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Un progetto per mille memorie

Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2023 @ 00:19 In Cultura,Società | No Comments

 

1.1950. Panorama della valle delle miniere visto dalla località Le Matole Comune di Cavriglia, MINE, museo delle miniere e del territorio - Centro di documentazione, Fondo APE

1950. Panorama della valle delle miniere visto dalla località Le Matole Comune di Cavriglia (MINE, Museo delle miniere e del territorio – Centro di documentazione, Fondo APE)

il centro in periferia

di Paola Bertoncini 

22 Febbraio 2022 esce sui giornali una notizia: il borgo fantasma di Castelnuovo dei Sabbioni torna a vivere. Castelnuovo, frazione del Comune di Cavriglia, ha vinto per la Toscana il bando del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza aggiudicandosi i 20 milioni messi in gara nel bando borghi Linea A promosso dal Ministero della Cultura; un piano nato per rilanciare i borghi italiani attraverso due linee di azione, borghi che sarebbero stati individuati dalle Regioni e dalle Province autonome e altri selezionati tramite avviso pubblico rivolto ai Comuni. Un piano che secondo il Ministero, attraverso «un meccanismo virtuoso», permette di «creare una crescita sostenibile e di qualità e di distribuirla su tutto il territorio nazionale» [1]. Un progetto pensato come un’azione attraverso la quale il recupero del patrimonio storico artistico si affianca a una vocazione specifica da individuare proprio nei luoghi oggetto di rigenerazione. La vittoria assegnata al progetto di recupero presentato dal Comune di Cavriglia è stata annunciata in conferenza stampa da Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana. Il vecchio paese di Castelnuovo può tornare a vivere mettendo al centro delle scelte rigenerative la cultura e la riqualificazione funzionale delle strutture. 

Il borgo Castelnuovo d’Avane entro il 2026 vedrà lo sviluppo di una serie di progetti e di azioni che riqualificheranno l’intera area. La storia di questo piccolo paese è piuttosto complicata e le trasformazioni territoriali prodotte nel tempo sono state tali da rendere il luogo una stratificazione di tracce e residui che hanno richiesto forza e volontà di rilettura per narrarne la storia. Per comprendere il senso rigenerativo ricercato per Castelnuovo d’Avane è necessario ricostruire le sue vicende storiche.

Partiamo dal nome. Castelnuovo d’Avane è il nome medioevale che il luogo aveva, nome giunto almeno fino al XIX secolo quando iniziò ad essere chiamato Castelnuovo dei Sabbioni. Il “sabbione” era l’appellativo che i vecchi davano all’argilla che copriva il banco lignitifero sottostante. Terra difficile quella del sabbione, dura come la pietra se si secca, appiccicosa come la melma se si bagna. Molto spesso gli abitanti del posto e i minatori la definivano così, sabbione, una terra fertile che aveva permesso a questa parte del Valdarno di essere uno dei tanti granai di Firenze. E nel tempo di fattorie e famiglie nobiliari fiorentine nella zona ce n’erano state; grandi Spedali come quello degli Innocenti o di Santa Maria Nuova che con lo sviluppo industriale del luogo ben presto cedettero terre e paesi agli esercenti minerari, trasformando il territorio da agricolo a industriale (Bertoncini 2019); si passò dal coltivare frumento a coltivare il banco lignitifero e i contadini-minatori (Sacchetti 2002) impararono presto a far convivere i due mondi.

Fu così che si aggiunse “Sabbioni” a Castelnuovo per il paese posto sopra uno sperone di roccia a due passi dalle bocche di miniera. Il nome medioevale di Avane rimase in uso per indicare altri luoghi vicini al paese mentre dai paesani fu presto dimenticato. Avane si usava ancora quando si parlava di Poggio d’Avane e San Donato in Avane, un paese sviluppatosi lungo un torrente [2]; Avane era il nome della piccola chiesetta di Santa Maria, posta nei pressi di Bomba e risalente all’età carolingia [3]; Avane infine, come ci ricorda il Repetti era un nome dato a molte contrade e «tutte le località, le quali portano il nome di Avane, Avena, Avenano, ecc… furono già rivestite di foreste, piuttosto che coltivate a Vena e possedute dalle dinastie di conti, marchesi o altri potenti baroni e nobili di Contado» [4].

2.Marzo 1975. Bacino minerario, Castello basso, cava e “Betta” visti dalle Matole, autore Emilio Polverini, Comune di Cavriglia, MINE, museo delle miniere e del territorio - Centro di documentazione, Fondo APE

Marzo 1975. Bacino minerario, Castello basso, cava e “Betta” visti dalle Matole (ph. Emilio Polverini, Comune di Cavriglia, MINE, Museo delle miniere e del territorio – Centro di documentazione, Fondo APE)

Dall’Ottocento però pian piano la parola andava perdendosi nella memoria degli abitanti venendo sostituita da Castelnuovo dei Sabbioni; un nome che gli abitanti poi si sarebbero portati dietro nel nuovo paese, costruito a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso nella località Camonti, la zona collinare sovrastante l’area evacuata, individuata all’epoca come zona adatta a ricostruire le case che le miniere di lignite avevano distrutto.

