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Umane dimenticate istorie

Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2021 @ 01:01 In Cultura,Società | No Comments

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Pacifico Dubbioso

il centro in periferia

di Katia Ballacchino, Nicola Grato, Luigi Lombardo [*]

Ricordo di Pacifico Dubbioso, da Nola

Per Pacifico Dubbioso di sicuro nomen omen è una espressione efficace e veritiera. Pacifico Dubbioso, sembra quasi un ossimoro, una persona che nella sua stessa definizione tiene insieme la dimensione di pace e di dubbi, insomma una piccola grande lezione di vita.

Così, in un certo senso, mi piace iniziare il breve racconto di memoria che voglio restituire in ricordo di un cittadino di Nola, città della provincia di Napoli che forse più di tutte conosco per motivi di ricerca etnografica di lunga durata. Pacifico non posso dire di averlo conosciuto bene, ma le volte in cui ci siamo incrociati e parlati negli anni attorno ai comuni interessi per la festa dei Gigli di Nola sono davvero numerose e spesso costituiscono quelle occasioni preziose, colme di emozioni condivise, che valgono quanto un’amicizia. Dal 2006 – anno in cui iniziai la mia ricerca sul campo – ad oggi la sua presenza nei numerosi momenti rituali legati alla festa, che è patrimonio per Nola ma da diversi anni anche per l’UNESCO, era costante e attiva.

Pacifico, di 52 anni, farmacista come tanti impegnati in prima linea nella stessa lotta alla pandemia e padre di famiglia, era una di quelle persone spesso immancabili nei momenti topici del cerimoniale nolano, con la sua macchina fotografica e la sua presenza silenziosa e discreta, che nascondeva una passione infinita per la sua festa.

Ed è su questa passione per i Gigli che vorrei far leva per mettere in luce come spesso il patrimonio immateriale locale attribuisca come nient’altro un ruolo sociale agli individui, a tutti i livelli, la tradizione restituisce un posto nel mondo all’interno del territorio a cui si appartiene. In una comunità vivace e festosa come è quella nolana, la timida voce e il discreto percorso di vita di Pacifico acquistano un valore che non può andare disperso a causa di un virus.

Dal silenzio e dalla solitudine in cui la pandemia ha costretto nel 2020 le persone che contraggono il Covid-19 vorrei in questo senso, assieme ai suoi cari, far emergere la vita di Pacifico, che giovane e senza malattie pregresse, ha pagato un prezzo troppo alto in questi mesi così duri per l’intera umanità.

Ricordarlo è senz’altro anche un modo per restituire simbolicamente voce a chi quest’anno è andato via troppo presto a causa di un virus che si trasmette con la socialità, quelle stesse situazioni di socialità che io e Pacifico abbiamo tante volte condiviso lungo i luoghi e gli spazi dedicati alla sua festa dei Gigli e alla sua paranza.

Nelle parole della sorella maggiore, Fortuna – altro nome indicativo delle speranze di una vita – si sintetizza la storia di Pacifico Dubbioso. Perché solo chi gli stava accanto ogni giorno può evidenziare il valore di un individuo, e in questo modo della comunità a cui appartiene.

128335579_1483988481796938_4987365139302519058_nPacifico: una vita d’amore rapita dal Covid

«Pacifico, un nome antico come antiche le tradizioni della famiglia paterna che amava onorare le persone di famiglia consegnando ad un nato il nome di qualcuno per riconoscergli un pizzico di eternità. Quando papà decise quel nome, cercai di proporre degli altri. Quel nome non piaceva. Oggi posso dire e testimoniare che non ci fu nome più appropriato perché esso racchiude il carattere, l’indole, tutta la personalità di Paci.

Il più piccolo di sette figli quindi coccolato e amato in maniera particolare. È stato sempre buono fin da bambino, la sua semplicità di cuore lo rendeva amabile e amico di tutti. Farmacista è stato contitolare della farmacia di famiglia con il fratello Antonio a Somma Vesuviana. Qui testimonianze di affetto e di stima a iosa dal più semplice cliente al primo cittadino.

