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Territori, comunità e percezione della crisi idrica. Un approccio geografico culturale al caso dei Nebrodi

Una veduta dei Nebrodi. Al centro il letto, asciutto, del torrente Zappulla (novembre 2024). Foto di Gaetano Sabato

Una veduta dei Nebrodi. Al centro il letto, asciutto, del torrente Zappulla (novembre 2024, ph. Gaetano Sabato)

di Gaetano Sabato [*]

Introduzione 

Lo studio della percezione del rischio nell’ampio alveo della geografia umana si può collocare già a partire dalle formulazioni della nota “Scuola di Chicago”. Più precisamente, si tratta dei primi studi condotti da Gilbert White (White et alii, 1958) sulle inondazioni delle pianure alluvionali americane e risalenti agli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso (De Pascale et alii, 2019; De Pascale e Sabato, 2021). Inoltre, come ricorda Lando, lo sviluppo di tale riflessione all’interno degli approcci geografici si consolida dagli anni Sessanta del Novecento, con un ampio portato epistemologico: 

«la “Geografia della Percezione” è un filone di pensiero, o meglio una matrice disciplinare […] sviluppatasi in ambito geografico nordamericano dagli anni ’60 del secolo scorso […]. Il suo punto di partenza è stato la constatazione che l’“estrema polisemia del territorio” è l’elemento che rende difficile sia l’interpretazione del rapporto uomo/ambiente sia la valutazione dei significati e dei valori. Pur sostanzialmente legato alla geografia teoretica in quanto, rifiutando il descrittivismo, accetta formulazioni teoriche e definisce “teorie del comportamento spaziale”, se ne discosta perché considera il suo rapporto uomo/ambiente ancora troppo meccanicistico.» (Lando, 2016: 141). 

Dopo l’avvio negli anni Sessanta del XX secolo, a partire dai Settanta la “Geografia del comportamento”, spesso più impropriamente chiamata “Geografia della percezione”, si afferma iniziando a studiare il modo in cui gli individui elaborano soggettivamente la propria rappresentazione dell’ambiente circostante e, più in generale, del territorio in cui vivono. Il filone di studi che si concentra sul modo in cui vengono percepiti i rischi è quindi spesso segnato dal tema della “percezione del pericolo” (hazard perception) e rientra nella più ampia etichetta dei Disaster Studies, basati su approcci sempre più interdisciplinari.

In questa sede non è possibile ripercorrere in dettaglio l’evoluzione di questi articolati indirizzi di studio all’interno della geografia, ma a riguardo si prendano in considerazione almeno i lavori di Downs (Downs, 1970), Moore e Golledge (Moore e Golledge, 1976) e Bianchi (Bianchi, 1987).

Una delle idee fondamentali alla base dei moderni studi di ambito geografico sulla percezione del rischio è che non basta trovare soluzioni tecnologiche, anche se all’avanguardia, per combattere certe situazioni di rischio ambientale, come alluvioni, incendi, terremoti, se non si considera come centrale la reazione umana a tali fattori di rischio (cfr. De Pascale, 2019; De Pascale e Dattilo, 2021). Il coinvolgimento delle persone e, per estensione, delle comunità locali diventa quindi imprescindibile per evitare due esiti che rendono inefficaci o poco efficaci le soluzioni alle situazioni di rischio: 1) una stima dei possibili pericoli che non corrisponde al reale grado di rischio, provocando una sopravvalutazione o sottovalutazione dello stesso; 2) la progettazione di politiche di intervento inefficaci perché si tiene in maggior conto il livello top-down, trascurando quello bottom-up. Inoltre, ormai da anni, vari studiosi del rischio hanno messo in guardia sul fatto che non si può parlare di “disastro naturale”, poiché più correttamente le conseguenze di un evento estremo sulle persone sono il risultato dell’interazione tra l’ambiente e le società umane (cfr. Botta, 1987).

