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Ripensare l’umanità dalla Corsica. Confraternite, patrimoni immateriali, piccoli paesi

Il paese di Pianellu (agosto 2018 ( ph. Broccolini)]

Il paese di Pianellu, agosto 2018 ( ph. Broccolini)

il centro in periferia

di Alessandra Broccolini [*]

À l’amichi di a Corsica,

cu a speranza chì tuttu pò ricumincià

Nel lavoro di ricerca che conduco da anni in Italia sui territori delle cosiddette “aree interne” mi è capitato spesso di incontrare le confraternite, le associazioni religiose laicali che quasi in ogni paese animano feste religiose e attività aggregative di vario tipo.

Sodalizi antichi, che hanno attraversato la storia moderna e contemporanea del nostro Paese, spesso nell’invisibilità dei grandi flussi; eppure realtà che oggi appaiono ben organizzate sul piano associativo e interassociativo, custodi di memoria e presidi territoriali vivaci spesso rilevanti nelle dinamiche locali, che al di là degli aspetti prettamente religiosi e cerimoniali, persistono nella vita sociale e culturale delle piccole comunità. Insieme alle confraternite ho incontrato persone, per lo più uomini ma anche donne e ragazzi molto giovani, che si prestano nell’organizzazione delle feste, a volte insieme alle Pro Loco, le animano, le trasmettono; realtà che come “corpi intermedi” tra pubblico e privato si ritagliano da secoli spazi di azione rispetto alle istituzioni e alla Chiesa.

Quando parliamo di patrimoni immateriali, di processi di patrimonializzazione o anche di rituali, le confraternite raramente compaiono come “soggetti”. Spesso sono invece “oggetti” di studio, o perché “depositarie” (secondo una visione conservativa) di pratiche cerimoniali e di patrimoni musicali da catalogare e documentare, o per le dinamiche locali che le riguardano, a volte anche conflittuali e innestate sui tessuti politici locali [1]. Raramente le abbiamo incontrate (o le abbiamo volute vedere) come interlocutori “attivi” di progetti culturali da condividere e ai quali siamo chiamati a partecipare attivamente. 

Con questo insieme di testi sulla Corsica raccontiamo una storia diversa, la storia di un vero e proprio progetto culturale che vede coinvolti: un piccolo paese di montagna della Corsica orientale di nome Pianellu con la sua piagghja (la pianura) rappresentata dalla città di Aleria, una confraternita (A Cunfraterna del Santissimu Crocifissu di a Pieve di a Serra), gli studenti di un liceo di Bastia con i loro insegnanti, un Foyer Rural, due feste religiose (quella di S. Marcellu ad Aleria e quella di San Vincente a Pianellu), pratiche di agricoltura e di recupero della biodiversità coltivata, forme di canto polifonico; ma anche una rete di confraternite e di associazioni sparse nel Mediterraneo e gli studenti (oggi ex studenti) della Scuola di Specializzazione in Beni Demoetnoantropologici della Sapienza di Roma. Una compagine eterogenea di soggetti le cui vicende si sono negli anni intrecciate e che ancora ci vedono attraversare una storia che la pandemia ha interrotto ma non cancellato.

Il progetto che raccontiamo nasce dall’attivismo di una confraternita e si inscrive, come vedremo, in processi più ampi che hanno interessato la ripresa del movimento confraternale in Corsica [2] e più in generale una rinascita di interesse per le culture locali, sia in Corsica che in Europa. Parla quindi di un piccolo paese ma va oltre la dimensione locale per proporre qualcosa che tocca l’umanità intera. Soprattutto, esso si inscrive in un nuovo protagonismo di territori e comunità locali che è stato stimolato dai processi di patrimonializzazione in parte attivati dalle politiche internazionali, primo fra tutti quello che potremmo chiamare l’“intangible turn”, la svolta sull’immateriale avviata dall’UNESCO nel 2003 con la Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale. Questo attivismo di molte comunità locali e l’accresciuta consapevolezza nei confronti delle espressioni culturali e intangibili ha prodotto un profondo mutamento di prospettiva nella ricerca sul terreno in antropologia. In questo cambiamento di prospettiva l’antropologia si è trovata a dover sempre più “condividere” la ricerca fin dalle sue fasi iniziali, piuttosto che doverne solo rendere conto alla fine della restituzione locale dei suoi risultati e soprattutto la ricerca si è fatta sempre più engaged e coinvolta con i progetti locali [3].

In particolare, i testi che seguono sono il risultato di un lavoro di esplorazione della realtà còrsa che abbiamo fatto tra il 2018 e il 2019, quindi negli anni precedenti la pandemia, insieme agli (oggi ex) studenti della Scuola di Specializzazione in beni DEA di Roma, con i quali abbiamo condiviso alcuni momenti di ricerca e di vita [4] entrando in dialogo con i nostri interlocutori còrsi. Il loro sguardo e le forme di scrittura diverse che hanno scelto per raccontare questa esperienza, testimoniano una complessità di percorsi possibili che questi primi nostri testi “acerbi” introducono ma non esauriscono, per un campo che si è rivelato ben più complesso di quanto potesse sembrare all’inizio della storia. Ci auguriamo che tutto questo possa riprendere presto.  

Un inizio di etnografia multisituata, storia di un avvicinamento

Lo scenario che racconta il mio rapporto con la Corsica e con la confraternita della quale parliamo in questi testi è uno scenario complesso, anche se la Corsica è un’isola di appena 339 mila abitanti [5] (più o meno la popolazione di una città come Bari) e il paese di Pianellu che rappresenta il nostro contesto principale di riferimento, durante l’inverno è abitato da appena 25 persone. È uno scenario complesso perché si muove su più piani spazio-temporali che hanno visto “multisituare” il piano dell’osservazione etnografica in uno spazio e in un tempo dilatati, che dal 2016 ad oggi mi hanno portato a transitare prima in Sicilia – luogo dal quale tutto è iniziato – poi in Corsica, in Sardegna, di nuovo più volte in Corsica e poi a Roma, mia città di residenza che è diventata parte del campo. 

È bella l’espressione che gli abitanti di Aleria usano quando parlano di Roma. Aleria è una città della piana orientale che si affaccia sul mare: Aleria che guarda a Roma, mi dicono spesso le persone che incontro, quando nel 2017 da Roma vengo per la prima volta invitata dalla confraternita alla festa di San Marcellu. Se si guarda sulla carta geografica, infatti, Roma ed Aleria sono sulla stessa linea, le separa solo una lingua di mare. Aleria “guarda” quindi dritto verso Roma, è vicinissima, eppure è uno sguardo al tempo vicino e lontano. È vicina per una storia di contatti continui che non solo la Corsica ha avuto con la penisola con le varie dominazioni che ha subìto (romana e poi pisana e genovese, prima di diventare francese), ma che la stessa Aleria ha avuto con la città eterna a partire dal secolo IX quando, secondo le cronache, il conte romano Ugo Colonna riconquistò Aleria occupata dai saraceni e qui fondò la chiesa di San Marcellu, che nel tempo si sarebbe legata alla chiesa di San Marcello al Corso a Roma e alla sua Arciconfraternita del SS. Crocifisso proprio attraverso la cunfraterna nata nel XV secolo.

E tuttavia è uno sguardo verso Roma che oggi appare lontano e che si percepisce ogni volta che si arriva in Corsica. Aleria è vicina per vicinanza culturale (città di fondazione greca, poi divenuta etrusca e romana), storica e per quell’aria di famiglia che avvicina la Corsica all’Italia, ma è lontana per una distanza politica e per una complessità di vicende storiche che hanno ostacolato e oscurato i profondi legami che uniscono Corsica e Italia, trasformando la vicinanza geografica in lontananza ogni volta che da Roma ci si deve muovere verso quest’isola, vista la difficoltà di collegamento dall’Italia.

 Aleria. Il Forte di Matra, gennaio 2017 (ph Broccolini)

Aleria. Il Forte di Matra, gennaio 2017 (ph Broccolini)

Ma la storia inizia un anno prima, in un’altra isola, in un altro paese e con un’altra confraternita. Siamo questa volta nell’entroterra siciliano, Mussomeli in provincia di Caltanissetta, noto per una tradizione di canti polifonici (i lamenti) legati alla Settimana Santa. Qui nel 2016 un comune lungimirante ed un’altra confraternita, l’Arciconfraternita del SS. Sacramento alla Madrice, riescono ad organizzare una cosa che oggi mi appare quasi come un piccolo miracolo di coraggio, di scambio e di dialogo tra persone sparse tra Mediterraneo e nord Europa. Insieme alle altre confraternite del paese, all’associazione SIMBDEA [6] ed ai giovani cantanti di un istituto di studi polacco (il Grotowski Institut di Wroclaw), nel 2016 è nata una scintilla, un momento molto intenso di scambio dedicato al canto polifonico sacro che ha visto intervenire oltre alla confraternita còrsa, anche l’associazione Concordu di Orosei, l’associazione Su Cuncordu di Cuglieri in Sardegna e l’Associazione Musicale Etnea. Decidiamo di chiamare questa iniziativa “Il Lamento del Mediterraneo”, dove il riferimento al “lamento” voleva evocare la tradizione mussomelese, ma anche la sofferenza che da anni si vive nel Mediterraneo con le vicende tragiche di dolore che lo affliggono.

Partendo dall’idea che il canto (non professionalmente inteso ma come esperienza diffusa di partecipazione) potesse giocare un ruolo cruciale nell’incoraggiare il dialogo e trasmettere messaggi di pace e di rispetto per le diversità culturali, è nata da quella esperienza una rete di soggetti (Il lamento del Mediterraneo. Salvaguardia e valorizzazione delle forme di canto polifonico religioso nell’area del Mediterraneo come patrimonio culturale immateriale) che si sono impegnati formalmente e amicalmente a salvaguardare non solo il canto polifonico nel Mediterraneo, ma soprattutto le ritualità, i contesti sociali, le pratiche e le esperienze connesse al canto. 

[Fig. 3. Manifesto de “Il Lamento del Mediterraneo” (Mussomeli - settembre 2016)]

Manifesto de “Il Lamento del Mediterraneo” (Mussomeli – settembre 2016)

Ho conosciuto la Corsica in quel mese di settembre del 2016 ed è nato subito un forte legame amicale con le persone, un sentirsi ed un comprendersi attraverso lingue sorelle ed una base culturale comune; è nato un condividere una visione e progetti partendo dall’idea che è da questi territori marginali che possono nascere non solo pratiche virtuose legate ai patrimoni immateriali, al canto, alla festa, ma un ripensamento della stessa umanità. Da allora sono andata diverse volte in Corsica su invito della cunfraterna a partecipare ad alcune festività – San Marcellu ad Aleria a gennaio e San Vincente a Pianellu in agosto – ad incontri e presentazioni di esperienze, ho coinvolto studenti ed ho scambiato inviti che hanno visto la confraternita di Pianellu venire più volte a Roma per riallacciare contatti con l’arciconfraternita del SS. Crocifisso di S. Marcello a Via del Corso a Roma alla quale sono storicamente legati ed a partecipare a seminari organizzati nell’ambito della Scuola di Specializzazione in Beni Demoetnoantropologici della Sapienza. Ci siamo ritrovati di nuovo in Corsica nell’estate del 2018 con gli studenti e poi ancora ad Orosei in Sardegna per una ripresa della rete. In questo andirivieni dislocato su isole, paesi e città diverse è stata centrale l’esperienza di viaggio a Pianellu fatta con gli studenti nel 2018, alla quale si farà maggiormente riferimento nei contributi che seguono. Il mio rapporto con la Corsica è nato quindi da un dialogo che è entrato nel mio percorso di vita e non dall’assumere i miei interlocutori come meri oggetti di studio.

 La montagna e il mosaico

Le molte espressioni che sono state usate per definire la Corsica fanno spesso riferimento alla sua conformazione geografica, essendo un’isola quasi totalmente montuosa, una “montagna sul mare” si dice spesso. Questo carattere, nello stesso tempo isolano e montano, ha enfatizzato nei secoli l’idea di una unicità della Corsica e di una sua radicale estraneità dal contesto politico e culturale francese e più in generale europeo. Estraneità che è stata imputata anche a fattori culturali e storico-sociali, quali l’appartenenza ad un contesto Mediterraneo, il retaggio culturale “italico” e l’arcaicità delle sue strutture sociali tradizionali [7]. Tutti fattori che ne hanno spesso veicolato una (auto) rappresentazione stereotipizzata e identitaria in chiave fortemente essenzializzante. Al contrario, gli studi storici ed etnologici hanno messo in evidenza non solo la ricchezza di scambi e rapporti con il continente europeo e il Mediterraneo, ma anche la complessità interna dell’isola legata a forme sociali tendenzialmente autonome e comunitarie, une societé villageoise l’ha definita Gérard Lenclud, composta da vallate e da comunità di villaggio tendenti alla propria sovranità e spesso “contro lo Stato”, tanto da far parlare di una societé en mosaique [8].

