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Una santa a Tunisi come Artemide. Colloquio con Laura Faranda

Tunisi, Laura Faranda

Tunisi, Laura Faranda (ph. Francesca Spinola)

di Francesca Spinola 

Studiosa del rito, del mito e delle forme terapeutiche tradizionali per curare le malattie mentali, Laura Faranda, professore ordinario di Antropologia culturale all’Università Sapienza di Roma, ha condotto ricerche sul campo, in Tunisia, per analizzare a fondo una figura del misticismo musulmano, donna e ribelle, vissuta nella Tunisi del Medioevo, Sayyida ‘Aisha al-Mannūbiyya (S.A.M.) [1]. Fulcro del suo lavoro sono state le peripezie che riguardano la santa, ma anche quelle che attengono alle sue devote, studiate sul campo in un periodo di tempo che va dal 2017 al 2023, specialmente all’interno delle due zawiyya [2] dedicate al culto della santa, quella di al-Gorjani e quella della Manuba. Emerge subito la necessità di includere nello studio i temi della salute mentale, della psiche e della follia.

Faranda appare emozionata e grata, quando la incontriamo a Tunisi, dove ha recentemente presentato il suo lavoro Peripezie di una santa. Il culto di Sayyida ‘Aisha al-Mannūbiyya nella Tunisi contemporanea (edizioni Museo Pasqualino, 2024). Accolta dalla presidente del Comitato Dante Alighieri Tunisi, Silvia Finzi, e dal direttore dell’Istituto Culturale Italiano di Tunisi, Fabio Ruggirello, l’autrice è affiancata da Rim Lajmi, tunisina che ha conseguito un Phd in Storia, Antropologia e Religioni presso l’Università Sapienza di Roma, definita dalla stessa Faranda «una presenza costante e determinante nella traduzione istantanea durante gli incontri con i seguaci e le seguaci della santa».

Tunisi, presentazione dell'ultimo libro di Faranda

Tunisi, presentazione dell’ultimo libro di Faranda (ph. Francesca Spinola)

In apertura Faranda spiega che quest’opera è la cifra di una sua costante ricerca nel Mediterraneo e «l’esito temerario di un periodo lungo che parte da lontano, dalla ricerca sul tema della trance, anche grazie alle letture sull’argomento dei testi di Ferruccio Marotti». Da lì, nasce la sua passione antropologica per i culti, che sviluppa in una indagine sul campo minuziosa e approfondita fatta di innumerevoli incontri ed esperienza dal vivo. «Oggi le donne, nel segno della santa – chiarisce  l’autrice – sono in grado di mettere insieme ordine e caos in un mondo che ha perso lucidità e il Mediterraneo è il luogo principe capace di mostrare che non si dà ordine senza disordine». 

Durante l’intervista con Laura Faranda capiamo che è l’incontro la cifra principale del suo lavoro confluito nel libro sulla santa: «Un libro che è frutto di incontri, di scambi, di formazione, di vicinanza con il Maghreb». Quel Maghreb dove ha svolto il suo lavoro iniziando a studiare i flussi migratori di italiani e i cosiddetti “italiani di Tunisi” e dove poi ha proseguito con gli studi di genere. Sono proprio questi ultimi che l’hanno portata ad avvicinarsi alle vite e alle esperienze di donne che si sono fidate di lei e le hanno permesso di partecipare ai riti e di ascoltare le loro storie, così da capire «per empatia, quella dimensione solare dell’Islam, espressa da una santa, che rimane donna e femminile nella sua religiosità». Laura Faranda vede questa bellezza riflessa nelle tante donne tunisine che ha incontrato e con cui ha lavorato per portare a termine la sua complessa monografia sulla figura di Sayyida ‘Aisha al-Mannūbiyya, una delle sante più amate nella Tunisi medievale e contemporanea.

Abbiamo intervistato Laura Faranda dopo la presentazione del libro per approfondire le ragioni della sua scelta di parlare di una figura femminile considerata “parente povera” del misticismo musulmano, la cui devozione però non ha nulla di modesto, anzi è ancora oggi viva, specialmente tra le donne della capitale tunisina.

img_6904L’antropologia è rivolta verso l’altro e a esso dedicata. Promuove l’idea della comprensione dell’altro attraverso la sua conoscenza e l’accettazione della diversità in quanto caratteristica del genere umano. Che diversità ha trovato in questa santa e nei suoi devoti?

