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Un viaggio nei Balcani: la scoperta di un Mediterraneo ritrovato
Posted By Comitato di Redazione On 1 maggio 2017 @ 00:34 In Cultura,Società | No Comments
di Maria Immacolata Macioti
Ho potuto fare, nell’aprile 2017, con “Fuori dai paraggi” un viaggio particolarmente bello e istruttivo, nella parte meridionale dei Balcani.
Ho così visto, come prima tappa, il 14, Tirana. Una Tirana molto più ampia e moderna rispetto a quella dei miei ricordi degli anni passati. In cui accanto alle note, vecchie costruzioni comuniste, decisamen- te scoraggianti da un punto di vista estetico, vi erano nuove case belle e moderne, parchi pieni di verde, con alberi in fiore, pieni di bei bar con tavoli all’aperto. Vie asfaltate, con marciapiedi. Sparite invece le strade dirute, fangose. Scomparse le vendite di povera merce per strada, nel fango. Abbiamo dormito in un bell’albergo, con comode stanze ben riscaldate e arredate, con vista su un folto verde. Si intravedeva anche una bella piscina invitante: ma il rigore del tempo non era incoraggiante. Tirana: una città che chiaramente si sente oggi europea, che si pone come una delle capitali possibili dell’Unione Europea: una aspirazione che tornerà ad essere espressa con forza dagli albanesi con cui entreremo in contatto durante questo intenso percorso. Entro due anni, credono, sperano, ribadiscono, faranno parte dell’UE.
Noi che veniamo dall’Italia e che abbiamo ben presenti i problemi attuali dell’UE. non esprimiamo fino in fondo le nostre perplessità in merito. Ripartiamo presto, dalla capitale albanese. Ma non senza esserci resi conto del grande apporto dato dalle rimesse dei migranti, da cui lo sviluppo urbanistico ma anche, ad esempio, l’attenzione per il cibo: molti che oggi lavorano in questo settore, in Albania, avrebbero alle spalle, ci viene detto, lunghi soggiorni lavorativi in Italia, da cui l’apprendimento riguardante la ristorazione [1].
In generale ho molto apprezzato il nostro esserci mossi tra tre diversissime realtà come l’Albania, la Repubblica di Macedonia e la Grecia – o meglio, la Macedonia, l’Epiro e la Tessaglia, in Grecia. Siamo passati attraverso lunghi tratti con campi verdeggianti e montagne innevate, con poche abitazioni. La colza in fiore tinge l’orizzonte di giallo. Altrove, alberi da frutto in fiore, profumati lillà. Piccoli fiori selvatici, violetti. Così era, se non ricordo male, l’Italia del dopoguerra, con un’ampia campagna e poche abitazioni. Abbiamo costeggiato laghi pieni di uccelli, circondati da piante in fiore. Con rari pescatori immobili in attesa che qualche pesce abboccasse al loro amo, con cani che si muovevano contenti sulle sponde assolate. Cani senza museruole o guinzagli, apparentemente liberi. Tra i più preziosi ricordi, il mare davanti a Salonicco [2], con il monte Olimpo sullo sfondo, tra nuvole basse. Un Olimpo con la cima innevata: una grande emozione, ritrovare così il monte degli dèi di cui tutti abbiamo sentito, in anni lontani, narrazioni e rievocazioni. Di cui tanto abbiamo letto. Un Monte Olimpo che vediamo dal basso, dal porto. Che rivedremo dall’alto, dalle antiche mura.