«Dare un nome significa organizzare il mondo» (Lai, 2004: 25): la questione dei nomi in questa vicenda ci aiuta anche a ricucire i fili con la storia, quella più recente e quella più lontana. Nel nostro caso la questione del nome è anch’essa residuale, rimanendo però come una traccia per ricostruire un percorso complesso che ha messo in relazione, anche conflittuale, uomini e paesaggi, trasformando entrambi in uno scambio vicendevole di distruzione e ricostruzione. Un mutamento dei luoghi che in questo racconto si accompagna alla trasformazione delle collettività, dove il saper essere e il saper fare hanno tessuto nel tempo una narrazione complicata fatta di luoghi che scompaiono, comunità diasporiche e processi di rigenerazione dei suoli, dei paesaggi e della collettività.

La questione del nome è qualcosa che lega profondamente la storia di questi luoghi, agricoli, plasmati dalla mano secolare dei mezzadri che in poco tempo si sono trasformati in spazi industriali e minerari per poi essere ancora oggi oggetto di recupero e riqualificazione. Le persone intervistate qualche anno fa per un progetto di approccio pedagogico al patrimonio culturale sottolineavano spesso nei loro discorsi come nell’area ci fosse sempre un’idea di “ordine”, di “rimettere a posto”, di “rassettare qualcosa” perché questo avevano sempre visto e vissuto: una rapida trasformazione dei paesaggi che hanno avuto e hanno ancora oggi bisogno di essere “rimessi a posto”.

Nel tempo non solo Castelnuovo ma anche altri luoghi hanno cambiato nome e localizzazione. Molti sono scomparsi velocemente, insieme alla terra sulla quale insistevano, lasciando solo il toponimo sulle vecchie mappe; altri si sono adattati nel tempo ai nuovi immaginari che si stavano creando. Così è accaduto che il paesaggio minerario che circondava Castelnuovo dei Sabbioni e gli altri paesi vicini, nel tempo abbiano subito cambiamenti di senso dovuti alle parole utilizzate per descriverli: da valle del borro dei Lanzi a paesaggio lunare ─ negli anni Settanta ─, per concludersi come valle delle miniere (Bonaccini 2015). Ad ogni nome si accompagnavano la costruzione di un nuovo immaginario e una nuova narrazione che nel tempo hanno costruito la memoria dei luoghi. Nelle mappe conservate negli archivi invece rimangono i toponimi che col tempo scompaiono dal ricordo di chi questi luoghi ha abitato.

Tutte le storie oggi si racchiudono nei tre bacini di scavo: Castelnuovo, Allori, San Donato-Gaville; in mezzo si trova la narrazione dei luoghi: piccoli poderi e insediamenti che avevano segnato lo sviluppo di quest’area. Oggi questa memoria rimane ancora nel ricordo dei più anziani e nei materiali conservati presso il centro di documentazione del museo. La sparizione dei luoghi si è portata dietro la sparizione dei nomi e poiché siamo ciò che nominiamo, come direbbe Heidegger, viene da chiedersi cosa siano oggi queste terre. Ex aree minerarie in fase di recupero. Come ogni patrimonio minerario il loro valore è mutato col mutare dell’attività, lo si definisce paradosso patrimoniale (Preite 2018) e in questa trasformazione prendono vita altri racconti che si connettono con la storia dei luoghi. I paesaggi cambiano, i nomi si dimenticano e la storia dei luoghi diviene un processo di patrimonializzazione ancora in corso. Cosa rappresentano gli spazi delle ex miniere per le giovani generazioni? Quale senso evoca in loro il nome del vecchio paese fantasma Castelnuovo dei Sabbioni oggi Borgo Castelnuovo d’Avane? In questi scarti generazionali stanno le maglie della trasformazione del patrimonio; osservando questi passaggi comprendiamo appieno quel senso di movimento (Hafstein 2018) che è insito nel patrimonio così come la forza della narrazione pedagogica.

Nomi che si trasformano, suoni che cambiano. Anche questo è un racconto che può rivivere negli spazi del museo ma che ha necessità di dialogare con i progetti di rigenerazione in corso. I suoni contraddistinguono i paesaggi, ne scandiscono i ritmi e li raccontano. Le miniere erano un paesaggio sonoro importante per la comunità che viveva loro attorno. «Quando nel 1994 chiusero le miniere sentimmo il silenzio», questa frase al museo MINE è stata più volte pronunciata da alcuni vecchi abitanti del paese di Castelnuovo; pare quasi un’esagerazione ma se andiamo a rileggere la storia delle miniere del Valdarno, ci accorgiamo presto che il silenzio storicamente aveva indicato ben altri contesti in questa zona: uno sciopero, una serrata, un momento di protesta; il silenzio voleva dire che le miniere per qualche motivo non erano attive. Il silenzio era un problema; oggi esso predomina nell’ex area mineraria. Il silenzio può essere un altro motivo di indagine di questa storia fatta di mutamenti e rigenerazioni; un punto di partenza che può rimettere in circolo le sonorità dei luoghi e dei corpi che li abitavano e li abitano ancora.