«Negli incontri con le devote della santa, mi sono trovata di fronte ogni volta a “incontri al femminile”, in cui la donna, con il suo ruolo, è di per sé “altro”. L’alterità nella cultura del Mediterraneo si combina fortemente con il femminile. Le donne nelle comunità patriarcali non hanno diritto di “cittadinanza”. Allora l’incontro con la santa diventa simbolico. È l’incontro con una donna, anch’essa, ma eccezionale, che nella sua eccezione merita di essere conosciuta e raccontata. Ma questa dote è congeniale alla donna, per la quale la nozione del sé si compie e si realizza solo quando riconosce l’altro da sé, basti guardare al rapporto madre/figlio, la presa di coscienza dell’altro da sé parte da lì. S. A. M. è l’espressione della potenza dell’identità femminile. Tutte le fonti, le narrazioni, le storie che descrivono la santa e la sua vita ne esaltano l’orgoglio della diversità, del suo essere differente. Ma questa differenza viene esaltata anche attraverso l’uso di modelli tradizionali.

Zawiyya Manoubia, interno

 Interno (ph. Zawiyya Manouiba)

La Santa è descritta attraverso la metafora della tela, della donna che tesse. Lei era considerata “la signora della tessitura” che insegna alle altre donne a tessere, ma non per vestire i mariti, non in una sfera domestica, come si potrebbe pensare. Lei, infatti, mostra la sua alterità anche attraverso l’insofferenza al giogo coniugale. I genitori la vogliono sposare ma lei si oppone, da donna indocile, e nella sua storia il nubilato diventa trasgressione. Ancora, la sua alterità si esprime attraverso l’orgoglio e la capacità di sfidare i potenti. S.A.M. arriva fino a sfidare apertamente i notabili locali e i potenti dell’epoca quando la accusano di essere una “poco di buono”. Lei li sfida usando anche la sua bellezza prorompente e li maledice con maledizioni che, secondo l’immaginario collettivo, fanno crollare sulla testa dei notabili di Tunisi i soffitti delle loro case.

In tutto questo racconto di certo l’antropologia ci aiuta a ripensare questa figura inserendola in un’ottica preislamica. La santa incarna senza dubbio un modello femminile precedente all’avvento dell’Islam nel VII secolo. In alcuni momenti risulta difficile non associarla, per il suo agire, a personaggi come Artemide, dea greca della mitologia classica, anch’essa vergine, ma che prepara le donne al matrimonio. Sono entrambe donne che portano con sé una innata sofferenza al matrimonio. L’associazione comparativa con Artemide è immediata, entrambe vergini insofferenti, la prima padrona dei boschi, entrambe formatrici delle giovani. Ma qui entra l’aspetto antropologico della religione come fatto totale che porta dal disordine all’ordine. Anche se queste donne sono l’eccezione, incoraggiano un modello femminile classico». 

Zawiyya Manoubia, interno

Interno (ph. Zawiyya Manoubia)

In che modo è cambiata la percezione di questa santa e di conseguenza il suo culto in quella che oggi possiamo definire una cultura urbana ibridata, quella in fin dei conti di tante grandi città del mondo, specialmente del nord Africa e dell’Africa? 

«Una serie di documentari filmici sulla santa realizzati soprattutto nel ‘900 dimostrano che in realtà poco è cambiato nel corso dei secoli. Di certo c’è stato un cambio nel ritmo del calendario delle riunioni delle devote nei luoghi di culto della santa. La politica ha poi cambiato qualcosa quando l’ha laicizzata, facendo chiudere i luoghi dedicati al suo culto in città. Sarà poi Ben Ali a riabilitare la santa e a riaprire alla possibilità di celebrare culti in suo onore nei luoghi sacri a lei dedicati in tutto il Paese. Se guardiamo alla ritualità e al modo in cui questa si esplicitasse nei secoli passati invece diventa difficile da definire, specialmente se ci avviciniamo all’epoca della sua morte, che coincide anche con la fine della sua agiografia. La tradizione scritta finisce con la morte di S.A.M. e viene portata avanti da quel momento in poi solo oralmente». 

