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Un mare di sfumature. Universo Mediterraneo

Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2017 @ 00:29 In Cultura,Società | No Comments

Portolano, sec. XVI

Portolano, sec. XVI

di Alessandro Morello

Il mare porta in sé diverse accezioni, ognuna delle quali cambia il rapporto che i soggetti hanno con i luoghi. Può essere un luogo di transito, un confine, un luogo mitologico e dell’ignoto. Si può osservare dalla terra e da qui ci si rende conto della sua immensità e si percepisce il senso di spaesamento che compare all’orizzonte, quando il nostro sguardo s’interrompe. «Un confine esiste solo in funzione di un suo centro e spesso questo è stabilito in maniera molto più precisa, e ha un’importanza maggiore, dei segni che delimitano i suoi margini che risultano così sfumati» (Zanini 2000: 43).

In questo lavoro intendo proporre un approccio analitico di taglio antropologico ad un possibile studio sul Mar Mediterraneo. Prima di cominciare, vorrei precisare che non mi soffermerò su una costa o luogo in particolare. Il Mediterraneo è il denominatore comune che lega l’eterogeneità territoriale e sociale che si trova intorno. Il mio oggetto di studi è il Mediterraneo, il mare che sta in mezzo alle terre, con l’intento di recuperare l’accezione di unire e non di separare. Il mio sguardo va oltre la sua dimensione naturale, per cogliere quegli aspetti che hanno permesso la formazione di un sistema mediterraneo che da millenni ha plasmato le coste e le popolazioni che vi si sono interfacciate. È di fondamentale importanza recuperare quei significati caduti in secondo ordine che, nel corso del tempo e a causa di svariate congiunture, hanno fatto sì che spesso si senta parlare del Mediterraneo come il confine tra il mondo occidentale europeo e quello arabo mediorientale.

Prima di continuare il nostro viaggio lungo e in mezzo le acque che lambiscono le terre, è importante chiarire cosa si intende per area mediorientale. Il carattere arbitrario è sempre alle porte ogni qualvolta si cerca di categorizzare, sistematizzare e ordinare. Il Medio Oriente è il risultato di queste logiche. Comprende un’area che va dall’Europa mediterranea, all’Asia centrale e Asia orientale. Secondo Ugo Fabietti

«è […] il risultato della combinazione di molteplici e differenti sguardi: politico-strategici, storici, geografici e culturali. […]. Se l’espressione Medio Oriente è oggi utilizzata dagli antropologi, è perché individua un’area al cui interno si presentano – seppure con le debite differenze, dovute alla particolarità delle tradizioni locali – forme storiche di adattamento ricorrenti, tratti culturali riconducibili allo stesso sistema di significati, visioni del mondo differenti […], istituzioni sociali fondate sugli stessi principi etici e sui medesimi assunti pratici. […]. Questa è la dimostrazione […] del fatto che, pur nella diversità, le culture e le società sono legate tra loro da una trama di relazioni che fanno dell’umanità non un mosaico di popoli, ma un vasto e complesso ordito di fili intrecciati» (Fabietti 2016: 15-16).

Non è solo l’area mediorientale che porta con sé caratteri ambigui ma anche la sponda opposta, quella che genericamente definiamo come europea, è da concepire in maniera arbitraria. Parlare di mondo europeo rischia infatti di oscurare l’eterogeneità che è presente nel continente. La cultura europea nasce dall’incontro e dallo scambio tra le diverse popolazioni che nel corso dei millenni si sono avvicendate in queste terre lasciando la loro presenza. Diverse sono le nazioni europee che si affacciano sul Mar Mediterraneo e ognuna di queste ha le sue specificità culturali e politiche. Ridurre il Mediterraneo come il confine tra l’Europa e il Medio Oriente è errato ed ha un effetto accecante nei confronti delle differenti soggettività che si interfacciano. Da questo punto di vista emerge come sia infruttuoso innalzare dei confini sia fisici sia mentali tra le due sponde.