Aveva conquistato l’affetto e la stima di tutti. Soleva acquistare tutto quanto potesse servire in famiglia a Somma perché diceva di volere ricambiare la clientela della farmacia; mi faceva sorridere il fatto che, come raccontava, acquistasse pantaloni e magliette che pur non gli servivano ma per far piacere a questo o l’altro amico.

Si potrebbe pensare che qui la ragione fosse la reciprocità di un rapporto commerciale ma non era così. La gratuità nell’attenzione per l’altro era cosa naturale per Pacifico e lo testimoniano le tante e tante attività nel sociale a cui si dedicava con passione ed inesauribile entusiasmo.

A Nola amante della Festa dei Gigli era il Presidente della Caciotta Family. Qui intendeva coniugare bene tradizione e cultura, tradizione e valori paoliniani, presente e futuro dedicandosi ai piccoli per i quali progettava attività per far emergere dalla Festa dei Gigli quei contenuti valoriali propri dello spirito di San Paolino, perché la ballata dei Gigli non rimanesse un caso isolato del mese di Giugno ma diventasse un punto di partenza per un rinnovare la propria vita e un punto di arrivo per una riflessione consapevole sul senso della propria esistenza.

La sua passione per la fotografia lo vedeva cogliere attimi di festa, angoli della città, persone care, per fermare il tempo e lasciare il ricordo. E nello stesso scenario cade tutto l’impegno per Telethon, la collaborazione con la Mensa Fraterna e tutti gli interventi per coloro che avessero bisogno, che pur faceva in silenzio. Tutto ciò faceva con un tale entusiasmo da apparire talvolta un bambino.

Questo periodo era il tempo per allestire la villetta antistante casa … ricordo bellissimi gli addobbi dello scorso anno!

Ancora l’amore per la terra! Solo una persona sensibile può scegliere di riposare passando la domenica nel suo amato orto. Lo chiamavo Cincinnato, alto magistrato di Roma dedito anche al lavoro nei campi. Quante volte lo rimproveravo perché, dicevo, si stancasse dopo una settimana di lavoro. La sua risposta riusciva a spiazzarmi “io qui sono libero dai pensieri e mi riposo”.

124405469_1468657719996681_7298316207372383980_nLa cosa che va evidenziata è l’amore per la mamma anziana. Un amore che dettava le sue azioni protese ad accontentare la mamma. Attento alle esigenze di nostra madre e con tutti noi progettava come renderla felice. Quante ore con lei per farle compagnia, i racconti di vita, le notizie di cronaca, i fatti del giorno, le chiacchiere di paese pur di farla vivere e interessarla alla vita. Quanto si dispiaceva quando non riusciva a sostituirci nei turni con mamma. Mamma non sa!

L’amore per la famiglia e per i figli! Compagno di giochi dei suoi bambini, si dava da fare perchè sapessero andare in bicicletta, perché facessero esperienze le più varie, quante sorprese e quante foto fatte a Luigi e Nunzia, quest’ultima in particolare sempre appiccicata al papà!

Il più piccolo tra noi con una saggezza di cuore ineguagliabile. Una discrezione che non tutti hanno capito. Una persona unica. La sua vita è stata un abbraccio all’umanità. Si perché le sue amicizie travalicavano i confini!

La pianta più giovane del nostro giardino di famiglia che donava frutti in abbondanza e tutti buoni. Un fulmine ha schiantato proprio la pianta che molto probabilmente era troppo tenera lasciando un vuoto inesorabile in una solitudine immane».

                                                                       Fortuna, la sorella maggiore

Nella lettera della sorella si scorge tutta la trama di una vita attenta e di cura, che molto ha donato e molto ricevuto. Una storia di vita, quella di Pacifico, umile e speciale che racconta un po’ di ciascuno di noi o di quello che vorremmo essere. Che racconta di una professione che purtroppo non è bastata a consentirgli di resistere a questo terribile virus, e che fa riflettere sulla fragilità dell’individuo dinanzi a battaglie così terribili, conseguenze del mondo complesso in cui viviamo.

