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Relazioni interculturali nel contesto mediterraneo: il contributo della psicologia

1di Pasquale Musso, Alida Lo Coco, Cristiano Inguglia

Una delle sfide più serie per la stabilità e la coesione nel mondo contemporaneo è rappresentata dalla gestione delle relazioni interculturali all’interno delle società, ormai sempre più culturalmente pluralistiche. Gestire con successo questa diversità dipende da una attenta comprensione basata sulla ricerca di quei fattori che incidono sulle mutue relazioni tra gruppi etnoculturali in contatto, tra cui le loro caratteristiche religiose e socio-antropo-psicologiche o le condizioni politiche ed economiche del contesto che li accoglie. Il presente contributo ha l’obiettivo di fornire elementi per una tale comprensione da un punto di vista psicologico, a partire da una serie di studi che hanno riguardato i rapporti reciproci tra giovani autoctoni e giovani tunisini nella Sicilia occidentale e, in specie, nella città di Mazara del Vallo. Tali studi sono stati realizzati con l’obiettivo di valutare nel contesto mediterraneo tre ipotesi centrali nell’attuale letteratura scientifica (Berry, 2017).

  1. Ipotesi del multiculturalismo. Quando gli individui si sentono al sicuro nel loro contesto di vita, saranno in grado di accettare meglio coloro che sono portatori di una diversità etnoculturale; al contrario, quando si sentono minacciati, tenderanno a respingerli.
  2. Ipotesi del contatto. Quando gli individui hanno contatti e si confrontano con altri che sono culturalmente diversi da loro, sarà più facile arrivare ad una accettazione reciproca.
  3. Ipotesi dell’integrazione. Quando le persone appartenenti a gruppi di minoranza etnica si identificano e sono socialmente connesse sia con la loro cultura di origine sia con la società più ampia in cui vivono, raggiungeranno livelli più elevati di benessere rispetto a quelli che scelgono di riferirsi esclusivamente all’una o all’altra cultura, o a nessuna delle due.

Queste ipotesi derivano da un quadro teorico di riferimento che ingloba diverse dimensioni e variabili che verranno qui brevemente introdotte, insieme al contesto generale dell’immigrazione in Italia e nella Sicilia occidentale, prima di arrivare alla valutazione di tali ipotesi in questo specifico contesto.

Concetti chiave della psicologia delle relazioni interculturali

Una questione centrale sottesa ai processi, espliciti o impliciti, di relazione interculturale fa riferimento alle preferenze di individui e gruppi circa i modi in cui desiderano rapportarsi con i propri e gli altri gruppi culturali (Berry, 2013). In riferimento a gruppi etnoculturali non dominanti (per esempio, gli immigrati tunisini in Italia e in Sicilia) che sono in contatto con un gruppo dominante (gli italiani o i siciliani), queste preferenze sono diventate note come strategie di acculturazione. Nel caso del gruppo dominante in relazione a gruppi non dominanti, queste preferenze sono state chiamate aspettative di acculturazione. Queste strategie e aspettative di acculturazione si basano sulle stesse dimensioni sottostanti: (a) il grado di mantenimento della cultura e dell’identità del gruppo di origine, (b) il grado di impegno nelle interazioni quotidiane con altri gruppi etnoculturali nella società più ampia, compreso quello dominante, e (c) il potere relativo dei gruppi in contatto che influenza il loro modo preferito di impegnarsi a vicenda. Dalla combinazione delle prime due dimensioni, considerate indipendenti tra di loro, è possibile derivare quattro specifiche strategie e altrettante aspettative di acculturazione (Berry, 2017).

Considerando il punto di vista dei gruppi etnoculturali non dominanti, gli individui possono attribuire un alto valore al mantenimento della propria cultura di origine evitando l’interazione con gli altri gruppi etnoculturali, soprattutto se dominante: in questo caso, la strategia di acculturazione è definita Separazione. Se, invece, succede il contrario, con un disinteresse per il mantenimento dell’identità culturale di origine e la ricerca dell’interazione con la cultura dominante, allora si avrà una strategia di Assimilazione. Quando sia il mantenimento culturale sia l’interazione con gli altri gruppi sono valorizzati, la strategia è chiamata Integrazione. Infine, quando nessuna delle due dimensioni suscita interesse, la strategia è la Marginalizzazione.

