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Salvatore Costanza e il Centro Internazionale di Studi Risorgimentali Garibaldini di Marsala

Posted By Comitato di Redazione On 1 novembre 2021 @ 01:25 In Cultura,Letture | No Comments

Salvatore Costanza al convegno di Marsala del 2016

Salvatore Costanza al convegno di Marsala del 2006

di Cristina Vernizzi

La scomparsa di Salvatore Costanza, al di là della profonda commozione che ha suscitato in tutti noi, ha segnato per il Centro Internazionale di Studi Risorgimentali Garibaldini di Marsala la perdita di una persona unica per il patrimonio di grande umanità e di una cultura straordinaria portata alla Istituzione che lo volle anche membro del Comitato scientifico.

La sua fu una presenza cordiale, generosa, sempre disponibile a venire tra noi durante i venti anni del Centro cui aveva partecipato attivamente con pubblicazioni e suggerimenti preziosi per le tematiche da proporre al pubblico e con i numerosi Convegni. Vi sapeva raccontare la Sicilia e il Trapanese, come la mole di lavoro da lui prodotto ha dimostrato, con una capacità di divulgazione notevole, e mai disgiunta da una ricerca scientifica rigorosa e da un entusiasmo che non gli venne mai meno. Appariva infatti la pregressa esperienza di giornalista che alla facilità del periodare coniugava la correttezza della ricerca, offrendo sempre un discorso chiaro e ricco di osservazioni stimolanti.

A Marsala gli fu dedicato il Convegno del 2007, che portava il titolo La ricerca storica di Salvatore Costanza – Una città mediterranea e il suo hinterland siciliano. In quello diceva di lui Vincenzo d’Alessandro: «Da un secolo all’altro, Costanza ridisegna la complessità economico-politico-sociale del Trapanese… la sua è come una raccolta per quadri di una esposizione a temi dei caratteri originari della identità storica della città».

australia-001E fu il Presidente del Centro, Romano Ugolini, scomparso anch’egli un anno fa, a parlare a lungo dello storico nella stessa occasione. Vi ebbe a sottolineare l’ampiezza dell’orizzonte storiografico in cui si muoveva Costanza, di cui era significativo il libro del 1992, dal titolo La patria è il mondo? Socialismo, emigrazione e nazionalità tra Italia e Australia. Annotava come Costanza fosse giunto alla storia nella convinzione che questa fosse necessaria come genesi del presente, come condizione di comprensione di quanto si svolge oggi. Da qui una metodologia che tendeva al confronto continuo con la memoria storica. Suo obbiettivo: comprendere la realtà ricorrendo al retroterra anche culturale che abbiamo alle spalle secondo la logica delle cause e delle conseguenze.

Nella medesima occasione, con Ego-Histoire, lo storico trapanese offriva una chiave di lettura del suo impegno storiografico partendo dal rapporto personale tra la Storia e lo Storico, ponendo la domanda «sull’ impegno civile degli storici o la contrapposizione politico-ideologica riversatasi nel giudizio storiografico». Ripercorrendo la propria esperienza nelle vicende politiche degli anni ’50 (come le conseguenze internazionali dei fatti di Ungheria, i conflitti in Italia tra socialisti e comunisti) e le celebrazioni negli anni ’60 della spedizione dei Mille e della Unità italiana, dichiarava di essere giunto alla decisione di restare a Trapani, con un gruppo di intellettuali liberal-socialisti, e «maturare la revisione degli schemi interpretativi della storia contemporanea». Di quegli anni gli appariva stringente il legame politico in un’aura di controversistica retorica. Si prospettava per lui come unica risposta, «il ricorso sistematico alle fonti per liberarci da false eredità e ricostruire il peso e la funzione che il patrimonio ideale del Risorgimento aveva esercitato nella spinta verso l’unificazione nazionale».

Di conseguenza asseriva di aver scritto i due volumi La libertà e la roba e La patria armata, per far comprendere in una realtà circoscritta come la Sicilia, i meccanismi di mobilità sociale tra le istituzioni e le dinamiche che mossero Trapani come città mediterranea. Concentra poi la sua attenzione sul rapporto tra la città e i Comuni rurali, il ricambio delle classi sociali, la riappropriazione di Trapani di città marittima dopo l’Unità. E a suo giudizio, spingendosi nel ʼ900, nel contrasto tra borghesia agraria e i movimenti contadini egli individua il nucleo delle origini del fascismo.

