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Postille al quadro di Antonello da Messina
Posted By Comitato di Redazione On 1 novembre 2016 @ 00:49 In Cultura,Società | No Comments
di Luigi Lombardo
Il 23 agosto del 1474 il venerabile don Giuliano Maniuni, beneficiato della chiesa dell’Annunziata di «Palacioli», firma a Messina davanti a testimoni il contratto con cui obbliga lo «honorabilis magister Antonius de Antonio», cioè Antonello da Messina, a dipingere un quadro di sette palmi (m. 1,75) «deauratum cum ymagine annunciationis virginis Mariae et Angeli Grabielis ac Dey patris et cum casamento [...] cum eius scannello depicto cum fuglacci et armi», cioè un dipinto su tavola dorato su cui venisse rappresentata la scena dell’Annunciazione con le figure della Vergine, dell’angelo Gabriele e del Padreterno in alto, e una predella in basso con decori a foglie e le “armi”, cioè le insegne probabilmente della famiglia committente. Purtroppo col terremoto di Messina del 1908 il contratto originale è andato perduto, e ci dobbiamo rimettere alla trascrizione fattane dal La Corte Cailler nel 1903. Al tempo della stipula di questo contratto Palazzolo Acreide, come altri centri, doveva attraversare un momento felice sia sul piano economico che culturale. Oltre all’Annunciazione di Antonello, nello stesso arco di tempo, fu commissionata la statua del Laurana (la «Madonna de Palaczu», oggi nella chiesa di Santa Maria di Gesù, volgarmente detta dell’Immacolata), e altre opere che arredavano in particolare la bella chiesa dell’Annunziata.
Una delle prime notizie (se non la prima dopo il documento del 1474) sulla presenza del quadro nella chiesa dell’Annunziata a Palazzolo Acreide, e sulla sua ubicazione originaria, la ricaviamo dalla visita pastorale che il vicario del vescovo, don Vincenzo Rabbito, compie a Palazzolo dopo il disastroso terremoto del 1542: in data 7 aprile 1543 il vicario visita la chiesa dell’Annunziata: «Visita la chiesa di santa Maria Annunziata che è confraternita; [...] e per primo visita l’altare maggiore dove vi è l’immagine della gloriosissima vergine Maria di figura ottima; visita un altro altare della vergine Maria Nunziata che è lapideo e ben fatto con altaretto integro e ottimo con figura bellissima di detta gloriosissima [Vergine]». Anche la visita pastorale del 25 maggio 1566 conferma che il vescovo prima visita l’altare maggiore, quindi in successione: «deinde visitavit altare ss.me Annunciationis», la cappella dell’Annunciazione, appunto.
Da queste primissime notizie si può con certezza stabilire che una cosa era l’altare maggiore dove si trovava un quadro della Madonna (probabilmente del Rosario), un’altra cosa era la cappella della Annunciazione dove era collocato appunto il quadro: in una cappella laterale, dunque, e non sull’altare maggiore, come sostenuto da tutti gli studiosi, in testa il La Corte Cailler, che scrive in proposito che alcune parti del dipinto andarono disperse, «quando il dipinto venne spostato dall’altare maggiore, sua sede originale, e posto su una parete laterale della chiesa dove appunto si trovava al momento del suo ritrovamento». Lo stesso errore ripete recentemente Mauro Lucco nella scheda di catalogo della mostra del 2006 alle Scuderie del Vaticano: «Secondo la tradizione [quale ?], l’opera era stata eseguita per l’altar maggiore della chiesa e solo a seguito del terremoto del 1693 era stata spostata sulla parete di sinistra, fredda e umida, che avrebbe causato la maggior parte dei suoi guasti; di questo tuttavia non esiste alcun riscontro documentario [...]» [1]. Niente affatto! Il quadro di Antonello è sempre stato in una cappella laterale, precisamente in quella che era chiamata «la Cappella degli Antonelli seu dei Lombardi».
La visita pastorale del 1605-1607
Molto importante, dettagliata e decisiva ai nostri fini è la visita pastorale a Palazzolo Acreide di monsignor Saladino, vescovo di Siracusa, che si svolge a partire dal 9 ottobre 1605. Egli, tra l’altro, visita, «la cappella fondata e fabricata dagli eredi di Tommaso Lombardo. Ordina che l’erede Andrea Lombardo facesse un quadro della Resurrezione di Gesù». Ma, fatto più importante, in occasione della visita, cioè l’undici ottobre, viene stilato l’inventario dei beni mobili e immobili appartenenti alla confraternita e alla chiesa, dove si nota, tra l’altro: «un quatro in tavula lavorato di oglio con la Nontiatione di la Madonna con il [la] cornici et pilastri intagliati et dorati cum lo cangiello [cancello] palagustrato di noci et collori et cappello branchiato di legnami […]»: si tratta come si intuisce facilmente della cappella dove si trovava il quadro su tavola di Antonello, che da quello che si legge doveva avere anche una cornice. La cappella era ornata anche di una «cortina di tila di sangallo che si trova davanti lo quadro di la Nunziata». Il quadro dunque si trovava in una cappella laterale, dove venivano sepolti gli “Antonelli”, cioè i membri della famiglia Lombardo. La cappella era in pietra bianca a colonne e pilastri dorati, che reggevano un «cappello branchiato di legnami», una sorta di baldacchino, chiuso da una balaustra con cancello di legno di noce.
