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Tasso, i poeti guerrieri e il mecenatismo al femminile

 coverdi Rosario Lentini

Nel 1453 Costantinopoli (ex Bisanzio), caduta in possesso di Maometto II «il Conquistatore» e, quattro anni dopo, ridenominata Istanbul, diventava capitale di un vasto dominio ottomano che, fino alla morte di Solimano il Magnifico (1566), si sarebbe sviluppato dalla frontiera col Marocco fino al golfo Persico, dalle rive del mar Nero al Sahara, al Sudan e ad Aden. Uno degli effetti di questa espansione fu che i due regni, di Napoli e di Sicilia, cominciarono a subire la forte pressione turca esercitata con frequenti incursioni piratesche. Perciò, dalla seconda metà del Quattrocento, oltre che incrementare la costruzione di navi da guerra, si avviò unʼintensa opera di fortificazione e difesa passiva dei litorali e dei porti e lʼIsola sarebbe diventata la frontiera tra i due mondi, musulmano e cattolico; ultimo baluardo che avrebbe accolto i migranti bizantini o i molti profughi albanesi che qui si sarebbero integrati o avrebbero fondato proprie comunità. A ciò si aggiunse, dal 1504, anche il pericolo rappresentato dalle azioni corsare del temibile Khair ad-dīn (Barbarossa) e dei suoi tre fratelli, al servizio del sultano ottomano, che rendevano molto rischiosa la navigazione nel Mediterraneo e la vita delle popolazioni costiere, spesso depredate o rese schiave.

Già nel 1535, Carlo V dʼAsburgo, imperatore del Sacro romano impero, aveva voluto fortemente lanciarsi nellʼimpresa della conquista di Tunisi, partecipando egli stesso alla spedizione navale, per eliminare il Barbarossa. Lʼobiettivo della temporanea conquista della città fu conseguito, ma non quello della cattura del corsaro che, infatti, qualche anno dopo, tornò a imperversare sia nellʼAdriatico che nel Tirreno. Tuttavia, il risultato della vittoria militare del 1535, venne divulgato e comunicato quasi fosse la fine del potere turco, 

«come assicurava la propaganda messa in moto nei mesi che precedettero la stagione della guerra e in cui i temi della crociata si intrecciarono con quelli della guerra punica e del mito, in una straordinaria operazione divulgativa per la quale vennero arruolati artisti, poeti, musici […].Una stagione di arte e di guerra, frutto di una cultura che riscopriva il valore esemplare delle gesta dei grandi condottieri e trionfatori del passato, di cui avrebbe testimoniato il ciclo di arazzi del Vermeyen realizzato un decennio dopo, quando il Mediterraneo non era più nei progetti di Carlo, per raccontare il successo della cristianità con una forza iconografica più impressionante della vasta letteratura del tempo che pure fu intensa. Si trattò, infatti, di un copioso flusso di opere, trattati, avvisi che precedettero e accompagnarono le innumerevoli notizie e lettere sui preparativi della spedizione su cui si appuntò la curiosità dei contemporanei» (Lina Scalisi, LʼIsola in guerra: Tunisi 1535, in Qui si trova la chiave per comprendere il tutto, a cura di Pina Travagliante e Marco Leonardi, Algra, Viagrande 2017: 121-122). 

Questa graduale crescita politico-militare turca ebbe naturalmente conseguenze rilevanti anche sul piano commerciale, culturale e religioso (islamici sunniti), che sembrò trovare un argine nella disfatta navale subìta a Lepanto (golfo di Patrasso) nel 1571, da parte della trionfante Lega Santa (Spagna e relativi Regni di Napoli e di Sicilia, Repubbliche di Genova e di Venezia, Stati pontifici, Granducato di Toscana, Ducati di Savoia, Urbino e Lucca, Cavalieri di Malta), comandata da Giovanni dʼAustria. Tuttavia, con la presa di Tunisi nel 1574, da parte di Selim II, e il mantenimento dellʼisola di Cipro in mano turca, ci si rese conto che, forse, il trionfalismo della coalizione di potenze europee, trainate principalmente dalla Spagna di Filippo II, era eccessivo. 

