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Pratopiano. Un luogo dalla memoria al futuro
Posted By Comitato di Redazione On 1 luglio 2020 @ 00:55 In Cultura,Società | No Comments
il centro in periferia
di Nicoletta Malgeri
Ciascun luogo cela dietro di sé una storia che va riscoperta per fondare un nuovo presente: è questa la scommessa che muove l’azione e l’impegno di Giuseppe Curcio, per tutti Peppino. Peppino Curcio, storico e paesologo, da anni impegnato in attività di tutela dei diritti e di valorizzazione della cittadinanza attiva [1], si fa promotore di una innovativa missione sociale e culturale, che parte dalla riscoperta dei segni che la storia ha lasciato in un piccolo territorio dell’entroterra calabrese, posto a circa 900 m.s.l.m [2], nel cuore della montagna silana: Pratopiano (in dialetto calabrese “Prat ‘e Chianu”).
La storia di Pratopiano si inserisce in quella del territorio più vasto nel quale esso si trova, ovvero il comune di Casali del Manco. Comune di recente formazione, ma dalle radici storiche molto lontane nel tempo, Casali del Manco ha un territorio piuttosto esteso (168,96 Km²di superficie [3]), con zone ricomprese nell’area del Parco Nazionale della Sila, tra cui la cima più alta della Sila (il monte Botte Donato, 1928 m.s.l.m.), e aree confinanti con la vicina città di Cosenza. Con una popolazione che oggi è di 9.928 abitanti [4], Casali del Manco, nasce nel 2017 dalla fusione di 5 ex comuni cosentini, Pedace, Serra Pedace, Spezzano Piccolo, Trenta e Casole Bruzio, a seguito di un referendum consultivo tenutosi il 26 marzo 2017 [5]. La sua è la storia di una comunità calabrese, attiva e partecipe, che, pur cambiando profondamente al suo interno, riesce a mantenere forte i legami culturali e identitari col proprio territorio.
Al partire dal secondo dopoguerra l’area ricompresa nei Casali del Manco ha vissuto un andamento demografico diversificato nei 5 ex comuni [6], ed ha visto, nell’ultimo decennio, una progressiva riduzione della popolazione residente [7] (riduzione che non si arresta, anzi, sembra accentuarsi nel corso degli ultimi due anni, dopo l’avvenuta la fusione dei comuni). A questo cambiamento della struttura demografica si è accompagnato una profonda trasformazione dei principali tratti sociali della comunità del luogo. Al progressivo ridursi e invecchiamento della popolazione, per lo più contadina, ha fatto seguito, infatti, un crescente peso del settore terziario. Eppure, ancora ad oggi, gli abitanti dei Casali attraverso iniziative culturali, sociali ma anche politiche, tendono a rivendicare il proprio senso di appartenenza a un territorio che presenta specifici elementi identitari.
Questo forte senso di appartenenza alla comunità è dimostrato, ad esempio, dal tipo di scelta che i cittadini fanno riguardo allo stemma di cui deve dotarsi il nuovo comune [8]. Uno stemma che sembra ribadire, con forza, l’avvenuta fusione dei Casali nonché le forti relazioni paesaggistiche e storiche che in essi intercorrono [9]. Un secondo esempio, testimonianza del forte senso di identità della comunità, ci è offerto dal nome che i cittadini prescelgono per designare il nuovo comune: “Casali del Manco” [10]. Il nome, infatti, rimanda all’antico termine con cui veniva identificato tutto il territorio. “Casale” sta per un gruppo di poche case rurali, sparse nel territorio, e rimanda alle prime forme di abitazione presenti sul territorio tra il X e XI secolo [11]; “Manco”, letteralmente “A sinistra”, può essere interpretato in due modi diversi: secondo alcuni sta per “alla sinistra del fiume Crati” secondo altri “alla sinistra della via Consolare o via Popilia provenendo da Roma” [12].
Come si sarà potuto notare, da quanto sopra riportato, la nascita del comune di Casali del Manco si è accompagnato a significativi momenti di coinvolgimento dei cittadini. È questo uno dei tratti culturali tipici di questa comunità: la forte partecipazione popolare alle scelte del proprio territorio. Una caratteristica che la differenzia nettamente dal restante contesto calabrese [13]. Ne è la prova il referendum istitutivo del comune che ha visto una partecipazione al voto piuttosto alta (quasi la metà degli aventi diritto al voto, il 46,84%) [14]. Una partecipazione politica che affonda le proprie radici in usanze e istituti nati intorno al X secolo d.C., sotto il regno Normanno, e che si sono mantenuti in vita sino all’inizio dell’800, ovvero per quasi dieci secoli di storia. I suddetti istituti sono le baglive e le Universitas. Le baglive [15], infatti, oltre a ricoprire il ruolo di mere e proprie unità amministrative, esprimevano forme di partecipazione davvero significative, che permettevano ai cittadini di esprimere il proprio parere attraverso i propri rappresentanti oppure tramite le cosiddette Universitas [16]. Si trattava, insomma, di vere e proprie assemblee pubbliche in cui i cittadini potevano prendere la parola [17].