Tra i temi più recenti che costituiscono oggetto di interesse per gli studi sulla percezione del rischio (Sabato), vi è quello della crisi idrica: l’alternanza di siccità e alluvioni che negli ultimi tre anni sta colpendo in modo intenso diversi Paesi mediterranei e che sembra connessa in vari modi all’innalzamento della temperatura globale. Com’è noto, tale crisi sta mettendo a dura prova le risorse e le capacità di resilienza e resistenza di varie regioni geografiche, costrette a subirne e a mitigarne gli effetti. Rimanendo nell’ambito dei Paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo, il caso siciliano è uno dei più rilevanti, poiché negli ultimi due anni l’isola ha conosciuto una delle più severe siccità dell’ultimo trentennio.

A partire da queste premesse, il presente contributo illustra una ricerca che sto conducendo nel territorio dei Nebrodi, in Sicilia, nell’ambito della percezione del rischio. La ricerca (che ha avuto inizio nel 2024 ed è attualmente in corso) sta indagando, dalla prospettiva della geografia culturale, la percezione della crisi idrica da parte dei residenti di alcuni piccoli comuni del sistema nebroideo. Sebbene i risultati qui presentati e discussi siano parziali è già possibile osservare alcune evidenze. 

Olive pronte per la spremitura. Nebrodi (novembre 2024). Foto di Gaetano Sabato

Olive pronte per la spremitura. Nebrodi (novembre 2024, ph Gaetano Sabato)

La crisi idrica in Sicilia

Negli ultimi anni, la crisi idrica dovuta a un’alternanza di siccità ed alluvioni sta colpendo sempre più spesso varie regioni dei Paesi dell’Europa meridionale, come Spagna, Italia e Grecia. Quale possibile esito dell’innalzamento della temperatura globale e, dunque, dei cambiamenti climatici, questa crisi idrica è un’emergenza grave. Nel quadro della situazione italiana, le condizioni in Sicilia oggi appaiono molto preoccupanti, poiché sull’isola nel 2023 e per buona parte del 2024 si è verificata una delle peggiori siccità degli ultimi trent’anni. Le scarse precipitazioni, ben al di sotto delle medie stagionali, non sono risultate sufficienti a rimpinguare le riserve d’acqua (laghi artificiali, bacini di raccolta, etc.) destinate alle colture, all’allevamento del bestiame e al consumo umano. Inoltre, un ulteriore aggravio della situazione è da ricondurre al sistema infrastrutturale regionale che presenta reti idriche obsolete e, in molti casi, sottodimensionate rispetto alle odierne necessità. Una situazione che si ritrova anche a una scala maggiore: un recente report dell’agenzia S&P Global che si è concentrato in modo comparativo sulle situazioni di Spagna e Italia stima che 

«il 60% della rete idrica italiana ha più di 30 anni e il 25% più di 50 anni. Nel 2022 il 42% dell’acqua incanalata è andata perduta nelle reti di distribuzione, collocando l’Italia tra i Paesi europei con il più alto tasso di perdite idriche […]. Le regioni meridionali dell’Italia che affrontano livelli più elevati di stress idrico registrano anche le maggiori perdite […]. In Sardegna, Molise e Sicilia oltre la metà dell’acqua va perduta, mentre Basilicata e Abruzzo registrano perdite superiori al 60%. Le prospettive per il Sud sono particolarmente preoccupanti, con lo stress idrico destinato a peggiorare nei prossimi decenni.» (Rodriguez Anglada e Bellesia, 2025 – traduzione mia). 

Secondo lo stesso report (Ibidem), la Sicilia nel 2022 si collocava in undicesima posizione tra le prime dodici regioni (amministrative) italiane per stress idrico [1], ma tra le prime quattro per usi idrici non domestici e tra le prime cinque per perdite nella rete. Lo studio suggerisce anche che, nel caso della Sicilia, l’obsolescenza e l’insufficiente manutenzione delle reti idriche sono fortemente correlate alla frammentazione dei servizi idrici: con oltre 50 operatori di distribuzione, gli investimenti per l’ammodernamento delle strutture risultano più onerosi e meno efficaci che in altre regioni italiane. Una fotografia cui fanno da significativo contraltare i 4,3 miliardi di euro del PNRR stanziati in Italia per il settore idrico, ossia circa l’1,8% del piano economico nazionale (de Ceglia, 2025). 

