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Ripoliticizzare Scotellaro: una novità interpretativa nel libro di Marco Gatto
Posted By Comitato di Redazione On 1 settembre 2023 @ 01:47 In Cultura,Letture | No Comments
Sull’orizzonte nazionale delle iniziative ad oggi realizzate per il centenario della nascita di Rocco Scotellaro (1923-2023), la pubblicazione del libro di Marco Gatto, Rocco Scotellaro e la questione meridionale. Letteratura, politica, inchiesta (Roma, Carocci, 2023) si staglia come un unicum per qualità scientifica dei risultati conseguiti, novità interpretativa della figura di Scotellaro dettagliatamente ricostruita e analisi degli ampi dibattiti sulla civiltà contadina successivi alla pubblicazione postuma delle sue opere soprattutto di Contadini del Sud, sulla funzione dell’intellettuale nella visione ideologica della Sinistra, sul rapporto tra socialismo e comunismo, sulla più generale questione meridionale.
Il volume si apre con una Prefazione di Goffredo Fofi, che pone subito in evidenza la novità dell’opera, che «rende giustizia alla complessità e, soprattutto e nonostante tutto, all’attualità di una figura come quella di Scotellaro, poeta e militante politico, lucano ma di sintonie vaste e sconfinate». Un giovane venuto dal mondo contadino lucano, un mondo in cui alla figura del contadino si ascrivono braccianti, mezzadri, affittuari, piccoli e piccolissimi proprietari di terreni, spesso anche transitoriamente braccianti e, aggiungiamo noi, anche piccoli artigiani possessori di vigneti, vignali e oliveti. Un giovane, pur tuttavia, «di origini piuttosto artigiane che contadine, che aveva potuto studiare protetto dalla sua ottima volontà di apprendere, e che fu presto sodale di Carlo Levi e di Manlio Rossi-Doria ed era già “fratello minore” di un altro Rocco, il medico Mazzarone, anche lui di Tricarico»[1].
Militante politico, sindaco coraggioso e concreto nell’azione, ben consapevole dei bisogni della comunità cui apparteneva e della quale condivideva la cultura e le speranze, ma nel contempo aperto a una visione culturale di ben più vasto respiro, cresciuta e consolidata con lo studio e la frequentazione dei maggiori intellettuali italiani di quel secondo dopoguerra, che fu periodo ricco di fervore costruttivo, novità, desiderio di conoscere e far conoscere quella società che usciva da un immane conflitto e da vent’anni di fascismo, specie nella sua componente più ai margini, e cercare strumenti nuovi per aprirla alla modernità. Scotellaro fu militante – aggiunge Fofi – in un partito, «il PSI (nenniano, ma anche morandiano e lombardiano) di grande varietà e vivacità, non soffocato ancora dai tanti opportunismi a venire», con rapporti con un «PCI deciso a diventare il principale se non l’unico rappresentante dei ceti subalterni e non solo di quelli, in rivalità con la dominante DC degasperiana, tuttavia artefice di un’efficace riforma agraria» [2].
Ho incontrato l’Autore, giovane professore dell’Università della Calabria, dove insegna Critica letteraria e Letterature comparate, già quando mi occupavo del Centro di documentazione “Rocco Scotellaro e la Basilicata del secondo dopoguerra” [3]. Abbiamo intessuto un dialogo molto costruttivo sul tema Scotellaro, in particolar modo sulla vicenda biografica e sulla formazione culturale del giovane lucano, che fu centrale nel suo operare e tutt’altro che ingenua, come a volte è stata a torto giudicata e come invece emerge dagli studi che stiamo conducendo, così pure sulle ragioni della sua militanza a favore delle classi più umili della società meridionale.
Marco Gatto, autore di diversi volumi sul rapporto tra letteratura e politica, giunge alla pubblicazione di quest’opera dopo alcuni saggi sulla lezione di Scotellaro intellettuale gramsciano e “persuasore permanentemente”. Saggi pubblicati, tra l’altro, su «Critica sociale» [4], il periodico del socialismo italiano fondato a fine Ottocento da Filippo Turati e, di recente, su «L’Ospite ingrato» [5], la rivista online del Centro Interdipartimentale di Ricerca “Franco Fortini”, diretta da Niccolò Scaffai (Università degli studi di Siena), il cui numero 13 (2023) pubblica un prezioso spazio di approfondimento dedicato a Scotellaro. Nello scritto introduttivo al dossier i curatori pongono in evidenza, tra l’altro, come Scotellaro sia «uno scrittore non facilmente assimilabile a una corrente o a una poetica definita, militante socialista, due volte sindaco del suo paese, bersagliato dalla furia delle ritorsioni democristiane, apprendista sociologo alla scuola di Manlio Rossi-Doria, “fratello minore” di Carlo Levi e Rocco Mazzarone – due figure di riferimento per il giovane tricaricese – nonché infaticabile meridionalista». Un “caso”, insomma, nel panorama culturale e politico italiano del Novecento, del cui cammino i saggi pubblicati nella rivista si propongono di offrire nuove puntuali ricostruzioni, al fine di contribuire a una conoscenza critica e storicamente avvertita del suo lascito [6].