Di fatto sono questi gran parte dei temi delle sue ricerche tradotte nelle numerose pubblicazioni, e che ci consegnano la storia del territorio attraverso la puntigliosa ricostruzione dell’atmosfera politico-sociale che vi si respirava in particolare nell’800. A tutti è nota la sua intensa attività di storico, la vasta pubblicistica, l’esperienza in Germania, il giornalista, il politico, a me resta qui di proporre una sintesi del suo impegno al Centro Studi di Marsala attraverso le pagine che ci ha lasciato e che connotano bene la gamma variegata dei suoi interessi di studioso focalizzati sulla sua terra.

3estEgli fu chiamato a Marsala fin dagli inizi della Istituzione: data al 2000 uno dei suoi primi e più significativi interventi dedicati a Nunzio Nasi e al marsalese Abele Damiani: Il controllo del potere politico del Trapanese. Il saggio che, insieme alle altre conferenze presso il Centro Studi, avrebbe poi inserito nel volume Sicilia Risorgimentale pubblicato nel 2011, analizza in una concatenazione serrata di episodi e personaggi, la vita politica che in Marsala si snodava attorno alla figura di Damiani e anticipa, come avrà a dichiarare lui stesso, il volume conclusivo dei suoi studi su Nunzio Nasi. Di fatto il suo sguardo si allarga ai vari soggetti presenti sul territorio. Dopo avere introdotto la sconfitta alle elezioni del 1882 di Damiani da parte di un sostenitore di Depretis, configura la lotta ideologica tra trasformisti alla Depretis e filocrispini, la situazione nel trapanese agitata da democratico-liberali come Nasi, liberali come Saporito e il lealismo crispino di Damiani. Ma riprende l’attività di Damiani quando dopo sette anni questi pronuncia discorsi a sostegno delle riforme delle Istituzioni pubbliche e in favore del ruolo che l’Italia doveva assumere nel Mediterraneo e in Africa, dove iniziavano le guerre coloniali volute da Crispi.

Il Nostro prende poi in considerazione le strutture del potere, dove l’autorità del Prefetto veniva esercitata in accordo con gli interessi di clientela e di controllo politico dei deputati: ciò che consentiva a Nasi di limitare l’influenza di Damiani mentre la figura del Prefetto assumeva un ruolo primario nelle province e diventava la longa manu del partito di governo. Poi Costanza sposta la ricerca sulla situazione economica del Trapanese e rileva lo sviluppo di società di mutuo soccorso per lo più sostenute da industrie private come la Florio. A fronte di quello che definisce «l’attivismo sociale di Vincenzo Pipitone», Costanza pone l’indiscusso «massiccio reticolo clientelare» di Nasi, mentre naufraga il tentativo di Cammareri Scurti di creare un “vero partito radicale” dopo i Fasci del 1893 e Nasi finirà la sua parabola politica nella destra di Sonnino.

7estE Nunzio Nasi, come sappiamo, è il personaggio a cui dedicò anni di studi appassionati e conclusi con una importante biografia uscita nel 2020 e recensita da Natale Musarra su questa Rivista di “Dialoghi Mediterranei”. Infatti nel corso delle conferenze marsalesi, con dovizia di particolari presentava alcune delle sfaccettature che potevano chiarire gli aspetti più controversi di quella personalità. Nel Convegno del 2002 su Democratici e radicali nell’Ottocento, lo definiva «un radicale legalitario tra Crispi e Giolitti».  Ma giungeva a questa definizione all’interno della vivace dialettica politica del 1886, dopo aver eseguito l’analisi tra gli schieramenti radicali contrapposti di legalitari e progressisti. Per meglio comprendere la complessità della politica di quel periodo, Costanza amplia il discorso alla questione bancaria durante la crisi agraria e zolfifera, con uno sguardo a quanto succedeva nel Paese: Nasi diventò giolittiano, in nome dell’anti trasformismo, in opposizione a Felice Cavallotti e agli intransigenti dell’Estrema Sinistra. Certamente mirava ad un partito radicale legalitario che avesse la base sociale nelle classi produttive e popolari del Paese. Ma le basi clientelari su cui poggiava, come Costanza ripete, la fitta rete di intrighi e raccomandazioni di amici e di elettori, quella che Nasi definiva “la spina nella mano”, testimoniate da ben 896 raccomandati, tra cui Giovanni Gentile e Nicolò Rodolico, lo costrinsero a limitare gli spazi della sua politica. La sua azione finì per essere condizionata da tendenze particolaristiche di cui fu accusato sia dalla loggia massonica in cui fu condotto, che dai compagni di partito Napoleone Colajanni, Ettore Socci, Felice Cavallotti, finché la sua partecipazione al banchetto giolittiano di Dronero segnò la rottura con l’Estrema Sinistra.