In un’altra visita del 1628 il vescovo ordina perentoriamente che «lo tabbuto che è nella cappella dell’Annunziata si facci levare a dispesi delli padroni e si facciano sequestrare li renditi alli gabelloti delli beni feudali di detti padroni», a conferma dell’uso funerario della cappella naturalmente a favore dei fondatori, cioè i Lombardo de Antonello. La notizia è confermata da altri atti questa volta di natura notarile da me trovati.
Nel 1661 nel suo testamento don Tommaso Lombardo vuole essere seppellito nella cappella dell’Annunziata dove si trovano i suoi “antecessori” [2]. Tale cappella rimase in vita fino al terremoto del 1693, quando tutta la chiesa dell’Annunziata crollò, travolgendo altari, cappelle e suppellettili, fra cui il capolavoro di Antonello e il bellissimo altare degli Antonelli. La nuova chiesa sorse a tre navate, ma scomparve la cappella degli Antonelli, perché nel frattempo era venuto meno il beneficio. Il quadro di Antonello cominciò a subire quel progressivo abbandono, che portò ai danni che tutti vediamo. Probabilmente il terremoto fece il primo danno e poi l’incuria degli uomini il resto. Il quadro fu lasciato “all’acqua e al vento”. Lo notò nel 1853 l’Intendente di Siracusa, che chiese notizie al Comune. Il sindaco incaricò un esperto, il pittore Giovanni Tanasi, a redigere una relazione dalla quale risultava che il quadro «era attribuibile al Perugino» (sic!).
Questo fino al 1907, quando lo scoprì il siracusano Enrico Mauceri, che ne propose l’acquisto da parte dello Stato, attribuendolo alla mano di Antonello. In data 27 marzo 1907 fu pubblicato il Decreto regio di acquisto e notificato al clero di Palazzolo. La chiesa locale era per la verità restia a rilasciare il quadro, ma la somma proposta per l’acquisto (750 lire) mise tutti d’accordo. Toccò al disegnatore Rosario Carta, presente al momento dell’acquisto, persuadere il “riottoso” clero del tempo, riunito in assemblea l’otto maggio 1907 alla presenza di Rosario Carta. Ottenuto il consenso, il Carta in fretta e furia trasferì il quadro a Siracusa, e da qui, nel 1914, a Milano, dove subì la trasposizione su tela da parte del prof. Luigi Cavenaghi. Il resto è noto: c’è però da precisare che la data del trasferimento del dipinto a Palazzo Bellomo si deve collocare tra il 1929 (foto del Anderson con data 1929 e ubicazione al Museo Nazionale) e il 1933, quando nel volume del Touring Club del 1933 è già ubicato al Museo Bellomo.
C’è da chiedersi a questo punto (ma solo per una legittima curiosità) se c’è relazione fra il nome dei proprietari della cappella, la famiglia Lombardo, alias Antonello, e il pittore “Antonius de Antonio”, chiamato Antonello. Non vorrei che i committenti della cappella (fondata e costruita da un Tommaso Lombardo «alias Antonello» poco prima della data di commissione del quadro, per accogliere i resti mortali della sua famiglia e dei suoi eredi) avessero preso “l’ingiuria” dal nome del pictor che nel 1474 dipinse il quadro: Antonello da Messina appunto. Un’ipotesi suggestiva, ma da suffragare di ulteriori elementi.
Devo precisare che, a mio giudizio, il Giuliano Maniuni era il beneficiato della cappella e non il fondatore “benefattore”. Egli aveva la funzione di gestire il beneficio, occuparsi di ogni cosa che riguardasse la cappella, della quale era “orator et beneficiatus”, riscuotendo il canone in frumento [3].
La fondazione della chiesa: la traditio
Per i secoli precedenti il sec. XV diamo conto di una tradizione orale tramandata dai vecchi mulinari palazzolesi [4], secondo cui la Cava dei Mulini risalirebbe al 1424, lo stesso anno in cui, sempre secondo tale tradizione, fu costruita la chiesa dell’Annunziata.