Racconta di uno o più paesi, di luoghi di lavoro, di una preziosa famiglia, di solidarietà e associazionismo, di scambi di reciprocità che rafforzano le relazioni e di amore per la terra che mostra un’attenzione al luogo domestico che spesso le grandi città non lasciano spazio e tempo per vivere.

Ma Pacifico era anche molto attivo nella sua straordinaria festa che tanto incanta grandi e bambini e proprio nell’impegno attorno alla trasmissione intergenerazionale dei valori della festa, si era dedicato per la sua “Paranza Stella”, che prende il nome da un quartiere di Nola ma che ne travalica i confini, un gruppo innanzitutto di amici a cui da sempre Pacifico aveva scelto di appartenere.

Nelle parole del suo capoparanza, Lello Guerriero, per gli amici e per tutti Lello a’ Caciotta – così come si usa ancora nei piccoli luoghi ereditare il soprannome di famiglia – si individua il ruolo di impegno e devozione di Pacifico.

«Pacifico una luce che il mostro ha tentato di spegnere fallendo miseramente.

Parlare del mio caro Amico è una fitta al cuore. Orgoglioso ed onorato che l’amica Katia abbia scelto me per descrivere una persona di una bontà Unica e sempre disponibile verso il prossimo. La storia d’amore di Pacifico con la sua Stella inizia negli anni Ottanta e diventa qualcosa di inscindibile nel 1990, quando la sua famiglia, unitamente alle famiglie D’Avanzo e Scotti, realizzano il sogno di ogni Nolano: diventare maestro di festa del Giglio del Panettiere.

Da quel momento il contributo di Pacifico all’interno del Mondo Stella diventa costante e costruttivo. Telethon, Mensa Fraterna e Agop, associazione genitori oncologia pediatrica 1° Policlinico di Napoli, sono e restano il vanto ed i capisaldi del suo contributo.

Con l’avvento dell’associazionismo all’interno della Festa dei Gigli, lui diventa il Presidente dei Caciotta Boys. Con i suoi ragazzi contribuisce, unitamente all’Associazione Paranza Nolana Stella e Caciotta Girls, al restauro di una tela del 1700 collocata presso la Chiesa SS. Apostoli in via San Felice, a Nola.

Altro momento culturale bellissimo dove non fece mancare il suo impegno, fu la mostra Faccincani, che riempì d’orgoglio tutti noi. Nel 2018 dalla fusione dei Caciotta Boys e Caciotta Girls, nacque la Caciotta Family.

Non ci fu un attimo di esitazione su chi dovesse essere il presidente: Dubbioso Pacifico.

Anche nella gestione della suddetta associazione realizzò, insieme a tutto il Mondo Stella, il percorso Stella Academy dedicato ai bambini e alle tradizioni della nostra festa.

Prima della sua dipartita, quasi come ci volesse salutare con un suo ultimo contributo, fu messo in cantiere un nuovo progetto, con la speranza di realizzarlo in tempi brevi.

Concludo che per me Pacifico è partito solo per un viaggio, tale e tanta è la percezione di averlo con noi quotidianamente».

Con grande affetto Lello Guerriero a’ Caciotta

Nelle settimane in cui Pacifico era ricoverato in condizioni sempre più gravi a causa del Covid sui social network proprio il suo capoparanza riservava messaggi quotidiani rivolti virtualmente all’amico, con l’invito a resistere perché tutta la paranza stava attendendo il suo ritorno. Perché nulla senza di lui sarebbe stato uguale. E, come capita ormai frequentemente, all’annuncio dell’interruzione della vita di Pacifico le bacheche dei Nolani o i gruppi su WhatsApp a cui io stessa appartengo, si sono riempiti di testimonianze di affetto ma anche di enorme dolore per la terribile perdita.