Per la sua conformazione geografica e per l’emigrazione che l’ha caratterizzata in passato, la Corsica non è mai stata un’isola popolata. Quarta isola del Mediterraneo sia per estensione che per popolazione, segue Cipro che ha tuttavia una estensione di poco superiore, ma una popolazione quasi quadrupla rispetto ai 339 mila abitanti dell’isola. Caratterizzata storicamente da una economia di tipo pastorale con forme di transumanza verticale tra pianura e montagna, oggi quasi totalmente scomparsa insieme all’agricoltura di montagna che vi era connessa, la Corsica ha sviluppato i suoi insediamenti più antichi principalmente nell’interno per ragioni difensive (come accaduto per la Sardegna) con le coste, insalubri ed esposte, che fino a tempi recenti sono rimaste selvagge e disabitate.

Rispetto alle regioni italiane la Corsica è estesa come l’Umbria ma con una popolazione di meno della metà di abitanti, concentrati principalmente nelle due città di Bastia ed Ajaccio, due città che hanno avuto nell’ultimo secolo un notevole incremento demografico a scapito dell’interno, quindi della montagna, che si è progressivamente svuotata. L’aumento di popolazione che ha avuto quindi l’isola negli anni ha interessato soprattutto i centri urbani e le coste per via dell’immigrazione progressiva di funzionari pubblici dal continente, di pieds noir negli anni ‘70, di immigrati (extracomunitari e dall’Italia soprattutto dalla Sardegna) e ultimamente del turismo.

La crescita demografica recente che ha avuto il paese, soprattutto per via dell’incremento del turismo, ha portato un certo “consumo” di suolo delle coste, anche se vista dall’Italia la Corsica appare sempre un’“isola della bellezza” sul piano naturalistico, con una salvaguardia del paesaggio molto marcata rispetto alla cementificazione selvaggia che ha caratterizzato buona parte delle nostre coste. Dal punto di vista geografico l’isola è caratterizzata da catene di monti trasversali (dei quali il più alto è il Monte Cinto 2700 metri) che danno origine a molte vallate che in passato riunivano i paesi in quelle che vengono chiamate pievi, delle realtà che pur non esistendo più sul piano religioso ed amministrativo, entrano, come vedremo [9], nell’attualità del processo che raccontiamo. «La Corse de hier – scrive l’antropologo Gérard Lenclud nell’introduzione ad una raccolta di articoli risalenti a ricerche fatte negli anni ’70 – est un archipel de pays dont les limites tendent à coincider avec celles des anciennes pièves; chaque vallée est un archipel de communautées villageoises; chaque communauté villageoise est un archipel de lignées familiales»[10].

Le antiche Pievi della Corsica  (I, Azezu, CC BY-SA 3.0)

Le antiche Pievi della Corsica (I, Azezu, CC BY-SA 3.0)

La storia della Corsica [11] non può essere riassunta in poche righe e qualsiasi cosa si può qui dire brevemente sarà solo una goccia nel mare di complessità che caratterizza la storia dell’isola, ma questa goccia ci serve per contestualizzare meglio il processo che sto raccontando che colloca il progetto culturale e spirituale di una piccola confraternita di una vallata dell’Alta Corsica dentro uno scenario contemporaneo e una visione sul futuro che a ben vedere non riguarda solo la Corsica.

Attraversata nei secoli da diverse e molteplici dominazioni e influenze politico-culturali, prima pisana, poi genovese, infine annessa nel XVIII secolo allo Stato francese, con una brevissima quanto importante parentesi di indipendenza con la Costituzione della Corsica del 1755 per opera di Pasquale Paoli (u babbu di a patria per molti còrsi) [12] e l’aggressiva occupazione italiana durante il fascismo [13], la Corsica è stata attraversata da una storia turbolenta e a tratti violenta che nell’ultimo secolo ha visto una progressiva sensibilità identitaria nascere in risposta alla percezione di una assimilazione culturale ritenuta “coloniale” da parte dello Stato francese rispetto al retaggio culturale “italico” che ne aveva caratterizzato i secoli precedenti, con sfruttamento economico, marginalizzazione [14] e con la perdita di tradizioni culturali e della lingua còrsa come lingua parlata [15].

Ciò ha portato la società ad essere dilaniata nell’ultimo mezzo secolo da rivendicazioni identitarie (che qualcuno definisce una “patologia identitaria”) e da una violenza politica che hanno assunto le vesti di vari movimenti politici, prima irredentisti filoitaliani, poi nazionalisti, indipendentisti, separatisti ed autonomisti che tra gli anni ‘70 e ‘90 hanno insanguinato la vita sociale del paese con attentati e rapine, anche fronteggiandosi tra loro con regolamenti di conti e vendette. Tra questi movimenti il più noto è stato il Fronte di Liberazione Naziunale Corsu (FNLC) un gruppo armato nato nel 1976 che divisosi in diverse fazioni, nel 2014 ha ufficialmente rinunciato alla lotta armata [16]

La storia recente della Corsica è stata dunque attraversata nell’ultimo mezzo secolo da una violenza politica molto marcata che ha impregnato nel quotidiano la vita delle famiglie, molte delle quali hanno avuto esperienza diretta di perdita di cari o episodi di violenza. Lo sforzo fatto da questi movimenti politici di rivendicazione identitaria qualche obiettivo lo ha tuttavia raggiunto. Nel 1981 ad esempio, è stata riaperta l’Università di Corte (che era stata fondata da Pasquale Paoli nel 1765, ma chiusa dalla Francia nel 1769) e nello stesso anno c’è stato il riconoscimento da parte dello Stato francese della Corsica come regione autonoma (Collectivité territoriale de Corsica) dotata di una propria Assemblea, che nel 1991 ha avuto riconosciuto uno statuto speciale più esteso rispetto a quello dell’1982 [17] e l’istituzione di un Consiglio esecutivo. Nel 2002 il varo di una legge sulla Corsica (Loi sur la Corse) ha esteso i poteri dell’Assemblea [18], mentre la lingua còrsa è stata introdotta come insegnamento scolastico, ma solo come materia facoltativa e non ha avuto ancora il riconoscimento della coufficialità come lingua parlata essendo ridotta al solo ambito scolastico.

Per questa ragione la storia dell’isola non può esaurirsi in un resoconto neutrale degli eventi e delle fonti storiche, ma è una storia “viva”, che viene continuamente interpretata e riattualizzata nei diversi posizionamenti politici (anti francesi, anti italiani, irredentisti, nazionalisti, autonomisti, partiti “esagonali”, partiti indipendentisti, regionalisti, etc.), che hanno assunto i contemporanei dentro la cosiddetta “questione còrsa” [19] che interessa lo Stato francese e che al di là di fatti e personaggi riassumibili in date ed eventi, richiede una analisi critica e una decostruzione delle fonti storiografiche che qui non è possibile fare. Ma questa densità rende la Corsica un contesto particolarmente interessante da esplorare sul piano della costruzione e degli usi della storia e quindi di grande interesse per un antropologo [20].

Lo stesso può dirsi dei due filoni di letteratura antropologica e di tradizioni popolari che hanno raccontato la Corsica; il primo in passato ha privilegiato lo studio delle comunità di villaggio, focalizzandosi soprattutto sulle strutture sociali dei “villaggi”, la vita comunitaria, le forme dell’economia pastorale, la famiglia e il sistema clanico, secondo una antropologia sociale e storica di taglio mediterraneista [21]. Una antropologia che è anch’essa parte di quel fascio di rappresentazioni sull’isola e sui suoi caratteri culturali a volte essenzializzanti tra etnologia francese, antropologia del Mediterraneo [22], tradizioni popolari e studi còrsi, che esprime diversi posizionamenti teorico-epistemologici e valoriali. L’etnologia dell’Europa ha infatti trovato nella Corsica e nelle sue comunità “villageoises” un terreno ideale per poter riproporre “at home” il modello della comunità di villaggio e della ricerca sistemica della ricerca antropologica classica. Nella sua raccolta di saggi sulla Corsica Gérard Lenclud ricordando le ricerche antropologiche del passato sulla Corsica parla infatti di una “ethnologie d’époque”, sottolineando come «la societé corse traditionnelle, enracinée dans ses citoyennetées locales, parraissait offrir un terrain ethnographique ajusté aux canons de l’ethnologie qui était celle des années 1970» [23].

Alla stagione di rivendicazione politico-identitaria che ha caratterizzato la Corsica si è accompagnato a partire dagli anni ‘70 un fenomeno di patrimonializzazione che ha interessato soprattutto la sfera culturale, detto u riaquistu [24], cioè “riappropriazione”; un vasto movimento politico-culturale che ha rivendicato la necessità di una difesa della cultura locale, con una ripresa soprattutto della lingua e del canto polifonico (in particolare del canto di tradizione agropastorale detto a pahjella), ma anche della storia, dei saperi locali e dell’ambiente. Movimento complesso, che ha oltrepassato i confini dell’isola e animato da una vasta mobilitazione di associazioni locali che volevano uscire dalla marginalità e fare sentire la loro voce, il riaquistu è stato caratterizzato da diverse fasi che si sono susseguite negli anni, traghettando la Corsica dal passato al presente, ad esempio per quanto riguarda il canto, dalla tradizione orale alla contemporaneità della world music e dei gruppi musicali professionisti [25]. Ma ha anche mosso ricerca, studi locali (nel 1973 nasce la rivista Etudes Corses), musei (il Museo Regionale di Antropologia a Corte per esempio, inaugurato nel 1997), e negli ultimi anni ha visto la nascita di canali televisivi ed emittenti radiofoniche che danno ampio spazio alla programmazione in còrso, gruppi teatrali e di una nuova letteratura in lingua còrsa. Il processo è oggi entrato in una fase nuova 2.0 con l’avvento del digitale e dei social media che hanno amplificato questo movimento culturale di “riappropriazione” culturale coinvolgendo le giovani generazioni [26].

La confraternita come “comunità di eredità”. Un progetto spirituale e materiale per ricucire tessuti locali

Ho conosciuto la Cunfraterna del SS. Crocifisso di a Pieve di a Serra in quel settembre del 2016 nei locali dell’oratorio dell’Arciconfraternita del SS. Sacramento alla Madrice di Mussomeli, dove i suoi componenti si stavano preparando per una serata di canto. Jean Charles Adami, Anthony Esposito, William Bouzik, Antò Agostini e altri componenti si sono presentati con abiti confraternali che per me erano molto familiari perché simili alle molte confraternite che avevo conosciuto in Italia, ma soprattutto si sono presentati con quei cognomi di origine “italica” [27] e con una lingua (la lingua còrsa è per un italofono una specie di miracolo di assonanze familiari) che ha prodotto una empatia immediata e lasciato in me una impronta decisiva. Il dialogo che è nato quella sera è stato come un riconoscersi nelle storie di territori e di persone che sono accomunate da una stessa matrice ma che hanno preso strade diverse.

Nel tempo che è seguito ho imparato a conoscere e a capire meglio il complesso progetto attuato dalla confraternita nel corso di quasi trent’anni di lavoro intenso e continuo sul territorio; un insieme di attività religiose, culturali, sociali e spirituali, ma anche un agire pratico, che partendo dal recupero di una dimensione aggregativa spirituale e religiosa dentro la confraternita e la sua visione del mondo, hanno portato ad un recupero del repertorio dei canti polifonici sacri, alla reinvenzione di una ritualità festiva che voleva ricucire un tessuto sociale fortemente disgregato dallo spopolamento e da una politica nazionale che non ha protetto le piccole comunità della montagna, fino ad arrivare a toccare progetti legati alla terra e al recupero della biodiversità coltivata. 

Come è noto le confraternite nella Chiesa cattolica sono associazioni laicali risalenti all’epoca medievale, a prevalenza maschile, molto diversificate al loro interno, che sono dedicate ad un particolare culto, ad attività caritative o assistenziali e alla pratica spirituale. Benché siano riconosciute e definite dal diritto canonico in modo rigido, di fatto almeno in Italia le confraternite hanno sempre avuto «una struttura organizzativa e gerarchica variamente articolata, fondata sul principio all’autogoverno e fissata in deliberati statutari, espressione della volontà e dell’impegno degli stessi confratelli»[28]. Nel corso dei secoli e con andamenti alterni ciò ha portato le confraternite verso un certo grado di autonomia non sempre pacifica con le autorità ecclesiastiche ed hanno conquistato spazi per la gestione e la pratica del culto sul piano pubblico ed una presenza nella vita civile. A questa autonomia si è accompagnata spesso una importante funzione sociale che le confraternite hanno ricoperto (attività caritatevoli, dotazione, accompagnamento dei defunti, ritualità), che è stata (e ancora oggi lo è) continuamente negoziata con le autorità ecclesiastiche, anche in relazione al possesso di beni materiali che soprattutto nel passato davano alle confraternite una certa autonomia economica.

In Corsica questa autonomia e la funzione sociale che le confraternite hanno avuto nei secoli è stata ancora più marcata, vista la caratteristica della struttura comunitaria della società tradizionale còrsa, dove ogni paese in passato aveva una o più confraternite. Questa autonomia si è espressa in una specifica indipendenza dall’autorità ecclesiastica ma anche in una marcata diversificazione del repertorio dei canti, tanto da fare identificare il repertorio dei canti di una confraternita con il suo territorio di provenienza [29].