Salvatore Costanza al convegno di Marsala nel 2006

Salvatore Costanza al convegno di Marsala nel 2006

E a proposito di Massoneria, partecipando al Convegno del 2004 su Il ruolo della Massoneria nell’Ottocento, si ritaglia il tema La Massoneria in Sicilia e nel Trapanese, con cui ebbe modo di chiarire la posizione di Nasi. Dopo insistenze da parte di amici e congiunti e suoi tentennamenti, iniziali, Nasi giunse al sodalizio negli anni ’90, fino ad essere ammesso alla Loggia Centrale di Palermo in una manovra di accordi tra i versanti di destre e sinistre, manovra che rafforzava le basi del consenso politico di lui deputato di Trapani. Costanza delinea il quadro della Massoneria dal 1870, delle logge segnate a suo parere dal confronto tra garibaldinismo e mazzinianesimo, tra democrazia moderata e radicalismo sociale e parallelamente il rapporto con le preesistenti logge di Torino e Firenze. Quando Nasi vi entra, la Massoneria vive la trasformazione dalla vecchia élite dirigente verso nuove classi sociali «aperte alle problematiche e interessi più aderenti alla realtà del Paese». Il Nostro parla del travaglio ideologico che percorre la cultura siciliana degli anni ʼ90, dando rilievo alla figura del canonico Pappalardo. Ricorda che Nasi lo commemorò nel 1898 evidenziandone la natura profondamente religiosa e il progetto per un patto di fratellanza in gran parte di natura mazziniana. E Costanza auspica una ricerca storica sui rapporti tra Massoneria e Chiesa.

Sarà lui stesso a darcene un saggio, nel Convegno del 2006 su Chiesa di Sicilia e Risorgimento tra resistenze e partecipazione. Vi sviluppa un argomento che gli consente uno sguardo a tutto tondo e a sfondo sociale, sulla situazione del clero, con Liberali e religiosi nella Diocesi di Trapani e Marsala. Partendo da considerazioni sul peso politico assunto dal clero nella storia del territorio, conduce un’analisi sugli ambiti e sulla formazione del clero, ne annota le profonde disuguaglianze tra i vari gradi, tra arcipreti, canonici e clero povero, i mastri missari, vaganti da una chiesa all’altra, simili alla condizione di artigiani o braccianti. Si sofferma su costoro quali elementi di inquietudine e di spinte antiautoritarie, tra loro individua gli aneliti ad un mondo più aperto e più liberale. Questo conduce Costanza a soffermarsi sulla figura del già accennato padre filippino Vito Pappalardo, quale rappresentante del passaggio dalla eredità cattolico liberale alla nuova generazione che dopo l’Unità si opponeva all’intransigentismo cattolico. 

copertina_sicilia_risorgimentale_di_salvatore_costanzaIl potere temporale era messo in discussione nel Trapanese e Pappalardo giungeva a dichiarare l’autonomia da Roma della Chiesa di Sicilia. In tale contesto evidenzia la figura di Alberto Buscaino Campo, personaggio agitato da problematiche teologiche, mentre una mentalità «quasi massonizzante» acuiva le tensioni interne della Chiesa locale pregiudicando i rapporti tra Curia vescovile e la società civile. Entravano in quel momento nella cultura locale gli influssi del materialismo e dello scientismo, per cui secondo il Nostro fu grazie al prelato Monsignor Ragusa, se, con una fattiva attenzione alle classi più diseredate con opere di pubblica assistenza, fu resa possibile l’accoglienza alla Rerum Novarum di Leone III, l’enciclica che apriva la Chiesa alle nuove istanze sociali.