Da studiosa dei fenomeni religiosi mi ha particolarmente interessato la visita al centro della comunità Bektashi e al Grand Baba, a Tirana, il 14 aprile. Avevo sentito parlare, naturalmente, della comunità Bektashi, dei sufi. Ne avevo letto. Ma è stata questa la prima volta in cui ne ho potuto incontrare da vicino dei membri, in cui ho potuto ascoltare il Grand Baba, assaporare il suo interesse e la sua cortesia, vedere da dentro una loro sede, con moschea e museo (purtroppo, quasi tutto il materiale era in albanese!), godere della sua ospitalità, ascoltarne gli insegnamenti, le pacate risposte alle nostre domande mosse dalla curiosità, dallo sconcerto nell’incontrare degli islamici così poco rispondenti agli stereotipi. Al momento del commiato – dopo una merenda in una sala appositamente preparata – lui, il Grand Baba, ci ha accompagnati al pullman, ha dato la mano a uomini e donne, un fatto per noi notevole, dopo le tante inverse esperienze in merito, in Italia così come in certi paesi africani, per non parlare dell’Iran. Non solo: il Grand Baba ha persino abbracciato l’organizzatrice del viaggio, Lucia Cuocci. Ha detto che si augurava di rivederci a Palermo, dove i Bektashi contano di aprire, possibilmente in tempi non troppo lontani, una loro sede.
Mi ha certamente interessato anche la visita all’UNHCR a Salonicco, il 18 aprile – da anni studio e seguo i trend migratori –, anche se si è trattato di un rapido incontro da cui sono però emersi interessanti dati e statistiche [3]. Ma qualcosa sulle migrazioni abbiamo potuto comprenderlo perfino, indirettamente, nell’attraversamento delle frontiere tra Albania [4] e Repubblica di Macedonia [5], tra Repubblica di Macedonia e Grecia; e ancora, al rientro, tra Grecia e Albania. Un attraversamento per noi semplice, fatto da privilegiati europei. Eppure già da prima ci sono state molte raccomandazioni per i passaporti, da tenere pronti, da consegnare. Trasferiti per i controlli al posto di blocco, riconsegnati dopo anche venti minuti buoni, forse mezz’ora, al posto di blocco successivo: non senza serpeggianti preoccupazioni, tanto che quando tornano li controlliamo, uno per uno. E’ occorso che qualcuno sia salito sul pullman, per vederci da vicino: eppure i nostri erano tutti passaporti elettronici, dell’Unione Europea.
Non solo: quando, per la prima volta, al ritorno, uscendo dalla Grecia, ci hanno fatti scendere e andare, uno per uno, ai controlli, una vaga inquietudine ha certamente serpeggiato tra le nostre fila. Deve essere ben difficile, in effetti, passare queste frontiere poste tra alte montagne senza documenti in regola, da migranti, da fuggitivi. Il campo già situato vicino alla frontiera greca, proprio quella da noi superata il 17 aprile, dopo una notte tra le montagne, a Popovo Kula [6], ora vuoto, è stato a lungo presente nei media. Era di circa 12 mila persone, il campo di Idomeni. Sembra che i greci si siano molto adoperati negli aiuti, nonostante la difficile situazione del Paese. Un’esperienza, comunque, significativa, per noi, questa del superamento di frontiere in un’epoca di allarmi anti-migranti, di barriere, di muri previsti in alcuni Paesi europei. Di esternalizzazione delle frontiere e dell’asilo [7].
Questo viaggio, certamente faticoso – solo per tre notti, a Salonicco, si potrà dormire nello stesso albergo –, si rivela per più versi interessante. Chiunque abbia interessi urbanistici non può che apprezzare le città che vediamo, che percorriamo in pullman e a piedi. In cui visitiamo diversi quartieri. Città più o meno grandi, con evidenti commistioni storiche e politico-culturali, con edifici del regime comunista immediatamente riconoscibili anche per la bruttezza, e con nuove, belle, più ricche abitazioni; o con antichi e meno antichi edifici di culto, in genere molto frequentati da uomini e donne che si chinano a baciare immagini sacre, che accendono candele gialle sottili, che pregano con fervore davanti a dipinti di santi, di angeli, di Maria, di Gesù, il cui oro brilla nel buio. La gente esce dopo aver fatto per tre volte il segno della croce, camminando all’indietro per non dare la schiena alla sacra immagine. Questo, soprattutto in Albania e nella Repubblica di Macedonia. Il che mi ricorda un po’ quanto avveniva in Italia, anni addietro, in certi santuari. Certamente, in quello della Santissima Trinità, a Vallepietra.