Perché ogni volta che un individuo lascia la sua comunità la perdita diventa collettiva. E la socialità che la pandemia costringe a dimenticare torna perentoriamente a farsi spazio nel mondo digitale, provocando emozioni che aiutano in modi inediti e creativi ad elaborare collettivamente il lutto.

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Giovanna Pernice

Giovanna Pernice, maestra di Villafrati

In paese si muore come si muore ovunque, non c’è una particolarità né una tipicità della morte in paese non fosse che in paese la morte “si vede”, è presente quotidianamente: si chiude una casa per sempre, sparisce un mastro con la sua bottega, muore una maestra di tanti ragazzi, e la scuola è più sola, così come il paese.

Il 27 Ottobre di questo annus horribilis 2020 è morta a 56 anni di Covid-19 Giovanna Pernice, maestra di Villafrati che nel suo paese e a Cefalà Diana ha insegnato. È morta mentre il suo paese era “zona rossa” e la sua scuola chiusa, i suoi alunni in didattica a distanza. Giovanna amava la scuola e ne era ricambiata: donna impegnata nel sociale, membro del consiglio di biblioteca, è stata anche presidente della Consulta delle donne di Villafrati, maestra dolce con gli allievi e collega sempre in prima linea nelle discussioni di scuola, nei collegi lunghi e a volta lunghissimi dei tempi delle riunioni in presenza.

«Quanti anni, giorno per giorno, dobbiamo vivere con uno per capire cosa gli nasca in testa cosa voglia, o chi è?» si chiede Francesco Guccini nella sua canzone Van Loon; quanto tempo bisogna trascorrere con una collega di lavoro, con una collega insegnante per capire, per comprendere i suoi interventi, cogliere la profondità, intercettare le troppe cose non dette?

Giovanna ha studiato come tante maestre di questi nostri paesi al magistrale di Mezzojuso, vera e propria fucina di insegnanti e luogo di emancipazione femminile in anni in cui il tema dell’emancipazione femminile ancora non era all’ordine del giorno nei nostri paesi.

Giovanna amava la scuola ed era persona fortemente ancorata ai valori antichi e ugualmente curiosa nei confronti dei nuovi modi di socialità, delle tecnologie a scuola; tuttavia la bussola dei suoi giorni era sempre la persona umana, osservata nei suoi aspetti più discreti e più manifesti. Paideia era per lei stare in mezzo ai bambini, occuparsi della loro crescita come il contadino fa dei germogli delle colture.

Scriveva Giovanna, e scriveva di vita in questa sua breve poesia: «La vita scorre come l’acqua/che nasce da una sorgente…/La vita sbiadisce lentamente/come si essicca una sorgente…/La vita ti gratifica e ti elargisce gioie…/basta un secondo per lasciarti inerme» (La vita).

È un soffio la vita, il battere d’ali del tempo; è una fotografia la vita, una fotografia delle elementari in cui Giovanna è sorridente con le sue compagne; una fotografia che la ritrae vestita per Carnevale, giorno di festa in mezzo ai suoi bambini. Ricordo quando facevamo i progetti sui diritti dei bambini: si lavorava assieme e mi scaldavano il cuore il suo entusiasmo e la sua intelligenza vigile.

A scuola era un punto di riferimento, e in paese sapevamo di poter contare su di lei. Giusy Manata, collega di Giovanna Pernice, la ricorda come dotata di una energia che sembrava inesauribile:

«Giovanna imponeva la sua presenza», mi scrive Giusy, «perché ogni qual volta riteneva di poter fare o essere la differenza nella vita di un suo allievo, non si poneva limiti. Poteva trattarsi di finanziare la gita al bambino in ristrettezze economiche, così come del convincere un genitore, che non percepiva una particolare difficoltà scolastica del figlio, a consultare uno specialista». Fare la differenza nella vita di qualcuno, “incidere” significativamente è il compito di ogni educatore. In paese questo è vero più che altrove, perché nei paesi il pensiero simbolico attecchisce profondamente: una casa, un muro, financo il ferro delle “chiavi” nelle case di pietra hanno profondo significato e valenza culturale altissima; ci ricordiamo di un mastro in bottega o di un venditore di “generi alimentari”, ci ricordiamo di una maestra.