Già in una sua precedente opera, Gatto aveva evidenziato la necessità del recupero delle indicazioni gramsciane volte a una critica letteraria che, senza rinunciare alla propria specificità, potesse essere critica della cultura e progetto di emancipazione per le masse popolari, vittima nel corso del Novecento di non pochi ripensamenti, fino a un vero travisamento. La sinistra culturale italiana, a suo dire, non avrebbe saputo interpretare quella particolare dialettica tra autonomia e specificità che Gramsci intravedeva nella sfera culturale e affidava alla riflessione contenuta nei Quaderni dal carcere. Si rendeva, pertanto, necessario rilanciare le indicazioni di Antonio Gramsci in tempi, come quelli odierni, in cui l’autonomia dei saperi sembra essere divenuta la legge stessa della frammentazione culturale [7].
Nella visione di Gramsci – che Gatto applica a Scotellaro – la via che conduce a una riforma culturale e morale della società deve passare attraverso un gruppo di intellettuali organici, che mediante una elaborazione concettuale e filosofica sanino la frattura tra intellettuali e “semplici”, che vanno ricondotti a una concezione superiore della vita attraverso l’azione politica realizzata dalla “filosofia della prassi”. L’esigenza del contatto tra intellettuali e “semplici” non è volta a limitare l’attività scientifica e a mantenere le masse a un basso livello, ma piuttosto a costruire un blocco intellettuale-morale che possa rendere politicamente possibile un progresso intellettuale di massa e non solo di pochi gruppi intellettuali.
Bene ha fatto Marco Gatto a riprendere il pensiero di Antonio Gramsci, illustre intellettuale antifascista e meridionalista, che a Torino, fucina del pensiero antifascista proprio per la presenza sua e di Piero Gobetti, fu in costante interlocuzione col gruppo facente capo alla gobettiana «Rivoluzione liberale». Una rivista alla quale Gramsci aveva collaborato al pari dei meridionalisti Tommaso Fiore, Gaetano Salvemini, Guido Dorso, Giustino Fortunato, Francesco Saverio Nitti e dello stesso Carlo Levi, nel cui ambito questi si era attivamente riconosciuto e da cui era derivata la sua formazione culturale e politica. Un gruppo che seppe mantenere vitale il rapporto del Mezzogiorno con la cultura nazionale [8].
D’altro canto, anche Levi con cui Scotellaro fu in costante interlocuzione, quando nel 1956 gli fu chiesto quale fosse il ruolo degli intellettuali, ebbe ad affermare: «La funzione dell’intellettuale sarà soprattutto quella di esprimere il senso dell’interdipendenza di un mondo fatto di infiniti complessi legami, nel quale la libertà anche di un solo uomo è un valore per tutti» [9].
“Ripoliticizzare Scotellaro”. Ecco, dunque, la proposta di Marco Gatto: rovesciare i presupposti di quel mito a lungo coltivato dai suoi ammiratori, secondo cui Scotellaro è stato il “poeta contadino”, il cantore nostalgico di un’arcaica civiltà contadina sull’orlo della dissoluzione, e – riprendendo le indicazioni di Gramsci – ricostruire il profilo dell’intellettuale attivamente impegnato nella vita pratica, del militante socialista, del giovane sindaco di un comune lucano del secondo dopoguerra, del poeta e scrittore in costante formazione e, soprattutto, di uno degli interpreti più lucidi delle trasformazioni sociali che investirono l’Italia post-bellica, in ragione del suo impegno concreto e di un’idea di cultura, di prassi letteraria e politica mai scissa dalla sua verifica sociale.
Del mondo contadino o, per meglio dire – riprendendo l’espressione usata da Gatto – dei gruppi sociali subalterni, ai quali Scotellaro era prossimo senza però appartenervi del tutto, fu studioso e gramsciano “persuasore”, convinto che l’impegno meridionalistico non potesse essere disgiunto da un progetto pedagogico di emancipazione culturale.