Passando all’ottica del gruppo dominante, le aspettative di acculturazione evocano il modo in cui ci si attende che i gruppi non dominanti dovrebbero mantenere o meno la propria cultura di origine così come cercare o meno l’interazione con gli altri gruppi. Si ottengono quattro differenti, ma parallele, dimensioni rispetto alle strategie di acculturazione. Quando ci si attende che gli individui appartenenti a gruppi non dominanti (generalmente gli immigrati) debbano adottare una strategia di separazione, una tale aspettativa è chiamata Segregazione. Se l’attesa è per una strategia di assimilazione, la corrispondente aspettativa è il Melting Pot. Nel caso della strategia di integrazione, l’aspettativa è definita Multiculturalismo, facendo riferimento a una prospettiva in cui la diversità culturale è valorizzata nella società. Infine, se la spinta è per la strategia di marginalizzazione, l’aspettativa corrispettiva è l’Esclusione.

La scelta di determinate strategie o aspettative di acculturazione e la natura delle conseguenti relazioni interculturali tra i gruppi in interazione, dominanti e non, non è né semplice né lineare, ma dipende in qualche modo dalle ideologie e dalle politiche del contesto di riferimento. Per cogliere questo aspetto è stato introdotto il costrutto di Ideologia multiculturale (Berry, 2006), che include l’idea che la diversità culturale è un bene per una società e per i suoi singoli membri e che tutti i gruppi etnoculturali dovrebbero adattarsi l’un l’altro per arrivare ad ottenere relazioni armoniose. Questo sembra il fondamento su cui poggia la possibilità di espressione sia della strategia di integrazione sia dell’aspettativa del multiculturalismo, ma anche di ulteriori dimensioni come la Tolleranza. La tolleranza è la tendenza all’uguaglianza sociale che sostiene opportunità e diritti identici tra gruppi etnoculturali diversi (Berry, 2006). Generalmente, a più alti livelli di ideologia multiculturale corrispondono più alti livelli di tolleranza e un migliore atteggiamento verso i gruppi non dominanti e gli immigrati.

Accanto all’ideologia multiculturale, altri concetti cruciali sembrano essere quelli di Sicurezza percepita, Discriminazione percepita, Contatti sociali e Identità culturale. La sicurezza percepita fa riferimento al grado di sicurezza economica, personale, sociale e culturale che le persone pensano di poter vivere in un dato contesto (Berry, 2017). La discriminazione percepita concerne l’idea di ricevere un trattamento ingiusto e differenziato sulla base della propria appartenenza etnoculturale (Blank, Dabady e Citro, 2004; Cristini, Scacchi, Perkins, Santinello e Vieno, 2011). I contatti sociali sono relativi al numero e alla frequenza di contatti sia con i membri del proprio gruppo etnoculturale sia di altri gruppi. Infine, l’identità culturale si esplicita nell’identità etnica, relativa al senso di appartenenza e al legame affettivo col proprio gruppo etnoculturale soprattutto negli immigrati e/o nei gruppi non dominanti, e nell’identità nazionale, relativa al senso di appartenenza e al legame affettivo con la nazione e la società più ampia di riferimento.

La sicurezza percepita, la discriminazione percepita e i contatti sociali sono correlati con l’instaurazione di un clima positivo di ideologia multiculturale e, insieme con l’identità culturale, con le conseguenti scelte in tema di strategie e aspettative di acculturazione.

Tutti questi costrutti sono concettualmente intesi come antecedenti, direttamente o indirettamente, al benessere psicologico e all’adattamento socio-culturale (Berry, 2017). Nel primo caso, il benessere psicologico è definito attraverso dimensioni quali l’Autostima, che riguarda la valutazione generale che ognuno dà di sé stesso, la Soddisfazione di vita, che si riferisce al gradimento della condizione di vita attuale, e ai Problemi psicologici, attraverso cui si valuta la presenza di sintomi depressivi, ansiogeni o psicosomatici. Nel secondo caso, l’adattamento socio-culturale è inteso come la difficoltà per gli immigrati e/o i membri dei gruppi non dominanti di vivere la quotidianità nei Paesi ospitanti.