Come conseguenza diretta della crisi idrica siciliana, a partire dalla primavera del 2024, è diventata necessaria una serie di contromisure per limitare i consumi al fine di gestire meglio le scarse risorse. Una delle più evidenti è il razionamento dell’acqua, consentito dalla dichiarazione dello stato di calamità da parte della Regione Siciliana e operato dai gestori dell’approvvigionamento idrico nelle aree interne e in molti comuni dell’isola nelle province di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Messina, Palermo e Trapani. Alcune fonti mediatiche (il Post, 2024) stimano che già nel luglio del 2024 (periodo in cui questa ricerca era iniziata da due mesi) oltre 1.600.000 persone in Sicilia erano rimaste senza un regolare approvvigionamento idrico.

Tra la fine del 2024 e i primi cinque mesi del 2025 la situazione degli invasi siciliani è leggermente migliorata grazie a due importanti elementi: le abbondanti precipitazioni registrate tra gennaio e marzo 2025 che hanno riportato il livello di diversi invasi sul territorio regionale a quello di poco antecedente la crisi del 2024 (cfr. Autorità di bacino, 2025; D’Orazio, 2025); il parziale miglioramento dell’infrastruttura idrica su impulso di un piano di 250 milioni di euro che prevede anche la messa in rete di nuove fonti e di nuovi acquedotti. Tuttavia, permangono diverse incertezze sulla situazione idrica a livello siciliano, legate a vari elementi di criticità. Oltre alla scarsità di precipitazioni, come si è visto, nodi problematici rimangono la rete idrica e la domanda di acqua che risulta accresciuta anche dai consistenti flussi turistici che arrivano sull’isola. Negli ultimi anni, infatti, diverse località siciliane riescono ad attrarre turismo quasi tutto l’anno, realizzando una certa destagionalizzazione dei flussi: secondo l’Osservatorio turistico della Regione Siciliana le presenze registrate nel 2024 sfiorano i 22.421.000 a fronte di circa 4.800.000 residenti siciliani (Osservatorio turistico Regione Siciliana, 2024; Istat 2025).

Di recente, nel contrasto alla crisi idrica si sta puntando anche alla tecnologia dei dissalatori mobili, utilizzati da tempo in Spagna e in Grecia. Entro giugno sono attesi in Sicilia gli impianti che entreranno in servizio a Gela, Porto Empedocle e Trapani, che rappresentano tre fra le località più in sofferenza dal 2024. Gli investimenti si aggirano intorno ai 100 milioni di euro (di cui 90 garantiti dal governo e 10 impegnati dal bilancio regionale – cfr. il Post, 2025). L’acqua potabile prodotta dai dissalatori verrà immessa nella rete idrica contribuendo a incrementarne la disponibilità nelle aree interessate per circa 130.000 utenti totali, una cifra teorica che secondo alcuni (Ibidem) pone l’intervento come utile, ma non davvero risolutivo sul lungo termine. 

Guardando agli effetti nefasti della prolungata condizione siccitosa del biennio 2023-2024 e della conseguente crisi idrica, si potrebbero citare vari casi in grado di destare grande preoccupazione e che riguardano soprattutto le attività antropiche. Tuttavia, il caso emblematico del Lago di Pergusa, nella provincia di Enna, sembra sintetizzare questo difficile quadro. All’inizio dell’estate del 2024 era scomparso quello che viene considerato l’ultimo lago naturale di una certa dimensione sull’isola, conosciuto (fin dall’antichità) per le rare caratteristiche del suo ambiente naturale e la ricchezza della sua fauna che ne avevano garantito l’inclusione in una riserva naturale speciale, riconosciuta dall’Unione Europea come Sito di Interesse Comunitario. Alimentato da acque piovane e sotterranee che hanno visto una sensibile riduzione proprio nel biennio in questione, ha conosciuto una parziale ripresa solo nel febbraio 2025, tuttavia limitata dai molti detriti trascinati dalle intense piogge nei canali di adduzione. Una condizione che fa intendere, ancora una volta, come le soluzioni alla crisi idrica vadano approcciate in una chiave sistemica che tenga conto dei molti livelli interagenti. 