Le miniere di lignite del Valdarno producevano sonorità che contraddistinguevano i luoghi: scoppi, crolli, scricchioli, sirene, treni che sferragliavano e così via… una sonorità che dalla galleria è passata in modo diverso nelle miniere a cielo aperto: nella seconda metà del Novecento i suoni dati dal ronzìo delle macchine, dal cigolio, dal loro lento avanzare ricordavano la produttività, il lavoro, le trasformazioni in corso. Questo era il suono prodotto dal corpo metallico, industriale e minerario al quale si affiancavano i suoni ai quali davano corpo i minatori. Le voci cambiano con i corpi e col benessere, cambiano a seconda dei sessi e delle aree di provenienza. Le sonorità delle miniere erano fatte di metallo e corpi, giovani, anziani, maschi e femmine; sonorità provenienti dalla tradizione orale mezzadrile che lentamente si era insinuata nel mondo industriale. Di questo mondo si conservano testi ma anche voci; e poi sono arrivati coloro che hanno aggiunto altre storie e altri suoni. I minatori hanno smesso di cantare e altri hanno iniziato a cantare i minatori: Caterina Bueno ma anche l’opera del Canzoniere del Valdarno fino al combat-folk di Casa del Vento. Una storia fatta di trasformazioni, di suoni e di rigenerazioni che in borgo Castelnuovo d’Avane possono saper di vecchio oppure possono essere strumenti interessanti per rileggere il patrimonio lasciato e generare nuovi processi. 

3.29 maggio 1977. Bacino minerario nell’area di Bomba: escavazione, autore Emilio Polverini, Comune di Cavriglia, MINE, museo delle miniere e del territorio - Centro di documentazione, Fondo APE

29 maggio 1977. Bacino minerario nell’area di Bomba: escavazione (ph. Emilio Polverini, Comune di Cavriglia, MINE, Museo delle miniere e del territorio – Centro di documentazione, Fondo APE)

Altri sensi entrano in gioco in questa storia di mutamento e rinascita: conosciamo e percepiamo il territorio che ci circonda sempre e comunque attraverso dei punti di vista obbligati. Nel caso della storia di Castelnuovo il punto di vista obbligato è quello che nel tempo si è formato dalla mancata fruizione del territorio. L’escavazione a cielo aperto della lignite del Valdarno, che prese avvio nel 1956 con l’impiego di grandi escavatori a catene e tazze di fabbricazione tedesca, comportò lo scoperchiamento del banco. Tonnellate di terra da asportare e da posizionare nei luoghi vicini allo scavo da un lato e profonde voragini e distruzione degli abitati dall’altro. In poco meno di 50 anni circa 2000 ettari di terreno hanno cambiato il loro assetto geomorfologico e idrogeologico. Un’opera immensa, non unica in Italia ma per estensione e antropizzazione unico caso che avvicina il contesto estrattivo di Santa Barbara alle miniere tedesche.

Le concessioni minerarie che nel tempo si sono succedute hanno di fatto imposto alla popolazione di Castelnuovo ─ e non solo ─ di non poter fruire di un’area precedentemente conosciuta e abitata; la popolazione è stata esclusa dal vivere una porzione di territorio. In questa porzione di territorio sono state apportate tali modifiche da rendere molto difficile oggi riappropriarsene visivamente. Con il passare degli anni i punti di riferimento rimasti in piedi e noti alla popolazione si son drasticamente ridotti e l’assimilazione della trasformazione ha iniziato a far parte di un modo di vivere e percepire l’ambiente da punti di vista obbligati: dall’alto verso il basso. Nelle colline circostanti la zona di escavazione sono stati costruiti nel tempo i nuovi insediamenti abitativi e da lì si è sempre guardato giù, in basso, prima le macchine al lavoro che lentamente cancellavano la storia dei luoghi, poi la formazione dei laghi. Le giovani generazioni, nate dopo gli anni Novanta, hanno visto in questo sguardo dall’alto verso il basso i laghi, un paese abbandonato e le torri di raffreddamento della centrale elettrica di Santa Barbara, progettata da Riccardo Morandi.

La storia visiva di quello che era Castelnuovo e la valle delle miniere la si apprende in casa, dal racconto dei nonni o al museo. Questi punti di vista obbligati sono l’unica finestra che permette di ricucire la narrazione di questi luoghi. Viene da chiedersi in un contesto rigenerativo quali altri punti di vista si potranno produrre e quali narrazioni essi stessi genereranno. Sembra quasi banale come riflessione ma l’obbligatorietà del punto di vista ha generato una ampia produzione fotografica, oggi presente anche nel museo, che ha sottolineato in modo forte la storia trasformativa del territorio producendo un racconto visivo che ancora oggi viene osservato e rimesso in circolo attraverso pratiche di riproduzione e re-post sui canali social che continuano così a riproporne la narrazione. Modificando i punti di vista grazie all’accessibilità del paese si costruiranno inevitabilmente altre storie e altre visioni sul mondo delle ex miniere.

In Italia negli anni Settanta del secolo scorso si spopolavano le campagne; a Castelnuovo dei Sabbioni le persone erano obbligate a lasciare le case e le campagne per esigenze minerarie. La collettività che è rimasta a vivere in questi luoghi ha fatto sì che anche la memoria visiva potesse essere strumento narrativo efficace per raccontare ciò che aveva segnato la storia del paesaggio e di loro stessi. Così 16 mila immagini di privati cittadini e del fondo fotografico di Enel sono arrivate al museo MINE. Si riparte oggi anche da questa lettura visiva del paesaggio per generare nuove visioni. 

