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Profilo basso

Posted By Comitato di Redazione On 1 settembre 2014 @ 01:35 In Attualità,Letture | No Comments

copertina   di Federico Costanza

La Terza Guerra Mondiale è già iniziata secondo Papa Bergoglio, seppur “a pezzi”.
“A pezzi” è un’espressione che ben si adatta alla crisi geopolitica che attraversa attualmente diverse aree del mondo, dal Nord Africa al Medio Oriente, l’Europa, l’Asia, l’Africa, tutte apparentemente legate da un sottile filo conduttore. Nella ridda di notizie che ci giunge quotidianamente attraverso i media si fa fatica a comprendere la distribuzione dei diversi conflitti, i protagonisti, le sigle, le alleanze, la dinamica delle operazioni militari. Ne emerge, quindi, solo la percezione di una drammatica scia di violenza. Prevale un senso di impotenza di fronte alla recrudescenza dei combattimenti, all’incapacità di capire a fondo la comparsa e l’avanzata di oscuri gruppi estremistici, sempre meglio equipaggiati e minacciosi.

Il progressivo fallimento delle “primavere arabe” ha infine deluso le speranze di chi credeva che l’entusiasmo di masse per anni oppresse da regimi di vario tipo potesse da solo trascinare il variegato mondo arabo verso un proprio autonomo sviluppo civile, che contemplasse valori democratici e moderni.

Il tempestivo riscatto dei gruppi islamisti ha gettato una cupa e vasta ombra sull’intero processo di cambiamento politico dell’area, anche su quello che da sempre rappresenta il capro espiatorio in ogni tipo di discussione sul tema: la questione israelo-palestinese. L’avvio delle operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza è stato accolto con la solita indifferenza dell’opinione pubblica internazionale, sebbene stavolta, a differenza della precedente  operazione “Piombo fuso”, le testimonianze dei tanti giornalisti stranieri sono state numerose, documentando un massacro di civili senza precedenti.

1.Ai confiniA poco poco però, le aggressioni a differenti minoranze religiose e linguistiche, in Siria come in Iraq, la comparsa di fantomatici califfati islamici, in corrispondenza dell’avanzata del cosiddetto esercito islamico dell’ISIS (o ISIL – Islamic State of Iraq and Levant), la liquefazione dell’embrionale Stato libico e la minaccia pressante del terrorismo in molte regioni dell’Africa sub-sahariana hanno spostato l’attenzione, relegando la guerra di Gaza alla cronaca quotidiana dell’interminabile e incomprensibile storia di oppressione che tutti conosciamo.

C’è chi, però, da anni si sforza di raccontarci quello che accade in Palestina e lo fa con la perseveranza di chi sa resistere all’imperante standardizzazione dell’informazione di massa. I protagonisti di questa resistenza sono le tante organizzazioni di civili che nel corso di questi sessantasei anni di conflitto israelo-palestinese si sono sforzati di credere che una via alla risoluzione del conflitto può esserci, ma che passa, gioco-forza, dal riconoscimento dei diritti negati al popolo palestinese. Organizzazioni come il “Coordinamento Puglia-Palestina” svolgono questa funzione meritoria da anni, rivendicando il diritto dei cittadini palestinesi a ricevere cure mediche, raccogliendo farmaci in Europa e organizzando convogli verso la Striscia di Gaza.

Chi, fra i tanti, ha scelto di dedicarsi a Gaza e alla Palestina, sacrificando anche la propria vita, è stato Vittorio Arrigoni, ricordato dalla madre, Egidia Beretta Arrigoni, nel libro Il Viaggio di Vittorio (Dalai Editore, 2012), presentato nei giorni scorsi da “Puglia-Palestina” in diverse città pugliesi. La figura dell’attivista e reporter trentaseienne, “Vik” per gli amici, assassinato a Gaza nell’aprile 2011 da un commando giordano salafita, è forse una delle più romantiche incontrate negli ultimi anni. Vittorio è stato un attivista puro, che non ha mai perso la propria tenacia dinanzi alla barbarie di un conflitto apparentemente senza soluzione. La sua profonda visione umanista del mondo, costantemente accompagnata da un’idea di pace mai disgiunta dal valore della giustizia, lo hanno reso un “capitano coraggioso”, un guerriero della volontà.

 la madre di Vittorio Arrgoni in una presentazione del suo libro

la madre di Vittorio Arrgoni in una presentazione del suo libro. (foto di Marella)

Nel libro a lui dedicato, la madre ne ha tratteggiato gli aspetti più intimi del carattere, raccogliendo aneddoti, pagine di vita intense e profonde, come i versi delle poesie che amava creare, incisive come la pervicacia di un uomo che non crede possa esistere un mondo così crudele, soprattutto verso i bambini, le prime vittime della guerra. Vittorio era arrivato a Gaza dopo aver girato il mondo, partecipando ai tanti progetti di cooperazione internazionale in Africa, Sud America, Europa dell’Est. Si era gettato a capo chino su quella complessa e drammatica realtà, sviscerando tutto quello che di umano poteva trovarvi. Si sentiva investito dal dovere di responsabilità verso quella gente, rinchiusa in un sistema di oppressione e mortificazione. Eppure, nella resistenza a quel sistema, manteneva ed esortava a preservare l’umanità. «Restiamo umani» ripeteva sempre nei suoi scritti, alla fine dei reportage, nei messaggi video, nell’attività giornalistica che lo aveva portato a informare l’opinione pubblica attraverso il blog da lui creato nel 2004, “Guerrilla Radio”, che divenne il blog più consultato in Italia durante l’operazione “Piombo Fuso” del 2008.