Nell’assistere ai riti celebrati delle aderenti al culto della santa ha sentito come per osmosi un avvicinamento a lei o al suo messaggio? 

«Una cosa certa è che ho dovuto fare un esercizio di autodisciplina per non trovarmi troppo coinvolta emotivamente, che però non mi ha impedito di provare una costante empatia, come donna, per le altre donne che si recavano ai riti». 

Come si è passati nel tempo dal semplice culto della santa, alla convinzione di trovarsi in un ambiente dove sono diventati centrali i temi della salute mentale, della psiche e della follia?  

«È stato di certo un processo, ma nell’osservarlo ho voluto evitare lo scetticismo. Giudicare in fase di studio, ricerca e analisi lo definirei il peccato dell’antropologo. Lo scetticismo è l’azzeramento della ricerca, pertanto non ho potuto, da studiosa del fenomeno, non convenire sull’efficacia terapeutica delle pratiche di chi si dedica al culto della santa. In tutte le religioni si va da un santo o una santa, ci si rivolge a loro, perché c’è un pathos, un’emozione, una necessità. Tutte le donne che si rivolgono alla santa sono accomunate da un pathos che poi può prendere forme patologiche».   

Maria nella cristianità è vista come una donna angelica, i musulmani la venerano e la riconoscono come santa. Che rapporto aveva la nostra santa con la figura di Meryem? 

«La Maria coranica è modello di virtù e santità per S.A.M.» 

Zawiyya Manoubia, esterno

Esterno (ph. Zawiyya Manoubia)

L’aspetto della religiosità e della musica. Durante i riti si praticano musica e danza. Dal punto di vista antropologico, in che modo il culto di una santa espletato attraverso riti, canti e danze che sfociano in una trance può portare alla cura e in alcuni casi all’ emancipazione?  

«Lo stato di trance e le capacità taumaturgiche, i poteri divinatori, i riti collettivi, sono tutti elementi del passato ma ancora attuali e praticati. Da un punto di vista antropologico non sono che metodi per far defluire la crisi. La trance e il sogno, tema ricorrente nelle donne che ho incontrato e intervistato, servono a elaborare la sofferenza». 

Sullo sfondo c’è Allah, e i musulmani sono chiamati a sottomettersi e a credere in un solo Dio, ma credono anche negli angeli e nei jinn. In che modo Sayyida ‘Aisha al-Mannūbiyya riesce a mettersi fra Allah e le persone che nella sofferenza cercano in forme quasi eretiche e pagane di liberarsi dal male per tornare a lui? 

«Lei lo fa usando un altro elemento di alterità: il suo eccesso di corporalità che porta con sé anche un valore erotico. Lei leccava per curare le persone. Ma allo stesso tempo, il suo corpo santo è anche sfuggevole. Non si sa nulla di dove sia interrata, di dove siano i suoi resti santi. Esistono nei racconti diverse varianti, sia sul modo in cui conduceva la sua vita, sia sulla sua morte. Per quanto riguarda il credere nei santi e nei jinn [3], nella antropologia classica, questi elementi non sono altro che i poli opposti del bene e del male che dialogano, ma nell’accezione di chi sperimenta il rito, il culto della santa e la presenza del jinn sono accompagnati da una comunione musicale. Spesso la possessione irrompe con il jinn, poi la musica e i ritmi portano alla chiaroveggenza per raggiungere la santa. Le donne incontrate sono tutte donne che hanno avuto traumi, problemi psichici, possessioni, visioni. Pensare di medicalizzare queste donne sarebbe troppo semplice. Qui santità e malattia si mischiano in una ricerca di riscatto sociale. La malattia diventa la strada per vedere Dio, il cammino iniziatico». 

A chi si rivolge questo libro? Qual è il messaggio finale che porta? 