Non entrava mai nelle dispute politiche ridotte a scannatoio, aveva Giovanna un senso “alto” della politica come servizio, ma la sua figura era egualmente apprezzata dalle diverse parti politiche, segno questo non di equidistanza bigotta ma di vero e fruttuoso impegno per le sorti del suo paese.

Ancora una collega e amica di Giovanna, Caterina Alessi, scrive di come Giovanna fosse sempre presente nella vita degli altri, presenza discreta ma efficace: «Conservo ancora la zuccheriera di porcellana gialla che mi regalasti il giorno del mio compleanno di quel lontano febbraio del 1991. Per me non era un compleanno come tutti gli altri, ero triste e stavo elaborando il lutto per la prematura scomparsa della mia cara mamma. Ti sei presentata dicendomi: “Questo è per te, ti auguro di addolcire i tuoi giorni come lo zucchero che è contenuto dentro questo piccolo dono”. E ancora: “Non dimenticare mai che la vita è bella nonostante i momenti bui che ognuno di noi attraversa”».

Giovanna è morta in ospedale, a Palermo. Negli ultimi giorni le sue condizioni si sono aggravate, non rispondeva più ai tanti messaggi che quotidianamente riceveva. Il cordoglio, lo sgomento sono corsi per tutto il paese e sul doppio virtuale del paese, Facebook: incredulità, dolore, rabbia.

La maestra Giovanna Pernice è tornata a Villafrati su un carro funebre, che si è fermato di fronte alla scuola elementare: si è sentito il suono di una campanella, gli alunni e i genitori presenti davanti al cancello hanno pianto.

Due anziani coniugi di Mezzojuso, insieme fino all’ultimo

Domenica 11 ottobre 2020 sono morti di Covid-19 a Mezzojuso due anziani coniugi, a distanza di poche ore l’una dall’altro. Si chiamavano Pietro Lo Monte e Giuseppa Tavolacci. Con loro è morta anche la loro casa, situata in una stradina di Mezzojuso che sembra un vicolo andaluso, bianca e con le case strette strette.

I parenti non hanno potuto salutarli per questioni di salute pubblica: le norme anticontagio non contemplano pietas.

Ho visto dal balcone di casa mia l’uscita dei due feretri dalla casa: oggi non si possono accompagnare i morti, come è noto, quindi stare al balcone e seguire queste “operazioni” mi è sembrato un atto di pietà nei confronti di questi due vecchi, sempre chiusi in casa, gentili e cordiali.

Tempo fa la signora…mi chiamò dalla persiana semichiusa della sua casetta, chiedendomi di avvisare il figlio per una questione di un pacco recapitato a lei erroneamente. È chiaramente questo un episodio banale come tanti ne avvengono ogni giorno in ogni angolo della Terra, ma una volta morta la signora questo insignificante dettaglio ha assunto ai miei occhi una valenza importantissima: una persona che ti parlava, chiedeva il tuo aiuto e “rappresentava” la sua casa posta all’angolo della strada, con le piante fiorite davanti ai gradini.

Le piante versano in stato di abbandono, la casa è vuota, i parenti hanno subìto una tragedia silenziosa e perciò ancora più difficile da elaborare.

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Viagrande, 30 ottobre 1957, nozze di Venerando Gambino e Angela Torrisi

L’addio congiunto di una coppia di Viagrande

VIAGRANDE (CT) 30 Ottobre 1957

Ricordo del matrimonio dei coniugi Venerando Gambino e Angela Torrisi, che ci hanno lasciato nello scorso mese di Novembre per colpa del Covid.

