcha» ritratta in una delle più note tombe di Tarquinia. Nella stessa poesia Cardarelli confessa che in questa antica terra avrebbe voluto essere sepolto un giorno per tornare alle sue radici (Cardarelli 2012). E così fu.

Velia Velcha (foto di Åsa Nilsson Dahlström)

Velia Velcha (foto di Åsa Nilsson Dahlström)

Senza voler suggerire paragoni letterari di sorta, un altro libro che potrebbe essere citato quando si parla dell’uso del patrimonio etrusco è Omero: La mia vita con gli Etruschi, perché tratta di un fenomeno particolarmente diffuso durante i decenni successivi alla seconda guerra mondiale – i furti nelle tombe. Omero Bordo ha scritto questo libro con l’aiuto di un giornalista e in esso racconta in modo molto fantasioso del suo grande successo come ladro di tombe etrusche e come abbia poi abbandonato tale attività illegale e sia divenuto un ceramista altrettanto di successo creando un’arte in stile etrusco. Omero afferma più volte che egli sente un rapporto viscerale e speciale con gli Etruschi e che è questa vicinanza ai suoi antenati che lo aiuta a svolgere la sua arte. Infatti egli sostiene di essere Etrusco. Oggi Omero ha un laboratorio nel centro storico di Tarquinia e produce e vende statuette in terracotta etrusche. Ha esposto il suo lavoro sia a livello nazionale che internazionale (Cecchelin 1987).

Come Omero un altro ex tombarolo, Vittorio Di Berardino da Cerveteri, ha scritto un libro sulle attività clandestine sue e di altri cerveterani durante gli anni ‘50 e ‘60. Tuttavia, questa pubblicazione si pone in netto contrasto con quella di Omero, proprio come Cerveteri è in contrasto con Tarquinia e Blera, in quanto in essa nessuno si riferisce a se stesso (i tombaroli sono sempre stati uomini) come Etrusco. Né Di Berardino si è mai proposto con tale identità nelle sue conversazioni con me e i miei colleghi, pur conservando per gli Etruschi un profondo rispetto, come fa chiunque altro con cui ho parlato finora in Etruria.

Indipendentemente dal condividere il sentimento o no, la gente a Tarquinia e Blera più volte mi ha confermato che molti si sentono Etruschi e che sono fieri di esserlo. Infatti, dire che ci si sente Etruschi è sempre inteso come qualcosa di positivo, poiché gli antichi Etruschi sono indicati come un popolo dalla ricca cultura e dall’indole pacifica. La forte posizione delle donne etrusche è spesso sottolineato. Per di più, l’antico contrasto tra Etruschi e Romani è ancora lì: «Basta vedere come parcheggiano quando vengono qui», ha detto una mia amica di Blera.

Gli Etruschi sono qui come un suono di sottofondo – sono sempre qui, anche quando uno non pensa specificamente a loro, un uomo mi ha detto. Eravamo seduti in un bar nel centro storico di Tarquinia ed egli indicò la gente che passava, dicendo che sicuramente quella gente non stava parlando degli Etruschi, ma il suono di sottofondo è ancora lì. Un paio di ore più tardi ho preso parte ad un incontro presso la Biblioteca intitolata a Vincenzo Cardarelli. Una giovane scrittrice stava presentando il suo ultimo romanzo. Non era di Tarquinia e il libro non aveva nulla a che fare con gli Etruschi. Ma quando fu il momento per il pubblico di porre domande e fare i propri commenti all’autrice, gli interlocutori citarono gli Etruschi tre volte. Avevo avuto un’esperienza simile un paio di giorni prima ascoltando una lezione rivolta agli studenti, che li esortava a prendere coscienza dell’ambiente. Il conferenziere si riferì agli Etruschi due volte, affermando che abbiamo perso la loro capacità di vivere in armonia con la natura e di creare solidi edifici. Certamente anch’io ho la sensazione che si tratta di un suono di sottofondo piuttosto forte!

Tutti questi riferimenti, coscienti o non coscienti, agli Etruschi nel parlare quotidiano è quello che mi ha colpito di più durante il mio troppo breve soggiorno a Tarquinia. Mi ha colpito più dell’uso deliberato e consapevole che viene praticato del patrimonio storico locale, come la denominazione del proprio bar alla moda etrusca o la vendita di souvenir che in un modo o nell’altro si riferiscono agli Etruschi. E vorrei richiamare l’attenzione del lettore sul fatto che mi riferisco non solo a ciò che le persone che ho incontrato mi hanno detto, essendo io un’antropologa straniera che si suppone volesse sentir parlare “esotico”, ma anche a quello che ho sentito durante la conversazione di persone che comunicavano in modo spontaneo ed informale tra loro.

Ho vissuto per alcuni anni in altre parti d’Italia, la maggior parte del tempo in Sicilia. Questa Isola ha in verità una storia molto ricca e varia e i Siciliani in generale hanno molta familiarità con essa. Personalmente ho abitato sia la parte orientale che quella occidentale, dove per esempio i Greci e gli Arabi, rispettivamente, dominarono in passato. Eppure, in quegli anni non ho nemmeno una volta sentito qualcuno riferirsi a se stesso come Greco o Arabo. A Tarquinia, invece, molte persone si riferiscono a se stessi come Etruschi. Trovo questo molto emozionante e certamente non vedo l’ora di tornarvi per saperne di più su cosa significa fare riferimento a se stessi come persone aventi un’identità etrusca! Sarà questo l’oggetto di studio della mia prossima ricerca sul campo in Etruria.

Dialoghi Mediterranei, n.6, marzo 2014

(traduzione a cura di Giuseppa Ripa)

Note

[1]     http://it.wikipedia.org/wiki/Tarquinia 2013/10/09.

[2]     http://it.wikipedia.org/wiki/Cerveteri 2013/10/09

Riferimenti bibliografici

            Berardino Di, Vittorio (2012), Tombaroli per caso in terra Etrusca, Civitavecchia: Prospettiva editrice.

            Cardarelli, Vincenzo (2012), Opere, Milano: Mondadori.

        Cecchelin, Riccardo (1987), Omero: La mia vita con gli Etruschi, Roma: Edizioni Mediterranee.

     Dore, Tommaso (2010), Da Corneto a Tarquinia (1872-1922) – Ingegneria e architettura della pubblica amministrazione in epoca liberale, Tarquinia: Comune di Tarquinia.

         Vecchio, Salvatore (1989), Vincenzo Cardarelli. L’etrusco di Tarquinia,Roma: EILES.

       Vernesi, Cristiano et alii (2004), The Etruscans: A Population-Genetic Study, Am. J. Hum. Genet, 74: 694-704.

 

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