«È un libro destinato a quegli operatori che credono di curare il caos con la medicina, di dare cure mediche a chi cerca in realtà risposte. L’Occidente ha bisogno, specialmente nei centri medici, di mediatori etnoclinici che sappiano ascoltare invece che curare dando solo medicine. La depressione descritta da alcune delle donne che ho incontrato nei luoghi di culto della santa, afferma che questa non necessariamente nasce dentro di sé, ma che può venire da fuori, da forze che spingono a stare male, dunque non da malattie dentro se stessi. Il Corano dice che la malattia la manda Allah, allora questo libro devono leggerlo futuri terapeuti di mondi plurali per capire che il mondo è complesso e che ci sono tante forme di salute. È questo forse il senso ultimo del lungo lavoro di ricerca che ho condotto in Tunisia sul culto di questa donna e santa islamica, Sayyida ‘Aisha al-Mannūbiyya». 

Zawiyya Manoubia, ingresso

Ingresso (ph. Zawiyya Manoubia)

Il concetto di  “incontro” e la “capacità di vedere e ascoltare”, intesi come “medicine” per curare con delicatezza ed empatia il disagio mentale di alcune delle devote della santa, sono gli elementi che più ci colpiscono una volta finita l’intervista. Poi, dopo la lettura del libro [4], che scorre come se si stesse leggendo un racconto avvincente e non un saggio accademico, non ci resta che recarci nelle due zawiyya dedicate al culto della santa per respirare e toccare con mano quanto ascoltato e letto sin qui.

La zawiyya di Gorjani, una volta trovata con l’aiuto di qualche abitante gentile del quartiere sopraelevato e incastonato fra le due zone umide della città, la Sebekha Sijoumi e il Lac di Tunisi, risulta chiusa e abbandonata anche dagli affittuari che vi abitavano a fianco. L’altra, la zawiyya della Manouba, è invece aperta.

Questo santuario, che si staglia dietro ad un arco bianco in fondo a una strada alle spalle dell’ospedale al-Razi, ha una secolare tradizione di perfetta integrazione con il popolo e di radicamento religioso dai contorni affascinanti. Essendo domenica pomeriggio quando ci rechiamo lì, ci troviamo ad entrare proprio nel pieno di una cerimonia di hadra [5]. Una volta reso omaggio a quella che dicono essere la tomba della santa, la cui bara in legno ricoperta di drappi verdi e rossi (i colori dei santi sufi) è posta al centro di una stanzetta dalle mura decorate e dal soffitto a qubba [6], ci ritroviamo nel cortile principale dove la cerimonia è nel pieno del suo svolgimento.

Zawiyya Manoubia, danza rituale

Danza rituale (ph. Zawiyya Manoubia) 

Siamo travolti dalla musica ipnotizzante e ripetitiva dei tamburi. Poi iniziano le danze, prima solo mani che si muovono al ritmo delle percussioni, poi corpi che si liberano dalla paura di essere guardati e giudicati e che si muovono mostrando a tratti un’elasticità quasi innaturale e una disinvoltura che si spiega solo con l’ebbrezza, simile a quella dell’alcol, data dal rito, infine gli yu-yu [7] che accompagnano la trance di una donna che cade a terra con gli occhi all’indietro.

In un attimo il patio si trasforma in  un vortice fatto di donne con in mano candele e involucri benedetti dalle compagne di rito che sono a guardia della santa. Alcune sventolano bandiere rosse e verdi, altre rivendicano offerte alla santa. Gruppetti di ragazze più giovani sprizzano allegria dagli occhi laddove altre, donne più anziane e provate, hanno occhi che sprigionano cupezza e difficoltà.

La percezione di essere testimoni di un rito collettivo antico, il desiderio di farsi piccoli per non intralciare, il pudore difronte a un’esperienza forte ed emozionante, la conferma di quel “pathos” di cui ci parla la Faranda, rendono la visita alla zawiyya il coronamento di un percorso iniziato con la partecipazione alla presentazione del libro a Tunisi e finito fra gli yu-yu delle donne tunisine devote a S.A.M., santa mistica islamica che, vissuta nel XIII secolo e formatasi alla tradizione Sufi, è divenuta riferimento spirituale di tutta la Tunisia e del Maghreb. Donna antica, ma ancora fonte di ispirazione. Donna che ha vissuto da ribelle. Donna che con le sue peripezie, con il rifiuto del matrimonio, con la ricerca dell’istruzione e della libertà per se stessa e per le altre, è finita per diventare simbolo contemporaneo di un femminismo ante litteram.