Una foto familiare che è diventata memoria collettiva di una coppia conosciuta e amata da tutto il paese. L’immagine coglie la sposa Angela Torrisi accompagnata dal padre mentre incede all’ingresso della chiesa madre, sulla soglia l’aspetta il futuro marito.

Questa foto è stata gentilmente prestata nel 1984 in occasione di una mostra “Viagrande d’altri tempi”, organizzata dalla Pro Loco (presidente prof. Salvatore Tonzuso). Riprodotta e ingrandita, è servita anche a far osservare com’era sino alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso la piazza Maggiore, la piazza San Mauro, per i viangrandesi “u tabbare”, per via dei decori barocchi.

La foto è documento dello stato della struttura urbana prima dell’apertura di via della Regione. Ma è anche testimonianza di una giornata memorabile che inaugurò la vita felice della coppia durata per ben 62 anni. Venerando Gambino e Angela Torrisi si erano sposati il 30 ottobre del 1957. Lei casalinga, lui agricoltore autonomo. Venerando era un grande devoto del patrono di Viagrande S. Mauro. Nella festa svolgeva la funzione di cassiere addetto a ricevere le offerte e prima ancora gli ex voto in cera o su tavoletta per grazia ricevuta al santo, per questo era conosciutissimo e rispettato. Avevano due figli, Graziella e Giuseppe. Per primo è morto Venerando, e a distanza di 15 giorni la moglie, senza che l’uno sapesse niente dell’altro. 

Erano entrambi ultraottantenni. La loro vita era uguale a quella di tante altre coppie viagrandesi. Oltre che per la famiglia Venerando viveva per il suo santo Mauro. Nei tre giorni della festa era seduto al tavolo delle offerte e la gente, rassicurata dalla sua presenza, lasciava copiose offerte.

Costretti in ospedale e isolati l’uno dall’altra, non hanno più visto la casa frutto di tanti sacrifici, né hanno potuto salutare né salutarsi reciprocamente. Al funerale svolto in chiesa non hanno partecipato i figli, essi stessi colpiti dal covid. Sembravano i figli di nessuno. I pochi presenti hanno pianto la scomparsa di due piccoli pilastri della comunità cui la sorte non ha riservato una giusta morte. Ma esiste una giusta morte? Nelle comunità umane più tradizionali è quella condivisa, con i suoi tempi rituali, le sue stancanti ma necessarie veglie, il suo ristorativo consulu fatto di piatti corroboranti e di solidale vicinanza, preparato dai vicini o da qualche parente. Insomma a loro è toccato in sorte di morire come “figli di nessuno”. Questa la ricompensa di una vita di sacrifici, di onestà e di amore per i figli e i nipoti? È quanto si chiede la comunità di Viagrande e naturalmente i parenti, senza trovare razionali risposte.

Non è facile raccogliere informazioni dai familiari, chiusi nel loro dolore e nel ragionevole riserbo. Anche questo è frutto avvelenato di questa pandemia, che ci fa sospettosi, reticenti, schivi e diffidenti, per pudore, per paura, per insicurezza. Il lutto che nei piccoli paesi è collettiva partecipazione ad un rito di cordoglio e di solidarietà, in questa contingenza è vissuto in solitudine e in soggezione, in tristissima silenziosa privazione.

Si percepisce una certa reticenza negli interessati e nei loro parenti a parlare del Covid, specie quando è coinvolto un loro caro, un loro familiare. Si ha quasi la paura di essere additati, emarginati, colpevolizzati. Noi stessi siamo impacciati, quasi impediti a parlarne, come se magicamente ne potessimo essere contagiati. Poi per caso ti accorgi che c’è chi ne parla su facebook con dettagli e senza reticenza. La cosa ti sorprende, ma cominci a capire presto le motivazioni. Chi parla dei loro cari morti col Covid o chi, guarito dal contagio, ne parla apertamente in prima persona si sente a proprio agio sul canale social, quasi protetto da una comunità di “amici” che “a distanza” leggono e solidarizzano formando quel cordoglio che permette di espellere il negativo, di elaborare il lutto o la malattia: coram populo, ma, come detto, “a distanza”.

