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Ricordare Mario Scalesi

Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2020 @ 02:07 In Cultura,Letture | No Comments

image1ritratto-di-m-scalesidi Rosy Candiani

Da sempre la comunità italiana di Tunisi sente viva la propria identità, fatta di tradizioni, di patrimonio culturale e linguistico, di apertura e scambio con le altre comunità presenti in Tunisia, nei millenni crocevia di popoli, di incontri e assimilazione sulla riva Sud del Mediterraneo.

Talvolta soggetti a forte aggregazione, tanto da proporsi come referente socio-culturale straniero per la società tunisina, talvolta dispersi e osteggiati in contesti storici ostili o di difesa della nazionalità, gli italiani di Tunisia hanno sempre cercato di mantenere memoria della propria presenza nel Paese, anche in epoche di scarsa considerazione da parte dello Stato italiano.

Recentemente, grazie alla determinazione di Silvia Finzi, figura di spicco della comunità – Presidente della Dante Alighieri di Tunisi, professore universitario e rappresentante di una delle famiglie italiane presenti da più lungo tempo nel Paese – questo patrimonio di ricordi, testimonianze e documenti si raccoglie nella Associazione A.M.I.T. (Archivio delle Memorie Italiane di Tunisia), che ha trovato sede nei locali della Dante Alighieri di Tunisi e, anche grazie a un sussidio del Ministero degli Affari Esteri, ha potuto avviare una raccolta del materiale (gran parte dono della famiglia Finzi, titolare del “Corriere di Tunisi” e della tipografia, aperta nel 1829, e ancora attiva), il relativo censimento, catalogazione  e l’apertura al pubblico degli studiosi per la consultazione.

L’A.M.I.T. si propone di catalizzare l’attenzione e la memoria di tutti gli italiani di Tunisi attraverso la registrazione delle loro voci e testimonianze, la ricerca di tutto il materiale documentario possibile che consenta di tracciare la storia della comunità. In questo senso nascono anche le iniziative per valorizzare e far conoscere singole vicende, momenti di storia o personalità culturali, politiche o artistiche di questa variegata realtà.

“Omaggio a Scalesi” ne fa parte e si può dire che la figura di questo giovane e sfortunato poeta rappresenti bene il volto della comunità italiana più diseredata della Tunisi di inizio Novecento, mescolanza di etnie e di idiomi, in lotta per la sopravvivenza ai margini della Tunisi cosmopolita, borghese o beldeya, ed evoluta; caso esemplare di multiculturalità e del ceto più povero dell’immigrazione. Un Ragazzo di razza incerta (Monroy, 2013), di madre maltese e padre italiano, che il destino annienta con un incidente drammatico all’età di cinque anni, e che vive per affermare la sua volontà di emergere, di cambiare identità, di francesizzare la sua espressività per essere accolto come scrittore, critico, poeta.

Scoperto e apprezzato dagli intellettuali con i quali fonda la “Societé des Ecrivains de l’Afrique”, accolto nelle riunioni e nei dibattiti attorno alla tipografia Weber e alla biblioteca di Souk El Attarine, allora biblioteca nazionale, Scalesi, o Marius Scalési, diventa simbolo della campagna di affermazione della cultura e politica francese in Tunisia, rivincita su una comunità italiana più numerosa, radicata nelle zone rurali ricche del Paese come nella società borghese della capitale, ostacolo alla reale francesizzazione del Protettorato.

image2atto-di-nascita Se la scelta linguistica del francese per Scalesi, come per altri poeti italiani di Tunisia (Pendola, 2007) riflette la loro vicenda personale e il malessere in un rapporto, spesso sostanziato di misconoscimento e di rifiuto, con la terra d’origine, loro o dei loro padri, l’ambiguità del nome – Scalisi, Scalesi, Scalési – coglie la problematicità dell’appartenenza identitaria.