L’azione di Peppino, originario di Pedace, si inserisce proprio all’interno di questo contesto dai tratti del tutto singolari, in cui il senso di comunità è profondamente radicato. Pratopiano, a pochi chilometri da Pedace, è, riprendendo le parole di Peppino, «un luogo ricco di storia». Pratopiano è la storia dei briganti casalini; Pratopiano è la storia dell’antica civiltà contadina dei casali; Pratopiano è la storia di Pietro Ingrao, che ha trovato rifugio a Pratopiano nella casella di Peppino; Pratopiano è una storia tutta da scoprire.
Da luogo di ricordi a luogo dell’esplorazione
Pratopiano è, per Peppino, il luogo da cui partono tutti i ricordi legati alla sua infanzia. Gli alberi monumentali, il vocìo delle persone che si chiamavano da una vallata all’altra, le persone che si aggiungevano lungo il cammino che lo portava lì dove c’erano i castagni. Immagini che sono rimaste intatte nella sua memoria:
È da questo luogo che, Peppino, intorno ai primi anni 2000, inizia «la sua grande esplorazione». Esplorazione è il termine che egli usa maggiormente perché definisce, in maniera più chiara e precisa, il viaggio di ricerca storica, ma anche, antropologica che compie all’interno dell’ampia montagna. L’accoglienza dei primi gruppi scout nella sua tenuta di Pratopiano ne chiarisce l’origine:
Gli scout, sottolinea Peppino, “esplorano” il territorio, ovvero lo interrogano per conoscerlo più a fondo, per dare un senso a ciò che li circonda. Questo modo di guardare il paesaggio lo illumina e, ben presto, le loro domande diventeranno le sue. Come lui stesso afferma:
Le ricerche sui briganti
L’esplorazione parte dalle prime ricerche che Peppino fa sui briganti presenti nel territorio dei Casali. In questo viaggio di esplorazione gioca un ruolo importante una figura a lui molto cara, lo zio materno, Pietro D’Ambrosio [20], autore del libro, edito nel 2002, dal titolo Brigantaggio, Pietro Monaco e Maria Oliverio. Storia e Documenti di un mito della Presila [21]. Testo che si apre con le seguenti parole:
Peppino riparte dalle ricerche dello zio “Pietrino”, riguardanti la storia di due briganti dei Casali, Pietro Monaco e la brigantessa Maria Oliverio, alias Ciccilla, per poi ampliarle, approfondirle ed estenderle ad altre storie di briganti casalini. Una ricerca che avrà la durata di circa dieci anni: prima all’Archivio Centrale dello Stato, dove ritrova gli atti del processo a Ciccilla; poi all’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, dove viene a conoscenza di alcune fonti che accennano a un interesse del grande scrittore francese, Alexandre Dumas, per la brigantessa Ciccilla. Fonti che Peppino verifica direttamente alla Biblioteca Lucchesi Palli, sezione della Biblioteca Nazionale di Napoli, dove, nello sfogliare i primi numeri del giornale l’Indipendente, si ritrova fra le mani un racconto storico, inedito, di sette capitoli, scritto dallo stesso Dumas. Un racconto dedicato proprio ai briganti Pietro Monaco e Maria Oliverio:
Questa, per Peppino, è una grande scoperta. La sua ricerca prosegue all’Archivio di Stato di Cosenza, dove ha modo di consultare i processi, di cui ben 38, legati alla banda di Pietro Monaco, sono quelli da lui stesso ricostruiti. Una ricerca puntigliosa e certosina durante la quale, con commozione, ritrova anche tra i fascicoli alcune carte sparse, appunti con la grafia dello zio Pietrino, al tempo, purtroppo, deceduto. Le lunghe ricerche di Peppino mettono in luce diversi aspetti che aiutano a comprendere il fenomeno del brigantaggio nella Sila. Egli, innanzitutto, ci consegna un’immagine dei briganti del tutto diversa da quella offertaci da gran parte della letteratura:
Una storia che è stata incredibilmente rimossa dalla stessa comunità del luogo, quasi non fosse mai esistita:
Peppino porta nelle scuole le storie, crude e atroci, dei briganti dei casali, cercando di offrire un racconto quanto più fedele alle carte, ai processi da lui esaminati:
Le carte che Peppino studia fanno emergere un altro dato interessante, ossia il fatto che i briganti si ponevano al di fuori della comunità e vi rientravano soltanto in determinati momenti: quando venivano assoldati dai carbonai perché manodopera a basso prezzo, oppure, quando venivano accettati come portantini della statua del santo patrono della specifica comunità. Peppino, pertanto, preferisce chiamarli “fuoriusciti” [27]. Non solo. Le sue ricerche mettono in luce anche un altro interessante dato antropologico che ha a che fare col modo di vestirsi dei briganti. Quello che egli stesso definisce una sorta di “divisa”:
La storia dei briganti segna nel profondo la comunità. È un «fenomeno endemico» del territorio, volendo riprendere un’espressione usata dallo stesso Dumas. Un fenomeno che trova il proprio fondamento nella collocazione geografica del luogo, ossia il fatto di avere un grande territorio vergine alle spalle, la Sila, in cui potersi facilmente nascondere e, nelle vicinanze, una città, Cosenza, nella quale abitavano persone ricche, facoltose, quindi, facilmente derubabili [29].
