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Qualcosa di più di un teatro. Diario di un’esperienza a Mazara

Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2014 @ 01:01 In Cultura,Migrazioni | No Comments

1. Cercatori di tracce2(foto-Maurizio-Montanari)

di    Alessandro Renda

“Osktu! Yezi!” sono state le prime parole che ho imparato a pronunciare in arabo, “silenzio! Basta!”, solo così sono riuscito ad attirare la curiosità di Usema, Ridha, Bilel, Giuseppe, Haifa e Fatouma. Ma andiamo per ordine.

Un giorno di primavera del 2009, Marco Martinelli, fondatore, regista e drammaturgo del Teatro delle Albe, compagnia di cui faccio parte, mi ha annunciato che avremmo fatto un progetto a Mazara del Vallo. Sono nato nel nord d’Italia, la mia terra di adozione è la Romagna, ma il sangue è siciliano; Mazara del Vallo è la città di mia madre, dei miei nonni e delle estati della mia infanzia. Fare un progetto teatrale con la mia compagnia, nella città delle mie origini, è stata una particolare e felice coincidenza.

Nei primi giorni passati a Mazara a cercare ispirazioni per lo spettacolo, che inizialmente volevamo realizzare sull’origine di alcune drammaturgie di Molière, qualcosa è cambiato. Ritrovandoci a leggere davanti a quel mare la triste cronaca dei naufragi, ridotta a trafiletti con numeri, senza volti e biografie, abbiamo deciso di mettere da parte Molière per iniziare a pensare ad uno spettacolo che riflettesse su quelle tragedie dell’immigrazione. Questo moderno olocausto, che dal 1988 ad oggi conta circa venti mila morti, spesso è ridotto a semplici statistiche e sembra non riguardarci.

Dopo una fase di documentazione, abbiamo capito quanto fosse fondamentale ascoltare soprattutto le storie e le voci di chi ha vissuto la tragica esperienza di quei viaggi disperati. Il teatro si nutre di volti, voci, gesti, ha bisogno di ascoltare e incontrare da vicino. Per questo ci è venuta l’idea di creare un laboratorio teatrale che ci permettesse di vivere e comprendere meglio Mazara.

Questa scelta era in stretta relazione con la poetica della compagnia, che da più di vent’anni affianca ai propri spettacoli laboratori teatrali con gli adolescenti, una pratica teatrale che è stata chiamata non-scuola, perché non intende “formare” dei giovani attori con copioni e parti assegnate, ma creare scintille tra l’immaginazione dei ragazzi e la tradizione teatrale e far scoprire la forza anarchica e liberatoria del palcoscenico.

Dioniso, il Dio del teatro, negli adolescenti ha bisogno di pochissimo per venir fuori in tutta la sua sfrenata irruenza e ogni volta abbiamo sperimentato quanto il teatro possa ritrovare senso in questo incontro, quanto gli adolescenti “nobilitino” il palcoscenico, che si fa umile medium della loro carica vitale.

All’inizio, però, gli adolescenti di Mazara, faticavano a “lasciarsi andare”. Quello che chiedevamo era di “giocare” al teatro con noi. In italiano usiamo la bruttissima parola “recitare”, mentre altre lingue rispecchiano meglio la natura vera del teatro: to play, jouer

I ragazzi di “Voci dal Mediterraneo”, doposcuola organizzato dalla Fondazione San Vito onlus, non volevano giocare, un po’ perché assumevano uno strano scetticismo che gli faceva apparire tutto stupido e inutile, un po’ perché molti dei ragazzi tunisini, a 16-17 anni, sentono di dover interrompere bruscamente la loro adolescenza e comportarsi da adulti, abituati come sono a fare gli uomini di casa in assenza dei loro padri imbarcati sui pescherecci della marina mazarese, mentre le ragazze temono il giudizio dei coetanei tra i vicoli della Casbah o sugli autobus da scuola verso casa.

Dei sessantuno partecipanti, solo sette o otto erano italiani, gli altri avevano origini tunisine, nuove generazioni di quell’immigrazione che dai primi anni ’70 ha riportato a Mazara del Vallo l’arabo nelle strade, circa mille anni dopo la bicentenaria dominazione araba. Gli adolescenti tunisini di Mazara vivono a cavallo fra Italia e Tunisia. L’unica cosa per cui sentono un’appartenenza senza titubanze è la loro città, Mazara. Alcuni di loro, pur essendo nati in Italia, hanno solo il siciliano come lingua madre, mentre l’italiano l’hanno imparato a scuola, magari dopo aver frequentato le elementari alla scuola tunisina.