Gli odori sono un altro pezzo di questo racconto a cavallo tra ciò che si era e ciò che si potrebbe divenire. La lignite ha un pessimo odore e lo sappiamo almeno dal 1500 quando i contadini della zona reclamavano aiuti al Granduca toscano perché i fumi che si generavano nel territorio «appuzzavano i vini» rendendoli poco appetibili sul mercato. Pochi secoli dopo questo odore si sarebbe appiccicato alla pelle dei minatori. Un marchio che li divideva dagli altri, un segno del lavoro e della vita dura e misera che conducevano; la lignite col proprio odore segnava luoghi e persone. Lo ha fatto fino a quando le miniere non sono state chiuse nel 1994. Da quel momento l’odore della lignite è andato pian piano sparendo, oggi i luoghi sono segnati dall’odore del metano, combustibile che alimenta la centrale. Nella memoria degli anziani si ricorda come legno bruciato, legno andato a male ma solo la chimica e il naso di un vecchio minatore hanno permesso al museo di ricreare in laboratorio quest’odore. Le giovani generazioni rivivono nell’ambiente museale questa sensazione che appena usciti dalla porta si perde tra l’odore delle piante e dei fiori che fino a oggi hanno circondato il vecchio paese di Castelnuovo.

4.Agosto 1974. Panorama della miniera e della centrale di Santa Barbara visti da Castello basso, autore Emilio Polverini, Comune di Cavriglia, MINE, museo delle miniere e del territorio - Centro di documentazione, Fondo APE

Agosto 1974. Panorama della miniera e della centrale di Santa Barbara visti da Castello basso (ph. Emilio Polverini, Comune di Cavriglia, MINE, Museo delle miniere e del territorio – Centro di documentazione, Fondo APE)

Molto di questo Terzo Paesaggio (Clément 2005) che nei decenni passati ha visivamente e olfattivamente caratterizzato Castelnuovo sparirà di nuovo, in un processo rigenerativo che trasformerà i luoghi. Le poche ricognizioni nel tempo fatte dal museo sulle erbe spontanee per sensibilizzare i più piccoli a una percezione sensoriale dei luoghi rimarranno un altro pezzo di questa complicata storia fatta di trasformazioni, rinascite e nuove distruzioni che transitano da Castelnuovo dei Sabbioni a Borgo Castelnuovo d’Avane. Rimarranno sicuramente nel nuovo paese rigenerato l’odore dei platani, piante ormai secolari che hanno assistito ad alcune vicende storiche del paese; sono gli alberi di Piazza IV Novembre silenziosi testimoni dell’eccidio del 4 luglio 1944 che i nazifascisiti hanno compiuto contro la popolazione civile e gli alberi del giardino dell’ex asilo delle suore, voluto nei primi anni del secolo scorso dalla Società Mineraria per dare un minimo di istruzione ai figli dei minatori; altre piante e spazi verdi saranno progettati nel nuovo paese. 

Una storia complessa quella che si porta dietro Castelnuovo; una storia che nel tempo è stata raccolta dal museo MINE aperto nel luglio 2012 e dove pochi oggetti e tanti documenti sono in grado di ricucire i pezzi di questa narrazione. Un racconto che parte proprio dalla collezione del museo, ereditata da un precedente centro di documentazione posto nel nuovo paese di Castelnuovo/Camonti che a sua volta aveva ereditato il patrimonio del piccolo museo scolastico dove a partire dalla metà degli anni Settanta del Novecento insegnanti, ragazzi e famiglie avevano iniziato a mettere da parte la storia dei luoghi proprio in relazione alle profonde trasformazioni che l’escavazione a cielo aperto stava producendo. Parallelamente altri cittadini raccoglievano la storia dei luoghi scattando fotografie, ricercando in archivi, conservando articoli di giornale. Questo materiale rappresenta oggi il punto di partenza dal quale muovere per ricostruire le storie e per rendere il patrimonio soggetto agente di nuove narrazioni capaci di innescare altri processi di patrimonializzazione. L’esperienza del museo scolastico costituisce già una particolarità interessante sulla quale riflettere alla luce delle moderne pratiche di educazione al patrimonio, poiché esso stesso non era molto diffuso nel contesto italiano e mostra l’importanza narrativa e pedagogica del patrimonio (De Varine 2005); cercare di far dialogare i materiali archiviati col contemporaneo è un’altra sfida che pone in rilievo le problematiche connesse ad azioni di valorizzazione patrimoniale; esporre e narrare in un museo la storia dei luoghi pone in gioco altre discussioni sia interpretative sia di lettura che di volta in volta si generano tra spazi del museo e i suoi abitanti [5].

Il processo di patrimonializzazione che la storia passata ha generato è raccontato nel museo. I documenti che si conservano e che si mostrano, le storie che si narrano sono tutte generate di fatto dalla comunità che è rimasta. I luoghi che sono stati spopolati per esigenze minerarie hanno portato nel tempo a una forte decrescita della zona di Castelnuovo, portando in poco tempo la popolazione da 4000 abitanti a poco più di 1000. Chi è rimasto indenne dalla diaspora imposta dalla miniera ha raccolto i pezzi e ha ricostruito la storia; la voce di chi se ne è andato la possiamo udire, se siamo fortunati, attraverso l’interazione sui canali social che nel tempo la comunità prima e il museo poi hanno aperto. Una voce che manca in questo racconto ma che proprio in questa sua assenza ci ricorda quello che nel tempo la collettività ha costruito. Il museo ha scientificamente rimesso in piedi una parte di questa complicata conservazione della memoria e oggi contribuisce a produrre nuove narrazioni e nuovi processi patrimonializzati: di questo c’è consapevolezza e in uno scambio reciproco tra museo e comunità si mostra quel che si era e non si è più, quel che si è diventati in attesa di essere altro. Del resto «l’invisibile e l’immateriale condizionano concretamente il nostro quotidiano [...] la dimensione della sparizione può generare dinamiche mitiche» (Balzola-Rosa, 2011: 75) e questa sparizione dei luoghi si trasforma in racconto attivando il recupero della tradizione orale che genera nuove dimensioni relazioni della storia. 