È il caso di due testimonianze che si possono leggere nelle pagine facebook degli interessati: sono due casi: uno di morte, uno di vita. Nel primo la signora Gambino di Viagrande racconta la morte dei suoi genitori (dalla vita alla morte). Nel secondo il prof. Indomenico narra la sua esperienza di guarigione (dalla “morte” alla vita), entrambi lo fanno appunto su facebook, che diventa così uno straordinario mezzo di comunicazione, che rassicura e insieme tutela. Curioso veramente constatare che si tratta di persone adulte, che usano i social appunto come strumento di socializzazione, secondo modalità sperimentate nella frequentazione vis à vis.

«Con il cuore ancora a pezzi dal dolore voglio ringraziare tutti quelli che, attraverso un gesto una parola o una preghiera, ci sono stati vicini in questo periodo tumultuoso per noi dove tante angosce e dispiaceri si sono accavallati uno su l’altro. Viagrande ha pianto tutta e anche i paesi vicini, perché i miei genitori regalavano sorrisi e amore sincero a tutti, questo era il loro biglietto da visita. Ringrazio padre Giuseppe Guliti il nostro parroco, che attraverso telefonate con le sue parole ci ha regalato tanto affetto e amore. Ringrazio in modo particolarissimo il mio angelo custode, la dottoressa Deborah Vasta, che li ha curati dal primo giorno con tanto amore e dedizione. In questo periodo bruttissimo di pandemia è stata vicina ai miei genitori e a noi, facendo per loro l’impossibile, trascurando sé stessa e la sua famiglia, disturbando anche altre cariche per poter avere più assistenza. Grazie amica mia. Ringrazio tutti i miei zii e cugini e amici tutti che ci sono stati accanto con tutto ciò che potevano. Io raccomando a tutti di non sottovalutare il COVID perché è micidiale e ti senti impotente e ti terrorizza. Grazie di cuore a tutti. Siete stati innumerevoli, e ringraziarvi singolarmente è impossibile. Questo mio messaggio di ringraziamento è a nome anche di mio fratello Giuseppe, che siamo stati per i nostri genitori i loro angeli custodi non facendogli mancare niente. Io e mio fratello ci abbracciamo anche se da lontano piangendo i nostri angeli che ci veglieranno da lassù. Grazie mamma e papà per tutto quello che ci avete dato, io e Giuseppe ne faremo tesoro. Grazie grazie grazie Viagrande».                                                                                                                             Graziella

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Francesco Indomenico

Francesco Indomenico di Floridia, sopravvissuto al covid

Insegnante di sostegno presso l’istituto comprensivo Salvatore Quasimodo di Floridia (Sr), Francesco Indomenico, di anni 60, ha vissuto la difficile esperienza della patologia da covid e mostra nelle due fotografie postate su facebook la prova della sua sofferta malattia e della sua fortunosa guarigione. Nelle parole che ha messo in rete c’è il racconto della storia, il desiderio di comunicarla, di condividerla perché sia testimonianza di gratitudine verso quanti hanno contribuito alla sua salvezza, ma anche esemplare monito verso i giovani perché assumano consapevolezza della gravità del contagio. La pagina facebook assolve, anche in questo caso, alla funzione narrativa e performativa, nella ricerca di ritrovare socialità, solidarietà, affetto. Così si legge sulla sua pagina:

«7 novembre/ 8 dicembre 22 giorni di Covid

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Francesco Indomenico

12 giorni di febbre che scende e poi risale ti fanno stare male, dolori articolari diffusi, saturazione bassa a riposo, cortisone e antibiotico, inappetenza, fino a quando Peppe, mio figlio a mia insaputa chiama il 118, ricovero presso il pronto soccorso di Siracusa.