Peppino, tassello dopo tassello, restituisce al territorio quella memoria storica di cui si è perso il ricordo. Ma, le sue ricerche, non si limitano a questo. L’obiettivo di Peppino è, soprattutto, divulgativo. Questa è la grande originalità del suo impegno sociale, sia come storico sia come cittadino dei Casali. Sente quasi il “dovere” di raccontare le sue scoperte, perché fanno parte della storia della comunità. Questo è il motivo per cui scrive due testi sui briganti. Il primo, pubblicato nel 2010, è intitolato Ciccilla. La storia della brigantessa Maria Oliverio, del brigante Pietro Monaco e della sua comitiva [30]. Pubblicazione che gli permetterà di organizzare numerosi eventi culturali dedicati alla storia dei briganti casalini e di alimentare un vivace dibattito nella comunità. A tal proposito ricordiamo che, nel 2015, l’Associazione culturale, Prometeo88, ha realizzato il film “Ciccilla”. Film al quale Peppino partecipa nel ruolo di sceneggiatore e di attore. Il secondo libro, pubblicato nel 2019, si intitola Briganti casalini [31]. Narra due storie, l’omicidio di un attivo contadino di Macchia, Francesco De Cicco, e l’omicidio di un tuttofare del casale di Serra Pedace, Francesco Piluso, alias Pagacota. Due “vittime” delle condizioni del clima terribile che si respirava al margine dell’Unità d’Italia, quando la giustizia, come ribadisce Peppino, era solo un’illusione, nulla più [32].
La riscoperta del paesaggio
Il paesaggio di Pratopiano vede la presenza di alcuni elementi distintivi: monumentali alberi di castagno [33], 192 esemplari quelli censiti da Peppino; antichi essiccatoi, dette caselle [34], luoghi preposti alla trasformazione delle castagne in pistilli (castagne secche); una calcara, il luogo dove si produceva la calce utile alla costruzione delle caselle; ben quattro sorgenti d’acqua. Tutti elementi che riportano alla memoria un’altra storia importante: quella di una civiltà contadina che ha fatto di Pratopiano il luogo di un’importante produzione castanicola [35]. Peppino rilegge il territorio e attraverso l’approfondimento e lo studio di ognuno dei suoi elementi caratterizzanti ne ricostruisce la storia e la vita che vi si conduceva:
I sentieri che si snodano lungo il territorio, anch’essi tracciati da Peppino insieme all’Associazione Prometeo88, sono delle vere e proprie rughe della montagna, in grado di riportare il visitatore indietro nel tempo. Un sentiero porta al Parco della Sila, nonché alle vette più alte dell’altopiano; un secondo sentiero porta alla montagna del Petrone o Greca, luogo in cui si conserva antichissime mura, lunghe un centinaio di metri, secondo alcuni risalente al II secolo a.C; un terzo sentiero arriva fino alle balze di Jumiciellu e passa accanto al castagno dove fu bruciata la testa del brigante Pietro Monaco. I sentieri incrociano il “Cammino di Pratopiano”, un sentiero storico religioso di 3,5 Km che intercetta i cammini che, dal Mille, attestano il passaggio dei monaci Greci, Cistercensi, Gioachimiti, Domenicani, Cappuccini, sino ai monaci Paolotti del vicino Convento di San Francesco di Paola [37].