5.Agosto 1976. Macchina escavatrice in prossimità della località di Bomba, autore Emilio Polverini, Comune di Cavriglia, MINE, museo delle miniere e del territorio - Centro di documentazione, Fondo APE

Agosto 1976. Macchina escavatrice in prossimità della località di Bomba (ph. Emilio Polverini, Comune di Cavriglia, MINE, Museo delle miniere e del territorio – Centro di documentazione, Fondo APE)

Questa la storia sino ad oggi. La vittoria del progetto Borgo Castelnuovo d’Avane riparte da qui. Riqualificare gli edifici esistenti e puntare sulla cultura. Queste sono le parole d’ordine. Le azioni che il progetto ha proposto prendono le mosse proprio da questi due capisaldi. Anche le strutture turistico ricettive che verranno ricavate in alcune aree del paese muovono dall’evitare di cementificare ulteriormente il territorio. Castelnuovo d’Avane avrà modo di rivivere su più piani, quello culturale, quello turistico e quello residenziale perché nel progetto è previsto anche di far abitare il luogo che a poche centinaia di metri trova già servizi essenziali come un ufficio postale, una farmacia, una banca, un supermercato e altri negozi; un istituto comprensivo e una caserma dei carabinieri.

ACDC─ Avane centrale creativa è il nome dato al progetto che potrà usufruire dei finanziamenti del PNRR; un progetto che corre di pari passo con quanto Enel sta realizzando nelle ex aree minerarie, ancora in concessione per poter così permettere allo stesso nucleo di Castelnuovo di avere maggior accessibilità rispetto all’attuale. L’idea del recupero del vecchio paese fantasma nasce da lontano; era il 2001 quando il Comune di Cavriglia acquistò da Enel il paese divenendone così unico proprietario. C’era il desiderio di farlo tornare a vivere. Da quel momento per 21 anni iniziarono le ricerche per individuare finanziamenti pubblici che potessero concretizzare i progetti. Nel corso degli anni così è stato possibile ripristinare la vecchia viabilità di accesso, realizzare dei parcheggi, sistemare l’illuminazione pubblica e aprire il museo MINE col recupero anche della vecchia chiesa del paese e di una palazzina posta nella terrazza del museo.

Pochi anni dopo l’apertura di MINE, grazie a un finanziamento regionale è stato possibile presentare il progetto per recuperare la villetta Zanuccoli, più nota agli ex abitanti come la casa della maestra Tanzini, posta proprio a fianco del muraglione dove il 4 luglio 1944 vennero mitragliati 74 civili. Questo edificio ha come ultima finalità quella di divenire il secondo museo, Casa della Memoria, uno spazio capace di narrare la storia della strage nazifascista e della Resistenza a Cavriglia e nel territorio. Un tema anch’esso complesso da trattare a livello museale e che ha segnato luoghi e comunità al pari delle miniere. Il vecchio paese, oggi borgo Castelnuovo d’Avane, avrà così due spazi nei quali la lettura di quello che era il passato potrà dialogare con questioni attuali. Sarà proprio in Casa della Memoria che il materiale conservato presso il centro di documentazione del museo potrà essere letto, ascoltato, visto, udito [6].

Patrimoni in movimento e musei parlanti: questo lo spirito col quale i due complessi museali si preparano per dialogare con un paese che torna a vivere e che costruirà scenari diversi e nuovi patrimoni. La sfida sarà proprio aprirsi a nuove forme di processi di patrimonializzazione, a intrecci, connessioni che si aggiungeranno e in parte sostituiranno gli immaginari costruiti nel tempo dalla comunità, che fino ad oggi hanno segnato una memoria del dono (Raffestin 2005) che ha contraddistinto il patrimonio raccolto, conservato e oggi in parte narrato al MINE. Fino ad oggi il museo ha raccontato le trasformazioni avvenute nel territorio in un contesto particolare: unico spazio vivo e di dialogo attorno a edifici in rovina che silenziosamente tornavano ad essere parte di un ambiente naturale, un terzo paesaggio che caratterizza spesso i vecchi siti industriali e minerari. Con il progetto di recupero del vecchio paese il MINE può avere diverse possibili strade da perseguire: rimanere voce di un immaginario costruito nel tempo dalla comunità e su questo fondare la sua forza oppure essere in grado di traslare tutto ciò in una lettura costante del tema della trasformazione iniziando ad essere un passato che si rilegge nel contemporaneo e al contempo un contemporaneo che diverrà passato. 