L’insieme di tutti questi concetti chiave fin qui definiti è stato utilizzato negli studi di cui si è già accennato nell’introduzione e che costituiscono l’intelaiatura per la valutazione delle tre ipotesi centrali della letteratura psicologica sulle relazioni interetniche, che è lo scopo di questo contributo. Ma prima di focalizzarci specificamente su ciò, è interessante capire qual è il contesto delle relazioni interculturali in Italia e chiarire quali sono le caratteristiche della presenza tunisina nella Sicilia occidentale.

Taranto, arrivo dei profughi libici da LampedusaLe relazioni interculturali in Italia

L’Italia sta diventando sempre più etnicamente e culturalmente diversa. Negli ultimi anni, la popolazione di origine straniera nel Paese è cresciuta in modo significativo. Secondo la Caritas Italiana e la Fondazione Migrantes (2013), il numero totale di immigrati legali residenti e permanenti in Italia è aumentato da circa 1 milione nel 2001 a circa 5 milioni nel 2013. Tale aumento è correlato a una maggiore frequenza dei flussi migratori verso l’Italia, diretta in particolare verso le sue regioni meridionali come la Sicilia. Attualmente, un gran numero di immigrati proviene dall’Africa a causa della vicinanza geografica, attraverso Paesi come la Libia o la Tunisia. Italia e Sicilia sono diventate, pertanto, contesti interessanti per lo studio delle relazioni interculturali a causa del particolare mosaico di religioni, culture e persone in cerca di nuovi modelli di convivenza interculturale. A tutt’oggi, tuttavia, in Italia c’è una mancanza di comprensione scientifica dei processi psicologici sottostanti le relazioni interculturali, che è un passo fondamentale per progettare politiche efficaci di accoglienza e integrazione, in un contesto che deve ancora fare passi avanti in tal senso.

 Le politiche di inclusione in Italia

Considerando otto aree chiave della vita (salute, partecipazione politica, mobilità sul mercato del lavoro, istruzione, accesso alla nazionalità, ricongiungimento familiare, residenza permanente, antidiscriminazione), le condizioni degli immigrati che vivono in Italia rimangono solo poco favorevoli (Migrant Integration Policy Index, 2015) e il percorso per una reale inclusione richiede diversi passaggi da attuare, come l’aumento dei tassi di occupazione degli immigrati attraverso specifiche attività di formazione e orientamento, la risoluzione del problema legato alla “sovra-qualificazione” degli immigrati (che consiste nel fatto che i lavoratori immigrati non sono in grado di trovare un lavoro che corrisponda alle loro capacità e competenze), la prevenzione dell’abbandono scolastico sostenendo l’istruzione interculturale e fornendo formazione e sostegno professionale agli insegnanti e al personale scolastico, e la costruzione di un senso di fiducia tra gli immigrati nei confronti delle autorità pubbliche italiane, che comunque devono fare di più per contrastare la discriminazione etnica e religiosa (Cesareo, 2016).

 L’atteggiamento pubblico verso l’immigrazione e gli immigrati

Insieme a tali politiche di inclusione, un altro aspetto chiave riguarda l’analisi dell’atteggiamento degli italiani nei confronti dell’immigrazione e degli immigrati. Secondo Ambrosini (2013), su questo punto gli italiani sono profondamente contraddittori, specialmente quelli che vivono nelle regioni più ricche del Paese. Da un lato, sono consapevoli che l’Italia sta diventando sempre più multietnica, per esempio in termini di partecipazione al mercato del lavoro, matrimoni misti e origine degli studenti nelle scuole. D’altra parte, sembrano manifestare una forma di negazione di questa realtà, rifiutando di accettare la presenza degli immigrati nel Paese.

Kosic, Manetti e Sam (2005) notano un orientamento negativo degli italiani nei confronti degli immigrati e dei flussi migratori. Secondo loro, questi atteggiamenti ostili sono sorti intorno al 2000 sullo sfondo di una serie di fattori, come la mancanza di chiare politiche di accoglienza e immigrazione, l’ampia presenza di immigrati con permessi di soggiorno irregolari e il fatto che gli immigrati sono ritratti sui mass media e nei discorsi politici come potenziali criminali e come coinvolti in una serie di attività clandestine. Inoltre, un’indagine più recente (Eurobarometro, 2014) ha evidenziato che l’Italia è uno dei Paesi dell’UE che mostra gli atteggiamenti più negativi nei confronti dell’immigrazione.