La chiesa era collegata strettamente al quartiere medievale e alla porta del borgo, o all’Ebraida, lungo un asse stradale, o meglio sentiero-mulattiera, in cui oggi troviamo resti di una masseria romano-bizantina, i resti di un abitato in grotta con strutture produttive (palmenti e trappeti con un piccolo cimitero) e soprattutto il complesso delle Concerie di Fontanasecca. La tradizione orale trova una parziale conferma in quel che scrive Epstein a proposito di una riconversione dei pascoli in seminativi a partire dai primi anni del ‘400: «A partire dalla metà del Quattrocento, i massari cominciarono a chiedere la riconversione dei pascoli in seminativi (…)”, di conseguenza “diminuì il numero delle nuove macellerie (plancae) e aumentò quello dei nuovi mulini da grano» [5]. Espressione di questi ceti produttivi di origine greco-bizantina e, più genericamente, latina, costituiti da mulinari, conciatori, pellai, curviseri, scarpari e ricchi burgisi, la chiesa dell’Annunziata, anteriore, comunque si voglia giudicare la traditio, al 1474, si pone come simbolo della lotta contro ceti giudaizzanti di origine ebraica, ampiamente presenti nel quartiere della Platea, dove sappiamo con certezza che si trovava la Judaica di Palazzolo. In quella Platea i devoti di S. Paolo eressero la loro chiesa, proprio vicino alla bottega della Giudecca, in data anteriore alla cacciata dei Giudei da Palazzolo e da tutto il Regno. A compensare, forse, la presenza e la forza di questa coesa comunità “giudaico-cristiana” (in senso assai lato) prese piede il culto della vergine Annunziata, generando tradizioni, testi letterari e orali, anche se coi secoli il culto, a Palazzolo, come in molti altri centri (Buscemi ad esempio), è andato a diminuire fino ad essere surclassato dalla popolare devozione verso la Madonna del Carmine, co-titolare della chiesa.
Naturalmente il culto e la festa dell’Annunciazione sono antichissimi, risalendo in tutt’Italia al VI-VII secolo. Incontrò subito delle difficoltà “liturgiche” per la coincidenza ora con la Quaresima ora con la Pasqua. Il 25 marzo, in città come Firenze, si iniziava a contare l’anno e così fino alla riforma del calendario gregoriano del 1582. Questo a sottolineare l’importanza della data dell’Annuncio dell’Angelo alla Madonna, con cui i Padri della Chiesa facevano iniziare la renovatio temporum, così che calcolando nove mesi si giunge al Natale, la nascita del Salvatore. Da una parte il concepimento, dall’altra la nascita; da una parte la parthenos la vergine; dall’altra la madre partoriente; da una parte residui mitici ancestrali fondati sul culto della dea pura e illibata; dall’altra il culto mediterraneo della magna mater.
L’episodio narrato dal solo Luca nel cosiddetto Vangelo dell’Infanzia ci mostra il momento clou della liturgia mariana: il concepimento che avviene per aures, perchè il verbum, il logos è parola e non corpo: purezza adamantina. Altra cosa è la nascita dove il corpo è protagonista, impegnato nel parto, fatto tutto umano, in cui la natura della vergine si contamina, ponendo quel dualismo contraddittorio insito nella natura duale della madre di Dio: vergine e madre.
Particolare interesse rivestiva fino a qualche anno fa il rosario dedicato alla “Bedda Matri Annunziata” che veniva eseguito a Palazzolo con un cordoncino bianco con le Avemarie confezionate con semplici nodi di stoffa colore azzurro, mentre per i Pater all’interno del nodo stesso era inserito un fiocchetto rosa. Lo si faceva quindi benedire da un prete. Tale rosario veniva portato in Chiesa il 25 marzo – festa dell’Annunziata – e lo si utilizzava per recitare un pubblico rosario in onore dell’Annunziata. Ogni sera, dal 25 marzo a quello dell’anno successivo, era ripetuta la seguente giaculatoria, accompagnata da un’Avemaria:
La coroncina di questo rosario acquistava particolari poteri di redenzione dai peccati, perciò veniva posta sulla salma della devota che l’aveva confezionata e fatta benedire il giorno della festa, per aiutarla ad entrare nel Regno dei Cieli. La data della sua festa è il 25 marzo e coincide con l’inizio della primavera astronomica e spesso con le festività pasquali. In questo periodo la vigna fioriva e si ripeteva: Ppa Nunziata a vigna: o rrusata o cruciata (Per l’Annunziata la vigna o è fiorita o è incrociata). Anche le erbe sono nate a questa data: Ppa Nunziata / nasci l’erva chi un è nnata (Per l’Annunziata cresce l’erba che non è spuntata).
Ma un altro documento più antico conferma l’antico culto palazzolese verso a Nunziata. Nelle ultime pagine di un manoscritto risalente alla fine del ‘400 (o, al più, ai primi del ‘500) un anonimo ha trascritto una poesia in antico siciliano di autore anch’egli anonimo. Essa tesse le lodi della Madonna Annunziata e narra, in un parlare aulico e forbito, l’episodio dell’annuncio dell’angelo a Maria. Nel leggere la poesia ci si può mettere davanti una riproduzione del quadro di Antonello: versi e immagini si corrispondono perfettamente. Mi chiedo se il canto non sia stato scritto proprio in occasione dell’arrivo del quadro a Palazzolo. Il manoscritto apparteneva (significativamente?) al Vicario foraneo di Palazzolo don Pasquale Lombardo, della famiglia degli Antonelli, scomparso nel 1748 [6].
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