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Umanità dei paesaggi e ospitalità come dono
Posted By Comitato di Redazione On 1 novembre 2019 @ 00:07 In Cultura,Società | No Comments
di Pietro Clemente
Il silenzio e il paesaggio
Nella sua riflessione di artista poliedrica, sarda e mondiale, Maria Lai aveva segnalato l’importanza del paesaggio. Il «paesaggio che precede le vite umane», dal quale ogni storia comincia, che si converte nella immaginazione che pure parte da esso. Diceva dei sardi: «noi che abbiamo il privilegio di vivere vicino alla preistoria», o anche «noi che viviamo il silenzio come coerente alla dimensione del nostro paesaggio» (non sono vere citazioni, sono evocazioni di discorsi sentiti). Da artista segnalava i tratti della comunicazione estetica, il loro fondarsi nello spazio storico, costruito a sua volta sulla morfologia del territorio e dei suoi tempi lunghi.
Ho pensato a Maria Lai a settembre quando – invitato dal giornalista e scrittore Giacomo Mameli – ho percorso le strade della Sardegna interna, curva dopo curva, incontrando capre e mucche, quasi allo stato brado, e vedendo greggi di pecore. Paesaggi scoscesi, adeguati alla pastorizia e al silenzio. Andavo al paese natale di Giacomo Mameli: Perdasdefogu (Pietredifuoco), dai nativi detto ‘Foghesu’ (fuochese, focoso) per Sa strangìa, una festa assai particolare, in cui gli invitati al banchetto, all’agape, sono ‘gente di fuori’. Ed io lo ero così tanto anche perché nella mia vita sarda e sardo-toscana non ero mai arrivato lassù a Perdas, o altrimenti Foghesu. Sulla via del ritorno poi, andando verso Olbia per tornare a Siena, la strada impervia si apriva al paesaggio dei Taccos. Stupefacenti formazioni rocciose, una delle quali è detta ‘il tempio’, passando per Gairo nuova, Osini nuova, paesi colpiti da una drammatica alluvione che ha costretto a ricostruire altrove, ma passando soprattutto per Ulassai, il paese di Maria Lai, dove c’è la sua Stazione dell’arte. Il paese che Maria, negli anni ’60, convinse a partecipare a un suo straordinario allestimento-evento: ‘Legarsi alla montagna’. Una lunghissima chilometrica fascia di tela jeans era connessa con la grande roccia, che sovrasta minacciosa o protettiva Ulassai, e traversava tutte le case del paese connettendo le famiglie tra loro e la comunità alla montagna. Una incredibile performance che ha al centro il rapporto tra le famiglie e la comunità e tra gli uomini e il paesaggio, che resta documentata da un film.
Lo scorso 27 settembre Maria ha compiuto cento anni ‘in contumacia’, avendo raggiunto nel 2013 l’altra dimensione, forse l’oltremondo degli artisti, quello evocato nel film di Paolo Zucca L’uomo che comprò la luna (2018/19). Ma la sua voce continua a farsi sentire: i suoi paesaggi immaginati sono ancora in mostra anche al MAXXI di Roma. Il paesaggio è il filo conduttore dei testi di questo numero di Il centro in periferia. Paesaggio umano, paesaggio da riumanizzare, da rileggere alla luce della sua storia e della storia delle visioni e delle pratiche di esso. Ma ci arriviamo a piccoli passi. Passando per Sa strangìa.
Su strangiu esti cumpangiu – Lo straniero è compagno
La festa de ‘Sa strangìa’, ovvero della estraneità, della forestierità, consiste solo in una cena ospitale, ma svolta nel quadro della festa settembrina di San Salvatore. Il paese in festa, processioni, cortei, stendardi, bancarelle, socialità. La sera prima si invitano a cena degli ‘strangius’, su strangiu, o anche su ‘foresteri’, è un termine assai usato nell’isola, quasi a tematizzare il peso o la forza della dialettica dentro-fuori, noi-altri, propria degli isolani e delle loro culture (anche le più mescolate, come in fondo è quella sarda). Giacomo Mameli allestisce con un certo turn over degli invitati tutti gli anni, questo anno è capitato a me, la sua piccola casa di campagna in mezzo alla macchia, al bosco, agli olivi, pareva un frammento significativo della riflessione sul paesaggio di studiosi e artisti. Fortemente caratterizzata dalle sue scelte, ma nel rispetto delle rocce e degli alberi. L’offerta di un ‘apericena’ all’aperto con uva, fichi, mandorle, pane, poteva anche essere collocato nell’Iliade, o nell’Odissea. Il paesaggio è anche il mondo della biodiversità, e la cena ospitale, il dono dell’accoglienza, è legato anche ai prodotti del territorio: In cucina prevaleva – in ogni piatto che ne usciva – la biodiversità e il paesaggio sardo tra Ogliastra (dove si trova Perdas), Sarrabus e Gerrei, più a sud. Diversità, accoglienza, biodiversità in questo angolo di festa dello straniero. Ma la festa ha una sua storia, e un suo mito di fondazione che mette conto ricordare, eccole nelle parole di Giacomo Mameli:
In queste occasioni anche il paesaggio si apre allo sguardo straniero, al dialogo tra già visto e stupore dell’inconsueto. Si racconta e si apre a nuove parole. Un paesaggio ‘forte’ quello dell’Ogliastra, aspro e insieme epico, di strette vie boscose, fitte di macchia mediterranea e di grandi orizzonti a perdita d’occhio. Di rocce gigantesche e di smisurati silenzi.