Vittorio aveva scelto di attivarsi grazie alle tante organizzazioni internazionali che forniscono aiuti umanitari in Palestina e che rendono possibile filtrare l’informazione che fuoriesce dal conflitto israelo-palestinese. Aveva deciso di non assecondare la volontà del padre che lo voleva al suo fianco nella gestione di una piccola ditta perché era consapevole del proprio ruolo di cittadino del mondo, portatore di una responsabilità davvero globale.

Il ricordo di Vittorio affiora attraverso le esperienze maturate, dai racconti, dalle pagine dei diari di viaggio, dalle copie delle prenotazioni aeree, un unico percorso che ha portato questo giovane uomo dalla prima esperienza in Perù fino a Gaza, dove la sua breve vita si è conclusa.

Un viaggio iniziato con la propria famiglia, coltivando la passione per la lettura, per la poesia, per la narrazione, in una sorta di percorso formativo che lo ha portato a confrontarsi con quelli che per lui sarebbero sempre rimasti degli esempi di impegno attivo: Falcone e Borsellino, Rosa Parks, Martin Luther King, Che Guevara, Nelson Mandela. Da questi uomini Vittorio traeva la forza delle proprie idee e trovava infine la vocazione che lo ha condotto alla consapevolezza di non poter lasciare questo mondo come lo aveva trovato. Vi era un alto senso di responsabilità che lo spingeva a superare le difficoltà che le sue scelte gli imponevano, anche quando la sua attività era divenuta invisa allo Stato di Israele, che a più riprese aveva cercato di impedirne il rientro nei territori occupati della Palestina, attraverso la reclusione, l’aggressione fisica per dissuaderlo, il linciaggio mediatico.

«Profilo basso» gli chiedeva costantemente il padre al telefono, ma si trattava di una richiesta insensata per chi aveva sempre tenuto alta la testa di fronte alle ingiustizie cui assisteva quotidianamente a Gaza, nei territori occupati, nei campi profughi. Ardeva ormai in lui una fiamma: «il gemere di un neonato furore» aveva apostrofato nel 2004 la nascita del suo blog “Guerrilla Radio”. Era il furore del capitano coraggioso, come quando si pose al fianco dei pescatori di Gaza nella difesa del proprio diritto a sfruttare le risorse che il loro mare offriva, come quando trasmetteva lo stesso coraggio ai bambini dei campi profughi cui regalava sorrisi, serenità, spezzando il rituale della paura, la mortificazione di chi è costretto a vivere sotto la minaccia dei bombardamenti, consapevole di cosa possa voler dire perdere i propri pochi averi nel volgere di qualche istante, come ci testimoniano i video dei raid aerei su Gaza di questi giorni.

In tutto ciò, Vittorio Arrigoni non disdegnava di dibattere con chi lo aveva deluso umanamente, come accadde in occassione delle critiche mosse a Roberto Saviano e Marco Travaglio per l’appoggio alquanto naif a Israele, a uso e consumo di una propaganda di maniera che imperversa in Occidente. Era la richiesta di un confronto umano. A questa umanità “Vik” era rimasto fedele. Alla capacità di ognuno di noi di riflettere sul mondo che lo circonda, di osservarlo con profonda attenzione, assumendosi la responsabilità delle proprie azioni.

3Era a questa assunzione di responsabilità che l’attivista italiano faceva riferimento quando auspicava il rispetto dei diritti del popolo palestinese, fatto di giovani, vecchi, bambini, che una diffusa neutralità manichea reputa ancora oggi normale relegare all’interno di un sistema oppressivo e illegale. Anche per questo era convinto che l’unica soluzione possibile fosse quella di riunire i due popoli, israeliano e palestinese, in un unico Stato, in cui fosse riconosciuta un’eguaglianza di fatto dei diritti civili.

Come si può parlare di pace se prima se non si riflette a fondo sul concetto di giustizia? Come si può restare umani di fronte all’ignominioso traffico di esseri umani che come “uomini tonno” (secondo un’espressione di Vittorio stesso) si disperdono nel mondo, lontano dai loro paesi, sentendosi sempre e comunque come pesci fuor d’acqua?

Quotidianamente, milioni di giovani attivisti come Vittorio Arrigoni si sforzano di rispondere a tali questioni, inseguendo un sogno di giustizia, conservando a loro modo “profilo basso”, mantenendo alto, piuttosto, il loro impegno, nella consapevolezza che occorre preservare la propria umanità di fronte alle ingiustizie che incontrano, perché i veri vincitori, citando Nelson Mandela, sono «sognatori che non hanno mai smesso di sognare» e, come avrebbe chiosato Vittorio, sono «rimasti tenacemente umani».

Dialoghi Mediterranei, n.9, settembre 2014

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Federico Costanza, dirige la sede di Tunisi della Fondazione Orestiadi di Gibellina, si interessa di management strategico culturale e progettazione artistica, con un’attenzione specifica all’area euro-mediterranea e alle società islamiche. Nella Tunisia post-dittatura, ha promosso e supportato diverse iniziative culturali, aggregando le avanguardie artistiche tunisine attorno al centro culturale Dar Bach Hamba, sede delle Orestiadi a Tunisi.

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