Nel corso degli anni, questo atteggiamento ostile è stato diretto verso vari gruppi etnici e nazionali a seconda delle specifiche circostanze storiche e sociali. Ad esempio, fino a circa dieci anni addietro, vi erano forti pregiudizi per le persone provenienti dalla Romania, legati ad alcuni crimini violenti, ma isolati, commessi da immigrati rumeni (Caritas Italiana, 2008). Tuttavia, negli ultimi anni il pregiudizio sembra essere particolarmente rivolto verso gli immigrati musulmani, spesso erroneamente associati al radicalismo ed etichettati come potenziali terroristi (vedi, per esempio, l’indagine del PEW Research Center, 2015).

L’atteggiamento negativo nei confronti dell’immigrazione è, altresì, testimoniato dalla crescente popolarità di partiti politici che sostengono politiche di chiusura delle frontiere e di rifiuto dell’estensione della cittadinanza agli immigrati. Tali posizioni sono state rappresentate, per esempio, da partiti come la Lega Nord (Calavita, 2005). Tuttavia, ci sono differenze identificabili tra le varie regioni italiane. In generale, quelle settentrionali del Paese sono caratterizzate da livelli più elevati di ostilità, mentre quelle meridionali sono moderatamente più aperte. Ad esempio, studi recenti hanno rilevato che gli italiani residenti in Sicilia riportano più alti livelli di sostegno al multiculturalismo e di accoglienza dell’immigrazione (Inguglia e Musso, 2015; Musso, Inguglia, Lo Coco, Albiero e Berry, 2017).

Saidi Mehe alla stazione Termini con i tunisiniI tunisini in Sicilia: un caso di interesse specifico

In un quadro così articolato di politiche e di atteggiamenti verso l’immigrazione, i tunisini sono uno dei gruppi di immigrati più interessanti che vivono in Italia, e specialmente, in Sicilia. Rappresentano il decimo gruppo di immigrati extracomunitari in Italia (3,2% della popolazione immigrata totale), con una prevalenza di uomini (circa il 65%) e giovani (il 55% ha meno di 40 anni), oltre a un elevato numero di minori (circa il 31%) rispetto ad altri gruppi di immigrati (Centro Studi e Ricerche IDOS, 2015; Hannachi, 2015; Ministero del lavoro e delle politiche sociali, 2012). Per quanto riguarda la loro presenza in Sicilia, i tunisini sono il secondo gruppo di immigrati (circa 18 mila persone) e hanno una lunga storia di scambi con questa regione iniziata negli anni ‘60 (Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, 2013; Cusumano 1976; Hannachi, 2015).

Tunisini e siciliani sono caratterizzati da alcune somiglianze e differenze. Da un lato, la Tunisia e la Sicilia sono geograficamente vicine e sono caratterizzate da interazioni socio-culturali che hanno spesso portato ad abitudini simili, ad esempio per quanto riguarda il cibo (couscous, kebab), l’architettura e ampi aspetti della cultura familiare o dei valori. D’altra parte, ci sono evidenti differenze tra i due gruppi, particolarmente legate alle lingue parlate, alle religioni praticate e allo status legale degli immigrati dei tunisini, che possono rappresentare per quest’ultimi reali ostacoli alla loro effettiva integrazione. Pertanto, sebbene i tunisini abbiano generalmente stabilito buone relazioni con la popolazione siciliana e siano in certo modo integrati, in alcune occasioni continuano a incontrare fattori di stress significativi quali barriere linguistiche, risorse sociali limitate o discriminazioni, che possono incidere negativamente sul loro benessere personale e adattamento socio-culturale (Musso, Inguglia e Lo Coco, 2015, 2017). Considerate le caratteristiche di storicità della presenza del gruppo tunisino nel territorio siciliano e, in specie, in città come Mazara del Vallo, che garantiscono una dinamicità non troppo fluida e sfuggente dei processi interculturali, così come la loro generale appartenenza al mondo musulmano, con cui oggi i rapporti sono alquanto problematici, i tunisini rappresentano un caso di elevato interesse specifico nella valutazione delle tre ipotesi chiave già introdotte all’inizio del presente contributo e di seguito valutate.