Nel corso del XX secolo tuttavia, in molti paesi questo tessuto confraternale si è disgregato insieme allo spopolamento delle aree interne e all’indebolimento della dimensione comunitaria della società locale e oggi in molti paesi a testimonianza di questo passato sono rimaste solo le casazze, le chiese di proprietà delle confraternite dove ci si riuniva per la preghiera o per il canto. Con il declino delle confraternite, che negli anni ‘70 erano ridotte ad una decina sull’isola, è andato disperso in molti casi anche il repertorio dei canti polifonici sacri in latino, un processo che è stato accelerato anche dalla sostituzione del latino con la lingua vernacolare conseguente al Concilio Vaticano II (1962-1965), che in Corsica ha significato l’introduzione di canti religiosi moderni in lingua francese. 

A partire dagli anni ‘80, tuttavia, e in concomitanza con la stagione di ripresa della cultura locale che abbiamo visto, si è aperta una nuova stagione di rinascita del movimento confraternale in Corsica (un “rinascimento”, come lo ha definito l’etnomusicologa Caroline Bithell [30]) che appare in linea con il processo di rivitalizzazione indicato da Jeremy Boissevain negli anni ‘90 [31] che in Europa ha interessato le feste religiose e i rituali. In questo senso la Corsica non si è discostata dai processi culturali che si sono verificati in Europa per quanto riguarda la ripresa delle tradizioni festive. La rinascita delle confraternite in Corsica ha beneficiato di quel clima di entusiasmo per l’identità culturale còrsa che abbiamo visto nel fenomeno del riaquistu; sono stati infatti soprattutto dei giovani, spesso residenti altrove ma originari del paese, a riprendere l’attività delle confraternite iniziando soprattutto con il ripristino del repertorio dei canti [32]

A cunfraterna del SS. Crucifisso di a Pieve di a Serra nasce, o meglio rinasce a Pianellu nel 1992, dalle ceneri di una confraternita ormai disgregata. Ci troviamo nel Dipartimento dell’Alta Corsica[33] e Pianellu è un piccolo paese di montagna che si trova a circa 1000 metri di altezza, legato storicamente ad Aleria, città di origine greca e poi fiorente città romana. Decaduta in epoca barbarica Aleria oggi conta poco più di duemila abitanti, ma la sua evoluzione è in crescita [34], come tutti i siti costieri a scapito della montagna. Il legame storico tra la piagghja (pianura) di Aleria e la muntagna di Pianellu è dovuto all’attività dei pastori – prevalente attività economica del territorio – che anticamente e fino a non molti anni fa, transumavano fino alla piana di Aleria nei mesi invernali per tornare sulla montagna con gli animali nei mesi estivi.

Un territorio rurale dunque caratterizzato da una dinamica pianura-montagna che tuttavia ha visto invertire la consistenza demografica dei suoi due centri, in quanto oggi è Aleria il paese maggiormente sviluppato che ha visto convertire le sue attività nel terziario turistico. Pianellu, che rappresentava anticamente il principale centro della valle della Serra, il suo picco demografico lo ha avuto invece nel 1901, quando ha raggiunto i 670 abitanti per poi scendere progressivamente fino a ridursi nel 2018 a 66 abitanti [35]. In estate il paese si rianima di ritorni di vecchi abitanti che qui passano le vacanze, ma in inverno il numero si riduce molto arrivando anche ad una trentina.  Sono quindi due realtà tra loro legate Aleria e Pianellu, culturalmente e storicamente, ma ancora di più i due paesi sono legati ad altri paesi della valle della Serra, una decina, che componevano l’antica Pieve de la Serra [36], tutti piccolissimi paesi, alcuni dei quali in inverno sono popolati da appena 10 abitanti.

[Fig. 5. A Cunfraterna del SS. Crocifissu di a Pieve di a Serra nel 1992.  In prima fila i confratelli anziani, nella seconda e terza fila i confratelli giovani. Il primo a sinistra della seconda fila è Jean Charles Adami].

A Cunfraterna del SS. Crocifissu di a Pieve di a Serra nel 1992. In prima fila i confratelli anziani, nella seconda e terza fila i confratelli giovani. Il primo a sinistra della seconda fila è Jean Charles Adami

Il progetto di ricostituire nel 1992 ‘a cunfraterna viene da Jean Charles Adami, allora poco più che ventenne. Di origini pianellacce da parte materna e allora studente universitario, ma in seguito insegnante di lingua e cultura còrsa al Liceo di Bastia e poi agricoltore, allevatore, animatore culturale, uomo di pace e di spiritualità e molte altre cose insieme, Ghjuvancarlu (per usare il nome in lingua còrsa, ma per noi anche Giancarlo) è stata l’anima della ricostruzione del sodalizio intorno al quale un gruppo di giovani originari dell’area si è negli anni riconosciuto a partire dal riconoscimento di un lascito della generazione degli anziani. Inizialmente il progetto aveva come fine il recupero del patrimonio di canti sacri polifonici, che erano ancora funzionali nella celebrazione delle Messe, ma conosciuti solo dai più anziani essendosi il processo di trasmissione interrotto da tempo. 

Nel corso degli anni esso si è tuttavia evoluto articolandosi in un disegno complesso; dai canti si sono aggiunte iniziative culturali e rituali portate avanti nella dimensione strettamente locale dei paesi della pieve e da lì la cunfraterna si è aperta a numerose altre iniziative realizzate con altri soggetti che hanno riguardato sia il processo di rivitalizzazione del movimento confraternale in Corsica, ma anche manifestazioni musicali, iniziative di militanza di pace, progetti sull’agricoltura e la biodiversità.  

Ghjuvancarlu Adami vive a Bastia dove insegna Lingua e cultura còrsa al Liceo Giocante di Casabianca. La sua vita è caratterizzata da un continuo pendolarismo tra la città e il paese materno Pianellu e lo stesso è per molti altri confratelli che sono originari dei paesi della valle della Serra ma vivono in città. Fin dai primi momenti del nostro dialogo “multisituato” tra Roma, Corsica, Sardegna e canali virtuali, Ghjuvancarlu e gli altri componenti della cunfraterna mi hanno raccontato che tipo di agire sociale e spirituale si è voluto imprimere al progetto di ricostruire la confraternita, un progetto lucido dove la dimensione religiosa appariva in quegli anni fortemente connessa ad una idea di rinascita di “identità isolana”:

C’est en 1992 que se constitue la Confrérie de la Pieve de la Serra, au centre-est de la Corse. C’est à l’époque la seule structure de ce type à reprendre vie dans ce secteur de la côte orientale de l’île. J’ai l’initiative de cette démarche certainement influencé par le contexte socio-culturel de l’époque où l’on ne distinguait pas vraiment l’identité insulaire renaissante des aspects liés au fait religieux. Alors jeune étudiant à l’université Pascal Paoli de Corté, j’avais par ailleurs été très positivement marqué par un de mes professeurs, monsieur Joseph Orsolini, qui a reveillé en moi un grand intérêt pour le patrimoine matériel et immatériel de tradition populaire. C’est avec Don Marcu Negroni, chantre de Pianellu d’une génération antérieure à la mienne, que j’évoque pour la première fois l’idée de remettre sur pied l’expérience confraternelle. Dès le premier instant, j’ai pu compter sur son aide et sur sa bienveillance pour mener à bien ce projet.  En référence à mes propos de début, je pense que l’idée première que nous partagions visait à restaurer des usages, des espaces et des temps de vie religieuse. Toutefois, si la question patrimoniale prenait évidemment toute sa part dans un procéssus d’inculturation de la foi, notre projet relevait surtout d’une sensibilité particulière aux choses de ce monde; cette dernière necessitant que l’on prête ensemble et fraternellement attention à nos désespoirs, à nos désillusions et à nos peines. Ceci pour une réponse spirituelle dans le Christ à nos incertitudes et pour ne pas nous conformer au monde tel que sait nous l’indiquer saint Paul dans ses épîtres [37] .
[Fig. 6. Aleria. Festa di S. Marcellu.La cunfraterna durante l’esecuzione di un canto (gennaio 2017, ph. Broccolini)].

Aleria. Festa di S. Marcellu. La cunfraterna durante l’esecuzione di un canto, gennaio 2017 (ph. Broccolini)

Si volevano ricostruire quindi le pratiche, gli spazi e i tempi della vita religiosa e il suo ritualismo, secondo una visione patrimoniale, materiale e immateriale (i repertori di canto, gli oggetti processionali), ma anche attenta alla dimensione sociale e a quelle “cose di questo mondo” (les choses de ce monde) che hanno a che fare con le persone e le loro vite. In questo senso Adami e gli altri componenti di questa “comunità di eredità” [38] hanno fatto un lavoro che è stato e continua ad essere di militanza sociale e spirituale, ma anche un lavoro storico, antropologico ed etnomusicologico:

Dès le début et pendant longtemps notre action s’est presque exclusivement consacrée à la récupération du répertoire cantoral et à la restauration des pratiques liturgiques et dévotionnelles qui lui sont naturellement liées. Dans une première définition pour le moins restrictive de sa véritable identité, la confrérie s’est donc considérée comme une simple fraternité de chantres.  Il a néanmoins s’agit d’un considérable effort mémoriel opéré par les plus anciens mais aussi par un confrère alors d’âge moyen également formé à la tradition. Par touches successives, sortant d’un oubli davantage supposé que réel, ont réapparu des oeuvres inespérées aujourd’hui communément pratiquées. Les sollicitations des plus jeunes, le rétablissement concomitant d’un espace spirituel et symbolique puissant, l’effort de ritualisation qui lui est propre, ont finalement abouti à la résurgence d’un très ancien répertoire qui compte aujourd’hui parmi les plus complets de Corse [39].

Nel ri-costituire la confraternita si volevano tuttavia superare sia i confini sociali (la confraternita viene concepita come un luogo traversale nel quale chiunque si può riconoscere), che i confini parrocchiali e campanilistici, per diventare un fenomeno nuovo, una confraternita “pievana”, cioè composta da persone provenienti da diversi piccoli paesi della vallata della Serra. Dei dodici membri fondatori infatti, sei sono di Pianellu, due di Zalana, uno di Matra, uno di Moita, uno di Tox e infine un componente esterno alla Pieve veniva dalla Ghisonaccia. Una scelta motivata sia dalla esigua composizione demografica di questi paesi, che non potevano più contare su una confraternita per ogni paese come era nel passato, ma anche dalla volontà di unire un territorio storicamente unito da vicende e condizioni di vita comuni: 

Cette volonté de dépasser le cadre paroissial répondait d’abord et de manière très prosaïque, aux contraintes imposées par le dépeuplement massif de nos régions “d’extrême ruralité” montagneuse. La réponse voulait aussi s’inscrire dans la cohérence d’un territoire de vie partagé. La matrice pievane en tant qu’unité socio-culturelle de base depuis le moyen-âge, semblait parfaitement y répondre. Cette innovation organisationnelle alors unique en Corse, avait été confortée par la consultation de nos archives confraternelles. Ces dernières faisaient état d’une structure commune aux confères et consoeurs des paroisses voisines de Pianellu et Ampriani pour les 17ème et 18 ème siècles. Ampriani était encore une vice-paroisse à cette époque et ce regroupement de référence était pour nous le reliquat d’un fonctionnement pievan encore plus ancien. De son côte, l’évêché se réfugiait dans une analyse purement administrative et ne retenait froidement du projet que la dimension “inter-paroissiale” qu’il appelait de ses voeux partout en Corse. Les liens de l’homme au lieu et leur traduction sensible lui importaient finalement peu [40].  

Dalle parole di Adami trapelano le linee di un progetto che, al di à dei contenuti legati ad una  dimensione strettamente religiosa o culturale, voleva creare (o ricreare) uno spazio di libertà della confraternita rispetto agli attori istituzionali ed ecclesiastici, ma anche di uguaglianza e di democrazia, dove si potessero ricucire e ricostruire degli spazi di azione condivisa dentro una dimensione paisana di matrice agropastorale; un progetto rafforzato da una forte impronta di spiritualità nel legame con la terra intesa non solo come luogo di un’appartenenza culturale, ma anche come ambiente nel senso “fisico” e universale di terra coltivata, vissuta, percorsa, attraversata e in questo senso svincolata da confini e da rivendicazioni politico-identitarie. 

La confraternita viene dunque intesa consapevolmente come quel “terzo spazio”, quel “corpo intermedio” tra la sfera istituzionale pubblica e quella privata, o anche tra la Chiesa come istituzione e la società civile nel senso dell’insieme dei cittadini, dove la comunità trasversale dei confratelli si incontra con la comunità paisana intesa come dimensione di appartenenza intermedia. È lo stesso Adami ad evocare questa dimensione del terzo spazio in un suo articolo apparso su Aternatives non violentes (ANV) [41], dove la confraternita diventa un luogo per “riumanizzare” il territorio, sia sul piano demografico, ma anche nei rapporti tra le persone: 

En vérité, positionnée de façon subtile à la charnière de l’Église catholique instituée et de la société civile, la confrérie constitue une sorte d’espace tiers vécu comme la projection sociale de l’amour de Dieu. [...] Bien que modeste, cet effort de pensée s’inscrit dans la volonté de ré-humanisation de nos territoires montagnards dont la démographie n’a jamais été aussi faible. Il s’agit ainsi, pour répondre aux deux acceptions possibles du terme ré-humaniser, de tenter le repeuplement des zones abandonnées, tout en promouvant le rétablissement d’un rapport de parfaite harmonie entre les individus qui s’y engagent [42].