Un progetto che il giovane Scotellaro aveva già enunciato nel famoso comizio del 1o maggio 1944, tenuto nella piazza del suo paese, in cui ripensando ai diritti civili calpestati nel ventennio fascista, affermò:
Nella consapevolezza delle difficoltà insite al raggiungimento del nobile scopo a causa del permanente strisciante fascismo, aggiunse:
Un programma, questo, poi attuato dapprima attraverso la militanza attiva nel Partito socialista e in qualità di membro del Comitato di Liberazione Nazionale nelle amministrazioni comunali rette da giunte prefettizie col compito di defascistizzare gli enti pubblici durante gli anni di occupazione anglo-americana delle regioni meridionali; successivamente nel ruolo di sindaco con grande attenzione ai maggiori problemi del suo tempo, prioritariamente alla piaga dell’analfabetismo, problema per certi versi più grave di quello del lavoro. Lo attuò aprendo scuole popolari e scuole nelle campagne, che fornissero alle classi più umili gli strumenti per la loro elevazione civile e sociale e l’inserimento attivo nell’Italia democratica, che nasceva dalle macerie di una ventennale dittatura. Ma anche seguendo il dibattito nazionale sul tema, come dimostra la sua partecipazione nel gennaio del 1948 al primo Convegno nazionale per la lotta contro l’analfabetismo, promosso a Matera dall’Unione nazionale per la lotta contro l’analfabetismo. Era l’UNLA, costituitasi appena il 5 dicembre 1947 con un gruppo di studiosi presieduto da Francesco Saverio Nitti, che attraverso la creazione di Centri di cultura popolare, stava avviando una vasta opera di alfabetizzazione nel Mezzogiorno nella consapevolezza dell’importanza dell’educazione permanente degli adulti per la conquista della democrazia e la formazione di una cittadinanza attiva e consapevole [11].
A riprova della fisionomia di “intellettuale organico” e di quella missione civile condotta – nell’ottica interpretativa di Marco Gatto – con gli strumenti dinamici della mediazione e della mimesi, Scotellaro è passato dunque dalla prassi amministrativa all’impegno di sindacalista nelle ripristinate Camere del Lavoro, di ispettore regionale per il lavoro giovanile in Basilicata, di membro del Comitato regionale dell’Assise per la rinascita del Mezzogiorno e della Lucania, tutti ruoli che lo trasformarono in un importante referente nell’organizzazione politica e sindacale dei centri della collina materana. Ma è passato anche dalla poesia alla narrazione, dalla drammaturgia alla ricerca sociale, operando all’interno di una società in grande movimento e certo per nulla immobile e per nulla lontana dai processi della storia, come certa letteratura ha voluto far credere. Una società dalle radici fondamentalmente contadine, come d’altro canto lo erano quelle della gran parte dell’Italia appenninica di quegli anni; una società dalle stratificazioni materiali e culturali con zone grigie, pulsioni nascoste, miseria oggettiva, contraddizioni e ambiguità, ma anche con notevoli sforzi individuali. Una società alla cui complessità l’intellettuale organico Scotellaro ha dato un senso, ha indicato e perseguito delle soluzioni.
A quella società e al problema dell’analfabetismo Scotellaro, lasciata la politica attiva, continuò a fornire da studioso il suo contributo attraverso un’indagine scientifica sulla scuola in Basilicata, condotta a Portici all’interno delle ricerche preliminari per la redazione del Piano regionale di sviluppo per la Basilicata, patrocinato dalla Svimez e predisposto nell’Istituto di economia e politica agraria dell’Università di Portici, diretto da Manlio Rossi-Doria. Indagine, quella, pubblicata postuma su «Nord e Sud» [12] e, per la verità, poco conosciuta.
Con le sue dimissioni da sindaco (8 maggio 1950) per un insieme di malesseri e dissidi locali successivi alla sua scarcerazione, si chiudeva un’importante esperienza amministrativa.
Vanno evidenziati, tra i tanti, due meriti importanti della complessa ricerca confluita in questo volume di Marco Gatto. Il primo riguarda quello di aver riportato all’attenzione il convegno su “Rocco Scotellaro, intellettuale del Mezzogiorno”, tenuto a Matera il 6 febbraio 1955 nel ricordo della morte del giovane lucano, che aveva suscitato una commozione generale negli ambienti della sinistra italiana: si pensi agli scritti in memoria pubblicati da Italo Calvino, Leonardo Sciascia, Ernesto de Martino.