A Bitola, in Macedonia, nonostante i dati ci parlino di un Paese in difficoltà, con un tasso di fecondità in discesa se non a picco, vediamo strade piene di uomini e donne vestiti a festa, bambine con abitini eleganti e fiocchi, maschietti con abiti con pretese di eleganza: è Pasqua. C’è musica ovunque, nei ristoranti, per strada. Ci viene mostrato con orgoglio un edificio con un vecchio carro armato sul fianco sinistro di chi guarda: un tempo, una importante scuola di studi militari. Ha studiato qui, ci spiegano, Mustafa Kemal, colui che diverrà il celebre Atatürk, padre dei turchi. Più avanti scopriremo che vi è in Salonicco la sua casa natale, un museo che lo riguarda.
Abbiamo visto, nei pressi di Bitola, in una estesa area verde, le rovine di Eraclea. Dove troviamo tratti dell’insediamento, un anfiteatro, monete antiche, frammenti di colonne, di statue, di manufatti: ma non i celebri mosaici che un tempo rendevano unico questo luogo. Sono stati ricoperti, ci viene spiegato, per proteggerli. Da viziati occidentali non possiamo credere ai nostri occhi: abbiamo visto troppi mosaici o pavimenti preziosi protetti da opportuni vetri, con la doppia funzione di proteggere e di mostrare, esibire, per non porci interrogativi. Ma il Paese ha grandi difficoltà economiche, l’industria ha vissuto almeno dal 1991 al 2012 una forte fase discendente: non è realistico, immagino, chiedere investimenti onerosi di questo tipo [8].
Ci siamo potuti rendere conto, sia pure per cenni, delle difficoltà di questo Stato [9] e più in generale di Stati i cui territori di confine hanno avuto storicamente travagliate vicissitudini. Abbiamo potuto constatare le difficoltà di certi luoghi divisi tra due o tre appartenenze diverse, persino con il relativo cambiamento del nome dello stesso lago!
Inutile sottolineare la bellezza straor- dinaria di alcuni luoghi visti poi in Grecia [10], dalle Tombe reali a Filippi [11] alle Meteore: credo in assoluto tra i luoghi più belli che io abbia mai potuto vedere, anche per la sapiente presentazione dei materiali: penso, in particolare, alle Tombe reali [12], dove il ricco materiale è esposto in una suggestiva, voluta penombra. Dove i resti architettonici sobri contrastano con lo sfarzo degli arredi. Per non parlare della intelligente restituzione architettonica, che consente di vedere dall’alto l’ingresso alla tomba di Filippo II, quello alla tomba di un giovane principe, forse un Alessandro IV figlio di Alessandro Magno e la cosiddetta Tomba di Persefone [13]. Sapienza architettonica e bellezza naturale, riscontrabili certamente qui, a Filippi; ma poi anche alle stupefacenti, sobrie, poco raggiungibili Meteore (le Sacre Meteore), grigie rocce aguzze piantate nel terreno, isolate. Di origine meteoritica. Oggi, con pochi monasteri in cima [14]: non è questa un’epoca particolarmente ascetica. Monasteri ricchi comunque di opere d’arte, dalle icone ai ricami dorati.