Rifemu a Cunfraterna, è perchè nò? [43] Patrimonializzazione e spiritualità contro la desertificazione umana e la “politicizzazione del fatto identitario” 

Al questo lavoro di patrimonializzazione e di militanza “spirituale” messo in atto dalla Cunfraterna si sono affiancati nel tempo altri due soggetti importanti ed autonomi, che a diversi livelli hanno svolto un ruolo essenziale nella realtà pianellaccia. Il primo è stata una associazione di militanza di cultura non violenta, l’associazione Umani. Fundazione di Corsica, mentre il secondo soggetto è stato il Foyer Rural di Pianellu, un altro “terzo spazio” di azione locale composto da paisani pianellacci, questa volta laico ma ispirato ai valori della confraternita. L’associazione Umani è stata fondata nel 2002 dai noti fratelli Bernardini, componenti prima del gruppo Canta u Populu Corso, poi del gruppo musicale I Muvrini – gruppo nel quale saltuariamente canta anche Adami – e promuove una cultura della non violenza come risposta alla violenza terroristica che aveva insanguinato la Corsica negli anni passati.

I Foyers Ruraux invece sono in Francia delle associazioni locali di cittadini presenti nei piccoli paesi, non connotate politicamente, che si occupano di animazione culturale (organizzando feste, concerti e attività varie per tutti), ma si impegnano anche a sviluppare relazioni di mutuo aiuto rinsaldando legami sociali tra persone di uno stesso abitato. Regolate da una legge che risale al 1901 i Foyers Ruraux si basano dunque sul volontariato e si potrebbero definire un equivalente (con alcune importanti differenze) delle nostre Pro Loco, essendo anche unite in federazioni locali e nazionali [44]. Nella pagina Facebook del Foyer Rural ‘A Teghja di Pianellu l’associazione viene definita “une structure d’éducation populaire, permanente et de promotion sociale du village de Pianellu (Corsica)[45], definizione che ne segna tuttavia una differenza rispetto alle Pro Loco, che in genere enfatizzano esplicitamente più la promozione turistica del territorio rispetto ai temi della solidarietà e dell’“educazione “popolare” nei confronti del territorio. 

Pianellu. Alcune attività del Foyer Rural di Pianellu (agosto 2018 Ph. Broccolini)]

Pianellu. Alcune attività del Foyer Rural di Pianellu, agosto 2018 (ph. Broccolini)

Il progetto che questi tre soggetti (cunfraterna, Umani e Foyer Rural) hanno portato avanti in modo convergente a partire dal lavoro pionieristico avviato dalla cunfraterna ad inizio anni ‘90, scaturisce dalla scelta precisa di collocarsi in un discorso identitario alternativo e opposto a quello politico nazionalista che aveva caratterizzato gli anni di piombo della violenza politica in Corsica, ma è anche di diversa natura rispetto al movimento di ripresa identitaria del riaquistu che aveva un’impronta politica marcata. Al contrario, è stato un progetto mosso da una istanza di pace e di fratellanza radicato in una azione locale (la cultura paisana) ma animato da una visione di spiritualità universale.

Lucidamente Adami spiega in che modo il progetto confraternale volesse discostarsi dal movimento del riaquistu, un movimento che, pur rappresentando per quei giovani di allora una sorta di “impregnazione” e la presa di coscienza del valore patrimoniale del canto e delle pratiche rituali, ha segnato anche la necessità di una presa di distanza dalla “politicizzazione del fatto identitario” e dalle rivendicazioni ideologiche e politico-identitarie che hanno caratterizzato negli anni il movimento del Riaquistu. Istanze che la confraternita non ha mai condiviso perseguendo finalità principalmente religiose, ma declinate nella forma di una militanza culturale e spirituale sul territorio. In questo senso la confraternita della Pieve di a Serra è insieme una “comunità di eredità” e di “spiritualità”:   

On est souvent le fruit de son époque et à ce titre le mouvement culturel et politique du Riacquistu a certainement joué chez nous aussi son rôle d’imprégnation. Pour autant, il convient de relativiser ses effets en comprenant d’abord que la pratique cantorale de notre pieve n’avait pas totalement disparu. Le chant sacré était encore très vivace pour ce qui regardait le commun de la messe. Nous étions donc en 1992 dans le contexte d’un usage vocal traditionnel ayant vécu et survécu en dehors des bouleversements d’idées de cette fin de 20ème siècle en Corse. Il est à noter que parmi les anciens chantres qui ont tous été nos maîtres et ont constitué avec des jeunes les premiers rangs de la confrérie, aucun ne se reconnaissait dans le dit “mouvement national corse”. Leurs options politiques de droite ou de gauche selon la personne, étaient inscrites dans le cadre de partis “hexagonaux” (français). Comme partout ailleurs, le Riacquistu a d’abord été le propre de la jeunesse. Il a chez elle indéniablement conduit à la conscientisation du fait patrimonial et lui a permis de prendre garde aux menaces de disparition qui pesaient sur ce dernier. C’est en ce sens que l’on pourrait conclure à un effet positif du mouvement identaire sur notre action. L’effort de structuration confraternelle était en effet essentiellement porté par les jeunes générations. Ses effets qui découlaient d’une sorte de pédagogie sociale appliquée à nos communautés villageoise, devaient conduire à la restauration des pratiques rituelles et, par là même, à la sauvegarde d’un ample registre de chants sacrés que nos anciens avaient enfouis dans leur mémoire. Par les aspirations des jeunes et des anciens conjuguées, notre structure n’a toutefois jamais versé dans la revendication idéologique et partisane. Nous avons tous pris la mesure de cette nécessité à un moment où le Riacquistu aboutissait indistinctement dans tous les espaces de vie, à la politisation du fait identitaire. La confrérie s’est toujours volontairement abstenue de ces choses et s’est strictement cantonnée à sa mission première de foi, d’espérance et surtout de charité sans jamais brandir d’autre bannière que celle du Christ [46].  

È importante da questo punto di vista leggere il sito Internet aperto della confraternita [47], perché la sua lettura (è scritto in lingua còrsa e francese, con una prevalenza del francese sul còrso) fa comprendere il processo di patrimonializzazione compiuto da questa “comunità di eredità” (e di spiritualità) e la sua visione alternativa rispetto allo scenario delle rivendicazioni politico identitarie che hanno caratterizzato la Corsica. Il sito lascia spazio sia alla storia della confraternita e agli aspetti religiosi propri di una comunità di fede, ma anche a quella visione universalista e spirituale di impronta francescana che è parte integrante di un processo di patrimonializzazione nel quale il canto e le pratiche rituali sono protagoniste. Ma soprattutto, è scritto con un approccio che potremmo definire socio-antropologico e storico perché consapevole del processo che si sta attuando, dei bisogni espressi dalla comunità cui il progetto va incontro sul piano sociale e culturale e degli effetti che vuole raggiungere. 

Il sito è strutturato in tre parti: A cunfraterna, sulla storia della confraternita, l’essere confratello e i rapporti con Roma; A pieve, sul territorio più esteso con i suoi paesi, i santi, le chiese e il suo drammatico spopolamento; U tempu sacru che raccoglie tutti i contesti rituali, la Settimana Santa, funerali e messe ai quali la confraternita partecipa; infine una sezione di documenti da sparte (da condividere) dove si possono scaricare il repertorio completo dei canti recuperati, video e immagini fotografiche.

La prima cosa che si legge quando si entra nel sito è un accostamento della confraternita alla natura e agli alberi, un’immagine di apertura che dà l’impronta alla mission della confraternita. Rifemu a Cunfraterna, è perchè nò? si legge in apertura. «Cum’è l’arburu chì cresce è s’innalza sempre versu u lume, circhemu à avvicinà ci da a luce, da l’umanu universale, da a natura. Cum’è l’arburu chì sparghje prufondu e so ràdiche in a so terra, circhemu à arradicà ci in i valori forti è in a fede putente». La confraternita viene poi definita una «Cumunità cristiana cumposta da làichi, paisani ìntimi cù e so loche», che «s’adopra à oppone à u spupulamentu una lea suciale è umana in u spìritu di e Sante Scritture». Quindi «faire renaître a Cunfraterna, c’est aussi refuser la «désertification» de ce territoire et de cette communauté «paisana». Donner sens à ses actes, insuffler une démarche intergénérationnelle, intervillageoise, inscrire l’«esse paisanu» non seulement dans l’acte «d’habiter le même pays que moi», mais du vivre une parenté sociale, voilà l’objectif fixé». Si parla pertanto consapevolmente di una comunità di persone (una “parentela sociale”) che hanno un rapporto “intimo” con i propri territori e che si “adoperano” per esso, ma il “senso profondo” del progetto sta nell’opporsi a quel “pensiero unico” che dimentica la scala territoriale delle piccole comunità [48].

Esse cunfratellu viene quindi definito come appartenere ad una comunità non solo di fede, ma ad una comunità di pari, uomini e donne di qualsiasi condizione sociale: «A Cunfraterna n’est pas une institution, c’est un espace librement partagé, qui a néanmoins ses règles. Il se conçoit comme un tiers espace entre les institutions civiles et religieuses, une Utopie dans son sens premier: «Lieu de bonheur» [...] Da zòcculu à una demucrazia vera, ogni règula, ogni rituale di a Cunfraterna invita à tutti, cù forte valore simbòlicu, à l’ascultera di l’altri, à u silenziu è à l’umilità. [...] A Cunfraterna est donc un espace où la démocratie est tempérée par sa propre organisation…» [49]. 

Consorelle della Confraternita

Consorelle della Confraternita

Il sito prosegue poi con alcuni spazi dedicati al repertorio dei canti, che la confraternita ha ricostruito sul piano storico, antropologico, etnomusicologico, soprattutto nella pratica di apprendere dagli anziani e di trasmettere ai più giovani l’essere cantore e di partecipare ai diversi offici della liturgia cattolica (l’ufficio di Maria, gli uffici delle feste patronali, della Settimana Santa e dei morti), tutti canti sacri che sono in latino [50]

Anche il rapporto con Roma è fortemente patrimonializzato perché legato alla chiesa di San Marcello al Corso di Roma e alla sua arciconfraternita costituita dopo il miracolo del Crocifisso del 1519 [51], confraternita dalla quale nacquero tutte le confraternite del SS. Crocifisso a partire dal XV secolo inclusa quella còrsa:

Un pezzu di a so storia, a cunfraterna l’hà dinò da mare in là, in Roma, cità eterna. Dapoi u 16u seculu hè affigliulata à a cunfraterna matre, cum’è tante altre per stu mondu, chì cura è adora u Santissimu Crucifissu, miraculosu in tempi di pesta è d’incendii. Cusì oghje a ci pruvemu à tesse una lea ricca di scambii è di spartera da una sponda à l’altra di u Tirrenu [52].
[Fig. 9. La cunfraterna a Roma presso la chiesa di S. Marcello al Corso davanti al SS. Crocifisso con il priore dell’Arciconfraternita romana - maggio 2018 ph. Broccolini.]

La cunfraterna a Roma presso la chiesa di S. Marcello al Corso davanti al SS. Crocifisso con il priore dell’Arciconfraternita romana, maggio 2018 (ph. Broccolini)

Oltre al repertorio dei canti, che sono stati il primo nucleo di un’azione di salvaguardia e di recupero dalla memoria, anche le pratiche festive sono state importanti in questo agire consapevole finalizzato ad una riumanizzazione del territorio pievano. Tuttavia nel sito, che rappresenta una finestra sul processo di patrimonializzazione verso il mondo esterno, questa attenzione per la cerimonialità festiva è subordinata ai repertori dei canti e si limita a quei contesti calendariali (Settimana Santa, Messe, funerali, etc.) che sono fissati in una liturgia storicamente documentata. Appaiono in secondo piano le pratiche festive delle due feste che oggi sono più partecipate, quella di S. Marcellu di Aleria e quella di San Vincente a Pianellu.

La ragione sembra stare nel fatto che si tratta in entrambi i casi di feste che benché siano diverse tra loro, sono state entrambe oggetto di un processo piuttosto recente di riattualizzazione da parte della confraternita che le ha “prese in cura” nel corso degli ultimi decenni. Infatti, rispetto alla festa di San Vincente che, benché depauperata, ha avuto una sua continuità, la festa di S. Marcellu è stata ripresa in forme cerimoniali solo qualche anno fa, nel 2014, in un contesto sociale piuttosto disgregato. In entrambi i casi è stata la confraternita ad aver “agito”, insieme ad altri soggetti che via via si sono costituiti, ricostruendo le due festività e la partecipazione della gente, attraverso un lavoro meticoloso di ricucitura dei tessuti sociali e spirituali.