Dialoghi Mediterranei, n.73, maggio 2025 
Note
[1] Sayyida ʿĀʾisha al-Mannūbiyya (595–665/1199–1267, secondo Amri 2008) fu una donna di insolita fama nell’Ifrīqiyya del VII/XIII secolo, allora sotto il dominio degli Ḥafṣidi. (Gli Ḥafṣidi erano una dinastia berbera, che governò dal 627/1229 al 982/1574 sui territori dell’Ifrīqiya (l’odierna Tunisia) che si estendevano, nel suo periodo di massimo splendore, dall’est dell’odierna Algeria all’ovest dell’odierna Libia). Fu una delle poche donne di cui fu scritta un’agiografia (manāqib). Nata nel villaggio di al-Manūba (La Manouba), 6 chilometri a ovest di Tunisi, si recava in quella città per studiare gli insegnamenti degli Shādhiliyya Ṣūfī. L’importanza di Sayyida al-Manūbiyya va ben oltre l’Ifrīqiyya medievale, poiché rappresenta una figura di spicco della santità delle donne nell’Islam. (Katia Boissevain. al-Mannūbiyya, Sayyida ʿĀʾisha. The Encyclopaedia of Islam, 2013, 3. (http://referenceworks.brillonline.com/entries/encyclopaedia-of-islam-3/al-mannubiyya-sayyida-aisha-COM_24813)
[2] żàvia (o żàuia; anche żàviet o żàuiet) s. f. [adattam. dell’arabo zāwiya 〈àauiia〉, in origine «angolo», quindi «cella di eremita» e «piccolo oratorio»; pl. zawāyā]. – Complesso e centro per l’esercizio del culto e l’insegnamento religioso musulmano, costituito di norma da una moschea, dalla tomba di un santo, e da altri edifici o ambienti destinati ad alloggio e alla didattica, talvolta anche al commercio, caratteristico dell’Africa settentrionale. (https://www.treccani.it/vocabolario/zavia/)
[3] ginn, Denominazione araba degli spiriti che popolano la natura e il cui influsso, ora benefico ora malefico, si esercita continuamente sulla vita umana. (https://www.treccani.it/enciclopedia/ginn_(Enciclopedia-Italiana)/).
[4]  Peripezie di una santa. Il culto di Sayyida ‘Aisha al-Mannūbiyya nella Tunisi contemporanea di Laura Faranda (edizioni Museo Pasqualino, 2024). (https://www.edizionimuseopasqualino.it/product/peripezie-di-una-santa-il-culto-di-sayyidaaisha-al-mannubiyya-nella-tunisi-contemporanea/)
[5] ḥaḍra in Africa nord-occidentale, riunione delle confraternite musulmane per le cerimonie in comune degli affiliati. (https://www.treccani.it/enciclopedia/hadra_res-3bd073b8-b985-11df-9cd8-d5ce3506d72e/).
[6] qùbba s. f., arabo. – Cupola, volta, edificio a volta (v. cuba). Nell’Africa settentr. il termine è usato, in partic., per indicare le tombe di santi musulmani, costruite in forma quadrangolare con cupola. (https://www.treccani.it/vocabolario/qubba/)
[7] Yu-yu particolare grido eseguito esclusivamente da un’assemblea di donne, diffuso specialmente in Nord Africa, e connesso a circostanze cariche di emozioni come feste nunziali, periodo di lutto per parenti deceduti, processioni per la circoncisione di bambini e cerimonie religiose per sole donne.  

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Francesca Spinola, giornalista professionista attualmente residente a Tunisi, ha conseguito un diploma in Studi arabi e islamistica presso l’Istituto Dar Comboni al Cairo e un master in Studi arabi e islamici presso il PISAI – Pontificio istituto di studi arabi e islamica. È laureata in scienze politiche indirizzo politico internazionale (Università “La Sapienza”). Sta associando al giornalismo la ricerca in studi islamici con un focus sulle questioni di genere. È autrice di numerosi articoli giornalistici e di alcuni saggi di cui l’ultimo è Blu Tunisi: viaggio nella città e nei suoi cinque storici villaggi edizioni Infinito, 2024.

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