Nebrodi. Un paesaggio visto dal centro abitato di Mirto. Sullo sfondo le Isole Eolie (aprile 2025). Foto di Gaetano Sabato

Nebrodi. Un paesaggio visto dal centro abitato di Mirto. Sullo sfondo le Isole Eolie (aprile 2025, ph Gaetano Sabato)

La ricerca condotta nel territorio dei Nebrodi 

La ricerca oggetto di questo lavoro, iniziata nel 2024 e ancora in corso, mira a ricostruire in una prospettiva qualitativa la percezione della crisi idrica che esprimono alcuni residenti, impegnati a curare varie colture a titolo non professionale e per uso familiare. La ricerca condotta all’interno del sistema nebroideo si è concentrata su alcuni territori interessati solo marginalmente da misure di razionamento nella distribuzione dell’acqua: questa scelta è stata motivata dalla possibilità di osservare il comportamento dei partecipanti rispetto a un rischio concreto, ma non in atto. 

L’area geografica in cui si situa questa ricerca è una zona collinare, con piccoli rilievi composti prevalentemente da argilla, calcare e arenaria con altitudini massime che non superano i 2.000 metri sul livello del mare. Più specificamente, la ricerca finora condotta si è concentrata attorno al centro abitato di Mirto, che si trova a circa 430 metri sul livello del mare e che conta circa 870 abitanti (ISTAT, 2024), cifra che può salire sensibilmente in certi periodi dell’anno (soprattutto in estate e durante le vacanze di Natale, per via del rientro momentaneo di molti emigrati che mantengono forti legami con la comunità di partenza). Il territorio comunale si estende per circa 10 km2 e, oltre alle parti collinari, comprende anche parti più pianeggianti. La tradizione rurale è piuttosto antica (le prime notizie sicure dell’insediamento risalgono alla prima metà del XII secolo) e, nonostante l’odierno spopolamento dovuto a un importante fenomeno migratorio per motivi di studio e di lavoro che interessa le fasce più giovani (di età compresa tra i venti e i quarant’anni), rimane oggi abbastanza viva. L’agricoltura è dunque una delle attività prevalenti: diversi abitanti possiedono piccoli appezzamenti di terra che coltivano non per attività remunerative, ma per tradizione familiare e piacere personale. Inoltre, alcuni giovani scelgono di rimanere nel territorio di origine svolgendo vari lavori e coltivando i propri appezzamenti di terra per uso familiare.

 Al momento di questa ricerca e a tutt’oggi, nel territorio comunale non sono in atto misure restrittive per quanto riguarda la distribuzione dell’acqua, né per uso potabile e sanitario, né per uso agricolo. Tuttavia, alcuni sistemi di irrigazione tradizionali utilizzati dagli intervistati, tra la fine della primavera e l’estate del 2024, hanno visto una parziale diminuzione delle risorse idriche. Al contrario, il razionamento dell’acqua, introdotto nel 2024, è rimasto in vigore in molti dei centri abitati limitrofi. In generale, l’area collinare su cui insiste la maggior parte del territorio comunale ha registrato precipitazioni leggermente superiori rispetto a molte aree della Sicilia (Report siccità Sicilia, 2024). 

Nebrodi. Albero di melo in fiore (aprile 2025). Foto di Gaetano Sabato

Nebrodi. Albero di melo in fiore (aprile 2025), ph  Gaetano Sabato)

La ricerca è stata condotta attraverso la metodologia etnografica dell’osservazione partecipante e ciò ha permesso di incontrare diverse volte gli informatori e di effettuare varie interviste [2]. Queste ultime, finora, sono state rivolte ad alcuni abitanti della comunità che possiedono appezzamenti di terra di varie dimensioni e li coltivano per passione o per tradizione familiare: si tratta soprattutto di colture orticole, uliveti e alberi da frutto. In media, la dimensione dei terreni di questi agricoltori non professionali è compresa tra 5 e 15 ettari.

Le interviste, rivolte a cinque informatori di età compresa tra i 33 e i 70 anni, sono state condotte in momenti diversi (tra la primavera e l’estate del 2024), senza l’uso di un questionario. Le domande, identiche per tutti gli informatori, sono state poste nel corso di conversazioni guidate (durata media 50-80 minuti), in modo da lasciare gli informatori completamente liberi di rispondere, anche tornando sullo stesso tema in seguito, per aggiungere ulteriori considerazioni. Ho poi analizzato le risposte degli informatori, concentrandomi su 6 delle domande poste durante le conversazioni guidate. L’analisi ha seguito un criterio qualitativo, ponendo attenzione agli elementi più significativi emersi durante le interviste e tenendo conto dell’esperienza acquisita durante il lavoro sul campo. Qui di seguito vengono presentati brevemente alcuni dei risultati emersi finora in relazione alle sei domande poste agli informatori nel giugno 2024, con una sintesi delle risposte più simili per facilitarne la lettura.