É inevitabile […] ‒ ha scritto Alessandro Barbero ‒ affrontare la domanda che infastidiva Fernand Braudel: ma la battaglia di Lepanto ebbe delle conseguenze, o non servì a niente? Alla fine lʼimportanza storica di Lepanto sta soprattutto nel suo enorme impatto emotivo e propagandistico. La notizia della vittoria venne accolta nelle capitali cattoliche con un entusiasmo senza precedenti, tanto più che arrivava dopo anni di frustrazioni e di fame. […] Nel frattempo, i soldati e i rematori licenziati si trascinavano verso casa, i feriti morivano negli ospedali, i generali pensavano alla gloria che li aspettava, i morti venivano ricordati o dimenticati, e il loro posto veniva preso da altri» (Lepanto. La battaglia dei tre imperi, Laterza, Bari-Roma 2021 [2010]: 617-619). 
Alfonso d'Avolos, Getty Center, Museum North Pavilion, Gallery N204

Tiziano, Ritratto di Alfonso d’Avolos, 1553 (Getty Center, Museum North Pavilion, Gallery N204(

E sono proprio questi due luoghi e date (Tunisi, 1535 e Lepanto, 1571) che fanno da scenario e arco temporale della narrazione della storica Maria Sirago, autrice del piccolo ma denso volume dal titolo La penna e la spada. Bernardo e Torquato Tasso da Tunisi a Lepanto (DʼAmico Editore, Nocera Superiore, 2021). In realtà, il testo non si sofferma solo sui Tasso, padre e figlio, entrambi letterati, ma con uno sguardo più ampio e acuto, anche sui “poeti guerrieri” e sul “mecenatismo al femminile”, che hanno rappresentato un capitolo importante del Rinascimento culturale italiano e, in particolare, di quello di area meridionale. La breve rassegna di alcune di queste figure importanti inizia con Alfonso dʼAvalos, marchese del Vasto, nato a Ischia nel 1502, il quale, rimasto presto orfano, fu educato dalla zia Costanza, principessa di Villafranca, che nella splendida isola partenopea aveva creato un vero e proprio cenacolo letterario. Il dʼAvalos discendente di una delle più nobili famiglie del Regno di Napoli, ricoprì incarichi di grande prestigio divenendo elemento chiave nella politica spagnola: 

«Egli dalla fine degli anni ʼ20 fino a quando non partì per Milano nel 1538, per ricoprire la carica di governatore, fu uno dei maggiori rappresentanti dellʼumanesimo di corte che caratterizzò il petrarchismo napoletano nella prima metà del Cinquecento». 

Ciò si evince molto bene dai suoi numerosi sonetti, il seguente dei quali è tratto dalla raccolta curata da Lodovico Dolce, Delle Rime di diversi illustri Signori Napoletani e dʼaltri nobilissimi ingegni, pubblicata a Venezia nel 1555: 

Donna, cʼhavete di color lucente / Lʼantica faccia si dipinta e tesa; /
Ne altra fu giamai la vostra impresa, / che con quel viso inadescar la gente /
Conosco, che questʼarte veramente / Da la guerra del tempo vʼha difesa. /
Hor havete a lʼestremo altra via presa, / Di vergar carte si thoscanamente. /
Io che vi vidi già men secco legno; / Vedrovi tosto angel di bianche piume; /
Et dʼaltro ornata, che di gemme e dʼostro. /
Ma a pria, cheʼl tempo in tanto vi consume; / provedete, vi prego al fatto vostro. /
Voi mʼintendete, e so cʼhavete ingegno. 

Il suo ruolo di guerriero è rimasto impresso in una splendida tela di Tiziano che si conserva al Paul Getty Museum di Los Angeles, e Ludovico Ariosto lo richiama in numerosi passaggi dellʼOrlando furioso: «veggio un marchese, e veggio dopo loro / un giovene del Vasto, che fan cara / parer la bella Italia ai Gigli d’oro» (XV, 28, 2-4); «L’altro di sì benigno e lieto aspetto / il Vasto signoreggia, e Alfonso è detto» (XXXIII, 47, 7-8).