All’interno di questo paesaggio Peppino realizza due strutture di accoglienza: i Rifugi Pratopiano. Il primo, il Rifugio base scout, è l’antica casella, ‘e Capucicala, di Peppino che, ristrutturata negli anni ‘50 e poi ampliata nel 2000, offre ospitalità agli scout. Il secondo, il Rifugio Alexandre Dumas, sorge nelle vicinanze della calcara. Due strutture che danno la possibilità ai visitatori di poter vivere appieno il territorio di Pratopiano.
Cesare Curcio: da storia personale a storia della comunità
La sua voglia di esplorare lo porta anche a scavare nella propria vita personale e familiare. Peppino è figlio di Cesare Curcio [38], uno dei più grandi leader popolari della comunità dei Casali. Militante antifascista, dirigente politico del Partito Comunista, eletto deputato e sindaco di Pedace nel secondo dopoguerra. Peppino sente il bisogno di recuperare e ricostruire la storia del padre. Anche qui, non solo per un bisogno personale (il padre morì quando Peppino aveva soli due anni), ma, soprattutto, per fare del suo esempio una ricchezza di cui tutta la comunità si possa appropriare. Lo scopo divulgativo, ancora una volta, in Peppino, è centrale. Una ricerca che lo porta a fargli rivivere anche gli aspetti più dolorosi della vita del padre. È il caso delle terribili torture da questi subìte e ricostruite da Peppino:
Cesare Curcio ospita, nel marzo del 1943, con l’aiuto del padre, nella sua casella di Pratopiano, un grande leader politico, destinato a segnare in futuro la storia del Partito Comunista italiano: Pietro Ingrao. Ingrao, al tempo perseguitato dal regime fascista, ricorda così le lunghe giornate lì trascorse:
Peppino cresce nel ricordo che gli altri hanno di suo padre. Persone, soprattutto del mondo contadino, con le quali Cesare Curcio intratteneva un legame profondo, mosso, soprattutto, da un forte senso di giustizia sociale. Peppino afferma: «Le coccole mi venivano dai contadini». Sono infatti i contadini a riservare a Peppino grandi forme di affetto. Contadini che si commuovevano quando lo vedevano e lo abbracciavano forte. Tutto ha origine in una lunga notte d’estate, sul finire degli anni ‘90. Peppino inizia a leggere i documenti lasciategli dal padre e a lungo conservati dalla madre. Questo è il suo racconto:
Peppino, ancora una volta, decide di fare qualcosa che lasci il segno nella comunità. Dichiara alla Soprintendenza archivistica di Reggio Calabria tutto il materiale che ha trovato su Cesare Curcio e questo viene riconosciuto, per il suo alto valore e la sua forte rilevanza pubblica, quale “bene di interesse nazionale”. Da qui parte l’idea di fondare un museo, il Museo Pratopiano. L’intento è quello di raccontare le “mille” microstorie di questo territorio. Un museo “diffuso”, come lo stesso lo definirà, che ingloba al proprio interno gli alberi monumentali, la calcara, le caselle, le sorgenti, i sentieri nonché uno spazio chiuso, ricavato nel piano inferiore della seconda struttura di accoglienza, in cui è possibile osservare una mostra fotografica sulla vita di Cesare Curcio. Sono esposti inoltre, al proprio interno, oggetti, documenti (in parte ritrovati nella sua casa natale) che raccontano la cultura della vita contadina di cui è figlio. Si trovano lì anche oggetti che raccontano il lavoro del padre, quale meccanico e proprietario di un’officina per camion. Il museo raccoglie, inoltre, i coltelli pedacesi, di cui la produzione nei casali è antichissima, nonché le pagine del giornale francese dell’800 dove è apparsa la storia di Pietro Monaco e Ciccilla, così come le immagini più eloquenti degli atti, oggi conservati presso l’Archivio Centrale dello Stato a Roma, attraverso i quali il Tribunale Militare Straordinario di Catanzaro ha processato Maria Oliverio.
Pratopiano: una storia che continua…
Oggi la storia di Pratopiano non è più una storia negata o dimenticata, bensì viva. Libri, film, mostre, percorsi paesaggistici, strutture di accoglienza, e, in particolare, la continua attività divulgativa portata avanti, con passione, da Peppino, parlano di un territorio che ha saputo risvegliarsi da un sonno durato lunghi anni. Lo sguardo al passato, ovvero la riscoperta della storia di Pratopiano e delle sue radici, diviene il punto di partenza per costruire un presente e un futuro migliore per un territorio, altrimenti, ai più sconosciuto.
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