Alla prima domanda: 

1) Hai avuto problemi con l’approvvigionamento idrico? 

4 informatori su 5 hanno riferito di «avere qualche difficoltà, da oltre tre mesi, a riempire le cisterne presenti nelle loro proprietà per l’irrigazione delle [loro] colture». Attualmente, l’approvvigionamento idrico, in certi casi integrato parzialmente con piccole sorgenti spontanee, «è appena sufficiente a coprire le esigenze essenziali legate alle [loro] attività agricole». 

Alle due domande: 

2) In quale modo l’attuale mancanza d’acqua influisce sulle tue attività agricole? 

3) Se non avessi abbastanza acqua per le tue colture, cosa faresti? 

Tutti gli informatori hanno risposto che utilizzano «cisterne private per l’irrigazione, ma da alcuni mesi riusciamo a riempirle soltanto con acqua proveniente dalla rete pubblica». In tutte le risposte, gli informatori hanno menzionato come effetto potenzialmente negativo di questa situazione «il possibile aumento dei costi di coltivazione». Inoltre, dalle risposte emerge «una grande preoccupazione riguardo al possibile razionamento idrico nel futuro». Se ciò diventasse realtà, 3 degli informatori hanno specificato che si sentirebbero «costretti a cambiare completamente la loro produzione» e 2 hanno specificato che dismetterebbero buona parte delle loro colture. Una preoccupazione espressa da 4 informatori su 5 è che «i necessari cambiamenti nel loro modo di coltivare avrebbero un grande impatto sull’economia domestica». Infine, 3 informatori su 5 hanno dichiarato che rinuncerebbero a tutte le loro colture in caso di razionamento prolungato. 

Alla domanda: 

4) A cosa attribuisci l’attuale mancanza d’acqua che si verifica nelle zone limitrofe? 

Tutti gli informatori hanno attribuito la significativa diminuzione dell’acqua nelle aree limitrofe a cause naturali, individuando soprattutto «la scarsità di precipitazioni». 2 su 5 hanno menzionato «i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale». Invece, gli altri 3 intervistati hanno menzionato «le cattive condizioni della rete idrica», sottolineando anche che «il progressivo spopolamento dei [loro] territori e, dunque, l’abbandono delle terre contribuiscono all’impoverimento di molte risorse locali». Tutti hanno dichiarato di utilizzare abitualmente i media televisivi o Internet per reperire informazioni sulla crisi ambientale, con particolare riferimento alla Sicilia. 

Alla domanda: 

5) Sai se c’è in atto un’emergenza idrica in Sicilia? 

Tutti gli informatori hanno risposto di essere a conoscenza dell’emergenza idrica, sia perché sono stati «informati da persone che vivono nei paesi vicini dove è in atto il razionamento dell’acqua per usi agricoli e sanitari», sia perché lo hanno appreso dai media. Inoltre, 4 informatori su 5 hanno detto di essere «molto preoccupati per la situazione generale e per la possibilità di un futuro razionamento anche nella [loro] zona». 

Infine, alla domanda: 

6) Quali soluzioni pensi possano essere efficaci per evitare la mancanza d’acqua? 

Nebrodi. Paesaggio rurale. Al centro si individua il letto, asciutto, del torrente Zappulla. Sulla collina di destra si riconosce l'abitato di San Salvatore di Fitalia (novembre 2024). Foto di Gaetano Sabato

Nebrodi. Paesaggio rurale. Al centro si individua il letto, asciutto, del torrente Zappulla. Sulla collina di destra si riconosce l’abitato di San Salvatore di Fitalia (novembre 2024, ph. Gaetano Sabato)

Solo 2 informatori su 5 hanno identificato la tecnologia come soluzione alla crisi idrica, augurandosi che vengano costruiti «nuovi impianti di dissalatori, nuovi pozzi e bacini». Gli altri 3 informatori ritengono che «la situazione potrebbe migliorare se la rete idrica esistente fosse resa più efficiente, una soluzione che probabilmente eviterebbe il razionamento». Tutti gli informatori ritengono che questi interventi dovrebbero far parte di strategie mirate da parte dei decisori politici, ma con l’ascolto degli abitanti dei territori colpiti dalla crisi idrica. Infine, tutti hanno espresso grande preoccupazione per l’ipotesi di razionamento dell’acqua, sia per usi agricoli che sanitari. 