Lʼincontro tra i due avvenne nel 1531 allorché il dʼAvalos, in qualità di capitano dellʼesercito di Carlo V, si recò a Ferrara alla corte del duca Alfonso I dʼEste di cui lʼAriosto era ambasciatore. Lʼimmediata sintonia tra i due poeti e la grande ammirazione nei confronti di questʼultimo, già allora molto famoso, indusse il dʼAvalos ad attribuirgli una pensione annua di 100 ducati dʼoro. 

«Un altro momento cruciale fu quello della campagna dʼUngheria organizzata da Carlo V nel 1532 in seguito al tentativo del sultano Solimano il Magnifico di assalire Vienna. […] In questa impresa lo accompagnava anche Bernardo Tasso, che iniziava la sua carriera di “poeta guerriero”. […] Probabilmente nella primavera del 1533, al suo ritorno, Alfonso dʼAvalos lo condusse con sé ad Ischia per presentargli Vittoria Colonna sua cugina e “maestra” di poesia, un incontro felice che lo portò a stringere una amicizia durata tutta la vita. Forse proprio grazie al dʼAvalos fu introdotto nella corte del cugino, il principe di Salerno Ferrante Sanseverino, uno dei più colti principi italiani, dove assunse il ruolo di segretario che ricoprì per oltre venti anni». 

Fra il 1531 e il 1537 Bernardo Tasso scrisse i tre libri degli Amori, nel secondo dei quali dedicò tre sonetti al dʼAvalos sulla campagna dʼUngheria; in particolare, il terzo è dedicato alla sua vittoria. E quando Carlo V decise di spingersi fino a Tunisi per sconfiggere il Barbarossa, Tasso partecipò al fianco del dʼAvalos e di Ferrante Sanseverino nella battaglia navale: 

«Dopo la vittoria, Carlo V decise di compiere un lungo viaggio trionfale dalla Sicilia a Napoli, acclamato come un novello Scipione da Garcilaso de la Vega che aveva partecipato alla battaglia. Il poeta spagnolo, altro uomo di armi e lettere nellʼelegia II, rivolta allʼamico Juan Boscàn, cantò con piacere il suo felice ritorno a Napoli, la città dellʼotium letterario. […] I poeti guerrieri, in primis Garcilaso, Bernardo Tasso, Bernardino Rota e Alfonso dʼAvalos, smessa lʼarmatura raccoglievano le lauree della vittoria e ricominciavano a poetare con rinnovato vigore». 

In questo gruppo rientrava anche Luigi Tansillo, nato a Venosa nel 1510, al servizio del viceré di Napoli, Pedro di Toledo, e per quindici anni al seguito del comandante della flotta napoletana Garcìa de Toledo. Fu tra i più apprezzati e prolifici autori di poemetti e liriche di qualità elevata quali, ad esempio, la raccolta di rime che ebbe notevole successo, dal titolo Il Vendemmiatore in 171 ottave, di cui si riporta la XXXII: 

Lasciate lʼombre ed abbracciate il vero: / Non cangiate il presente col futuro; /
Io di goder lassù già non dispero; / Ma per viver più lieto e più sicuro, /
Godo il presente e del futuro spero; / Così doppia dolcezza mi procuro; /
Ché avviso non sarìa dʼuom saggio e scaltro / Perder un ben, per acquistarne un altro. 

Non meno rilevante appare la figura di Bernardino Martirano, amico del Tansillo, di nobile famiglia cosentina, nominato segretario del Regno per la sua fedeltà alla causa spagnola durante lʼassedio di Napoli da parte dei francesi. 

«[…] quando tornava dalle battaglie marittime, al seguito di don Garcìa, si recava nella sua villa di Leucopetra, il suo locus amoenus per eccellenza. Qui il Martirano intratteneva un nutrito gruppo di intellettuali con i quali aveva creato una sorta di cenacolo». 

Fu molto apprezzato dal viceré Toledo e dallo stesso Carlo V, che da lui venne ospitato nella sua villa, a riprova dellʼalta considerazione politica di cui godeva. 

«Ma egli, pur occupato negli affari politici, al servizio dellʼImpero, fin dagli anni giovanili si era dedicato anche alla poesia. Perciò per la felice vittoria di Tunisi tra il 1536 e il 1539 aveva composto un poema, pubblicato postumo, Il pianto di Aretusa, favola mitologica dove si fondevano i miti di Narciso e Aretusa». 