La valutazione delle tre ipotesi chiave dei processi interculturali

La valutazione dell’ipotesi del multiculturalismo, dell’ipotesi del contatto e dell’ipotesi dell’integrazione è stata condotta attraverso specifici studi che qui vengono sintetizzati nei loro risultati (Inguglia e Musso, 2015; Inguglia, Musso, Lo Coco e Berry, 2018; Musso et al., 2015). Come primo passo, tuttavia, si descriverà il modo in cui tali ipotesi sono state operazionalizzate, cioè rese valutabili.

Per quanto riguarda l’ipotesi del multiculturalismo, ci si attendeva che le persone che si sentono sicure nel proprio contesto di vita sarebbero state più aperte alla diversità etnica e culturale. In particolare, tra i membri del gruppo dominante (gli italiani), si prevedeva che più alti livelli di sicurezza percepita sarebbero stati positivamente associati a più alti livelli sia di ideologia multiculturale sia di tolleranza. Sul lato opposto, valutando l’ipotesi tra gli immigrati (i tunisini), ci si aspettava che di fronte ad elementi di minaccia, come può essere considerata la discriminazione percepita, si facesse maggiormente riferimento alla strategia di acculturazione della separazione.

Per quanto riguarda l’ipotesi del contatto, ci si attendeva che il contatto con persone di altri gruppi etnoculturali fosse positivamente correlato con una maggiore apertura verso la reciproca accettazione. Nello specifico, tra gli italiani, si prevedeva che un maggior contatto con i pari tunisini portasse a più livelli di aspettative per il multiculturalismo, mentre, tra i tunisini, un maggior contatto con i pari italiani portasse a più alti livelli della strategia di integrazione.

Infine, per quanto riguarda l’ipotesi dell’integrazione, ci si attendeva che un’alta preferenza per un orientamento verso l’integrazione fosse associata ad un migliore adattamento psicosociale nei tunisini. Questa ipotesi è stata testata secondo approcci diversi, l’uno centrato sullo studio delle variabili e l’altro centrato sulla persona (Inguglia e Musso, 2015, Inguglia et al., 2018, Musso et al., 2015). Nel primo caso, sono state analizzate le associazioni tra le strategie di acculturazione e gli indicatori di benessere psicologico e di adattamento socio-culturale. Nel secondo caso, sono stati prima identificati alcuni profili di acculturazione, vale a dire classificazioni di soggetti ottenuti combinando variabili associate ai processi di acculturazione, alle identità culturali, ai contatti sociali e ai livelli di lingue parlate; successivamente, sono state analizzate le differenze tra tali profili in funzione degli indicatori di benessere e adattamento. In accordo con altri studi che utilizzano un approccio simile (Berry, Phinney, Sam e Vedder, 2006; Brown, Gibbons e Hughes, 2013), ci si aspettava di identificare tre profili di acculturazione: un profilo rivolto all’integrazione, uno rivolto all’assimilazione e uno rivolto alla separazione. In ogni caso, è stato ipotizzato che la strategia dell’integrazione o il profilo di acculturazione rivolto all’integrazione sarebbero stati positivamente associati al benessere psicosociale più delle altre strategie o degli altri profili.

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Casa Tunisia a Mazara

Partecipanti e procedure

Hanno partecipato agli studi di valutazione delle tre ipotesi 663 adolescenti tunisini e 303 adolescenti italiani di età compresa tra i 14 ei 18 anni, in maggioranza residenti nella città di Mazara del Vallo (52%) e, comunque, nella Sicilia occidentale. La scelta di concentrarsi su questa fase di vita ha ragioni precise. L’adolescenza è un periodo critico per la formazione delle strategie interculturali, delle identità culturali e degli atteggiamenti nei confronti delle altre culture sia nei gruppi immigrati che in quelli dominanti (Inguglia e Musso, 2015; Musso et al., 2015; Sam e Berry, 2006). Durante l’adolescenza, infatti, i giovani cercano di imparare di più sulla storia, le pratiche e le credenze del proprio gruppo etnoculturale, nonché su quelli degli altri gruppi che vivono nella loro società. Inoltre, aumenta la consapevolezza della loro appartenenza etnoculturale; di conseguenza, la dimensione culturale diventa molto saliente e influenza il processo di sviluppo dell’identità e le relazioni con persone di altri gruppi etnoculturali (Umaña-Taylor et al., 2014).