Oltre ai primi rudimenti di arabo, ciò che ha fatto decollare il laboratorio e vinto quello scetticismo che non avevo mai incontrato in modo così fermo in nessun’altra occasione in precedenza, è stata la scelta di chiedere a don Fiorino e Annamaria Lodato (rispettivamente presidente della Fondazione San Vito Onlus e coordinatrice di “Voci dal Mediterraneo”) di poter riprendere nel gruppo alcuni ragazzi che per “irruenze eccessive” erano stati allontanati dal Centro. Quelle irruenze erano fondamentali per la non-scuola e i vari Ridha, Usema e Mohamed sembravano essere gli unici ad aver compreso lo spirito del laboratorio: insopportabilmente vivaci per il doposcuola, meravigliosi satiri danzanti per la non-scuola.

Nei primi mesi era difficile anche solo tenere un po’ di disciplina, al punto che disperavamo di arrivare in fondo. Appena qualcuno cominciava a lavorare, a impegnarsi, tutti gli altri lo irridevano, “remavano contro”. I più piccoli erano sbeffeggiati dai grandi. Una volta creata un’amicizia, una volta spezzato un muro di diffidenza («Cosa vogliono questi che vengono fin da Ravenna? E dov’è Ravenna? Ah, ho capito, è vicino a Mirabilandia!»), anche le prove del laboratorio sono decollate. Abbiamo deciso di lavorare su Cercatori di tracce di Sofocle, una favola di 2.500 anni fa, che narra del furto delle vacche di Apollo e della loro ricerca da parte di Sileno e dei suoi satiri per ottenere la ricompensa. Abbiamo aggiunto al testo di Sofocle delle risonanze poetiche molto care alla terra siciliana: se i servi del dio Apollo, i satiri, cercano le tracce delle vacche rubate al loro padrone, è venuto spontaneo inserire delle ‘tracce letterarie’ da Alì Al-Ballanubi a Ibn Hamdis, poeti arabi nati in Sicilia mille anni fa ed emigrati in Nord Africa ai tempi della conquista normanna, poeti che descrivevano nostalgie e senso di spaesamento, sentimenti molto simili a quelli dei nostri ragazzi tunisini. Non volevamo metter in scena Sofocle. Volevamo “metterlo in vita” a Mazara. Un Sofocle con la danza del ventre.2. IMG_0345

Abbiamo creato due bande a partire dai personaggi mitici di Sofocle, i satiri e le ninfe, due cori che si fronteggiavano usando i tamburi, i canti e le danze della tradizione tunisina, dove anche i bambini siciliani si sono inseriti con naturalezza. Lo splendido Satiro danzante ritrovato nel profondo del Mediterraneo e oggi in mostra al Museo di Mazara, è stata una suggestione visiva assai “prossima” e utile per rimettere in vita le figure ghignanti e malinconiche dei satiri di Sofocle.

Per molti mesi abbiamo proseguito l’esperienza su due binari separati, ma fortemente connessi: da una parte Cercatori di tracce e l’immaginario dei ragazzi, i satiri, Sofocle, i canti di tradizione tunisina, dall’altra procedeva l’idea di uno spettacolo partendo dall’ascolto di storie di migranti che su quelle carrette del mare avevano compiuto la traversata e di capitani dei pescherecci, che tanti ne avevano visti e tanti ne avevano salvati.

Nella primavera del 2010 Marco ha scritto di getto un incubotico poemetto, un monologo che partendo da quell’ossessione numerica che ci aveva colpito nella lettura delle superficiali informazioni giornalistiche, metteva sulla scena un personaggio demoniaco, un generale alle dipendenze di un fantomatico “Ministro dell’Inferno”, unico abitante di un’altrettanta immaginaria isola in mezzo al Mediterraneo, nella quale pratica la “politica degli accoglimenti”, non si sa dove, forse già nel mondo degli inferi. La suggestione “vulcanica” di quell’isolotto fantasma è stata la visione fondamentale che ha acceso Ermanna Montanari, fondatrice, autrice e attrice del Teatro delle Albe, ispirandosi alla storia dell’isola Ferdinandea.