Lo sviluppo di una cultura poetica cinquecentesca nel contesto meridionale ‒ e partenopeo in particolare ‒ assume caratteristiche ancor più originali grazie al contributo femminile cui Sirago dedica un capitolo del libro. Lʼumanesimo di corte aveva i suoi laboratori nei circoli letterari promossi da famiglie nobiliari prestigiose, a Napoli, Ischia, Amalfi, Salerno, Bisignano, Avellino, Fondi, dove emergevano personalità femminili di grande spessore: 

«Queste sagge dame nel 1536 parteciparono a un convito-accademia organizzato nei giardini della Villa di Poggio Reale per festeggiar Margherita dʼAustria, figlia di Carlo V, che dopo pochi giorni avrebbe sposato Alessandro deʼ Medici, duca di Toscana. […] In questo compatto consesso poetico spiccava un protagonismo femminile rilevante e paritario animatore di vari cenacoli letterari napoletani dove si elaboravano modelli culturali». 
Vittoria Colonna

Vittoria Colonna

Erano dame che ricevevano fin da giovani anche una formazione politica e di amministrazione per potersi occupare, al bisogno, del patrimonio familiare, in assenza dei coniugi impegnati in guerra o nel caso in cui sarebbero rimaste vedove. Tra queste, Costanza dʼAvalos e Vittoria Colonna, rispettivamente a Ischia e ad Amalfi, si rivelarono autentiche mecenati. Costanza, rimasta vedova dopo pochi anni di matrimonio, era diventata governatrice di Ischia nel 1503, alla morte del fratello. Per premiare le sue straordinarie doti organizzative e capacità di governo, mostrate soprattutto durante i quattro mesi di assedio infruttuoso dellʼisola, da parte di una flotta francese, Carlo V le concesse il titolo di principessa di Francavilla. Aveva ereditato dal padre non soltanto lʼamore per la cultura letteraria italiana e latina, ma anche una tra le più ricche biblioteche del tempo. Le si attribuiscono anche alcune opere letterarie che non si sono conservate. 

«Costanza, nobildonna intraprendente e colta, seguendo le orme paterne, nella sua corte ischitana aveva accolto molti intellettuali di spicco, tra cui Jacopo Sannazzaro, il Cariteo e Girolamo Britonio […]. La sua corte era così assurta a centro di produzione e irradiazione della cultura umanistico-rinascimentale, in linea con le altre corti del primo Cinquecento. […] Costanza era dunque lʼerede di una salda tradizione familiare di stampo aragonese, legata agli anziani intellettuali di quellʼepoca come il Sannazzaro. Ma era anche proiettata alle nuove istanze poetiche in volgare ed alla nuova cultura che si stava sviluppando nei suoi anni maturi». 

In quel contesto Costanza curò anche lʼeducazione e la formazione culturale della nipote acquisita Vittoria Colonna, che fece il suo esordio poetico nel 1512. Dopo la morte del marito Ferrante dʼAvalos nel 1525, Vittoria decise di prendere i voti ma, non avendo ottenuto il permesso del pontefice, tornò a Ischia dove riprese i contatti e le frequentazioni con i letterati e gli intellettuali da lei ospitati quali lo storico Paolo Giovio. Dal 1530 Vittoria effettuò diversi soggiorni tra Napoli e Roma, ma anche a Ferrara e Pisa. Nel 1538 vennero pubblicati a Parma 153 suoi sonetti, nonostante ella non avesse dato lʼautorizzazione. A Roma divenne amica di Michelangelo con cui intratteneva lunghe conversazioni di carattere religioso: 

«Ammalatasi gravemente allʼinizio del 1547, anche a causa delle sue condizioni derivanti dalla vita ascetica praticata da molti anni, morì il 27 febbraio lasciando un vuoto immenso in Michelangelo che scrisse numerosi sonetti in cui esprimeva tutto il suo rammarico per la perdita di colei che era diventata una guida spirituale». 