Il convegno era stato preceduto da una commemorazione tenuta a Tricarico il 15 dicembre 1954 con un intervento di Tommaso Fiore e un reportage di Michele Gandin [14], fotografo e regista affermatosi a livello internazionale con il documentario Cristo non si è fermato a Eboli (1952), prodotto con l’intervento dell’UNLA, e vincitore del Gran Premio alla IV Mostra internazionale del film documentario e del cortometraggio di Venezia, per aver evidenziato le profonde contraddizioni del Meridione italiano e in particolare il diffuso analfabetismo. Le fotografie scattate a Tricarico per quell’anniversario rendono l’immagine della prima sepoltura di Scotellaro e la partecipazione di massa all’evento, rappresentativa della comunità locale e della comunità di studiosi frequentata da Scotellaro: contadini e artigiani, guardie municipali e carabinieri, donne avvolte negli scialli, bambini, militanti socialisti e comunisti, il dott. Franco Semisa e il chirurgo Guido Hermitte-Barbieri, che operavano nell’ospedale fondato da qualche anno a Tricarico proprio per volontà di Scotellaro, Gilberto Antonio Marselli, Mimma Trucco (la segretaria di Manlio Rossi-Doria sentimentalmente legata a Scotellaro), Ruh Leiser (la moglie di Franco Fortini) e, seminascosta tra la folla, si riconosce anche Linuccia Saba.
Il convegno di Matera, voluto dalla volontà politica di Nenni e organizzato da Raniero Panzieri, responsabile del settore cultura del PSI, si celebrò con grande partecipazione di intellettuali, politici e ampia rappresentanza della componente contadina. Oltre a favorire una riflessione di sintesi sul lascito di Scotellaro, fu l’occasione per rilanciare la politica culturale del Partito socialista nel Mezzogiorno, affermando l’autonomia della cultura popolare rispetto alla posizione del Partito comunista, espressa tra l’altro da Mario Alicata, convinto assertore della necessità di una guida operaia nelle lotte per l’emancipazione delle masse contadine. Difendendo orgogliosamente l’opera letteraria e l’azione politica del sindaco-poeta di Tricarico dalle critiche comuniste e ascrivendolo a un pantheon eminentemente socialista, il partito di Nenni rivendicò il diritto a una politica culturale autonoma anche sul tema della cultura popolare meridionale, collocandola nel solco della riflessione azionista di Levi e della visione di una realtà contadina capace di raggiungere senza l’aiuto di altre classi subalterne, un proprio grado di libertà e di autonomia e, quindi, di espressione culturale diretta e non mediata [15].
L’incontro materano riprendeva e, per certi versi, chiudeva uno dei maggiori dibattiti dei primi anni Cinquanta, quello sulla “civiltà contadina”, scaturito in gran parte dalle pagine del Cristo e dai versi di Scotellaro, come pure dalla questione Sassi di Matera. La storia del mondo contadino lucano, ci si chiedeva, era solo una storia di miseria e arretratezza da cancellare nella prospettiva della modernizzazione, oppure, secondo la visione di Levi e di Scotellaro, rappresentava un’altra cultura, una cultura autonoma che richiedeva una decodificazione culturale e un riconoscimento politico? Quali dovevano essere le modalità di approccio conoscitivo e di raffigurazione fotografica, quali le prospettive di sviluppo economico e urbano per quell’umanità che chiedeva, comunque, urgenti soluzioni?
Il coinvolgimento di una nutrita rete di intellettuali, tecnici, urbanisti, etnologi, letterati e fotografi nazionali e internazionali dà conto della complessità del momento con ricadute anche sul piano politico-economico dal momento che, in clima di guerra fredda, l’ideologia marxista metteva in discussione tutti quei progetti che, attraverso ingenti investimenti americani, tendevano a ricondurre le economie e le politiche del Mezzogiorno nell’orbita della crescita capitalistica e delle democrazie liberali. Pur nella consapevolezza che anche la Basilicata sarebbe stata indiscutibilmente coinvolta nella spirale virtuosa della modernizzazione, ci si augurava che il mondo contadino lucano si aprisse alla modernità attraverso un processo di trasformazione graduale delle proprie culture tradizionali, per evitare fratture, sconvolgimenti, nuovi scompensi [16].