Carta nautica di Diego Homem,1570

Carta nautica di Diego Homem,1570

La letteratura antropologica ha decostruito la categoria del confine proponendo una visione che concepisce le aree liminali o liminoidi [1], come zone di contatto da concepire, secondo Turner (1986: 61), «come il vero e proprio vivaio della creatività culturale». Queste zone di contatto, sono da intendere non dal punto di vista della chiusura e separazione che un confine determina, ma guardando l’incontro e l’occasione, che esso favorisce in termini socio-culturali. Da questo punto di vista non bisogna guardare al Mediterraneo come al confine tra Europa e Mondo “Arabo”, ma come una zona di contatto nella quale due o più orizzonti culturali si incontrano e possono dialogare. Concentrarsi sulle aree liminali permette di cogliere lo spaesamento o l’ambiguità di queste zone di margine. La soglia, afferma La Cecla (2011: 110) «è un luogo dove due identità nello spazio si attestano, si attendono, si confrontano, si riflettono, si difendono. Essa serve a ribadire le differenze». Soffermarsi sulla differenza che emerge dal contatto può aiutare a cogliere i caratteri positivi che l’incontro permette. Questo aspetto è centrale in un’epoca nella quale si sta assistendo sempre più ad un recupero di retoriche identitarie e xenofobe propense alla chiusura dei confini in seguito alla “percezione di un’invasione”. Ogni giorno, a livello mediatico, si sentono diversi rappresentanti politici che guardano al Mediterraneo e alle aree costiere ad esso limitrofe come confini sotto attacco da un’alterità da respingere. Da questo punto di vista, il mare nostrum può essere adottato come un laboratorio nel quale le differenze che sussistono tra i diversi gruppi possano essere considerate come risorse, come elementi che apportino arricchimento all’interno dei diversi orizzonti culturali. È della stessa opinione Caterina Resta la quale si auspica che:

«L’irriducibile pluralità del Mediterraneo potrebbe rappresentare infatti un paradigma non solo per l’Europa, ma anche per un mondo globalizzato proprio perché testimonia come unità e differenze, pluralismo e universalismo, lungi dal contrapporsi e da spingere in direzioni opposte, possono dar luogo a feconde forme di convivenza» (Resta, 2013: 5).

Altri dati a sostegno della mia tesi del Mediterraneo come spazio che connette, provengono dal significato che è contenuto all’interno del termine “Mediterraneo”. Il quale è stato definito in diversi modi in base al rapporto arbitrario che sussiste tra l’uomo e l’ambiente e il significato che vi si associa. Nella cultura di stampo occidentale ci si riferisce al Mediterraneo pensando alla tradizione greco-romana che definì il bacino come mare nostrum. In quel periodo il Mediterraneo era al centro del mondo – conosciuto – e al suo interno vi si affacciavano diverse popolazioni che furono inglobate all’interno della cultura greco-romana. Il mare nostrum  divenne allora il crocevia dei traffici commerciali, da una provincia all’altra, indispensabili per l’approvvigionamento di Roma. Nella lingua araba Mediterraneo viene indicato con l’espressione al-Bahr al-Abyad al-Mutawassit-البحرالأبيضالمتوس-, che in italiano corrisponde all’espressione “il mare bianco di mezzo”. Attraverso il termine arabo si trova un riferimento specifico all’essere in mezzo, al mettere in contatto le persone. La convivenza di diverse civiltà, tra conflitti e incontri, entro un unico luogo – il Mediterraneo, ha messo le basi per la creazione di un’arena nella quale i differenti attori sociali si incontrano e si scontrano attraverso un medesimo luogo, il mare.

Antica-carta-nautica

Antica carta nautica

Il termine Mediterraneo deriva a sua volta dal latino mediterràneus  – che è in mezzo alle terre. Comparando i modi con cui si è voluto nominare questo bacino, emerge come l’elemento centrale è quello di essere al centro delle terre e di conseguenza di non essere un luogo di confine e di separazione ma di connessione, di condivisione.