Ancora unʼaltra personalità di grande interesse, tratteggiata da Sirago, è quella di Costanza dʼAvalos Piccolomini, sorella del citato Alfonso dʼAvalos, donna di grande religiosità e cultrice della poesia, terreno questo sul quale crebbe una profonda e solida amicizia con Vittoria Colonna. Non furono da meno Isabella Villamarina, principessa di Salerno, Maria de Cardona, contessa di Avellino e Giulia Gonzaga, contessa di Fondi. La prima, nipote del viceré di Napoli, visse a Salerno dopo avere sposato Ferrante Sanseverino, principe di quella città. 

«Isabella insieme al marito fu promotrice della cultura nella corte salernitana, esercitando una funzione da mecenate come facevano Vittoria e Alfonso, cugino di Ferrante, nella loro corte e vi introdusse le istanze ideologiche innovatrici. […] Isabella, come Vittoria era interessata alle nuove tematiche religiose: difatti nella sua villa di Pozzuoli aveva opere del teologo Valdés. Perciò Salerno, il capoluogo del principato, veniva considerata una delle città più “infette” di eresia della penisola». 

Anche Bernardo Tasso, che visse per circa 20 anni presso la loro corte, stimava la principessa ed ebbe modo di apprezzarne le doti letterarie. Purtroppo, dal 1542, dopo lʼistituzione del Santo Ufficio a Roma, prima il marito di Isabella e poi lei stessa, caddero in disgrazia. Ferrante fu costretto a fuggire e Isabella dovette abbandonare Salerno, pur ribadendo la sua piena fedeltà alla monarchia spagnola.

Maria de Cardona, nipote di Isabella, aveva creato la sua corte letteraria nel suo feudo di Avellino: 

«Secondo le testimonianze dei contemporanei era molto bella ed era una valente poetessa e musica, apprezzata da Garcilaso de la Vega, anche se non si conserva nulla della sua produzione. Animò spesso i cenacoli culturali di Ischia, Salerno, Napoli insieme a Violante de Cardona, duchessa di Paliano». 

Giulia Gonzaga, nata a Gazzuolo (Mantova) nel 1513, si trasferì a Fondi per sposare, tredicenne, il cugino di terzo grado Vespasiano Colonna, vedovo ultraquarantenne. Dopo la morte di questi, si trasferì a Napoli dove cominciò a frequentare il circolo del Valdés e a interessarsi alle nuove istanze religiose. Deceduto il Valdés nel 1541, la Gonzaga ereditò tutti i suoi manoscritti e, come era prevedibile, fu avviato un procedimento di eresia nei suoi confronti che tuttavia non andò oltre la fase istruttoria.

Bernardo Tasso

Anonimo, Ritratto di Bernardo Tasso

Bernardo Tasso ebbe lʼopportunità e la fortuna di conoscere e frequentare la maggior parte di queste donne, Vittoria Colonna, Isabella Villamarina, Maria de Cardona e Giulia Gonzaga, ripetutamente citate e ricordate nei suoi scritti poetici. Nato a Venezia da famiglia bergamasca, Bernardo dopo avere studiato a Padova, andò a servizio dal conte Rangoni che lo inviò a Napoli dal viceré, per trattare la pace durante il sacco di Roma del 1526. La svolta decisiva nella sua esistenza e anche nella sua attività poetica si verificò, come si è visto, con lʼinizio della sua attività presso la corte di Alfonso dʼAvalos.

A Sorrento, dove dal 1539 soggiornava, Bernardo poté dedicarsi alla scrittura e concepire il suo poema cavalleresco Amadigi. Dopo la rivolta baronale napoletana contro il viceré Toledo, il Sanseverino e Bernardo Tasso furono costretti a fuggire e la sua peregrinazione si concluse solo nel 1568, un anno prima della morte, quando fu accolto dal duca di Mantova come segretario maggiore.

Mentre Bernardo Tasso incarnò pienamente il duplice ruolo di combattente e di poeta partecipando alla guerra di Ungheria nel 1532 e tre anni dopo allʼimpresa di Tunisi, 

«Torquato non partecipò direttamente alle battaglie ma ebbe sempre presenti le guerre mediterranee; in particolare fu molto colpito dallʼattacco alle coste campane da parte dei turchi e barbareschi, in cui la sorella Cornelia, che abitava a Sorrento, corse il pericolo di essere catturata con tutta la sua famiglia. Gli echi di questi eventi si sono poi riverberati in primis nella Gerusalemme Liberata ma anche in alcuni sonetti, come quello dedicato a don Giovanni dʼAustria, il generale supremo della vittoriosa battaglia di Lepanto». 