Ma l’agire della confraternita nella sua militanza religiosa e culturale non si è limitata alle feste ed ai canti, ma è andata nel tempo ad occupare altri spazi che ha condiviso con il Foyer Rural, con l’associazione Umani e con molte altre associazioni per promuovere iniziative che hanno riguardato scambi con altre confraternite della Corsica e con altri soggetti sul territorio francese ed italiano, manifestazioni musicali per riportare presenze nei paesi della valle, iniziative di tutela ambientale (ripristino di sentieri, tutela di aree boschive, etc.), iniziative per promuovere una cultura della non violenza, organizzazione di seminari scientifici, non ultimo un ritorno alla “terra” con azioni di promozione e salvaguardia della biodiversità coltivata.

  [Fig. 10. U Venneri Santu (Venerdì santo)


 U Vènneri Santu (Venerdì santo)

L’incontro con i luoghi, il potere del canto

Il mio primo incontro con i luoghi è avvenuto nel mese di gennaio del 2017, un periodo dell’anno in cui generalmente dall’Italia quasi nessuno viaggia verso la Corsica. Sono partita su invito della confraternita per partecipare alla Festa di San Marcellu nel cui programma era compreso anche un seminario scientifico dedicato alle pratiche virtuose di salvaguardia dei territori fragili, al quale avrei partecipato. In quei mesi stavo conducendo delle ricerche nella provincia di Rieti su un’area di montagna spopolata dove una piccola comunità grazie al recupero di una varietà locale di lenticchia stava cercando di ridare senso al proprio territorio e di quella ricerca sono stata invitata a parlare [53]. Questa connessione tra la montagna reatina e quella còrsa sul tema della terra e dell’agricoltura, che dalla Corsica una confraternita aveva individuato nel mio percorso connettendomi a loro è stata per me una ulteriore scintilla di interesse nei confronti di questo progetto di patrimonializzazione e mi ha fatto comprendere meglio il valore agentivo dei territori cosiddetti marginali nella loro capacità di mettersi in connessione.

Era la prima volta che mi recavo nell’“isola della bellezza” e sono partita in un momento in cui le condizioni metereologiche erano talmente cattive che lo stesso svolgimento della festa era in dubbio. Raggiungere la Corsica da Roma nel mese di gennaio costringe ad un viaggio lungo e abbastanza difficile. Dalle coste del Lazio sono poche centinaia di chilometri di mare che diventano quasi irraggiungibili a causa dell’assenza di collegamenti marittimi e dei costi esorbitanti dei collegamenti aerei.

Prendo l’unica nave da Livorno che fa servizio invernale per Bastia con partenza alle otto di mattina e per questo sono costretta a passare la notte a Livorno per potermi imbarcare all’alba in una traversata di sei ore. Sulla nave i passeggeri si contano sulle dita di una mano.  Nonostante il tempo pessimo l’isola mi appare magnifica con lo scenario di una città di mare – Bastia è il più importante porto della Corsica sulla costa nord orientale – alle cui spalle si innalzano numerose cime innevate e un paesaggio dove mare e montagna ravvicinati producono un effetto sublime, nonostante i colori invernali. Uscendo da Bastia e scendendo progressivamente verso sud lungo la strada che porta ad Aleria mi rendo conto di quanto sia netto lo stacco demografico tra l’area urbana e il resto del territorio che ai miei occhi abituati all’abitato dell’Italia Centrale appare particolarmente spopolato, quasi vuoto. Poche case, pochi centri abitati, poco traffico, le località portano i nomi nelle due lingue, francese e còrso, ma intorno a me quando mi fermo, sento parlare solo in francese. La lingua còrsa affiora qua e là soprattutto nella toponomastica che restituisce un’aria di familiarità ai luoghi con assonanze sorprendenti.

Anche Aleria, che si affaccia sulla costa, ha un abitato ai miei occhi piuttosto rarefatto. Città molto antica, di fondazione greca e poi romana e antica diocesi che comprendeva 23 pievi, oggi è sede vescovile, ma l’abitato appare disperso e apparentemente di edificazione recente e si sviluppa soprattutto lungo la strada principale che va verso Bonifacio. Un grande supermercato/centro commerciale, una pompa di benzina, la farmacia, l’hotel dove alloggio, altri negozi, strade, parcheggi, rotonde, ma non vedo un centro, che i miei occhi cercano pensando ad una città di fondazione antica.

La festa si svolge nel sito della città antica, una collina poco distante dal centro abitato sul fiume Tavignano, dove è conservato un piccolo nucleo di abitato storico ed i resti archeologici dell’insediamento romano [54]. Qui si trova la chiesa di San Marcellu, patrono di Aleria [55]; di fronte c’è il Forte di Matra, un importante edificio genovese del XIV secolo, monumento nazionale, che prende il nome dalla famiglia Matra, potente famiglia che fu rivale nella metà del XVIII secolo di Pasquale Paoli [56].

Aleria - Chiesa di S. Marcellu

Aleria, Chiesa di S. Marcellu

La festa di San Marcellu è organizzata oggi da un’associazione dedicata nata nel 2014, l’associazione San Marcellu in Oriente, che si occupa di organizzare il programma laico, mentre la confraternita ne gestisce gli aspetti religiosi, ma arrivando in Corsica mi accorgo che diversi componenti dell’associazione sono anche confratelli con la differenza che l’associazione vede anche una forte presenza femminile, mentre la cunfraterna solo da pochi anni ha iniziato ad accogliere qualche membro femminile. 

Quando arrivo sulla collina di Aleria, a ridosso del nucleo abitato storico, vedo un grande capannone allestito per accogliere i partecipanti e tutto intorno diversi stand di promozione di artigianato locale e di prodotti alimentari locali gestiti dai loro produttori. Nel capannone ci sono molti tavoli, un palco per concerti e un grande banco che serve cibo (soprattutto i figatelli, le salsicce di frattaglie di maiale che rappresentano forse la maggiore specialità còrsa), bevande e una birra còrsa dal nome – Ribella. bière corse autonome – che contiene un preciso posizionamento sul piano identitario.  

La festa di S. Marcellu - programma 2017

La festa di S. Marcellu – programma 2017

Il programma, molto ricco, mescola insieme i momenti religiosi con attività conviviali (vari spuntini e concerti), promozione identitaria territoriale e incontri culturali. C’è uno stand dove una commissione riconosce ai loro proprietari una razza di cane còrso, il cane cursinu; uno stand sulla vacca còrsa; un incontro sulla cipolla di Moita (una varietà locale di cipolla – Moita è un paese della pieve – che è stata recuperata dalla confraternita) e diversi incontri di cultura, uno sulla storia di un area paludosa (Marestagnu), appartenente alla confraternita, un incontro con Jean François Bernardini componente dei Muvrini sui temi della non-violenza, un incontro su riti e credenze dei pastori còrsi e c’è anche il mio intervento sulle pratiche virtuose di recupero della biodiversità coltivata in Italia Centrale. A questo programma si mescola il programma religioso con i Vespri, una processione con i cavalli e con la statua di S. Marcellu portata a mano dalla confraternita e una benedizione delle sementi e dei cavalli con i loro cavalieri alla presenza del priore generale dell’ordine dei Servi di Maria, ordine al quale la figura di S. Marcello è storicamente legata.

Processione di S. Marcellu ad Aleria (gennaio 2017, ph. Broccolini)

Processione di S. Marcellu ad Aleria, gennaio 2017 (ph. Broccolini)

Rivedo i componenti della confraternita insieme a molti altri che non erano presenti all’appuntamento siciliano e incontro diversi partecipanti alla festa, anche amici italiani di Jean Charles Adami e degli altri, che ogni anno vengono ad Aleria per la festa. L’incontro con questa comunità rappresenta per me una sorta di appaesamento in una realtà amica e attiva immediatamente tra noi una forma di comunicazione mista tra còrso e italiano che mette in pratica quella intercomprensione linguistica tra le due lingue sorelle che esiste, laddove per comunicare tra loro i miei interlocutori sembrano invece preferire la lingua francese. Jean Charles mi spiega che la festa sul piano cerimoniale e culturale è stata costituita da pochi anni e mi spiega il legame che secondo il martirologio S. Marcello ha con le sementi e i cavalli, diventando protettore degli stallieri. In una incisione del XVIII secolo che prima di partire riesco ad acquistare come dono per la confraternita, San Marcello è infatti ritratto tra i cavalli.

Benedizione dei cavalli - Aleria (gennaio 2017, ph. Broccolini)

Benedizione dei cavalli – Aleria , gennaio 2017 (ph. Broccolini)

Da questa prima esperienza fatta nei luoghi e con le persone che si impegnano in questa piccola comunità ricevo due impressioni fondamentali. La prima è la possibilità di vedere in azione l’importante progetto che questi soggetti stanno attuando per prendersi cura del loro spazio, attivando reti che agiscono nei luoghi. È evidente un processo inventivo finalizzato a ricostruire dei legami sociali in una comunità che appare disgregata e disseminata in un altrove, dove ci si vuole riappropriare del territorio, delle sue risorse, delle sue forme espressive, riumanizzandolo attraverso una pratica religiosa che contiene un messaggio spirituale. La processione del santo dà la misura di questo lavoro di reinvenzione del rituale e della vita religiosa, un lavoro che la confraternita svolge in autonomia rispetto alle autorità religiose che appaiono in secondo piano e a volte non presenti.

[Fig. 15. S. Marcellu in una stampa del XVIII secolo]

S. Marcellu in una stampa del XVIII secolo

Mi sorprende ad esempio che il percorso processionale non parta da un luogo sacro, in genere una chiesa o altro luogo simbolico, ma alla chiesa arrivi partendo da un parcheggio della città, un luogo “profano” non connotato simbolicamente e che tutta la processione sia gestita in modo autonomo dalla confraternita, che ne decide i tempi e i modi, scandendola con diversi canti in latino del repertorio sacro e momenti di preghiera in còrso. Anche la chiesa sembra essere lo spazio di un agire confraternale che non è “riconquistato” rispetto al potere ecclesiastico, ma espressione di una storica autonomia comunitaria e di un vuoto che è stato riempito con un agire, dove i confratelli si muovono con libertà dietro e davanti all’altare. Gli stessi incontri culturali (tra i quali quello che mi vedeva coinvolta) erano organizzati dentro la chiesa, con il tavolo del relatore collocato davanti all’altare e il telo per proiettare i power point a fianco del tavolo; una chiesa che diventa una sorta di spazio della comunità, accogliente anche per eventi profani, per poi tornare ad essere spazio sacro per i Vespri cantati, la messa o nelle altre fasi religiose della festa. 

La seconda impressione forte è data dal canto, che in Corsica come è noto vede una importante tradizione polifonica, sia di canto sacro confraternale che profano, con repertori conservati e ricostruiti tra i più importanti della liturgia cattolica, pratiche diffuse a livello popolare e importanti esperienze di riproposta legate alla nascita di gruppi musicali che hanno riscoperto le forme tradizionali del canto, innovandole con interessanti contaminazioni musicali. Il canto polifonico in Corsica attraversa oggi come una corrente elettrica tutta la vita isolana, vede coinvolti numerosi gruppi musicali professionisti, ma si accende nella gente comune in tutte le occasioni sociali in cui è possibile incontrarsi, sia in ambito religioso che conviviale. La bellezza struggente delle armonie a tre voci si esprime soprattutto nella paghjella, una forma di canto di origine agropastorale con versi a sei o otto sillabe i cui contenuti possono toccare numerosi argomenti, dai più poetici ai più grossolani, che nel 2009 è anche divenuto patrimonio immateriale UNESCO. Alla paghjella si aggiungono i brani del repertorio sacro, che ricalcano la forma della paghjella a tre voci; un repertorio molto esteso che va dalle litanie ai vespri, le messe, i funerali, i canti della Pasqua e i vari offici, o i canti specifici per le feste, tutti in latino [57].  Ma ci sono anche madrigali e terzetti, sempre a tre voci e il cosiddetto chjama è rispondi, una forma di improvvisazione poetica a due voci cugina dell’Ottava rima [58]. Sopra tutto c’è l’inno còrso Dio vi Salvi Regina, un canto dedicato alla Vergine di composizione italiana seicentesca e adottato nel 1735 durante il Regno di Corsica. Un canto marcatamente politico-identitario e molto presente in tutte le occasioni – religiose e non – in cui ci si incontra dentro e fuori la Corsica.

Canto a paghjella, Festa di S. Marcellu , Aleria (gennaio 2017, ph Broccolini)

Canto a paghjella, Festa di S. Marcellu , Aleria, gennaio 2017 (ph. Broccolini)

Nel capannone della festa si canta spesso e a qualsiasi ora, ma soprattutto la sera, tra una birra Ribella e un liquore di mirtu. A cantare sono esclusivamente gli uomini, di tutte le età, giovani e meno giovani, a volte in gruppi più omogenei di soli ragazzi o di uomini adulti. La paghjella è a tre voci, che sono a secunda, la voce principale, a terza la più acuta e u bassu la più grave. Non è inusuale che si canti anche con più di tre voci (più bassi per esempio); anche durante la liturgia e in processione spesso i membri della confraternita cantano in numero maggiore; tuttavia il virtuosismo del canto si ottiene solo con tre voci.