Fernand Braudel nel domandarsi che cos’è il Mediterraneo ha fornito una esaustiva definizione tenendo in considerazione il suo carattere eterogeneo:

«Che cosa è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre. Viaggiare nel Mediterraneo significa incontrare il mondo romano in Libano, la preistoria in Sardegna, le città greche in Sicilia, […] tutto questo perché il Mediterraneo è un crocevia antichissimo: da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia. […] il Mediterraneo crocevia eteroclito si presenta al nostro ricordo come un’immagine coerente, un sistema in cui tutto si fonde e si ricompone in un’unità originale» (Braudel 2000: 8).

Guardare al Mediterraneo come ad uno spazio che connette significa sottolineare la relazione che le società umane intrattengono con il mare. È importante riflettere sul mare e sulle diverse sfumature che l’uomo vi ha assegnato. L’antropologa Nadia Breda ha messo in risalto, nel parlare di antropologia dell’acqua, l’autorevolezza di questo bene prezioso:

«[…] autorevolezza che deriva all’acqua dal non essere puramente materia, tanto che non la si può considerare puramente risorsa. Essa è piuttosto un soggetto attivo, persino un agente creatore […]. Riconoscere autorevolezza all’acqua significa non tanto che noi le lasciamo uno spazio di azione, quanto riconoscere che questo spazio di azione le è proprio e che internamente nostri sono i limiti» (Breda 2005: 3).

L’acqua e in questo caso il mare, non è soltanto qualcosa che lambisce le terre. Il mare si pone come un soggetto attivo e imprevedibile che condiziona gli ambienti circostanti. Questo carattere ambivalente ha fatto sì che nel corso del tempo gli individui che vi si affacciavano e con esso si relazionavano abbiano dato luogo ad un sistema di pratiche che ha permesso loro di abitare questo ambiente. Questo aspetto è messo in risalto da Ingold (2000:138): «Costruire […] è un processo che continua per tutto il tempo che un ambiente viene abitato». Il Mediterraneo, dunque, racchiude al suo interno le diverse accezioni e le pratiche che man mano sono state sperimentate.

Sempre Ingold afferma a questo riguardo che se guardiamo il pescatore mentre è all’opera

«ci è chiaro che la forma emerge non da qualche modello ma da una serie complessa di movimenti eseguiti con abilità. […]. Le forme degli artefatti non si trovano iscritte dall’intelletto razionale sulla superficie della natura, ma sono piuttosto generate nel corso del dispiegamento progressivo di quel campo di forze e di relazioni che si stabilisce attraverso il coinvolgimento sensoriale e attivo dell’operatore esperto – o dell’operatrice esperta – col materiale con cui lavora» (Ingold 2000: 152-153).

Il Mediterraneo porta dunque con sé diverse accezioni, frutto delle pratiche che si sono venute a palesare e dei sistemi culturali che vi ruotano intorno. Questo aspetto è messo in risalto da Ferdinand Braudel:

«Il mare. Bisogna cercare di immaginarlo, di vederlo con gli occhi di un uomo del passato: come un limite, una barriera che estende fino all’orizzonte, come un’immensità ossessiva onnipresente, meravigliosa, enigmatica. […]. Il Mediterraneo si è accorciato, restringendosi, da nord a sud, in meno di un’ora […]. Di tale visione, che fa del Mediterraneo un lago, lo storico deve liberarsi a qualsiasi costo. Parlare del Mediterraneo significa restituirgli le sue dimensioni autentiche, immaginarlo in una veste smisurata. Da solo costituiva in passato un universo, un pianeta» (Braudel 2000: 31).