 Tabella 1. Caratteristiche del questionario somministrato agli adolescenti tunisini

Scala generale Subscala Numero di item
Strategie di acculturazione Integrazione 4
Separazione 4
Assimilazione 4
Marginalizzazione 4
Identità culturale Identità etnica 7
Identità nazionale 3
Contatti sociali Numero contatti con pari tunisini 1
Frequenza contatti con pari tunisini 1
Numero contatti con pari italiani 1
Frequenza contatti con pari italiani 1
Benessere psicologico Autostima 10
Soddisfazione di vista 5
Problemi psicologici 15
Competenza socio-culturale - 20
Discriminazione percepita - 5

Tabella 2. Caratteristiche del questionario somministrato agli adolescenti italiani

Scala generale
Subscala
Numero di item
Aspettative di acculturazione Multiculturalismo 4
Segregazione 4
Melting Pot 4
Esclusione 4
Identità culturale Identità nazionale 7
Contatti sociali Numero contatti con pari immigrati 1
Frequenza contatti conpari immigrati 1
Numero contatti con pari italiani 1
Frequenza contatti con pari italiani 1
Benessere psicologico Autostima 10
Soddisfazione di vista 5
Problemi psicologici 15
Ideologia multiculturale - 10
Sicurezza percepita - 6
Tolleranza - 11
Conseguenze percepite immigrazione - 11
Atteggiamento verso gli immigrati - Punteggio 1-100

Tutti i partecipanti sono stati contattati a scuola o presso centri giovanili, previa opportuna autorizzazione, e sono stati invitati a compilare uno specifico questionario, includente misure correlate ai concetti chiave individuati all’inizio di questo contributo. Il questionario è stato leggermente modificato a seconda che la somministrazione fosse rivolta ai tunisini o agli italiani (vedi Tabelle 1 e 2). Nel caso dei primi, quando opportuno, sono stati coinvolti due mediatori culturali della stessa origine etnica.

 Risultati

In buona parte, i nostri studi sostengono le tre ipotesi chiave dei processi interculturali (vedi Tabella 3). Con riguardo all’ipotesi del multiculturalismo, i risultati mostrano che, tra i giovani italiani, la sicurezza percepita è positivamente associata sia all’ideologia multiculturale sia alla tolleranza (Inguglia et al., 2018), evidenziando l’importanza dei sentimenti di sicurezza nel contesto delle società plurali. I giovani che provano fiducia e sicurezza economica, identitaria e sociale tendono a mostrare maggiore accettazione e rispetto per gli altri e a valutare positivamente l’equità tra i gruppi etnoculturali. D’altra parte, tra i giovani immigrati tunisini, la discriminazione percepita è positivamente associata alla strategia di separazione, il che significa che più essi si sentono minacciati da atti di discriminazione tanto più tendono a valorizzare esclusivamente la loro cultura di origine senza aperture verso la cultura di accoglienza (Inguglia et al., 2018).

Per quanto riguarda l’ipotesi del contatto, i risultati sono supportivi sia tra gli italiani sia tra i tunisini. Per i primi, l’opportunità di essere in contatto con pari immigrati è positivamente associata alle aspettative per il multiculturalismo. Vale a dire, più gli adolescenti italiani passano il tempo con i loro coetanei tunisini, più preferiscono che questi ultimi mantengano il loro patrimonio culturale insieme alle nuove abitudini italiane (Inguglia et al., 2018). Allo stesso modo, gli adolescenti tunisini che più hanno contatti sociali con i coetanei italiani tendono maggiormente a partecipare alla cultura italiana pur mantenendo il proprio patrimonio culturale d’origine.