Una frattura che non si compone, che sostanzia la parola poetica, un “cri révolté”, ma anche uno strumento di denuncia della impossibilità a sanare la lacerazione del vissuto drammatico. “Je suis deux” (in Judas): il dualismo e la antinomia non sono solo strumenti letterari, ma cifre dell’esistenza, oltre che della poetica: in particolare, nel testo della citazione, contrasto tra il lavoro contabile – necessario per la sopravvivenza – e l’élan, lo slancio della scrittura. Ma lungo tutta la sua unica raccolta, Les poèmes d’un Maudit, il dualismo affiora, nel paesaggio, come nelle delusioni affettive, nella appartenenza sociale alla povera gente di una comunità numerosa ma non riconosciuta, nella identificazione spirituale e religiosa.  Dualismo anche tra la ricerca di affetti e amore e l’odio, l’estraneità urlata verso “le betail” (Dans l’ombre), che sicuramente è il suo entourage, la famiglia, l’ambiente della povera gente abbrutita dalla vita e dalle difficoltà dell’esistenza; ma, forse, un ciarpame umano che si estende anche al vociare vuoto degli intellettuali “atei”, delle élites cui si sente di non appartenere (Minarets).

L’omaggio reso a Tunisi a questo poeta sofferente e moderno ha toccato le diverse corde della sua complessa personalità: ha riunito voci vicine e lontane di italiani di Tunisia, come Silvia Finzi, Marinette Pendola, Alfonso Campisi; un commosso pensiero attualizzante di una delle prime studiose che hanno diffuso l’opera di Scalesi, Yvonne Brondino. Studiosi di Scalesi, come Danielle Hentati e Gabriele Montalbano, hanno ricostruito questa complessa personalità nel contesto storico e letterario.

1L’incontro si è poi aperto alla poesia di Scalesi, con letture a più voci, tra cui quella di Héleni Catzaras (attrice greca di Tunisia) e anche con un omaggio musicale, l’intonazione della poesia Lever de soleil e la composizione del maestro Jamel Chabbi sulle corde del suo Oud. La scelta delle poesie per questa lettura, che ho accompagnato con brevi commenti e spunti di analisi [1], ha voluto sottolineare la componente autobiografica del corpus poetico di Scalesi, presente nel ricordo di momenti della sua vita, nelle note paesistiche dei luoghi della sua Tunisi, nella fitta rete di simboli e metafore, così come nella personale resa dei dettagli più minuti della realtà, che non sfuggono al suo sguardo poetico: poesia visiva, che nella natura o nei luoghi della Medina trova fotogrammi dolorosi della sua esistenza e concezione della vita, e che trasforma «la sofferenza fisica e affettiva in un dispositivo di rivolta e sofferenza» (Pisanelli, 2016: 110).

2L’unica raccolta poetica, Les poèmes d’un maudit, pubblicata postuma nel 1923, si apre con Lapidation; si tratta della poesia – dedica della raccolta del giovane Scalesi, consapevole di appartenere alla classe più diseredata, dei “paria” nella Tunisi multietnica del suo tempo («ma jeunesse, / celle des parias en pleurs»). La dedica con allocuzione al lettore, che appartiene a una lunga tradizione rinnovata dai poeti del XIX secolo, colloca i suoi versi in sintonia con i poeti maledetti delle sponde nord del Mediterraneo, dal Baudelaire dei Fleurs du mal, da lui stesso citato, a Rimbaud, e aggiungerei agli Scapigliati italiani, Arrigo Boito ed Emilio Praga che in Preludio esprime il disagio della sua generazione: «noi siamo i figli dei padri malati». Consapevole dei suoi modelli, Scalesi definisce a loro confronto la peculiarità dei suoi versi e rivendica la loro natura autobiografica: “cri revolté” ispirato da un’esistenza “de ténèbres” e dal fondo di un inferno esistenziale, e non da principi di poetica.