È importante pensare al luogo e al rapporto che sussiste tra immaginario e luogo. Partendo da quanto ha affermato Appadurai, secondo cui l’immaginario è la palestra dell’azione (2012), gli individui posseggono delle lenti con cui guardare la realtà e incorporarne il significato [2]. Attraverso questa dinamica si vengono a palesare determinati sfumature con cui ci si approccia ai luoghi. Questo processo è riassumibile attraverso la logica della costruzione dell’immaginario di un luogo. «L’immaginario è quell’energia poietica che s’instaura, in [questo] processo interattivo, tra i soggetti, i luoghi e le narrazioni»(Morello 2016) che vengono prodotte. Questo modus operandi produce un habitus [3] con cui ci si approccia al luogo, che assume una determinata forma e senso. Le pratiche dei soggetti che si muovono all’interno dello spazio danno vita a dei luoghi. Il Mediterraneo di conseguenza è uno spazio praticato, denso di storia, di mitologia, di saperi locali e di tradizioni, in una parola di culture. Non è soltanto un mare ma è lo spazio che ha permesso l’incontro tra le popolazioni e le culture che ne hanno attraversato le sponde tracciando di volta in volta nuove geometrie [4], orditi e reticoli, grazie alle condizioni favorevoli che si sono venute a creare tra i soggetti e l’ambiente, così che la realtà – in questo caso il mare – assumesse determinati connotati, conseguenza del rapporto interattivo tra lo spazio, le pratiche e i soggetti. Il risultato di questo processo ha favorito il formarsi di rotte e traiettorie: commerci, migrazioni e scambi culturali. Ha permesso l’incontro e lo scontro tra i gruppi sociali che nel corso del tempo si sono affacciati lungo le sue sponde.

 Carta nautica, sec. XV

Carta nautica, sec. XV

Il mare, e a maggior ragione il Mediterraneo, può essere considerato un’arena politica (Olivier De Sardan 2008). Il concetto di arena è utile per individuare i diversi attori sociali che si affacciano su questo bacino con i relativi posizionamenti. Il Mediterraneo può essere visto come una risorsa da sfruttare per la pesca, o per l’estrazione del petrolio e dei gas naturali. È anche un ecosistema da tutelare, costituisce un importante spazio di comunicazione e di trasmissione di tutti quei sistemi culturali che vi ruotano attorno e che hanno permesso la formazione di un universo mediterraneo.

È uno spazio eterogeneo che porta al suo interno un’eterogeneità di rappresentazioni, narrazioni e visioni del mondo.

«Non esiste una sola cultura mediterranea: ce ne sono molte in seno a un solo Mediterraneo. Sono caratterizzate da tratti per certi versi simili e per altri differenti, raramente uniti e mai identici. Le somiglianze sono dovute alla prossimità di un mare comune e all’incontro sulle sue sponde di nazioni e forme di espressione vicine. Le differenze sono segnate da origini e storia, credenze e costumi, talvolta inconciliabili. Né le somiglianze né le differenze sono assolute o costanti: talvolta sono le prime a prevalere, talvolta le ultime» (Matvejević, 1998: 31).

Parlare di Mediterraneo significa riferirsi a culture mediterranee che in questo spazio interagiscono, si incontrano, si scontrano e si contaminano.

Non è meno importante riflettere sul rapporto che sussiste tra gli immaginari e i luoghi. I soggetti utilizzano una serie di strumenti per interpretare e ordinare la realtà all’interno di determinate categorie [5]. In questo senso, il Mar Mediterraneo ha avuto diverse sfumature con cui è stato interpretato e incorporato nel corso della sua storia. Esso ha influenzato e ha permesso lo svolgersi di determinate attività sociali. Oggi questo spazio viene pensato come il limes tra Europa e il Medio Oriente. È di fondamentale importanza recuperare quei significati e ritornare a dialogare all’interno del mare nostrum, un luogo nel quale la diversità può essere vista come uno stimolo per confrontarsi, connettersi e convivere.