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Donne tunisine a Mazara

Anche l’ipotesi dell’integrazione è stata supportata in tre studi diversi. Nei primi due, condotti secondo l’approccio centrato sulla persona (Inguglia e Musso, 2015; Musso et al., 2015), i risultati rivelano come gli adolescenti appartenenti a profili rivolti all’integrazione riportino livelli più alti di benessere psicosociale, in termini di autostima, soddisfazione di vita e competenza socio-culturale, rispetto a quelli del profilo rivolto alla separazione. Parallelamente, nel terzo studio i risultati suggeriscono che la strategia di acculturazione dell’integrazione è positivamente associata alla soddisfazione della vita e all’autostima, mentre la separazione è negativamente associata all’autostima (Inguglia et al., 2018). Tali risultati, pertanto, mostrano l’importanza dell’integrazione rispetto alla separazione in termini di benessere, probabilmente perché questa strategia supporta lo sviluppo di un’identità biculturale armoniosa che è dimostrata essere particolarmente importante per il funzionamento psicologico in adolescenza (Umana-Taylor et al., 2014).

Tabella 3. Le tre ipotesi chiave dei processi interculturali: risultati degli studi italiani

Studio
Ipotesi del multiculturalismo Ipotesi del contatto Ipotesi dell’integrazione
Inguglia e Musso (2015) Non valutata Non valutata Per lo più supportata
Musso et al. (2015) Non valutata Non valutata Per lo più supportata
Inguglia et al. (2018) Supportata Supportata Supportata

 Conclusioni e implicazioni

Dall’analisi dei risultati emerge come che le tre ipotesi formulate nell’ambito della psicologia per spiegare alcuni dei processi interculturali, che oggigiorno caratterizzano sempre più le nostre società, risultino valide e, pertanto, utilizzabili sia sul piano della ricerca sia su quello delle politiche sociali e degli interventi socio-educativi. Tuttavia, le stesse vanno discusse con riferimento alle caratteristiche contestuali in cui gli studi di valutazione sono stati portati avanti.

Per esempio, la lunga storia di scambi tra il mondo tunisino e quello siciliano, specialmente a Mazara del Vallo, insieme alla presenza di notevoli somiglianze tra questi due gruppi, può facilitare la possibilità che i giovani tunisini tendano a mostrare livelli più alti di integrazione rispetto alle altre strategie di acculturazione, e che l’integrazione sia maggiormente associata ad esiti positivi in termini di benessere e adattamento. D’altra parte, i risultati sugli esiti negativi associati alla separazione possono essere spiegati tenendo conto del fatto che i siciliani hanno generalmente aspettative più positive nei confronti dell’integrazione degli immigrati rispetto ad altri connazionali (Musso, Inguglia e Lo Coco, 2017). Nel momento in cui non vi è una corrispondenza simile da parte degli immigrati che propendono verso atteggiamenti di separazione, questi ultimi sono probabilmente più soggetti ad atti di discriminazione, in virtù della distanza con le aspettative di acculturazione dei siciliani. A sua volta, come previsto dall’ipotesi del multiculturalismo, la discriminazione percepita potrebbe ulteriormente promuovere la tendenza dei giovani immigrati a preferire strategie e profili di separazione con conseguenze negative per il loro benessere psicosociale.

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Giovani figli di immigrati tunisini a Mazara (@ Carlo Franciò)

Al netto dei vantaggi per la scelta dei tunisini come gruppo non dominante di riferimento negli studi finora portati avanti, la ricerca futura dovrà concentrarsi anche su altri gruppi etnici per capire se e come le tre ipotesi qui delineate continuino a mantenere la loro validità. Inoltre, alcuni altri limiti vanno sottolineati. I dati raccolti si basano su questionari autosomministrati in un solo momento temporale. Pertanto, è di fondamentale importanza che nei prossimi anni si possano condurre ricerche che, da una parte, usino metodi anche di tipo qualitativo e, dall’altra, siano di tipo longitudinale, così da determinare con maggiore affidabilità la causalità tra i fenomeni in gioco. Ancora, nel presente contributo non sono state tenute in conto dimensioni importanti, quali per esempio la famiglia e le relative pratiche di socializzazione etnica come pure le variabili socio-politiche. Nasce, pertanto, l’esigenza di considerare tali e ulteriori aspetti nelle prossime indagini al fine di acquisire una conoscenza più approfondita dei processi che influenzano le relazioni interculturali negli adolescenti.