 «Ce livre, insoucieux de gloire, / N’est pas né d’un jeu cérébral […] / s’il contient tant de vers funèbres, / ces vers sont le cri révolté /d’une existence de ténèbres / et non d’un spleen prémédité ».

Dall’angoscia e dall’emarginazione la poesia diventa “fiori” e “ametisti”, pietre preziose di un riscatto e di un ideale di rivincita e affermazione, sia pure disperati. I temi della poesia di Scalesi sono strettamente legati alle coordinate della sua vita: la famiglia, l’incidente, l’emarginazione e la ricerca del riscatto, come L’accident e À ma mère.

L’accident è poesia autobiografica per eccellenza, ritmata nelle rime alternate, sia pure imperfette, basate su assonanze, e forse segno di una padronanza dapprima orale del francese. Circolare è l’immagine della morte, della fine, nel primo e ultimo verso, rafforzata dalla metafora del libro che si chiude:

 «L’instant ou j’ai cessé de vivre, / je le verrai longtemps encor, / (quand l’espoir a fermé son livre / on peu bien dire qu’on est mort) / […] Je sens fuir mes pensées malades / vers l’escalier où je suis mort».

mario-scalesi-375x500L’episodio della caduta a cinque anni («mon pied glissa dans l’ombre») che provocò l’infermità, rivive sui contrasti tra la gioia del Natale e dei suoi giochi in famiglia e la condizione del morto-vivente: «fuyant le suaire [...] un trépassé hante sa chambre mortuaire pour y revivre le passé»;  tra la nitida e mite luce dell’inverno tunisino  («hiver aux avrils pareil») e il buio dell’abitazione e della  scala; tra l’alto del turchino del cielo, a cui pensa Mario bambino e lo scivolamento verso il basso e verso l’inferno della malattia.

La poesia À ma mère è un’invocazione accorata a ritrovare l’affetto e la tenerezza materni, che porta il lettore al cuore della solitudine affettiva del poeta e della esacerbata realtà di una famiglia indurita dal dolore e dalle difficoltà. Aggrappato alla vita nel momento più disperato – «alors que m’appellait le glas» – in nome del vecchio padre e della madre, il poeta non trova negli occhi freddi e nel cuore indurito le carezze e il calore dell’abbraccio in cui riposarsi dalle lotte. Il finale è interessante: nel mondo familiare, nelle parole della madre,  il poeta cerca le illusioni per continuare a vivere:

«Rends-moi l’illusion propice, / Égrène-moi tes vieux récits. / Je crois aux contes de nourrice / lorsque c’est toi qui me les dis».

I due versi in chiusura «je crois aux contes de nourrice / lorsque c’est toi qui me le dis», sono stati ripresi dallo scrittore più geniale e visionario della Tunisi degli anni ’30, Ali Douagi, anche se con una lieve variazione. Douagi cita «il nostro Scalesi» e la frase «potrei credere alla veridicità di un racconto, madre, se uscisse dalla tua bocca» all’interno di uno dei suoi racconti più complessi Il segreto della settima camera (Douagi II 2014: 271) dove affida la narrazione, di solito condotta in prima persona come narratore interno, a un medico del dispensario-narratore. L’espressione «il nostro Scalesi», fa pensare a un medico, molto probabilmente ebreo, francese o italiano, quelli che in maggioranza svolgevano il ruolo in ospedali e dispensari in quel periodo [2].

Douagi era nato nel 1909 ed evidentemente non ebbe modo di conoscere personalmente Scalesi, ma quasi per certo aveva  presenziato alle celebrazioni del 1937, volute da Arthur Pellegrin, che avevano portato autorità ed intellettuali, professori e artisti in Medina, per apporre una targa ricordo nel cortile della casa natale, e poi al teatro Municipale per un grande omaggio postumo a un ragazzo malcompreso e rifiutato, diventato emblema del riscatto attraverso la scelta della scrittura francofona. Bab Souika era per Douagi il centro di attività e socializzazione, attorno al caffè Taht Essour, a pochi passi dall’abitazione degli Scalesi, in rue de Maltais. Tra l’altro, il poeta tunisino conosceva bene Guido Medina[3], il poeta di Monastir che lesse un discorso in memoria di Scalesi alla celebrazione e che frequentava Taht Essour in quegli anni Trenta che viravano ormai verso le leggi razziali.