Mi sono molto piaciute anche le soste a Kastoria, con il suo bel lago già citato da Procopio e a Koriza in Albania, la loro Corcia: una cittadina di indubbia bellezza, ricca di arte e di storia. Qui sembra sia nato l’attuale presidente, già noto per aver pensato, anni addietro, a far dipingere alcune case di Tirana per renderle più interessanti, meno brutte. Un artista, ci spiegano. E anche un architetto. È’ lui, Edi Rama, succeduto a Sali Berisha, che ha voluto la costruzione del bel Museo ricco di più di 7 mila icone, su più piani. È lui che ha voluto la costruzione di una bella via che percorreremo rientrando a Tirana. Abbiamo trovato, in questo viaggio, anguste vie montagnose, ma anche quelle che da noi si direbbero superstrade. Vie dai ben chiari tracciati, percorse da un certo traffico. Ma abbiamo percorso anche tratti accidentati, con il pullman che urtava, con un fianco, alberi, arbusti che ne graffiavano la fiancata, mentre sull’altro lato le acque del lago erano, apparivano pericolosamente vicine: le case di Kastoria si vedono lontane, mentre cigni e pellicani si contendono la nostra attenzione. Per vari tratti, più volte abbiamo seguite le antiche tracce di quella che qui è nota come Via Egnatia, la via Ignazia, diremmo noi italiani oggi. Un’antica, importante via romana, un tempo percorsa dai soldati, oltre che da commercianti. Aveva i suoi inizi nell’antica Illiria (oggi, Albania), passava attraverso la Macedonia e la Tracia, continuava verso l’Ellesponto e Bisanzio.Una sorta di continuazione, se ben capisco, della via Appia. Si tratta della via che verrà percorsa anche dall’apostolo Paolo nei suoi viaggi per la diffusione dell’insegnamento di Cristo [15].
Né vorrei dimenticare un paese in montagna dove abbiamo dormito una notte, dopo aver passeggiato sotto il nevischio per vedere le botteghe artigiane, ancora in Grecia, un paese con enormi platani secolari, con balconi e terrazze pieni di provviste di legna tagliata, pronta per essere bruciata, con interessanti botteghe artigiane con prodotti che vanno dal legno all’argento e alle pietre preziose: Metsovo.
Il ritorno, con un lungo viaggio in pullman tra Grecia e Albania, ci ha permesso di vedere un filmato la cui protagonista era la moglie (oggi, vedova) di Enver Hoxha: una donna notevole, che racconta con sicurezza, senza esitazioni, di sé, delle sue scelte politiche, del suo dedicarsi alle attività sociali e politiche. Dell’incontro con il futuro marito, della loro vita insieme, dei tre figli. Una bella ragazza, quella che andrà sposa al promettente leader; una donna sui novant’anni, oggi, ancora evidentemente legata alla memoria del marito, alle scelte da lui fatte, alla vita trascorsa insieme. Che rivendica i tanti miglioramenti occorsi al Paese sotto la guida del marito. Anche se lui, ammette, temeva un’invasione da parte russa, viste le scelte non sempre in linea [16]: un quadro sostanzialmente positivo, quello che esce dalle sue labbra.
Nello stesso tempo abbiamo potuto, grazie a Giuseppe, dell’agenzia che ha organizzato il percorso con la Cuocci, la quale ha fornito pullman, autista, guide, abbiamo potuto avere, dicevo, una voce alternativa a questa interpretazione positiva del comunismo: con i ricordi della ingiustificata prigionia di tanti, della paura all’epoca dominante. Io che avevo raccolto molte significative storie di albanesi all’epoca degli sbarchi in Italia ho ritrovato narrazioni, paure note; donne mandate in carcere senza una apparente solida ragione, mariti che fanno giungere avvisi di divorzi voluti, reclamati. Figli che crescono senza poter vedere la mamma. Una volta che questa sia uscita, dopo una lunga detenzione, dal carcere, senza poter scambiare parole con chi ha dato loro la vita: qualcuno potrebbe cogliere parole, sorrisi. Potrebbe avvertire le autorità. Il racconto di Giuseppe, che va in questa direzione, che rievoca altri simili ricordi di estraneazione, mi rafforza nella convinzione di un periodo di grande durezza e difficoltà, vissuto da molti albanesi.
Insomma, un viaggio ricco di suggestioni, di spunti. Tanto che ci dovrò riflettere per settimane e settimane, prima di poter ricordare e sviscerare adeguatamente i tanti aspetti, i tanti contenuti.
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