Canto a paghjella, Festa di S. Marcellu, Aleria (gennaio 2017, ph Broccolini) [Fig. 18. Canti confraternali - S. Marcellu gennaio 2017 - ph. Broccolini]

Canto a paghjella, Festa di S. Marcellu, Aleria, gennaio 2017 (ph. Broccolini)

Sia nel canto sacro che in quello profano la postura fisica del cantare si produce nel cerchio che genera una maggiore risonanza; quando si canta in tre i corpi sono quindi molto vicini, anche se spesso il cerchio si compone di più persone che cantano dandosi il cambio. Spesso nel cerchio ci si abbraccia l’uno con l’altro per tenersi più vicini, mentre chi canta in genere usa portare una mano all’orecchio per poter avere un maggiore ritorno della propria voce e non farsi confondere dalle altre. Per questo motivo anche durante le varie fasi religiose della festa, fatta eccezione per la processione nella quale il canto si svolge in forma processionale, la confraternita si colloca in genere in uno spazio della chiesa dove è possibile disporsi in cerchio.

Canti confraternali,  S. Marcellu (gennaio 2017, ph. Broccolini)

Canti confraternali, S. Marcellu, gennaio 2017 (ph. Broccolini)

Parlando del canto religioso più volte Jean Charles Adami racconta un detto, che fa risalire agli antichi, i quali dicevano che nel canto a tre voci la bravura dei cantanti sta nel raggiungere con le armonie una quarta “voce” che viene chiamata la “voce degli angeli”, perché quando ciò accade vuol dire che un angelo è sceso tra i cantanti:  

«Il canto – spiega Jean Charles – è molto importante quando sei dentro la confraternita, nella vita interna della confraternita, perché il canto è un atto di fede, è un atto di spiritualità, è un rito che dice la vita spirituale della persona e della confraternita. [...] Per i giovani il canto è la porta di entrata nella vita confraternale; forse abbiamo questa fortuna. Non so come fanno le altre confraternite che non hanno il repertorio di canti che abbiamo noi. Noi abbiamo un repertorio che è uno dei più ampi della Corsica, l’abbiamo salvato. Ma per noi è una facilità, perché il canto per i giovani è sempre attrattivo. Quando ci arrivano al canto, dopo noi possiamo lavorare per spiegare veramente cosa è il canto. Il canto non è solo aprire la bocca e dare la voce. Bisogna aprire la bocca e dare la voce, però siamo in tre ed è un po’ più complicato. Non è una semplice questione di accordo di voci perché bisogna avere ‘accordo nelle tre voci; perché in Corsica ci sono tre voci, ma noi in tre voci possiamo arriviamo alla quarta. Le armoniche devono permetter con un canto un po’ gutturale di arrivare al quarto suono, che è preciso e che esiste. Quando gli spieghi già questa cosa, dicendo: guarda che gli antichi dicevano che è la voce degli angeli. Loro non parlavano di armoniche, di un processo fisico, del suono; erano gli angeli che venivano a cantare con loro. E la quarta voce è la voce degli angeli. Già quando inizi a capire questa cosa sei già entrato in un’altra dimensione e sei passato oltre il fatto semplice di aprire la bocca e di dare la voce. Il canto per noi è una pedagogia enorme [...]. Ma ci vuole tempo, perché non c’è un’accademia del canto sacro in confraternita, non ci sono le lezioni, non c’è professori. Infatti noi non abbiamo mai avuto una lezione di canto con i vecchi, mai mai mai [...] Il rito vince tutto e nel rito c’è il canto. E se vuoi partecipare al rito entri nel canto. Entri pian pianino» [59].

Il risultato armonico del canto è sorprendente e arriva anche ad un orecchio come il mio non abituato ad ascoltare la polifonia còrsa, con un grande potere di fascinazione, ma ciò che anche sorprende è la capacità di inclusione che il canto permette ai giovani, e questo vale sia per il repertorio sacro, dove il canto è uno dei luoghi nei quali la confraternita si esprime, che per quello profano dove cantare insieme ad una festa, al bar, ad una cena tra amici, diventa un modo per stare insieme, anche perché cantare non è solo appannaggio di virtuosi o professionisti (che ci sono), ma è qualcosa alla portata di tutti, anche dei meno intonati. Per questo motivo il canto oggi in Corsica è un fenomeno diffuso, popolare, capillare e inclusivo e si capisce anche il ruolo che possa avere nel progetto della confraternita di una “riumanizzazione” dei luoghi.

Sono tornata in Corsica diverse volte negli anni a seguire, aggiungendo sempre nuovi frammenti alla conoscenza della confraternita e del territorio; di nuovo San Marcellu, ma soprattutto l’incontro a fine agosto con Pianellu per la festa di San Vincente, con questo paese di montagna della valle della Serra da dove tutto ha avuto inizio. Se infatti ad Aleria, dove non esisteva un tessuto comunitario forte, il progetto di riproporre la festa è stato avviato solo di recente e risente di un processo di reinvenzione abbastanza marcato, Pianellu è un paese piccolo e spopolato, ma dove esisteva un nucleo comunitario forte che aveva permesso agli anziani di conservare sia i repertori di canto che alcune pratiche festive che la confraternita ha riattualizzato.

L’incontro con Pianellu si concretizza nell’estate del 2018 quando organizziamo un viaggio con gli studenti della Scuola di Specializzazione in Beni Demoetnoantropologici dell’università Sapienza di Roma. Ma già qualche mese prima era stata la confraternita a venire a Roma per riallacciare i legami con l’Arciconfraternita di S. Marcello al Corso e partecipare ad un seminario che abbiamo organizzato all’università per gli studenti. Anche questa volta è stata la confraternita ad invitarci a Pianellu in un gesto di ospitalità molto marcato che ci ha accompagnato in tutto il viaggio e ci ha portato a condividere con loro diverse esperienze, rituali e conviviali.

La conoscenza dell’interno della Corsica, seppure limitata a quest’area particolare, ci permette di capire meglio la dialettica tra pianura e montagna, di conoscere una piccola comunità “resistente” ma anche di vedere gli effetti dello spopolamento dei paesi della valle. Ma soprattutto ci permette di entrare di più nei contesti privati rispetto ad Aleria e di comprendere meglio il ruolo decisivo della confraternita e del Foyer Rural nelle pratiche di patrimonializzazione e nel progetto di una riumanizzazione identitaria dei luoghi in una chiave non politica.

Muoversi nell’interno della Corsica è difficile per via di strade molto strette che si fanno perdonare restituendo intorno un paesaggio veramente magnifico, dove la mano dell’uomo appare solo a tratti nelle colture agricole e nei pascoli, senza sconvolgere un ambiente che si fa sempre più integro man mano si sale. È raro incontrare macchine o persone; più frequente invece è incontrare animali allo stato brado come maiali e soprattutto mucche che spesso occupano le strade; anche i nuclei abitativi sono rari e molto rarefatti. Per questo motivo i quaranta chilometri che separano il mare da Pianellu richiedono circa un’ora e mezza di macchina perché le strade non permettono una velocità sostenuta. Nel salire si percorre la Valle del Bravona, nome che viene dal fiume che nasce a Pianellu e scende verso Aleria e si incontrano via via i vari paesi della pieve di a Serra con Pianellu che appare l’ultimo prima della montagna che arriva fino a 1700 metri.

Pianellu

Pianellu

Per chi ha l’occhio abituato ai paesi dell’Appennino Centrale, così marcatamente caratterizzati dal fenomeno dell’incastellamento e quindi con un nucleo abitativo molto concentrato, l’abitato di Pianellu, come molti altri paesi della valle, presenta una disposizione molto rarefatta tra le abitazioni, che lascia molto spazio tra le case e l’assenza di una concentrazione di tipo difensivo. Il centro del paese – anch’esso urbanisticamente molto rarefatto – è rappresentato dalla piazza dove domina una chiesa del XVI secolo intitolata a S. Cecilia, luogo di rinascita della confraternita e dove si trova anche il piccolo comune. Ma di fronte alla chiesa c’è un edificio che rappresenta l’estensione “laica” della confraternita, rappresentato dalla sede del Foyer Rural di Pianellu che anima le attività dell’estate con un locale dove si agisce insieme, ci si incontra e dove si beve e si mangia (e si canta), con tavoli anche all’aperto nella stagione estiva [60].

Anche la festa di San Vincente è stata riattualizzata dalla confraternita pur avendo conservato una sua ritualità, ma la piccola chiesa di montagna dedicata al santo è stata abbandonata per decenni e riaperta dalla confraternita. La festa per alcuni aspetti ha la forma di un pellegrinaggio di montagna, come ce ne sono anche in molti paesi italiani, con la piccola statua del santo portata a mano che esce dalla chiesa di Santa Cecilia e arriva alla piccola chiesa di montagna dopo un pellegrinaggio a piedi che sale dal paese per circa un’ora e mezza. In realtà, a piedi arriva solo la confraternita, che apre la processione con un crocifisso accompagnata da un piccolo gruppo di fedeli. Il resto dei partecipanti – compresa la statua del santo – raggiungono l’area di montagna in macchina percorrendo la strada sterrata carrabile e ci aspettano all’uscita dal bosco con la statua del santo che viene collocata fuori dalla chiesa dove è stato anche allestito un piccolo altare per una messa e numerose sedie per i fedeli. Durante la processione che percorre un piccolo sentiero scosceso, la confraternita effettua varie fermate dove vengono recitate alcune preghiere e cantati alcuni brani del repertorio della festa e solo nel tratto finale che discende verso la chiesa la confraternita intona l’inno còrso, Dio vi Salvi Regina, che in momento di particolare intensità segna simbolicamente lo scenario dell’arrivo della processione. 

Processione San Vincente ( agosto 2018, ph. Uccella)

Processione San Vincente, agosto 2018 (ph. Uccella)

La festa si sviluppa intorno ad una serie di momenti rituali fortemente simbolici ripensati e riattualizzati dalla confraternita: il suono della campana collocata sul piccolo campanile che viene fatta risuonare nella vallata, la messa all’aperto (la chiesetta è troppo piccola) con i canti confraternali, un’asta dello stendardo del santo, molto interessante, che rappresenta un momento di sottoscrizione comunitaria, la piccola processione con la statua del santo intorno alla chiesa con lo stendardo portato dai “vincitori” dell’asta e un rinfresco nel bosco. In particolare, attrae l’attenzione questo rito che viene chiamato dai confratelli “enchères de la bannière”, una sorta di messa all’asta dello stendardo di S. Vincente, che in realtà è una falsa asta perché cela una sottoscrizione che tutta la comunità fa alla confraternita, dove chi rilancia fa in realtà un’offerta e solo l’ultimo offerente in ordine di tempo si aggiudica lo stendardo [61].

La pratica della “messa all’asta” degli oggetti processionali (statue, stendardi, etc.) è presente in alcune feste religiose dell’Italia Centrale e Meridionale ma assume sempre la forma di una vera e propria asta, dove in genere è il miglior offerente al rilancio che si aggiudica la statua o l’attrezzo processionale, a volte provocando forti conflittualità tra i gruppi e le persone coinvolte. In questo caso, invece, si tratta di un rito opposto, cioè dai forti connotati aggregativi e sociali, dove si rinsaldano legami comunitari, ma anche con i territori vicini. È infatti presente tutta la comunità di Pianellu, i paesi vicini, e anche altri paesi dell’isola. I proventi andranno a finanziare ogni anno un lavoro di restauro o il recupero di un bene comune della comunità. La bravura del banditore (fino al 2018 è stato lo stesso Adami) è quella di riuscire a dialogare ritualmente con ogni offerente partendo da una conoscenza capillare delle storie familiari e delle vicende locali. Infine c’è il rinfresco nel bosco, che vede disseminati lungo le rive del torrente numerosi gruppi familiari/territoriali, ciascuno con le sue vettovaglie, dove si beve, si mangia e dove ragazzi ed adulti si confrontano con il canto.

22Custodi di u creatu. Un’enciclica, un genetista russo, un liceo di Bastia (e un cardinale)

Un passo indietro. Nel mese di maggio del 2018, tre mesi prima del viaggio a Pianellu, la cunfraterna è venuta a Roma per incontrare l’Arcicofraternita romana e partecipare ad un seminario con gli studenti. È stata un’occasione che ha prodotto momenti forti di conoscenza reciproca e di convivialità, ha consolidato l’amicizia con Jean Charles Adami, Anthony Esposito, William Bouzik e gli altri confratelli e prodotto molti legami di reciprocità, tanto che la sottoscritta in modo informale (e direi anche giocoso) è stata finanche adottata come “consorella” della cunfraterna. Al termine di quell’incontro, in virtù delle mie nuove “vesti” confraternali, mi è stato affidato un compito come ambasciatrice romana della confraternita: quello di portare ad un cardinale francese di origini còrse un dono da fare recapitare al Papa. Il dono consisteva in una scatola di legno di olivo fatta da un artigiano della pieve contenente dei semi (di legumi, cipolle, grano, etc) che la confraternita stava recuperando nella vita delle comunità della Corsica orientale. Questo dono era per loro importante sul piano simbolico perché esprimeva il lavoro che la confraternita stava facendo da anni sui temi della spiritualità, dell’ambiente e dell’uomo; un lavoro che ha avuto impulso negli ultimi anni a seguito della enciclica di Papa Francesco Laudato sì.