image3ritratto-per-speciale-corriere-di-tunisi-1992

Ritratto per speciale Corriere di Tunisi, 1992

Le coordinate spaziali dell’esistenza e dell’opera di Scalesi sono tracciate dai suoi percorsi nella vecchia Medina di Tunisi e nei quartieri accostati alla grande avenue borghese, abitati dai ceti più popolari della comunità italiana (la petite Sicile) verso la laguna di Tunisi; tuttavia un acuto spirito di osservazione, unito a una forte componente immaginifica, nel dipingere i colori e i suoni di un paesaggio per lui usuale ma di forte connotazione simbolica, ci ha lasciato degli scorci suggestivi della Tunisi di inizio Novecento.

Per esempio, la poesia Les minarets prende slancio da una nota paesistica, il paesaggio usuale per Scalesi nei suoi tragitti nella Medina di Tunisi, lo sguardo in alto versi i minareti, «si beaux au-dessus des boutiques». In verità, ancora oggi possiamo rivivere le sensazioni visive del poeta, levando gli occhi per le stradine della Medina rigurgitanti di negozietti verso i minareti della Zitouna o di Hamouda Becha. «J’aime à vous voir dressés sur le couchant qui brûle / comme des gardiens au seuil d’un pays d’or».

Ma la poesia volge poi al motivo personale, alla lacerazione identitaria, in questo caso religiosa. «Quand ma douleur en vain cherche une croix»: la vana ricerca di un luogo sacro cristiano spinge lo sguardo e il desiderio di sollievo dagli amati libri verso i minareti. Sollievo illusorio e momentaneo, dissipato dai dubbi delle proprie radici occidentali («je ne puis, à l’ombre des mosquèes, / me soustraire longtemps au doute européen») e dalle argomentazioni rumorose dei “frères”, i fratelli delle lunghe discussioni, ingiuriosi adepti dell’ateismo.

 All’ombra di questi minareti, La bibliothèque de Souk El Attarine, biblioteca nazionale fino agli ultimi anni del ‘900, è al cuore della Medina. Per Scalesi è stato il rifugio e la salvezza dalla dannazione dell’emarginazione sociale e della sofferenza fisica: il luogo della lettura e dello spazio dello spirito «ou l’esprit se plonge», del perdersi tra le mura dei libri. Qui probabilmente Scalesi conobbe Arthur Pellegrin, stupito dalla caparbia assiduità del giovane, e qui avviò con il letterato francese quelle, dapprima timide, e poi più coraggiose discussioni che si tramutarono nelle recensioni e collaborazioni a prestigiose riviste letterarie francofone, come “La Tunisie illustrée” e “Soleil”.

«Dans l’écheveau / d’un quartier maure / clos à l’aurore / comme un caveau, // laïque Mecque / sans faux éclat, / se dresse / la Bibliothèque».