Nonostante questi limiti, il presente contributo fornisce spunti interessanti per i decisori politici e i professionisti del settore impegnati a progettare politiche e programmi sociali efficaci per migliorare la qualità delle relazioni interculturali tra i gruppi etnoculturali che vivono in Italia, specie in contesti simili a quello della presenza tunisina nella Sicilia occidentale. Per quanto riguarda i giovani immigrati, sembra importante progettare programmi di intervento con almeno due obiettivi principali. In primo luogo, tali programmi dovrebbero mirare a perseguire processi di integrazione, offrendo ai giovani l’opportunità di mantenere la loro cultura di origine e, contemporaneamente, di avere sani e costanti contatti con gli italiani e la dimensione culturale della società ospitante. In secondo luogo, gli interventi dovrebbero cercare di limitare la percezione di discriminazione da parte dei giovani immigrati, perché altrimenti gli effetti potrebbero essere dannosi per il loro benessere psicologico e le loro capacità di adattamento. Per quanto riguarda gli italiani come gruppo dominante, ai giovani dovrebbero essere offerte maggiori opportunità di sviluppare atteggiamenti positivi e di apertura verso una ideologia multiculturale, ad esempio attraverso programmi di educazione che cerchino di migliorare il senso di sicurezza percepita, nonché di ridurre il senso di minaccia legato all’immigrazione e la presenza di altri gruppi etnoculturali nella società.

Per concludere, dal presente contributo sembra nascere l’urgenza di pensare a politiche sociali e programmi educativi rivolti sia ai membri dei gruppi immigrati sia ai membri del gruppo dominante per promuovere maggiori opportunità di mutuo contatto interculturale. Tuttavia, nel progettare tali opportunità è estremamente rilevante sottolineare che, per migliorare la qualità delle relazioni tra gruppi, il contatto va garantito secondo specifiche condizioni (Allport, 1954): deve essere volontario, di pari dignità e promosso da norme condivise o da una dimensione politica. In questa linea, quanto qui presentato vuole rappresentare una base scientifica per lo sviluppo di simili iniziative affinché si possa sempre più efficacemente promuovere il dialogo interculturale e il benessere psicologico dei gruppi etnoculturali che vivono in società plurali, a partire da quelle del bacino mediterraneo.

Dialoghi Mediterranei, n.31, maggio 2018
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Pasquale Musso, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Lingue e Scienze dell’Educazione dell’Università della Calabria, è anche l’attuale presidente dell’Early Researchers Union dell’European Association of Developmental Psychology. I suoi interessi di ricerca ruotano intorno allo sviluppo positivo dei giovani e, in particolare, alle dinamiche di adattamento dei giovani immigrati nel contesto italiano e internazionale.
 Alida Lo Coco, è professore ordinario di Psicologica dello Sviluppo e dell’Educazione presso il Dipartimento di Scienze Psicologiche, Pedagogiste e della Formazione presso l’Università di Palermo. I suoi interessi di ricerca ruotano intorno ai temi delle relazioni tra pari in bambini e preadolescenti, dell’autonomia emotiva in preadolescenti e adolescenti e dello sviluppo positivo in adolescenti e giovani adulti. Ha pubblicato diversi studi, tra gli altri: L’autonomia emotiva in adolescenza, con U. Pace;  Psicologia delle relazioni interetniche , con C. Inguglia.
Cristiano Inguglia, è ricercatore confermato di Psicologica dello Sviluppo e dell’Educazione presso il Dipartimento di Scienze Psicologiche, Pedagogiste e della Formazione presso l’Università di Palermo. Si occupa nelle sue ricerche delle relazioni tra pari in bambini e preadolescenti, delle relazioni interetniche in adolescenti e del ruolo dell’autonomia, della connessione e della competenza nei processi di adattamento dei giovani adulti.

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Una risposta a Relazioni interculturali nel contesto mediterraneo: il contributo della psicologia

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