Torquato nacque a Sorrento nel 1544 e la sua infanzia fu contrassegnata dalla vicenda paterna e dallʼesperienza della fuga prima ad Urbino, poi a Venezia e a Padova, dove fu avviato agli studi di giurisprudenza fino al 1565. Tuttavia, già dal 1559 ‒ appena quindicenne ‒ aveva cominciato ad abbozzare quella che sarebbe diventata la sua opera più famosa, Gerusalemme Liberata, che sarebbe stata completata solo nel 1575. Nel frattempo, però, lo stato di salute psichica del poeta cominciava a dare segni preoccupanti, tanto da spingersi ad accoltellare un servo da cui riteneva di essere spiato. 

«In quegli anni lʼeco di Lepanto si era diffusa subito in tutta la Cristianità e la battaglia venne a lungo celebrata quasi come un miracolo. Anche Torquato risentì profondamente nel proprio animo degli echi del combattimento, di cruciale importanza per lʼEuropa cristiana, adombrata nel suo poema, di cui era ancora fresco il ricordo quando aveva soggiornato a Sorrento». 

Lʼaggravarsi della sua salute mentale comportò che venisse rinchiuso per ben sette anni in ospedale a Ferrara, dove si era trasferito nel 1578. Ottenuta la liberazione intraprese il viaggio per rientrare a Sorrento e riunirsi con la sorella, preannunciandole lʼarrivo per lettera: 

«Vorrei venire, non dirò a godere, ma a respirare in cotesto cielo, sotto il quale son nato. A rallegrarmi colla vista del mare, e deʼ giardini; a consolarmi colla vostra amorevolezza, a bere di codesti vini, o di codeste acque, che forse potranno diminuire la mia infermità». 

Non si sarebbero mai incontrati perché la sorella era già deceduta. Dopo la rielaborazione della Gerusalemme Liberata, nel 1593 Tasso diede alle stampe lʼopera con il titolo di Gerusalemme conquistata dedicandola a Cinzio Passeri Aldobrandini, nipote di papa Clemente VII, presso il quale aveva ottenuto una definitiva sistemazione. Non rientrò più a Sorrento e chiuse i suoi giorni a Roma nel 1594.

Il libro di Maria Sirago, corredato da un ampio apparato bibliografico e documentario, offre numerosi spunti e indicazioni per potere approfondire i diversi aspetti trattati, dei quali, quello relativo al ruolo delle donne poetesse e promotrici di incontri tra letterati e filosofi, poeti e religiosi, appare molto stimolante. Lʼautrice ci mostra come questo mecenatismo al femminile non sia stato soltanto lʼulteriore conferma di una pratica consolidata nelle corti nobiliari finalizzata allʼauto celebrazione, ma la prova di un fermento culturale sempre più intenso nellʼEuropa cinquecentesca, che si alimentava delle istanze di rinnovamento letterario, filosofico e religioso. 

Dialoghi Mediterranei, n. 55, maggio 2022 

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Rosario Lentini, studioso di storia economica siciliana dell’età moderna e contemporanea. I suoi interessi di ricerca riguardano diverse aree tematiche: le attività imprenditoriali della famiglia Florio e dei mercanti-banchieri stranieri; problemi creditizi e finanziari; viticoltura ed enologia, in particolare, nell’area di produzione del marsala; pesca e tonnare; commercio e dogane. Ha presentato relazioni a convegni in Italia e all’estero e ha curato e organizzato alcune mostre documentarie per conto di istituzioni culturali e Fondazioni. È autore di numerosi saggi pubblicati anche su riviste straniere. Tra le sue pubblicazioni più recenti si segnalano: La rivoluzione di latta. Breve storia della pesca e dell’industria del tonno nella Favignana dei Florio (Torri del vento 2013); L’invasione silenziosa. Storia della Fillossera nella Sicilia dell’800 (Torri del vento 2015); Sicilie del vino nell’800 (Palermo University Press 2019).

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