image5targa-commemorativa-presso-labitazione-rue-de-maltaisUn altro luogo che esercitò una forte attrazione per Scalesi, per il silenzio e l’assenza umana, ma anche per il suo aspetto inquietante, è la laguna di Tunisi, per i tunisini il Lac Bahira: due poesie gli sono dedicate nella raccolta. Le Lac Bahira è una poesia descrittiva, ma carica di simboli. Due i protagonisti: l’io del poeta e il paesaggio della laguna di Tunisi, fotografato nel pieno di una giornata estiva, folgorato dall’ “esuberante” sole africano e dalla luce abbagliante che inonda ogni particolare. La luce e i dettagli visivi dominano nei versi e si impossessano degli elementi naturali, che il poeta dipinge con le tonalità della sofferenza: il lago blu è «un inferno di azzurro infuocato» («enfer d’azur, un vaste embrasement»); la brezza salina fa salire verso i suoi sensi l’odore mefitico delle acque stagnanti; il forte spagnolo sull’isolotto di Chikhli è abbandonato e in rovina, visitato solo dalle colonie dei “vermigli fenicotteri” («seule des flamants la visite vermeille / console ses ennuis et sa caducité»); le stelle sono lacrime d’oro che piovono sul lago scuro, «larmes d’or des étoiles plaintives». Lo stordimento della luce intensa, la solitudine dell’ora estiva portano al poeta il fremito dei sogni ingenui del passato, come lo stormire degli uccelli, in volo verso Cartagine o sgranati a sfiorare la superficie del lago: è un invito a restare fino a sera ai bordi del lago, assecondando il ritmo del cuore e delle dolci illusioni fuggitive.

Come si può vedere, se i temi della poesia di Scalesi sono intimamente connessi alle vicende della sua vita, la famiglia, l’incidente, l’emarginazione e la ricerca del riscatto, anche il paesaggio, soggetto di molte poesie, ha le coordinate, o meglio i confini, dell’autobiografia: nei versi è sempre tramite di riflessione, di emozioni e stati d’animo. Come in Lever de soleil – L’alba, dove la descrizione del sorgere del sole sul lago di Tunisi (Bahira) è associata al rapimento sopito del tormento in chi vuol vedere nel sorgere del sole l’affermarsi dell’Amore a scapito della morte.

L’amore non è protagonista nella raccolta: una sorta di pudore sembra trattenere il poeta dal cantare questo sentimento o l’amore passione, una sorta di autoesclusione e di consapevolezza della propria disabilità fisica, che peraltro spesso gli venne gridata, tanto da spingerlo a limitare le sue sortite e passeggiate nelle ore notturne o nei luoghi isolati. Se questo sentimento si affaccia in una lirica ha le note della sofferenza e del rifiuto, anche quando il tono sembra leggero e sorridente. Si può vedere Amour Bilingue, che, tra l’altro, resta la sola testimonianza in italiano nella produzione di Mario Scalesi.

«O piccina nel franco idioma
Per te sciolsi il canto d’amor.
Adornai la tua bruna chioma
De’ rubini cadenti dal cor».

image4hommage-a-scalesi-1937Nelle tre strofe, il poeta sembra riprodurre, o citare, i testi delle canzonette d’amore dell’epoca: le quartine hanno un andamento musicale, ritmato dalle rime dove trionfano le parole dell’amore: amor / cor, nella prima strofa; aimé / in me, nella seconda («captivant ton sourire aimé / j’ai béni tes prunelles noires / e la notte che versavo in me»); e coeur nella terza strofa dove si insinua il motivo personale e meno sereno dell’amor non corrisposto per la giovane, verosimilmente italiana, e la realtà umiliante della reazione femminile. Le pupille nere (vv 7-8) versano «notte nera» nell’animo del poeta, e il suo dolce idioma d’amore rima con la risposta canzonatrice e ironica «ton accent moqueur».

Certo, nonostante il ritorno periodico d’interesse verso questo poeta, la lettura dei suoi componimenti fa capire che ancora molto si potrebbe scoprire tra le righe dei suoi versi, della sua vicenda personale, delle lacerazioni di una comunità e delle contraddizioni di una città florente e cosmopolita, come la Tunisi di inizio Novecento. Per quanto riguarda Scalesi, forse niente può meglio riassumere la cifra della sua vicenda che i versi di un altro grande poeta di Tunisi spesso trascurato, l’Ali Douagi citato per il suo indiretto omaggio a Scalesi: Ach yetmenna fi enba è il titolo di una sua canzone meta-poetica e tristemente ironica sulle condizioni dell’artista: «Ha vissuto desiderando un acino d’uva: / è morto, gli hanno portato il grappolo».