Una delle prime decisioni è stata quella di non voler fare uno spettacolo di narrazione civile, per evitare quel modo di essere fortemente politici, che diventa consolatorio. Volevamo creare uno spettacolo che ponesse lo spettatore davanti alla fastidiosa consapevolezza di corresponsabilità di questa immane strage. Per questo ci è sembrato giusto “spostare” la scena su un piano traslato, metafisico, grottesco e irreale, per allontanarci dalla cruda realtà delle cronache e andare in una direzione più vicina al nostro modo di intendere il teatro.

Alla fine di maggio c’è stato il debutto di Cercatori di tracce, all’ex collegio dei Gesuiti. C’era tutta la Mazara “ufficiale”, dal sindaco al vescovo, e soprattutto c’erano tutte le famiglie degli adolescenti e quindi gran parte della comunità tunisina. Per tutti è stato un motivo di orgoglio sentire la propria lingua in relazione paritaria, musicale e armonica con le altre: la lingua araba mescolata al dialetto siciliano, l’italiano al dialetto tunisino.Lo spettacolo, oltre all’emozione dell’esito scenico, è stato un percorso che ha mobilitato anche le famiglie degli adolescenti: tante madri si sono prodigate, chi a curare i costumi, chi a preparare merende per i figli coinvolti fino a tardi nelle prove dello spettacolo.

Dopo la festosa presentazione a Mazara del Vallo, Cercatori di tracce ha portato l’energia dirompente dei sessantuno adolescenti anche a Palermo e a Ravenna, divenendo prologo del Ravenna Festival 2010. Lo spettacolo, che inizialmente doveva svolgersi alla Rocca Brancaleone di Ravenna, per problemi di maltempo è stato spostato nel teatro di Mirabilandia, ironia della sorte, la “città” con la quale ci identificavano i ragazzi fin dall’inizio del laboratorio. A luglio abbiamo debuttato nel nostro teatro, il Teatro Rasi di Ravenna, con Rumore di acque, questo il titolo del monologo scritto da Marco Martinelli, anche se per mesi l’avevamo chiamato “Gheddafi”, figura che aveva tremendamente ispirato Marco nella scrittura e me nel lavoro di attore.

Sia in Cercatori di tracce che in Rumore di acque ci siamo avvalsi della collaborazione preziosa dei Fratelli Mancuso, tra i più alti esponenti della tradizione musicale siciliana, capaci di utilizzarla e reinventarla con una commovente, necessaria attualità, ma anche disponibili a “prestare” le loro percussioni ai ragazzi, insegnando loro ritmi e cadenze e a comporre la struggente partitura musicale di Rumore di acque, vero e proprio controcanto tragico alla greve violenza del protagonista del monologo.

Abbiamo replicato il laboratorio con gli adolescenti anche l’anno successivo, lavorando su un altro classico, Uccelli di Aristofane, e la speranza sia nostra che di “Voci dal Mediterraneo” è di poter un giorno tornare con la non-scuola a Mazara, ovviando ai 1400 chilometri di distanza che ci separano. Rumore di acque per tre anni è stato in tournée in tutta Italia, da Lampedusa a Bolzano e nei primi mesi del 2014 sarà negli Stati Uniti, segno che il tema affrontato trova facile traduzione in ogni parte del mondo.3. Cercatori_di_tracce2_Maza.1275404424

Da quella primavera del 2009 il Mediterraneo è molto cambiato, Gheddafi non c’è più e ci sono state le “primavere arabe”, ma purtroppo Rumore di acque continua a essere attuale. All’interno del Teatro delle Albe, oltre ad essere attore e “guida” dei laboratori della non-scuola, mi occupo anche di video. Molto spesso ho accompagnato alcune delle nostre esperienze in giro per il mondo con la telecamera, dal Senegal a Chicago, dal Brasile a Scampia. Durante l’esperienza siciliana ho usato la telecamera come un taccuino per gli appunti, registrando voci e sonorità, volti e cieli, perlustrando Mazara alla ricerca dei suoi tanti passati, imbarcandomi sul peschereccio Prassitele di Capitan Ciccio al largo di Capo Bon e approdando a Lampedusa per vedere i suoi innumerevoli cimiteri di barche. Su quelle visioni sto ancora lavorando alla ricerca di una struttura per un documentario e, a volte, mi sembra di pèrdermici dentro: mi sembra quasi di voler rimanere tra i vicoli della Casbah, senza capir bene in quale delle due sponde del Canale di Sicilia mi trovo.

Dialoghi Mediterranei, n.5, gennaio 2014

 

 

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