Parlare di questo episodio mi permette di avvicinarmi all’ultimo tema che in un certo senso chiude il cerchio del progetto di riumanizzazione attivato dalla confraternita, che questa volta tocca il campo dell’agricoltura e della biodiversità coltivata. Il mio engagement, il mio coinvolgimento nelle vicende che racconto è stato il risultato da un lato di una scelta consapevole dettata dall’interesse che avevo a farmi coinvolgere in questi processi, ma dall’altro è stato anche il frutto di un senso di reciprocità che è imprescindibile nel lavoro di ricerca che facciamo e che a volte spinge ben oltre ciò che si può ponderare, in quel processo di impregnazione che semplicemente fa coincidere i fatti della ricerca con la vita stessa, fa scoprire nuove strade da immaginare e condividere percorsi. Mai ad esempio, avrei immaginato nella vita che un giorno sarei stata consorella di una confraternita còrsa e che avrei portato in dono ad un cardinale una scatola contenente dei semi, eppure è accaduto.  

L’episodio – del quale ero un ingranaggio consapevole – esprime quello che è in un certo senso l’anello finale di un progetto preciso che la confraternita sta portando avanti da anni e che riconduce tutto il lavoro entro una visione integrata dell’uomo e della Creazione dove la spiritualità e la ritualità sono connesse con la socialità e la conservazione dell’ambiente e della biodiversità. Già da diversi anni, infatti, la confraternita – insieme a tutto il lavoro che ho cercato di raccontare – stava recuperando anche alcune varietà agricole locali, sperimentando in alcuni terreni privati una rimessa in produzione di queste varietà. La prima è stata una varietà di cipolla rossa dolce, la cipolla di Moita (Moita è un paese della pieve), che in passato era coltivata dai contadini della pieve per autoconsumo e che attraverso un lungo processo di recupero oggi è tornata ad essere un prodotto reperibile nel territorio grazie alla presenza di alcuni produttori ispirati dai valori portati dalla confraternita.

Ma ancora una volta il fine della confraternita non era solo quello della produzione, ma era soprattutto quello di ricreare dei legami tra la gente attraverso l’agricoltura e mostrare che tutto ciò era possibile: 

«Abbiamo organizzato un lavoro di produzione di semi e la confraternita ad un certo punto si è trasformata in una produzione di semi; abbiamo dato questi semi alla gente e abbiamo dato i semi anche ai professionisti, ai pepinères [i vivai], e abbiamo infatti ristabilito tutto il percorso di produzione. Per noi però l’importante non era fare una produzione grossa, perché tutto è relativo, però l’importante era la dimostrazione della possibilità di fare e questo era importante perché abbiamo tutti integrati la negatività, il fatto di dire che adesso qui da noi siamo a un punto che non si può più fare niente, è finita. [...] penso che il lavoro che abbiamo fatto era di dare almeno questa idea positiva» [62].
Asta della bandiera

Asta della bandiera

Il lavoro infaticabile della confraternita non si è fermato però alla cipolla, ma ha orientato un progetto più ampio che è tuttora in corso di sperimentazione. Nel 2019 infatti, Jean Charles Adami e Jean Marc Pellegri, che oltre ad essere confratelli della pieve insegnano al Licéé Giocante di Casabianca a Bastia, insieme ad altri insegnanti dello stesso liceo hanno deciso di mettere in atto un progetto di recupero di biodiversità coltivata che ha preso il nome di Projet de re-valorisation de la biodiversité cultivée de Corse ed ha portato alla nascita dell’associazione Custodi di u Creatu, composta da insegnanti, studenti e persone provenienti dalla pieve anche non legati alla confraternita. Questo lavoro di recupero è stato intrapreso a partire dall’imponente lavoro che fece negli anni Venti del Novecento il genetista russo Nikolaï Ivanovitch Vavilov quando raccolse in Corsica più di seimila esemplari di sementi che sono confluiti nell’Istituto Pansoviético di coltivazione delle piante che si trova a San Pietroburgo, attualmente il più antico istituto di conservazione di semi del mondo. L’esito è stato quello di costituire presso la chiesa del Sacré Coeur à Bastia un giardino pedagogico di circa 3000 metri quadri per la conservazione di queste varietà, dove gli studenti possono fare pratica, ma anche da destinare nel futuro ad una rimessa in produzione. Insieme all’istituto russo sono partner del progetto anche il Centre de Recherches Botaniques Appliquées di Lione che ha fornito le conoscenze tecniche di botanica applicata e il Parc Naturel Régional de Corse che lavora al recupero del lavoro fatto negli anni ‘80 del Novecento dall’etnologo Paul Simonpoli sui contadini còrsi.

Nel testo di presentazione del progetto Jean Charles Adami e Jean Marc Pellegri spiegano in che modo tutto ciò si connette alle grandi tematiche dell’omologazione delle pratiche alimentari e alla necessità di combattere l’“erosione culturale” che è alla base dell’erosione genetica:

Cette sélection des variétés a conduit à une homogénéisation de nos pratiques alimentaires et à la standardisation des goûts. Elle entraine une érosion non seulement génétique mais aussi culturelle : en perdant des va­riétés endémiques, ce sont aussi des recettes, des traditions, des modes de culture, de récolte, d’occupation du territoire, (murs en terrasses)… qui sont modifiés, voire perdus. Dans ce contexte, les enjeux liés à la redécouverte et réutilisation des semences locales sont multiples : il s’agit de sauvegarder notre patrimoine non seulement naturel mais aussi culturel, faire face à la crise alimentaire qui s’annonce et celle de l’identité. Retrouver et réadapter les ressources génétiques est bien plus qu’un objectif simplement scientifique, il s’agit d’un objectif de société concernant toute la population [63].

In linea con il lavoro della confraternita, il progetto non si riduce quindi ad un fine meramente agronomico, ma vuole fare dialogare un piano storico con un piano antropologico-identitario ed ha un fine soprattutto pedagogico che va in diverse direzioni: insegnare alle giovani generazioni il valore della biodiversità coltivata e con essa un pezzo di storia della Corsica, recuperare dagli anziani contadini i saperi e le pratiche legate alla coltivazione di queste varietà, connettere la dimensione rurale con quella urbana (gli studenti vivono tutti nella città di Bastia che è la seconda città della Corsica), rimettere in produzione alcune varietà agricole e contribuire all’importante questione dell’autosufficienza alimentare e dell’autoconsumo che è un tema molto delicato nella questione còrsa nei suoi rapporti con la Francia e con la questione dell’omologazione alimentare e della standardizzazione delle produzioni agricole. Ciò che emerge è un fine più ampio, di tipo culturale connesso alla patrimonializzazione ma anche spirituale, perché è un progetto che si ispira alla visione cristiana integrale dell’uomo e della terra contenute nell’enciclica di Papa Francesco del 2015 Laudato si[64]. Pur trattandosi infatti di un progetto scolastico, di una scuola peraltro pubblica, in esso si fa riferimento esplicito al lavoro della confraternita e si evidenzia il nesso tra il progetto confraternale, il recupero dei canti, dei rituali, così come della biodiversità:

Le projet de création du jardin s’inscrit également dans une démarche culturelle initiée il y a 25 ans. En effet la question du vivant, la défense et sauvegarde de la biodiversité cultivée sont essentielles lorsqu’on a le souci d’une anthropologie culturelle. [..] La question des rituels sociaux a été centrale, car élément fondamental de rassemblement de la vie communautaire. Nous sommes progressivement arrivés à la restauration et à la pratique régulière d’un répertoire de chants religieux et profanes polyphoniques et monodiques de tradition populaire. L’initiative confraternelle n’est pas étrangère à cette volonté de restau­ration du lien social qui s’exprime par ailleurs de façon claire au travers de contenus sémantiques de la langue corse qui, elle aussi, contribue au charpentage de la vie villageoise et rurale. [...] Nous travaillons depuis 1992 la question de la culture rurale qui ne ren­voie pas seulement au simple fait d’habiter la campagne, mais qui té­moigne d’une articulation d’esprit propice au vivre ensemble et au res­pect du vivant dans sa globalité. Nous avons alors créé un potager conservatoire d’une variété d’oignons (l’oi­gnon rouge de Moïta) propre à notre vallée et en voie de disparition du fait de la déprise rurale. Pendant 7 ans nous nous sommes évertués à produire de la semence pour réintroduire cette variété non seulement dans les potagers villageois mais aussi dans la filière maraichère. Les anciens ont alors joué un rôle moteur dans la transmission du savoir-faire, ils ont été porteurs de faits culturels indispensables [65].

 24-a-cufraterna-salva-a-cipolla-2017Ripensare l’umanità da un piccolo paese

Custodi di u creatu è solo l’ultima delle iniziative messe in campo dalla confraternita, ma mostra bene la circolarità di un progetto che parte dalla visione del mondo della confraternita, parte dall’esperienza di esse cunfratellu, attraversa il campo dei patrimoni culturali, del canto, della ritualità, dell’agricoltura, della scuola e alla confraternita ritorna connettendo tutto in una universalità dell’esperienza umana nella sua relazione con la terra e la natura. Lo sforzo fatto da Jean Charles, Jean Marc e dagli altri confratelli è infatti quello di lavorare nella dimensione locale, di pensare alle persone dentro i luoghi, senza però innalzare confini identitari, o barriere sociali,  ma per arrivare ad una esperienza spirituale universale nella quale ripensarsi come umanità dentro un rapporto arcaico quanto moderno con la terra, dove l’essere confratello significa fare un lavoro di pace, significa trasmettere fiducia a persone che hanno perso i legami con i luoghi e con gli altri e restituire un senso a luoghi marginali che questo senso lo avevano perduto. Non è quindi una visione nostalgica, passatista o meramente tradizionalista quella contenuta nell’esse cunfratellu. Esse cunfratellu esprime una visione contemporanea che accomuna tutti nelle rispettive differenze individuali, è una esperienza di condivisione che diventa una via possibile per mettere insieme i pezzi del vissuto presente e passato di una comunità e trovare una strada di pace per ripensare l’umanità.

Lascerei a questo punto a Jean Charles Adami le ultime parole per concludere questa introduzione ad un campo che si è rivelato ben più fecondo e denso di quanto potesse essere parlare solo di canto, di festa o di patrimonio. La visione del mondo, sua e di altri confratelli, che si ispira ad una visione francescana attualizzata ad una visione contemporanea, apre molto significativamente ai temi dell’ecocentrismo in relazione al discorso sull’ecologia integrale di Papa Francesco e al superamento della dicotomia natura-cultura in una visione universalista che è molto attuale anche nel dibattito antropologico, ma deve fare i conti concretamente con i problemi della valle, della demografia, del rapporto della gente con i luoghi, dell’identità:

Il lavoro della confraternita è un lavoro di pace, ma bisogna capire veramente che cosa si dice; noi abbiamo lavorato con questa parola pace come si deve intendere nel modo cristiano. L’etimologia di pace vuol dire “unire”, non è semplicemente arrestare la guerra, questa non è la pace perché, io lo dicevo a scuola. I professori hanno una responsabilità terribile perché quando ci sono due ragazzi che si fanno un po’ di combatto, il professore dice, va bene, state un po’ da parte l’uno dall’altro. Questa non è la pace, questo è il contrario della pace. La pace è quando si è capaci, al di là di tutte le difficoltà e le contraddizioni, di essere insieme allo stesso posto in un progetto comune. Questa è la pace, è molto difficile, è più facile di fare il contrario. Quando hai la pretesa di fare questo dentro la confraternita, devi lavorare in questo modo, ma è molto difficile. Questo lavoro sulla pace è un lavoro globale. Non si può capire la biodiversità da una parte, l’uomo dall’altra parte, la terra. Bisogna mettere tutto insieme, tutto è pace, gli uomini tra di loro, l’uomo con la terra, l’uomo stesso con l’uomo; è tutto pace. L’idea è di aderire ad una realtà organizzata e che faccia senso, che permette di avanzare. È molto difficile. Noi abbiamo trovato questa realtà nella confraternita e nella cristianità. Però ci sono tante vie possibili; noi rispettiamo la nostra e rispettiamo quella degli altri. Però proviamoci, almeno è questo l’impegno di tutta la confraternita da quando l’abbiamo iniziata [...]. La realtà demografica della nostra valle è molto difficile; ci sono paesi che non arrivano a sette persone. Ci sono paesi dove c’è una persona in inverno. A Pianellu ci sono 25 persone, ma Pianellu è un caso un po’ particolare perché c’è una tradizione di transumanza, ma 25 in inverno, e sono vecchi. La realtà demografica da noi è molto difficile [...]. Quindi noi cosa abbiamo fatto ? Io non penso oggettivamente che noi abbiamo modificato la demografia della nostra valle, io questo non ci credo, però abbiamo modificato in 30 anni la percezione della realtà territoriale, nella gente che ci sta e nella gente che non ci sta più e che prova adesso di tornare e prova almeno di venire ogni tanto per dire ‘siamo di qua’  e che non si vedevano più. E infatti siamo un’altra volta sulla questione dell’identità, identità radicata in un luogo preciso, che è una forma di arcaismo, perché non si può pensare alla persona senza un luogo. E questo quadro un po’ psicologico lo abbiamo lavorato tanto e tanto in maniera forte e l’abbiamo, penso, modificato. Ci sono quelli che arrivano nel paese ogni tanto, ma almeno il sabato e la domenica vengono ad aprire la casa che era sempre chiusa. Allora non è un fatto che, veramente, può modificare adesso in maniera significante la realtà demografica della valle. Però io penso che il lavoro è stato prima un lavoro di cultura, in senso largo. Cultura del luogo, cultura delle persone e delle persone nel luogo. Abbiamo dato l’esempio di cosa si poteva fare. E l’esempio anche della confraternita che esiste un’atra volta è già un punto molto positivo. Perché da noi, guardando la demografia, la confraternita normalmente non c’è. In ogni posto simile al nostro non c’è più confraternita; nelle valli che sono come le nostre non c’è più nessuna confraternita, non c’è più nessun rituale, non c’è più nessun canto, non c’è più niente. Dunque abbiamo lavorato ad un livello nostro, che è un livello associativo, e abbiamo modificato il quadro generale di visione. [...] Io faccio il professore, dunque potevo essere solo professore. Però mi sembrava che non bastava per essere in logica con il discorso confraternale. Dunque mi sono deciso a tornare nella tradizione dell’allevo, come c’era nella mia famiglia e infatti mi sono impegnato in una azienda agricola che ho fatto io, per rispondere ad una necessità che non è economica, ma solo una necessità di vita, una necessità antropologica, si può dire non so, per essere in armonia con il discorso e in armonia con il luogo. E rispondere a queste necessità di vita, per dargli un senso, un senso che parla di tutte queste cose. È molto difficile per me andare da Bastia a Novallonga, il luogo dove sono, quasi ogni giorno per andare a vedere le mucche e i cavalli, gli alberi e tante cose Però se non lo faccio non sono più io. Non risponde più alla necessità che mi sono dato con la confraternita. Per me la risposta è stata questa. [...] La ruralità non è solo l’agricoltura, non è solo il contatto diretto con la terra, o con gli animali. La ruralità è un’articolazione dello spirito [...] non è solo la lavorazione diretta della terra. Forse un altro lavoro più filosofico da fare, che non è mica solo religioso e spirituale, è il rispetto di una ‘vie grand’ [in senso ampio], che è anche una cosa di antropologia, perché dobbiamo ripensare all’umanità [66]. 
Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021
[*] Questo articolo rappresenta un primo tentativo – ancora acerbo – di ordinare e iniziare a riflettere sull’esperienza di ricerca e di condivisione che sto facendo sulla Corsica a partire dal 2016. Vogliu ringrazià di core l’amichi di a Corsica e in particulare à Ghjuvancarlu Adami exd0078 à tutta a cunfraterna di u SS. Crucifissu per l’ospitalità, l’amicizia, l’affettu ch’elli ci anu datu è per averci suppurtatu.
Note
[1] Es. Palumbo (2003); ma anche per altri aspetti Broccolini (2013).
[2] Bithell (2012).
[3] Broccolini (2020).
[4] I componenti del gruppo di ricerca sono stati in ordine alfabetico: Selene Conti, Bianka Myftari, Flavio Lorenzoni e Francesca Romana Uccella. Il lavoro sul campo ha avuto una parte di ricerca in Corsica e una parte è stato svolto a Roma, dove la Confraternita del SS. Crocifisso è venuta nel maggio 2018 e nel maggio 2019 per partecipare a seminari organizzati presso l’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale e per incontrare l’Arciconfraternita madre, del SS. Crocifisso di S. Marcello al Corso. L’arrivo della confraternita a Roma è stata occasione per condividere con loro anche alcuni momenti conviviali e per effettuare alcune visite nella città.
[5] https://fr.wikipedia.org/wiki/D%C3%A9mographie_de_la_Corse (giugno 2021).
[6] Associazione che rappresentavo insieme alla collega e amica Katia Ballacchino, con la quale ho condiviso questo progetto.
[7] Filippova (2008).
[8] Lenclud (2012).
[9] Vd. nota 37.
[10] Lenclud (2021:29).
[11] Arrighi & Pomponi (1967); Casanova; Ravis-Giordani, Rovere (2005).
[12] Dal Passo (2007).
[13] Carloni (2016); sui rapporti tra Corsica ed Italia: Cini & Biancarelli (2008).
[14] Sull’argomento un testo di riferimento importante, frutto di una sociologia di battaglia e non di compromesso (come si legge nelle note iniziali) è il lavoro del sociologo Sabino Acquaviva (1982) dal titolo eloquente di Corsica. Storia di un genocidio, libro pubblicato da Franco Angeli ma caduto nell’oblio e oggi introvabile in Italia; un lavoro del quale sarebbe interessante seguire le diverse letture   politiche che gli sono state rivolte in Italia ed in Corsica, per via della difesa del regionalismo europeo e l ‘avvicinamento alla Lega Nord del suo autore.
[15] Sulle politiche della lingua in Corsica: Blackwood (2008).
[16] Ramsay (1983).
[17] Henders (2010).
[18] https://www.isula.corsica/ (luglio 2021).
[19] Padovani (2001).
[20] es.Chapman, McDonald, Tonkin (1989); Hastrup (1992).
[21] es. Lenclud (2011); Chiva (1963); Ravis-Giordani (1983); Pomponi (1978); Casanova; Ravis-Giordani, Rovere (2005); Galibert (2008).
[22] Candea (2010).
[23] Lenclud (2012:31).
[24] Pesteil (2007); Meistersheim (2008); per il riacquistu nel campo musicale e del canto soprattutto nel contesto del canto religioso, si rimanda ai lavori di Ignazio Macchiarella (2003; 2011).
[25] Bithell (2007).
[26] Si parla a questo proposito di un Riaquistu 2.0 che sta avendo una accelerazione soprattutto con il digitale ed il web. Vd. https://www.youtube.com/watch?v=IJ6F_kCeCUI (luglio 2021).
[27] Non italiana come in Corsica molti sottolineano, non essendo mai stata la Corsica parte dello Stato unitario italiano sul piano politico.
[28] Angelozzi (1978:11), testo utile per un inquadramento delle confraternite nel diritto canonico e nella storia.
[29] Questa autonomia in passato ha causato a volte anche conflitti con le autorità ecclesiastiche tanto da portare alla chiusura di alcune confraternite; Bithell (2016); cfr. Mattei (2000).
[30] Bithell (2016:293).
[31] Boissevain (1992).
[32] Sulla ripresa del canto religioso in Corsica la letteratura è vasta; si rimanda a Macchiarella (2017); per la Balagna Macchiarella (2003) e ad alcune tesi di laurea: Cento (2004); Faralli (2006).
[33] https://fr.wikipedia.org/wiki/Pianello (luglio 2021).
[34] https://fr.wikipedia.org/wiki/Al%C3%A9ria (luglio 2021).
[35] https://www.insee.fr/fr/statistiques/2521169 (luglio 2021); https://fr.wikipedia.org/wiki/Pianello (luglio 2021).
[36] Le Pievi sono delle antiche unità religiose e amministrative della Corsica dell’Antico Regime abolite dalla Rivoluzione Francese. Hanno quindi perso ogni statuto formale, sostituite dai Cantons, ma continuano a permanere come confine di appartenenza tra insiemi di comuni. La Pieve della Serra (che include anche Pianellu) faceva parte dell’antica diocesi di Aleria e i loro abitanti si chiamano Serrinchi.
[37] Intervista a Adami (05.03.2018). Ritengo di non dover tradurre né questo ed altri brani in francese e neppure le altre espressioni in lingua còrsa che appariranno nel testo; soprattutto la lingua còrsa è particolarmente familiare rispetto all’italiano e a diverse altre parlate dialettali e quindi di facile comprensione.
[38] Il riferimento è alla Convenzione Quadro sul Valore dell’Eredità Culturale per la Società, promulgata nel 2005 dal Consiglio d ‘Europa, che all’articolo 2 definisce le comunità di eredità come costituita da un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici dell’eredità culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future.
[39] Intervista a Adami (10.03.2018).
[40] Intervista a Adami (10.03.2018).
[41] Rivista francofona nata nel 1973 sulla quale si incontrano ricercatori, pedagogisti, ma anche militanti della non violenza (https://www.alternatives-non-violentes.org/Revue).
[42] Adami (2014).
[43] http://www.cunfraterna-di-a-serra.com/chant-religion-corse/confrerie.php?menu=5 (giugno 2021).
[44] https://www.foyersruraux.org/ (luglio 2021).
[45] https://www.facebook.com/search/top?q=foyer%20rural%20a%20teghja%20-%20pianellu (luglio 2021).
[46] Intervista ad Adami (10.03.2018).
[47] http://www.cunfraterna-di-a-serra.com/ (giugno 2021).
[48]http://www.cunfraterna-di-a-serra.com/chant-religion-corse/confrerie.php?menu=5 (giugno 2021); cfr. https://www.youtube.com/watch?v=BVic_IV3G5k&list=PLB469B082C9BA1E4A.
[49] http://www.cunfraterna-di-a-serra.com/chant-religion-corse/confrerie.php?menu=7 (giugno 2021).
[50] In questo lavoro di recupero del patrimonio musicale la confraternita ha beneficiato dell ‘aiuto del celebre musicologo Marcel Pérès, direttore dell ‘Ensemble Organum, un gruppo musicale specializzato nella esecuzione di musica vocale e strumentale medievale.
[51] http://www.confraroma.altervista.org/ (giugno 2021).
[52] http://www.cunfraterna-di-a-serra.com/chant-religion-corse/confrerie.php?menu=9 (giugno 2021).
[53] Broccolini (2017).
[54] https://www.isula.corsica/patrimoine/Le-site-archeologique-d-Aleria_a10.html (luglio 2021).
[55] La chiesa risale al XIV secolo ma è stata ricostruita a metà Ottocento. A su interno è conservata una tela del ‘600 che raffigura San Marcello I papa e martire.
[56] Oggi il forte è sede del Museo dipartimentale di Archeologia Ghjilormu Carcopino.
http://www.corsicatheque.com/Histoire-personnages-historiques/Les-autres-personnages/Matra-Mario-Emmanuele (giugno 2021).
[57] Sul canto còrso: AA.VV. (1992);
[58] Es. Ragni (2018).
[59] Jean Charles Adami, #inviaggio. Alla scoperta delle realtà virtuose del Mediterraneo, trasmissione web organizzata dall’associazione Realtà Virtuose, puntata del 16.02.2021 alla quale hanno partecipato: Jean Charles Adami, Jean Marc Pellegri, Francesca Romana Uccella, Bianka Myftari, Flavio Lorenzoni, Alessandra Broccolini e il suo ideatore/conduttore Corradino Seddaiu: https://www.facebook.com/realtavirtuose/videos/432977611326725.
[60] L’edificio dove è collocato il Foyer Rural è la sede anche del Gite d ‘Etape di Pianellu, una struttura ricettiva per la sosta di alpinisti e turisti.
[61] https://www.youtube.com/watch?v=B1yZyzBgSuA&t=16s (luglio 2021).
[62] https://www.facebook.com/realtavirtuose/videos/432977611326725.
[63]  Projet de re-valorisation de la biodiversité cultivée de Corse (2019).
[64]https://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html (giugno 2021).
[65] Projet de re-valorisation de la biodiversité cultivée de Corse (2019:7ss.).
[66] https://www.facebook.com/realtavirtuose/videos/432977611326725 
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Alessandra Broccolini, professore associato di antropologia culturale presso il Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Sapienza Università di Roma, si occupa di antropologia dei patrimoni culturali e di patrimonio culturale immateriale. Dal 2016 è presidente di SIMBDEA. Ha svolto ricerche in Italia su fenomeni festivi, carnevali, politiche dell’identità, saperi legati alla biodiversità, ecomusei e processi partecipativi nel patrimonio culturale. Ha svolto numerosi lavori di ricerca e inventario sul patrimonio etnoantropologico, materiale e immateriale per enti pubblici nazionali e regionali. Tra le pubblicazioni recenti: Santi, Pantasime e Signori. Feste della Bassa Sabina, Roma, edizioni Espera, 2013 (a cura di Alessandra Broccolini ed Emiliano Migliorini); “Intangible Cultural Heritage Scenarios within the Bureaucratic Italian State”, in Regina F. Bendix, A. Eggert and A. Peselmann (eds.), Heritage Regimes and the State, Gottingen, Universitatsverlag, 2012; e “Carnevali indigeni del XXI secolo” (a cura di K. Ballacchino e A. Broccolini), Archivio di Etnografia, n.s., a. X, n. 1.2 2017.

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