Dialoghi Mediterranei, n. 41, gennaio 2020
 Note
[1] Le citazioni dei versi di Scalesi sono tratti dall’edizione completa di Bannour Brondino, 2002.
[2] Si tratta di un racconto dalla struttura complessa, a scatole cinesi, affidato al dottore dell’ambulatorio – dispensario del quartiere, cui si affidavano spesso anche le prostitute che non potevano esporsi a cure ospedaliere. Per una volta Douagi cede la narrazione a questo medico colto e sornione e diventa destinatario, all’ascolto, con un gruppo di giovani amici, di una storia rievocatrice di un’altra storia: racconti di vicende incredibili che inducono il dottore a una citazione per noi estremamente interessante, quella appunto «del nostro poeta Scalesi. Per creare l’attesa meravigliata e sospesa nei suoi giovani ascoltatori, il medico parte dalla fiaba della sua vecchia cuoca, il racconto, molto popolare ancor oggi, del mago che trasporta il figlio del sultano nel meraviglioso e magico palazzo dalle sette camere, col divieto di entrare nella settima stanza.
[3] «Taht Essour è diventata celebre grazie a loro fino a essere il Parnaso del Nord Africa e la sua celebrità è giunta fino a Imed Eddine in Egitto e al quartiere latino a Parigi. È diventata la stazione d’arrivo di letterati di Oriente e Occidente. Qui abbiamo accolto Mahmoud Beyrem, il professor Aster e Marcel Sauvage e Guido Medinae altri che non ricordo» (Douagi II 2014: 157).
Riferimenti bibliografici
 Balegh H. 1978, Les poèmes d’un maudit, ed. bilingue francese- tunisino,Tunisi.
Bannour A., Fracassetti Brondino Y. 2002, Mario Scalesi, précurseur de la littérature multiculturelle au Maghreb. Œuvre complète, Paris, Publisud.
 Brunel P. 2008, Mario Scalési, un nouveau poète maudit, « Revue de littérature comparée », 3, 327 : 351-365.
 Candiani R. 2019, Dell’identità di Ali Douagi, tra marginalità e avanguardia culturale, in “Dialoghi mediterranei”, n.  7, maggio.
Douagi A. 2014, Oeuvres completes, I. Théâtre, vol.1-2; II. Comptes, Bakkar Taoufik ed., Tunisi, Imprimerie Finzi
Finzi S. 2000, Memorie italiane di Tunisia, Tunis, Finzi editore.
Monroy B. 2013, Ragazzo di razza incerta, Palermo, Edizioni la Meridiana.
Mugno S. 1997, Les Poèmes d’un maudit / Le liriche di un maledetto, Palermo, Istituto di Studi politici ed economici.
Pendola M. 2007, Gli italiani di Tunisia, Foligno, Editoriale Umbra.
Pendola M., http://www.italianiditunisia.com/frm-main.php .
Pisanelli F. 2016, La haine redevient ma seule volupté: impegno e utopia nella poesia di Mario Scalesi, in «Visioni mediterranee: itinerari, identità e migrazioni culturali», Atti del convegno, Dhouib M. Ed., Tunisi: 109-119.
Société des Ecrivains de l’Afrique du Nord 1937, Hommage à Scalesi, Tunis, Kahena.

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Rosy Candiani, studiosa del teatro e del melodramma, ha pubblicato lavori su Gluck, Mozart e i loro librettisti, su Goldoni, Verdi, la Scapigliatura, sul teatro sacro e la commedia musicale napoletana. Da anni si dedica inoltre a lavori sui legami culturali tra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, sulle affinità e sulle identità peculiari delle forme artistiche performative. I suoi ultimi contributi riguardano i percorsi del mito, della musica e dei concetti di maternità e identità lungo i secoli e lungo le rotte tra la riva Sud del Mediterraneo e l’Occidente.

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