Il dibattito si giocò anche sul piano più prettamente politico, determinando notevoli frizioni nelle strategie politico-ideologiche dei partiti dell’Italia del dopoguerra, acuitesi all’interno delle Sinistre proprio con la morte di Scotellaro e la pubblicazione postuma delle sue opere curate da Carlo Levi e Manlio Rossi-Doria, gli “pseudo meridionalisti di terza forza”, secondo la definizione attribuita loro dai comunisti, che non gradivano il loro patronage nei riguardi del giovane lucano. Il 1954 fu l’anno cruciale del dibattito politico-culturale e letterario sulla civiltà contadina meridionale, che convolse anche intellettuali cattolici come Gianni Baget Bozzo, che contestò a Levi l’identificazione dell’articolata e complessa civiltà meridionale con la civiltà contadina.
Scotellaro divenne un pretesto per intellettuali comunisti del calibro di Carlo Muscetta e Mario Alicata, che gli imputavano incoerenza politica e infantilismo ideologico per la rappresentazione di un meridionalismo sentimentale in linea con la visione leviana di un Sud che, a loro dire, relegava i contadini meridionali fuori dalla storia, ma non perdonandogli neppure l’abbandono dell’impegno politico diretto, per dedicarsi agli studi presso l’Osservatorio di economia agraria di Portici diretto da Manlio Rossi-Doria. L’intento del Partito comunista era quello di consolidare l’egemonia marxista nei riguardi della questione meridionale e del movimento contadino, mentre la posizione di Levi a favore dell’autonomia delle forze contadine si opponeva a entrambi i modelli politico-ideologici che si andavano affermando in quegli anni: il modello marxista (comunista in specie) che vedeva nel Mezzogiorno e nella civiltà contadina una condizione di sottosviluppo, da cui uscire con una mobilitazione promossa dall’esterno e guidata dalla classe operaia; e il modello neocapitalistico dello sviluppo da perseguire senza badare ai costi umani e sociali che avrebbe comportato [17].
Ulteriore merito del volume in esame riguarda, a mio parere, l’utilizzo di fonti archivistiche nuove per ritessere le vicende scotellariane nell’odierno quadro problematico che caratterizza l’identificazione e l’accesso ai corpus documentari riguardanti Scotellaro. Marco Gatto pubblica, infatti, alcune lettere di Scotellaro a Carlo Levi, custodite nel Fondo Levi dell’Archivio Centrale dello Stato, che sostanziano un rapporto tra i due sempre citato, ma poco approfondito dal di dentro. Nella lettera del 19 novembre 1949 trapela la necessità di Scotellaro-sindaco di difendersi dalle accuse di peculato, che gli rendono insopportabile il rinnovato incarico amministrativo, mentre qualche giorno prima aveva presieduto la cerimonia di posa della prima pietra per la costruzione dell’edificio scolastico di viale Regina Margherita, alla presenza dell’onorevole Emilio Colombo, sottosegretario di Stato per l’Agricoltura e Foreste, e del vescovo Raffaello delle Nocche [18].
Scotellaro scrive a Levi e anche a Linuccia Saba diverse altre lettere durante i quasi due mesi di detenzione nel carcere di Matera. In quella del 16 febbraio 1950, indirizzata a quest’ultima, e nell’altra del successivo 18 febbraio rivolta a Levi, oltre a riassumere i capi d’imputazione e a restituire la sua versione dei fatti per cui era detenuto, si sofferma sulla sua tanto desiderata carriera di scrittore, chiede notizie delle poesie inviate a Carlo Muscetta, perché potessero essere pubblicate in volume, e comunica che prima dell’arresto ne aveva inviata un’altra a [Emilio] Sereni. Nelle lettere dell’8 e del 15 marzo 1950 racconta a Levi della lettura del suo Cristo, che sta facendo ai detenuti con cui condivide la cella e gli riassume i loro commenti. Indubbiamente l’esperienza detentiva ridefinisce e rafforza il loro rapporto e permette a Scotellaro di riflettere sulla loro amicizia come pure sulle sue fragilità e paure, di cui scrive a Levi:
Queste ed altre lettere pubblicate nel volume e relative agli ultimi anni di vita del giovane, ci rendono uno Scotellaro decisamente convinto di aprirsi a nuove esperienze di studio, di ricerca e di impegno meridionalistico, pur nella consapevolezza ben segnalata da Marco Gatto «dell’intellettuale sensibile ai processi di trasformazione del suo territorio e ai mutamenti di scenario della questione meridionale, nell’ambito della quale riuscì a vedere, forse prima di altri, le contraddizioni, di lì a poco espresse dalla grande ondata migratoria e dal conseguente impoverimento umano e sociale del Sud» [20].
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