6.Luglio 1976. Castelnuovo dei Sabbioni: trasloco dei corredi della chiesa di San Donato, autore Emilio Polverini, Comune di Cavriglia, MINE, museo delle miniere e del territorio - Centro di documentazione, Fondo APE

Luglio 1976. Castelnuovo dei Sabbioni: trasloco dei corredi della chiesa di San Donato (ph. Emilio Polverini, Comune di Cavriglia, MINE, Museo delle miniere e del territorio – Centro di documentazione, Fondo APE)

Il progetto di Castelnuovo vuole cercare di completare quel recupero dell’area, ormai in discussione da più di vent’anni, rigenerando lo spazio perché la distruzione di Castelnuovo è una ferita ancora aperta, come lo sono quelle dei paesi vicini e come lo sono del resto tutte quelle che si producono nei territori minerari e industriali poi dismessi e perché proprio dalla trasformazione paesaggistica nel tempo si sono sviluppate altre storie, nuovi punti di vista, infine memorie che la comunità ha continuato a narrare di generazione in generazione, sia in famiglia sia nei gruppi Facebook. Dunque in ACDC─ Avane centrale creativa si sono previste, secondo quanto si legge sul documento presentato al ministero 

nuove destinazioni d’uso oltre a quella museale, l’insediamento di attività turistico ricettive ─ secondo il modello dell’albergo diffuso ─, residenze di social housing, botteghe artigianali e residenze specializzate. Tali interventi sostanziano un progetto di rigenerazione complessiva di ampio spessore storico culturale e di significativa testimonianza civile, come atto di risarcimento a tante storie di sofferenza individuali e collettive e in generale ad una comunità che ha patito lo scempio del proprio territorio. Un’operazione, quindi, di recupero materiale capace di dare un futuro alla memoria. 

Castelnuovo è un borgo che, sviluppatosi come insediamento medievale su uno sperone di roccia e nel tempo ampliato, oggi rimane vivo proprio con un gruppo di 80 case che si sviluppano ancora attorno all’antico sperone di roccia. Negli anni più recenti, quelli della seconda metà del secolo scorso, a Castelnuovo e nei dintorni c’erano molte più case, si stima circa 700 abitazioni per 3000 abitanti circa; oggi ciò che rimane di questa storia lo si vede a colpo d’occhio dal viadotto soprastante il vecchio paese, costruito nel 1974 per dare nuova viabilità al paese che si trasferiva in collina. Castelnuovo è unicamente di proprietà comunale e questa caratteristica ha inciso molto sulla scelta del sito da parte degli organi competenti. All’interno del vecchio paese si trovano inoltre alcuni edifici vincolati e 

il recupero funzionale del borgo costituisce di fatto un’azione essenziale per il recupero dell’area ex mineraria di Santa Barbara, costituendo l’unico agglomerato urbano di dimensioni apprezzabili che, pur avendo perduto la sua originaria funzione abitativa, è stato preservato dalla demolizione [e] a lato dei valori storico culturali materiali, il senso del borgo risiede anche nella suggestione di un luogo che è testimonianza di una grande narrazione popolare, di una storia di lotte dei minatori a difesa del lavoro, nonché teatro di una delle più grandi stragi nazifasciste. 

Cinque le unità di intervento previste dal progetto. Alla base di ogni azione c’è la volontà di 

dare corso ad una iniziativa unitaria che preveda anzitutto una serie di interventi di recupero funzionale degli edifici, degli spazi esterni, della viabilità interna e di accesso al borgo, così da creare le premesse per l’insediamento di nuove funzioni, infrastrutture e servizi, tali da restituire nuova vita al borgo e, al tempo stesso, creare un’occasione di rilancio occupazionale. Sugli edifici oggetto di dichiarazione dell’interesse culturale sono consentiti esclusivamente interventi di restauro conservativo. Gli interventi dovranno essere uniformati al massimo rispetto degli elementi strutturali storici, architettonici e decorativi, superstiti o rintracciabili in sede di esecuzione delle opere, garantendone con opportuni ed aggiornati interventi la salvaguardia, la conservazione e la riqualificazione. Delle parti originarie, tranne nel caso in cui vi sia pregiudizio per la stabilità degli edifici, non sono ammesse asportazioni, sostituzioni, alterazioni, imitazioni. Sugli altri edifici interni all’ambito di recupero è prescritta la conservazione dei fronti e dei particolari architettonici significativi senza modifiche al sistema distributivo interno. 
7.Luglio 2012. La sala della miniera presso il museo MINE, autore Paola Bertoncini, archivio privato.

Luglio 2012. La sala della miniera presso il museo MINE (ph. Paola Bertoncini, archivio privato)

Il primo intervento, come detto precedentemente, vedrà il completamento del complesso museale con MINE e Casa della Memoria; gli altri si concentreranno sulle zone del paese: la seconda azione riguarda il recupero dell’edificio della ex Piazza IV Novembre per la realizzazione di residenze per artisti. Si tratta di Casa Casini, nella quale secondo la memoria popolare abitò Andrea del Sarto [7]. Un edificio vincolato che accoglie chi entra oggi nel vecchio paese posto di fronte al sacrario delle vittime degli eccidi del 4 luglio. Il progetto di recupero punta in questo caso «a sviluppare attività professionalizzanti delle competenze artistiche e delle soft skills anche con il coordinamento e la supervisione del Centro per l’Arte contemporanea Luigi Pecci di Prato».

La terza azione riguarda il vecchio asilo delle suore del paese e le case vicine. In quest’area posta a metà della salita che porta al MINE si trovano l’edificio di impianto seicentesco e alcune case un tempo già locanda del paese [8]. Nel progetto si prevede che questa zona sia destinata ad essere il «luogo ottimale per ricavare degli ambienti da destinare ad attività turistico ricettive, costituite da piccole unità dotate dei necessari servizi». Per la quarta azione invece si prevedono degli interventi ricadenti sul piano artigianale e commerciale. La zona individuata è quella di via XX Settembre, la strada che ruota attorno all’acropoli. È un’area che presenta caratteristiche edilizie simili tra loro; 

si tratta di edifici i cui piani terra si affacciano su detta strada, generalmente sormontati da un piano primo, e che a causa del notevole dislivello presente tra il fronte anteriore e il fronte posteriore dell’edificio, presentano 1 o 2 piani sotto strada, affaccianti direttamente sull’acclive versante che discende dal borgo fino al borro Pianale. 