Dialoghi Mediterranei, n.23, gennaio 2017
Note
 [1]  Victor Turner è del parere che: «l’essenza della liminalità, la liminalità par excellence, consista nella scomposizione della cultura nei suoi fattori costitutivi e nella ricomposizione libera o ludica dei medesimi in ogni e qualsiasi configurazione possibile, per quanto bizzarra» (Turner 1986: 61)
[2] Secondo Appadurai l’immaginazione è da pensare al livello collettivo e non individuale. Egli, rifacendosi alle teorie di Benedict Anderson sulle comunità immaginate, afferma che «quel che i mass media rendono possibile, grazie all’opportunità di condividere letture, critiche e piaceri, è ciò che altrove ho definito una comunità del sentire, un gruppo che inizia a immaginare e a sentire cose collettivamente» (Appadurai 2012: 16).
[3] Secondo Bourdieu l’habitus è «contemporaneamente principio generatore di pratiche oggettivamente classificabili e sistema di classificazione […] di queste pratiche. È nel rapporto tra queste due capacità di produrre pratiche ed opere classificabili, e capacità di distinguere e di valutare queste pratiche e questi prodotti (il gusto), che si costituisce l’immagine del mondo sociale, cioè lo spazio degli stili di vita»(Bourdieu 2001: 174).
[4] Secondo Montes e Meschiari «lo spazio è sempre una forma di “spaziazione”: intendendo più esattamente con ciò un’entità composita e inscindibile plasmata dal divenire delle azioni realizzate su/con uno spazio a sua volta variamente agente o reattivo, il cui divenire stesso è effetto delle specifiche traiettorie e forme di interazione instaurate nel tempo e nelle culture» (Montes e Meschiari 2015: 18).
[5] Il riferimento al bricoleur levistraussiano permette di cogliere la dinamica che è insita nel rapporto tra l’immaginario, i luoghi e i soggetti. Secondo l’antropologo francese «esiste tra l’immagine e il concetto un intermediario, il segno […] come il nesso tra un’immagine e un concetto, i quali, nell’unione così realizzata, sostengono rispettivamente le parti di significante e di significato» (Lévi-Strauss 2010: 31). Il Mediterraneo ha assunto diversi significati sulla base del rapporto che si è stabilito tra il mare, il significato che esso veicola e il soggetto.
            Riferimenti bibliografici 
            Appadurai, Arjun, Modernità in polvere, Milano: Raffaello Cortina, 2012.
            Bourdieu, Pierre, La distinzione, Bologna: Il Mulino, 2001.
            Braudel, Ferdinand, Il Mediterraneo, Milano: Bompiani, 2000.
            Breda, Nadia, «Per un’antropologia dell’acqua.» in  Erreeffe , n. 51 (aprile 2005): 3-16.
            Fabietti, Ugo, Medio Oriente, Milano: Raffaello Cortina , 2016.
            Ingold, Tim, Ecologia della cultura, Roma: Meltemi, 2000.
            La Cecla, Franco, Perdersi l’uomo senza ambiente, Roma: Laterza, 2011.
            Lévi-Strauss, Claude. Il pensiero Selvaggio, Milano: Il Saggiatore, 2010.
            Matvejević Pedrag., Il Mediterraneo e l’Europa, Milano: Garzanti, 1998
            Montes S e Meschiari M., Spaction,. Roma: Aracne, 2015.
            Morello, Alessandro,«La costruzione dell’immaginario turistico e la produzione dell’habitus del turista»,   in Dialoghi Mediterranei, n. 20 (giugno 2016).
            Olivier De Sardan, Jean Pierre, Antropologia e sviluppo, Milano: Raffaello Cortina, 2008.
            Resta Caterina, Un mare che unisce e divide, Erice: atti del convegno 2003
            Turner, Victor, Dal rito al teatro, Bologna: Il Mulino, 1986.
            Zanini, Pietro, Significati del confine, Milano: Mondadori, 2000.
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Alessandro Morello, dopo aver conseguito la laurea in Beni demoetnoantropologici all’Università degli Studi di Palermo, si è specializzato in Scienze Antropologiche ed etnologiche all’Università degli Studi di Milano-Bicocca con una tesi sulla costruzione dell’immaginario turistico a Favignana, focalizzando l’attenzione sul carattere processuale e dinamico dell’immaginario, sulle pratiche di pianificazione turistica e sulle capacità di agency dei soggetti.

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