Con un argomento del tutto diverso da quelli trattati precedentemente, Costanza nel 2006 partecipò alla tavola rotonda dedicata alla presentazione del romanzo di Matteo Collura Qualcuno ha ucciso il generale. Dopo un rapido approfondimento sulla distinzione tra verità storica e invenzione artistica, si immerge nella ricostruzione della vita di Corrao tra l’aprile e il maggio 1860, quando il patriota agiva insieme all’amico Rosalino Pilo per preparare il terreno all’arrivo di Garibaldi. Non si occupa di considerazioni letterarie, ma si attiene alla storia di questo che da umile operaio divenne uomo di successo presso i ceti popolari. Costruisce gli elementi che possono aver condotto ad un delitto di Stato, ad iniziare dalla simpatia riscossa presso la gente comune e la formazione che fece delle prime compagnie di picciotti, preludendo il sostegno popolare dato a Garibaldi.

Salvatore Costanza nel convegno a Marsala nel 2009

Salvatore Costanza nel convegno a Marsala nel 2009

Traccia quindi lo sfondo politico sociale in cui sorge e matura la personalità di Corrao e le istanze libertarie che andarono a scontrarsi con l’ostilità delle autorità regie. Lo colloca in quella Sicilia postunitaria scossa da «opposti e laceranti interessi tra i partiti di destra e sinistra». Corrao diventa quindi una figura scomoda che sta per diventare il capo indiscusso della sinistra democratica: allora, conclude Costanza, tutti i segni ci sono, nonostante la mancanza di documentazione certa, per asserire che si sia trattato di uno dei primi delitti di Stato che hanno contrassegnato la complessa storia d’Italia.

Queste in estrema sintesi le pagine più significative che Costanza ha scritto per il Centro Studi di Marsala. Da quelle si evince non solo una metodologia storica inconsueta insieme ad una fonte immensa di notizie e un interesse genuino dettato da un profondo affetto per la sua terra, ma anche una scrittura ispirata ad «una spiccata sensibilità etica e civile», come bene ha annotato Rosario Lentini. Come anche ha scritto su questa Rivista con il suo ricordo commosso il figlio Federico, egli ha saputo indicarci una sicilianità nuova, ricca di dinamiche e di nuove prospettive storiche, ben al di fuori di miti o pregiudizi dei quali si ammanta certa divulgazione oleografica.

Dichiarava infatti nel Convegno del 2007: «Io nutro una sola ambizione, di aver concluso un percorso di studi che, sulla scelta di un particolare angolo visuale, ho cercato di fare storia in funzione di un principio animatore: comprendere la vita irripetibile degli uomini, tenendo ben presente la problematica autonoma della storia locale nel rapporto dialettico con la storia regionale e nazionale». 

Dialoghi Mediterranei, n. 52, novembre 2021
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Cristina Vernizzi, ha studiato a Milano dove si è laureata con Franco Della Peruta, risiede a Torino. Assistente all’Università di Torino e collaboratrice di Alessandro Galante Garrone, docente di Storia e Filosofia al Liceo Classico “Alfieri”, ha poi ricoperto la carica di Direttore e Conservatore del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino dal 1970 al 1998. Dal 1996 al 2012 ha diretto il Dipartimento di Scienze Umane, Sociali ed Umanistiche presso il MIUR – Direzione Generale Regionale del Piemonte. Dal 1997 a Marsala fa parte del CDA del Centro Internazionale Studi Risorgimentali Garibaldini di cui dirige la Rivista “Studi Garibaldini” e si occupa del Museo garibaldino. È presidente dell’Associazione Mazziniana Italiana per il Piemonte e dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano (Comitato di Novara e VCO). Autrice di oltre un centinaio di saggi e pubblicazioni sulla storia italiana nel contesto  europeo nei secoli XVIII-XIX e prima metà del XX°, tra cui: Epistolario di Felice Cavallotti; Cavour e Garibaldi; Gli esuli politici in Piemonte tra il 1849 e il 1859; I manifesti a Torino del 1798 e l’occupazione francese; Tre donne mazziniane  nella Resistenza;  Torino e la formazione di Benedetto Brin; Alessandro Galante Garrone storico del Risorgimento; Luigi Polo Friz e  Ludovico Frapolli; Il panslavismo nel Piemonte dell’ 800; tre volumi sul Novarese nella prima guerra mondiale, ecc. oltre a numerose curatele. Il suo ultimo volume, uscito nel 2020: Neviano degli Arduini e la grande Guerra.

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