La quinta azione è quella rivolta alla realizzazione di social housing. Le case interessate dal progetto si trovano all’ingresso del vecchio paese, poste tutte lungo la vecchia via di collegamento tra Castelnuovo e Camonti. Una gestione da affidare successivamente ad Arezzo Casa spa, società a partecipazione interamente pubblica che gestisce gli immobili residenziali pubblici dei singoli Comuni della provincia di Arezzo. Il recupero di questa parte del paese è di particolare interesse poiché prevede di rendere nuovamente abitabile una parte di borgo Castelnuovo d’Avane, case rivolte a giovani e ai vecchi abitanti di Castelnuovo qualora fossero interessati a tornare ad abitare il paese. La sesta azione interessa invece il recupero delle viabilità pubbliche e degli spazi urbani interni al borgo e alla realizzazione delle reti tecnologiche di servizio. 

Il progetto di rigenerazione di Castelnuovo ha per il territorio un significato rilevante; poter tornare a vivere una parte di territorio che nel tempo è stata tolta alla cittadinanza non è cosa da poco. È anche interessante porsi alcune domande: terminata la generazione strettamente connessa con questa storia fatta di miniere e di traslochi, quale ruolo potrà rivestire questo piccolo borgo? Esso stesso è spazio della memoria dove le tracce del recente passato continueranno a vivere nei due complessi museali ma potranno anche diffondersi all’interno del paese rigenerato costruendo un filo narrativo che può portare a riflettere sul ruolo che il patrimonio culturale può svolgere nel tempo/spazio tecnologico nel quale siamo immersi. Si potrebbe pensare anche al ruolo importante che oralità, connettività, interattività giocano nella narrazione di questa storia nel contesto del nuovo paese rigenerato e negli spazi dei due musei. Forse un modo diverso per parlare di patrimonio e di musei e dove una nuova «estetica delle relazioni» (Balzola-Rosa 2011) possa lanciare una 

sfida nei confronti di una società che tende a privilegiare le relazioni estetiche, cioè relazioni che hanno modelli confezionati, stereotipati e predeterminati, spesso vincolati a giochi di ruolo impliciti o espliciti. [...] L’estetica delle relazioni prospetta l’interattività come responsabilizzazione etica ed estetica nello spettatore (Balzola-Rosa, 2011: 106-110). 
8.2018. La valle delle miniere vista dalla terrazza del museo MINE, autore Paola Bertoncini, archivio privato.

2018. La valle delle miniere vista dalla terrazza del museo MINE (ph. Paola Bertoncini, archivio privato)

Relazione e responsabilizzazione come processi nella co-costruzione narrativa del patrimonio dei luoghi; questo è avvenuto in passato attraverso una comunità che si è narrata per oggetti e documenti lasciati in eredità e riproposti con una lettura interpretativa nel percorso museale di MINE; una comunità che continua a lasciare la sua eredità anche attraverso i canali social. La narrazione di Borgo Castelnuovo d’Avane metterà necessariamente in discussione il ruolo custode della memoria dei due musei e dell’eredità che hanno ricevuto in dono [9] ma solo attraverso questo processo di autoanalisi i nuovi processi di patrimonializzazione dei luoghi saranno capaci di rigenerare relazioni e responsabilizzazioni, dando senso ad un concetto di eredità patrimoniale che forse sfugge nella sua pienezza.

In parte è un processo che già si sta muovendo: lungo il viale di accesso al vecchio paese otto artisti internazionali hanno lasciato nel Giugno 2022 il loro punto di vista sul tema della memoria, dei luoghi e delle loro sonorità fissato sul travertino. La rigenerazione dei luoghi è rigenerazione di architetture ma anche di linguaggi, riflessioni, pensieri: su questo tema l’eredità conservata dovrà sviluppare il dialogo, l’ascolto e le nuove narrazioni. «Allora il museo non è più soltanto il luogo in cui si va per conoscere le radici, diventa uno spazio unico capace non solo di informare ma di evocare mediante la creazione di “habitat narrativi” dove si partecipa al racconto quotidiano della propria storia con un percorso personale e anche con un contributo attivo» (Balzola-Rosa, 2011: 22). 

Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2022 
Note
[1] Tratto da https://cultura.gov.it/pnrr─borghi consultato in data 27 ottobre 2022.
[2] A San Donato in Avane c’erano poche case ma tutta la vita che c’è in un paese: negozi, botteghe, circoli e vecchie cooperative di consumo. Le miniere avevano occupato una zona piuttosto antica, quella attorno alla Gelata, mentre nel tempo il paese si era allungato lungo il torrente. A San Donato c’era la ricamatrice, il falegname; il calzolaio, la barberia, le sarte e la bottega che vendeva di tutto, dagli aghi ai purganti. Il macellaio arrivava una volta a settimana. C’era anche il mulino.
[3] Alla chiesa di Santa Maria in Avane vi si andava per le novene, per Natale e vi arrivavano le Compagnie di Meleto e di San Martino. Adibita al culto dell’Ascensione era meta di pellegrinaggi ed era forse il luogo di culto più antico di tutto il bacino minerario.  Una chiesa antica usata nel 1944 dai tedeschi come bivacco durante il passaggio del fronte. Era stata chiusa al culto nel 1950. Prima della sua scomparsa, tra il 1972 e il 1973 la chiesetta di Avane custodiva vecchie storie ed opere importanti: una testa con barba sbozzata incisa su un pezzo di pietra serena datata all’VIII secolo circa e dei frammenti di fregi in pietra arenaria del IX secolo, intrecci e nodi scolpiti che richiamano la presenza longobarda nel territorio, mitigata dalla rinascenza carolingia. All’interno di questo piccolo edificio c’era anche un’altra storia che fu poi raccontata molti anni dopo dall’architetto Giovanni Malanima in un volume dedicato (G. Malanima, Paolo Uccello. L’annunciazione di Avane, Pagnini Editore, Firenze, 2009).
[4] Repetti online http://193.205.4.99/repetti/tester.php?idx=288 consultato in data 07/11/2022.
[5] Credo fermamente che i musei siano spazi abitati più che visitati dove le continue riletture del patrimonio e delle storie innescano processi di patrimonializzazione nuovi, spesso rimessi in circolo attraverso le nuove tecnologie. Ripostare la foto di un oggetto museale significa a mio avviso ricostruire una nuova lettura e una nuova storia di quell’oggetto che sposta l’asse narrativo e il controllo sull’oggetto stesso. Anche introdurre nel museo i nuovi punti di vista e le narrazioni che si generano a contatto con l’oggetto permette al museo stesso di rimettere in circolo la narrazione; questo argomento lo si può vedere bene quando si parla di paesaggi per esempio e di luoghi della memoria (Bareither, Cristoph, 2021, Capture the feeling: Memory practices in between the emotional affordances of heritage sites and digital media, «Memory Studies», 14(3):578-59. doi: 10.1177/17506980211010695). Narrazioni visive ma anche orali che rendono vivo il patrimonio in continua rilettura. Una modalità che ha sempre costruito le collettività e i quadri sociali della memoria ci direbbe Halbachws ecco perché i musei non si visitano ma si abitano così come le piazze, i circoli, le case, le strade, i campi, i paesaggi, i luoghi di lavoro….
[6] Attualmente nel centro di documentazione del MINE sono conservati oltre a documenti e fotografie che ricostruiscono la storia mineraria e delle trasformazioni paesaggistiche anche materiali relativi proprio ai fatti del 4 e 11 luglio 1944: testimonianze e inchieste ricercate e richieste in copia da archivi inglesi, tedeschi e americani; fotografie del passaggio del fronte e dei soldati, tante registrazioni riversate oggi in file audio di testimoni che raccontano quanto accadde. E se vogliamo tornare ad approfondire ancora una volta quelle sonorità e oralità di questa terra è doveroso ricordare le quartine del Morandi che oggi, trascritte su vetro, ricordano con le parole di un cantastorie i tragici avvenimenti.
[7] Malanima 2011. Presso il museo MINE è conservata una lapide della metà dell’Ottocento nella quale si legge come proprio Mosè Casini ricordasse che nei pressi della sua abitazione avesse abitato in passato proprio il pittore fiorentino Andrea del Sarto.
[8] La storia dell’asilo di Castelnuovo è legata alle vicende delle miniere. Nel 1927 l’ingegner Raffo, amministratore delegato della Società Mineraria realizzò questo istituto per accogliere tutti i bambini e nel 1931 l’asilo fu finalmente istituito. I bambini ammessi erano figli di minatori, orfani di caduti in guerra o figli di invalidi e mutilati ed era vietata ogni diversità di trattamento. Nel luglio del 1944 l’edificio riportò alcuni danni e molti degli oggetti delle aule furono distrutti dalle truppe tedesche.  I racconti di chi lo ha frequentato ci aiutano a comprendere come a vario titolo questo spazio faccia parte della memoria del territorio. Anche della locanda che si trovava a fianco, proprio nei pressi di via dello Sportico abbiamo raccolto nel tempo alcuni racconti. 
[9] Dei, 2014: 41-59, in Paini-Aria 2014. 
Fonti
Fondo fotografico E. Polverini
Fondo Fotografico Enel
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Progetto Bando Borghi Linea A. Proposta per la rigenerazione culturale, sociale ed economica dell’antico Borgo di Castelnuovo d’Avane. ACDC/Avane Centrale Creativa. Gruppo di lavoro Comune di Cavriglia, Promo PA Fondazione. 
Siti web consultati:
http://www.convenzioneeuropeapaesaggio.beniculturali.it/
(accesso 27/10/2022)
https://www.coe.int/it/web/venice/faro─convention
(accesso 27/10/2022) 
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Paola Bertoncini, storica dell’arte contemporanea, specializzata in body art e performance oltre che in fotografia di territorio, dal 2007 mi è occupata di ricerche inerenti il territorio minerario di Cavriglia, in Toscana. Ha fatto parte del gruppo di lavoro per l’apertura del museo MINE e dal 2018 ne è direttrice scientifica. Nel frattempo ha approfondito altri studi in ambito filosofico, per un approccio pedagogico al patrimonio culturale divenendo anche narratrice di comunità. Attualmente sta frequentando la scuola di specializzazione in Beni DEA all’Università di Perugia. Attraverso questo strano percorso di vita e di studi è arrivata a credere che i musei siano luoghi nei quali incontriamo storie, dove si mescolano le “lingue”, le vite, gli oggetti e i ricordi, il saper essere, il saper fare e lapparenza per permetterci di viaggiare nel mondo, nella storia e nella casualità.

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