Ricordo che una volta arrivato in ospedale e sceso dall’ambulanza tremavo … avevo lo sguardo perso e vedevo operatori sanitari correre di qua e di là.

SALVE: nome e cognome, e che disturbi accusa? Che terapia ha seguito a casa?

Si metta pure sul quel letto, ed è proprio in quel momento che ti accorgi che le tue orecchie vedono perché tu da quel momento in poi vedrai solo il soffitto di uno stanzone, grida di gente che sta male, grida di chi in continuazione chiama gli operatori sanitari, macchinette elettroniche che emettono allarmi ogni 2/3 secondi, tutto dentro la tua testa e tu pensi, ma, sta succedendo davvero a me?

P.S. Ragazzi evitate gli assembramenti e indossate bene e sempre le mascherine! Eviterete di intasare i reparti degli Ospedali che lavorano in maniera eccellente!»

 Dialoghi Mediterranei, n. 47, gennaio 2021
 [*] I testi vanno così attribuiti: Katia Ballacchino ha scritto Ricordo di Pacifico Dubbioso, da Nola e Pacifico: una vita d’amore rapita dal Covid; Nicola Grato è l’autore di Giovanna Pernice, maestra di Villafrati e Due anziani coniugi di Mezzojuso, insieme fino all’ultimo; Luigi Lombardo ha firmato i testi successivi: L’addio congiunto di una coppia di Viagrande e Francesco Indomenico di Floridia, sopravvissuto al covid.
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Katia Ballacchino, professore associato di discipline demoetnoantropologiche presso il Dipartimento di Studi Politici e Sociali dell’Università degli Studi di Salerno, insegna inoltre Metodologia della ricerca applicata ai Beni DEA presso la Scuola di Specializzazione in Beni demoetnoantropologici della Sapienza Università di Roma. Tra i suoi interessi di ricerca, che si concentrano nel centro-sud dell’Italia, ma non solo: etnografia del patrimonio culturale immateriale, politiche dell’identità, processi di patrimonializzazione, processi partecipativi, sistemi rituali e festivi e loro mutamenti, migrazioni e dislocazioni, memoria e biodiversità. Attualmente sta svolgendo diverse ricerche etnografiche, tra cui una sulla tutela del Palio di Siena per conto del MIBACT, e ha pubblicato diversi contributi scientifici sia in contesti editoriali nazionali sia internazionali.
Nicola Grato, laureato in Lettere moderne con una tesi su Lucio Piccolo, insegna presso le scuole medie, ha pubblicato tre libri di versi, Deserto giorno (La Zisa 2009), Inventario per il macellaio (Interno Poesia 2018) e Le cassette di Aznavour (Macabor 2020) oltre ad alcuni saggi sulle biografie popolari (Lasciare una traccia e Raccontare la vita, raccontare la migrazione, in collaborazione con Santo Lombino); sue poesie sono state pubblicate su riviste a stampa e on line e su vari blog quali: “Atelier Poesia”, “Poesia del nostro tempo”, “Poetarum Silva”, “Margutte”, “Compitu re vivi”, “Lo specchio”, “Interno Poesia”, “Digressioni”,“larosainpiù”,“Poesia Ultracontemporanea”.
Luigi Lombardo, già direttore della Biblioteca comunale di Buccheri (SR), ha insegnato nella Facoltà di Scienze della Formazione presso l’Università di Catania. Nel 1971 ha collaborato alla nascita della Casa Museo, dove, dopo la morte di A. Uccello, ha organizzato diverse mostre etnografiche. Alterna la ricerca storico-archivistica a quella etno-antropologica con particolare riferimento alle tradizioni popolari dell’area iblea. È autore di diverse pubblicazioni. Le sue ultime ricerche sono orientate verso lo studio delle culture alimentari mediterranee. Per i tipi Le Fate ha di recente pubblicato L’impresa della neve in Sicilia. Tra lusso e consumo di massa.

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