Come si può notare, la prospettiva che ha orientato le domande è transcalare, in modo da tenere il livello locale e quello globale sempre in relazione. Più in dettaglio, le domande guida da un lato mirano a comprendere il modo in cui gli informatori-residenti percepiscono la crisi idrica attraverso gli effetti diretti sul loro vissuto quotidiano e, dall’altro, cercano di esplorare più in profondità la consapevolezza degli intervistati in merito ai temi connessi a tale crisi. 

Campagna nebroidea. Territorio di Mirto (primavera 2023). Foto di Jenny Carcione

Campagna nebroidea. Territorio di Mirto (primavera 2023, ph Jenny Carcione)

Conclusioni 

Sebbene sia difficile trarre delle conclusioni da una ricerca ancora parziale, poiché si dovrebbero includere dei livelli di analisi che attualmente non sono disponibili, è comunque possibile sintetizzare alcuni punti chiave emersi finora.

Gli informatori, nel giugno 2024, mostravano già una certa preoccupazione per gli effetti della crisi idrica, malgrado essa non avesse costretto le amministrazioni e i gestori locali a misure di razionamento. Alcuni degli agricoltori non professionali intervistati hanno riferito di utilizzare la rete pubblica per l’approvvigionamento idrico delle proprie colture, integrando solo parzialmente queste risorse con piccole sorgenti spontanee: ciononostante, la possibile contrazione della disponibilità della rete pubblica secondo tutti gli informatori rappresenterebbe la manifestazione più concreta della crisi idrica. Ciò è emerso, oltre che dalle interviste, anche dal lavoro sul campo, durante il periodo in cui è stata realizzata l’etnografia. La preoccupazione maggiore per gli informatori, quindi, rimane il possibile razionamento dell’acqua. Il rischio di tale misura, soprattutto se prolungata, produrrebbe, secondo la percezione degli intervistati, un conseguente riassetto delle colture, in quanto la maggior parte di essi ridurrebbe la propria produzione o la dismetterebbe. Quasi tutti gli informatori hanno menzionato, a supporto della propria preoccupazione, l’impatto che questa misura drastica avrebbe sull’economia familiare, dal momento che la cura delle proprie colture spesso impegna l’intero nucleo familiare e costituisce un investimento di risorse per l’autoproduzione di cibo il cui valore percepito è piuttosto alto. In questo contesto è interessante notare che gli informatori facciano riferimento allo spopolamento del territorio e al conseguente abbandono dei contesti rurali dovuto all’emigrazione, situazione che vedrebbero aggravarsi nel caso di una forzata dismissione delle attuali colture a causa della crisi idrica.

Dalle interviste si evince, inoltre, una certa consapevolezza della crisi idrica da parte degli agricoltori, basata sulle informazioni a disposizione, sia quelle desunte dalla situazione locale (reti personali, passaparola, etc.), sia quelle provenienti dalle comunicazioni ufficiali dei media (televisione, radio, internet). A tal proposito va ricordato che le soluzioni al problema secondo gli informatori dovrebbero spaziare dalla costruzione di nuovi impianti di dissalatori, nuovi pozzi e bacini al miglioramento della rete idrica al fine di evitare gli sprechi d’acqua.

Più in generale, gli agricoltori non professionali su cui si è concentrata finora questa ricerca sono parte attiva di una comunità che anima il territorio in cui vive. Le attività rurali quotidiane di questi informatori popolano la campagna locale e impiegano risorse familiari che contribuiscono in vario modo al benessere della comunità, per quanto piccola. Si tratta certamente di economie familiari, ma la riflessione qui avviata si colloca volutamente a una grande scala (ossia a grande dettaglio), perché l’obiettivo di questo studio è quello di indagare le dinamiche di una comunità poco estesa. In altre parole, lo studio della percezione della crisi idrica di una piccola comunità può spiegare come funzionano le complesse relazioni tra la stessa comunità e l’ambiente che la circonda (cfr. Cusimano 1996; Cusimano et alii, 2007) tra i sistemi di produzione locale e le dinamiche di consumo, tra economie particolari e le risorse a livello globale.