Ma l’ospitalità è una forma di rapporto umano, direi quasi una forma di vita, che traversa i paesaggi e le civiltà, che si afferma nel racconto mitico diffuso ovunque della teoxenia (in sardo sarebbe la ‘deustrangìa), degli dèi che si presentano come stranieri per valutare l’umanità dei terrestri, e spesso puniscono violentemente l’inospitalità. Un ciclo di novelle popolari, legato a Cristo e San Pietro che girano per il mondo riprende i temi della teoxenia antica, e quando una comunità non accoglie questi ospiti essi non esitano a far inabissare interi paesi. Molti laghi italiani sono nati per interventi divini di punizione della inaccoglienza. Secondo Ovidio, ne Le metamorfosi, Zeus che premiò Filemone e Bauci, anziani e poveri che li accolsero, sterminò e fece ingoiare dalle acque i Frigi inaccoglienti. Ma per gli antichi anche nella loro vita e nel loro sentimento del valore sacro di essa l’ospite era un ‘dono degli dèi’. Così Nausicaa nel VI canto dell’Odissea, che accoglie Ulisse, ‘su strangiu’:
Nuove arti dell’abitare
Gli scritti de Il centro in periferia, riguardano il paesaggio, il viaggio e l’innovazione. In un certo senso i due testi che hanno al centro il paesaggio ‘locale’, e che si incontrano negli esempi che concernono il Salento (Magnaghi, Colazzo-Manfreda), mostrano tramite strumenti di indagine diversi un tema centrale che è quello dei tempi lunghi del rapporto tra comunità e ambiente che sono alla base del paesaggio storico, della morfologia, e della vita costante dei paesaggi. I paesaggi storici sono la chiave delle diversità, quelle che sono misurate dall’incontro con l’altro, che si offrono al dialogo. Si offrono anche al palato e alla degustazione, ormai da molti anni, da quando la gastronomia è diventata una forma di conoscenza oltre che forma della sensibilità. È la diversità legata alla varietà degli ambienti la base di senso della ‘teoxenia’ e dell’ospitalità, perché essa nasce dall’essere diversi messi alla prova della comune umanità. I territori sono enciclopedie di micro varianti nell’uso degli strumenti agricoli, nelle usanze, negli scarti che li rendono diversi, nei confini tra olio e burro, tra modi di produrre il formaggio. I testi citati aprono alla rilettura del paesaggio come risorsa per riabitarlo. Vedono nel paesaggio stesso delle zone interne, nonostante l’abbandono, i depositi di memoria fisica e azionale che può consentire la riproduzione o invero la storia degli sguardi e delle produzioni iconiche che nel tempo ha rappresentato tratti ‘originari’ dei luoghi, ne ha descritto con le immagini il trascorrere della ‘coscienza di luogo’.
È in questo quadro che è interessante orientare la tematica della innovazione, per togliere ad essa il predominio di una implicazione ‘futurista’ e per farle assumere invece la dimensione di ‘arricchimento’ di qualche cosa che c’è già, che chiede uno sviluppo dall’interno, come il nostro stesso linguaggio verbale.
L’innovatore non è solo ‘straniero’ ma forse sguardo estraniato rispetto al senso comune, alla corrente:
Lo sguardo rivolto al contesto locale consente la consapevolezza che:
Anche il tema dello straniero come dono degli dèi, si connette a queste riflessioni, e alle problematiche delle economie donative che si definiscono nei contesti di nuova economia locale; fu letteralmente così che Mimmo Lucano, in tutte le sue dichiarazioni, percepì l’arrivo dei migranti sulle coste di Riace: un dono degli dèi che consentiva di creare un nuova economia locale, basata sulle vocazioni del luogo, del paesaggio.
Credo sia chiaro che – nel simbolismo delle storie future – chi si oppone ai doni degli dèi sprofonderà prima o poi nei laghi della propria disumanità. Le storie future ci connettono con il racconto di viaggio nella vicina Corsica di Corradino Seddaiu. Negli anni ’60, quelli della mia più impegnata militanza, nel PSIUP sardo Emilio Lussu invitava i potenti a non ridurre la Sardegna ai livelli drammatici della Corsica spopolata; ora, nel racconto del viaggio, si coglie che la Corsica è in forte recupero e la Sardegna invece in netto calo. Un tema da meditare. Così torna ad essere interessante riflettere sullo sguardo lungo che ancora una volta Toni Casalonga da Pigna nella Balagna (testo di Seddaiu), ci suggerisce, quando invita a non spaventarci troppo per l’abbandono dei luoghi, perché esso favorisce, lascia liberi spazi per possibili rinascite e adattamenti, e suggerisce di avere idee chiare di lungo progetto, piuttosto che mettere insieme frammenti di un passato che non passa, di affidare il futuro a residui di sopravvivenza privi di coscienza della località.
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