La prospettiva di un progressivo, ulteriore spopolamento della campagna e l’abbandono di alcune colture è una situazione che preoccupa molto, non solo gli agricoltori. Infatti, ci costringe a riflettere su come una piccola comunità possa attuare strategie di resilienza e contrastare fenomeni globalmente pericolosi cercando di resistere a una crisi (cfr. Cusimano, Messina e Sabato, 2023) che con tutta probabilità deve essere contrastata e mitigata con un progressivo cambiamento dello stile di vita, consumi sempre più sostenibili e interventi sistemici che devono tenere conto del territorio reale per facilitare processi virtuosi di sviluppo locale. Gli indirizzi, gli approcci e le prospettive indicati in questo lavoro verranno ulteriormente approfonditi nella prosecuzione della ricerca. 

Dialoghi Mediterranei, n. 74, luglio 2025 
[*] Questo lavoro è una ulteriore e inedita elaborazione del contributo che l’autore ha presentato in occasione della Giornata di studio “Dialoghi di territorio e di sviluppo”, organizzata dal Gruppo di lavoro nazionale “Riordino territoriale e sviluppo locale: quali punti di contatto?” interno all’Associazione dei Geografi Italiani (A.Ge.I.) che ha avuto luogo a Messina il 7 febbraio 2025. 
Note
[1] L’indice che esprime la quantità di risorse idriche utilizzate rispetto a quelle disponibili in una determinata area geografica.
[2] Qui il riferimento esplicito è alla metodologia basata sull’osservazione partecipante, un metodo di indagine qualitativo teorizzato e utilizzato originariamente dall’ antropologia culturale e, successivamente, da molte scienze sociali, compresa la geografia culturale. All’interno dell’antropologia, dai suoi primi utilizzi, tale metodologia è stata ridefinita in vari modi, a seconda delle diverse scuole di pensiero e degli approcci, e implica rilevanti problemi epistemologici ed etici. Esula dagli scopi di questo studio prendere in considerazione il dibattito storico e moderno che nel corso del tempo ha ridefinito finalità e modalità dell’etnografia, ma a tal proposito si vedano almeno: Geertz, 1973; Malinowski, 1978 e 1989; Clifford, Marcus, 1986; Clifford, 1988; Montes, 2024. 
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ISTAT, 2024, https://demo.istat.it/app/?l=it&a=2024&i=D7B (ultimo accesso 15 giugno 2025).
Osservatorio turistico della Regione Sicilia, Movimenti turistici nella Regione – Dati provinciali 2024 https://bit.ly/460qjyI (ultimo accesso 15 giugno 2025).
Report Siccità Sicilia, Anno 2024, https://bit.ly/reportsiccita (ultimo accesso 15 giugno 2025). 
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Gaetano Sabato è professore associato di Geografia presso l’Università degli Studi di Palermo, dove insegna Geografia per la Scuola Primaria e dell’Infanzia e Geografia culturale del cibo. Si occupa soprattutto di geografia culturale, mobilità, turismo globalizzazione, letteratura e geografia, didattica della geografia, spazi e digitale. Ha dedicato alcuni lavori alla percezione dello spazio e del rischio. È autore di numerosi articoli scientifici e capitoli su volume. Ha curato diversi volumi e numeri speciali di riviste internazionali. Fa parte di progetti di ricerca nazionali ed internazionali. Coordina con Stefano Montes la collana editoriale “Interdisciplinary Perspectives on Cultural Dynamics” per Il Sileno, Lago e con Leonardo Mercatanti la collana editoriale “Geografia, culture e società” per la Nuova Trauben, Torino. Tra le sue monografie più recenti: con Stefano Montes, Attraversamenti. In viaggio, in treno, altrove, Nuova Trauben, Torino, 2023; come unico autore, Communities and Cruise Ship Tourism. A Geographical Perspective on the Cases of Palermo and Siracusa, Sicily, Il Sileno, Lago, 2024.

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