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Petrolio e trasformazioni sociali a Ragusa (1953-2023)
Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2024 @ 01:31 In Cultura,Società | No Comments
di Vincenzo Cassì, Alessandro D’Amato [*]
Settant’anni esatti sono trascorsi dal 28 ottobre 1953, quando la trivella della compagnia americana Gulf Oil Company, perforando a circa duemila metri di profondità, scoprì il primo giacimento petrolifero di Ragusa. Il ritrovamento concretizzava ciò che si era sempre sospettato, considerato che il sottosuolo ragusano aveva già dato prova di ricchezza attraverso la florida produzione asfaltifera che perdurava sin dal secolo XIX. Anche per tale ragione, il governo italiano aveva da tempo rivolto le sue attenzioni al territorio ibleo, incentivando e finanziando – nel periodo a cavallo tra le due guerre – specifiche ricerche attraverso la neonata AGIP.
I sondaggi dell’ente, tuttavia, non diedero i risultati sperati, non pervenendo all’estrazione di quegli idrocarburi considerati risorsa fondamentale per raggiungere un’agognata autonomia energetica che, forse, avrebbe cambiato il corso della Storia. Furono invece gli americani, nel Dopoguerra, a scoprire il petrolio, grazie a intraprendenza, adeguate conoscenze e avanzata tecnologia mineraria, avvalendosi della fondamentale Legge Regionale del 1950, che autorizzava i privati a compiere ricerche nel sottosuolo. Al pozzo n. 1 di contrada Pendente ne seguirono molti altri, inaugurando un’età “dell’oro nero” che costituì il marchio di fabbrica della Ragusa anni ’50 e ’60.
Grazie alla scoperta del giacimento, Ragusa salì alla ribalta delle cronache nazionali e internazionali, divenendo “la città del petrolio”, il “Texas di Sicilia”, la capitale del petrolio italiano, al centro delle strategie energetiche del dopoguerra. Evento destinato a cambiare per sempre le sorti della città, costituì un fenomeno economico che ebbe un impatto sconvolgente sulla realtà locale, provocando altresì una rivoluzione sociale, antropologica e di costume.
Gli anni del petrolio portarono innegabili benefici economici a un territorio in difficoltà, stante il periodo postbellico e la crisi occupazionale, aggravata da quella del settore asfaltifero. Se molti furono i tecnici statunitensi a trasferirsi presso il capoluogo con le rispettive famiglie (con effetti su tenore e stili di vita, consumi e costumi della popolazione autoctona), è pur vero che gran parte della manodopera impiegata fu locale, a cui si aggiungono i benefici derivanti dall’attività estrattiva, lo sviluppo economico e infrastrutturale che accompagnò il territorio, infine la nascita di un tessuto di medie imprese grazie allo sfruttamento del petrolio ai fini della lavorazione delle materie plastiche secondo un’evoluzione che si compì dagli anni ’60.
Il petrolio, quindi, anche se produsse benefici più modesti e limitati rispetto a quelli prospettati in avvio, costituì un volano per la crescita del territorio, sotto diversi aspetti, incentivando e accelerando trasformazioni epocali. Il boom del petrolio porta, negli anni ’50, un clima di effervescente euforia: a Ragusa si estraeva una percentuale assai consistente di tutto il petrolio italiano (alla fine del decennio la produzione sfiorò le 1.250.000 tonnellate annue), visibilità e notorietà investono la città, si registra un certo flusso migratorio (con lavoratori italiani e stranieri che si trasferiscono in città), i sogni di progresso e i progetti di sviluppo riempiono la stampa e il dibattitto politico, repentine trasformazioni investono il territorio, con considerevole impatto socio-culturale: il ragusano si scopre di colpo inserito in una realtà dinamica, industriale, internazionale, in una città moderna che muta per l’ennesima volta la sua forma, in una cittadinanza che cambia le sue abitudini.
Al fine di celebrare il settantesimo anniversario della scoperta del primo giacimento petrolifero ragusano, l’Archivio di Stato di Ragusa ha offerto alla cittadinanza un ricco programma, composto da un convegno (svoltosi il 28 ottobre nell’auditorium “G.B. Cartia” della Camera di Commercio), e da una mostra documentaria, visitabile fino ad aprile 2024, restituendo alla memoria cittadina tale pagina di storia recente, nel tentativo di metterne in luce la complessità, presentando il tema secondo sfaccettature e angolazioni diverse, con un prevalente taglio storico-culturale. Il percorso espositivo accoglie testimonianze di matrice eterogenea, composte da documenti cartacei, opuscoli, giornali, fotografie, cartoline e cimeli. La gran parte di esse proviene dai fondi dell’Archivio di Stato (e massimamente dal fondo Prefettura di Ragusa), ma è possibile ritrovare anche materiali appartenenti a enti e a collezioni private, messi a disposizione per l’occasione. Si è scelto di superare il classico concetto di mostra archivistica, aprendo a contributi che infondessero varietà e dinamismo, partecipazione e multimedialità. La mostra, pertanto, unisce l’apporto documentario a quello delle testimonianze grafico-visive, tra cui spiccano fotografie, cartoline e opuscoli, ospitando al contempo una ricca sezione multimediale, ove si ritrova l’emeroteca digitale, filmati d’epoca e alcune video-interviste rilasciate da esperti e appassionati cittadini che hanno voluto raccontare aneddoti e ricordi o offrire considerazioni sul tema.
Il percorso espositivo si snoda attraverso dieci sezioni, che rappresentano blocchi tematici e cronologici:
Tra i vari nuclei documentari e i diversi aspetti emersi dall’indagine archivistica preparatoria alla mostra, vorremmo soffermarci in questa sede su alcuni particolari episodi significativi per cogliere diverse sfumature della ricezione del fenomeno.
«Ragusa ha il petrolio? Ragusa lo lavori!». Così recitava il titolo di uno dei quotidiani dell’epoca, rivelando una delle tematiche più spinose. Se è vero infatti che il petrolio generò entusiasmo e consenso unanime nella popolazione, esso portò con sé anche problematiche che sin da subito animarono il dibattito pubblico. In primis, la questione della lavorazione in loco del greggio e la necessità di far partecipare pienamente Ragusa ai benefici della realtà estrattiva; poi, la presenza di una compagnia straniera, che generò una campagna di protesta, in ottica statalista e antiamericana, riscontrabile in quella parte di stampa schierata a sinistra, e che ebbe effetti anche in concreti episodi di protesta e manifestazione di dissenso. Così, in data 15 dicembre 1954, il Questore informava il Prefetto di Ragusa di alcune scritte murali apparse nottetempo in centro città, tra le vie Ecce Homo, Matteotti e Hodierna, del seguente tenore:
Le scritte, prontamente cancellate, rivelavano i temi più spinosi e che destavano maggiori preoccupazioni: la presenza di un privato (per di più straniero) nella gestione dell’attività estrattiva e la paura del depauperamento e dello “scippo”, considerato che la preziosa risorsa, una volta estratta, fuoriusciva immediatamente dal territorio, scivolando fino ad Augusta ove sarebbe stata lavorata. Da qui la significativa rivendicazione “vogliamo la raffineria a Ragusa”, che denuncia la sola preoccupazione di quegli anni, quella rivolta allo sviluppo e alla tutela degli interessi economici ed occupazionali della città. La raffineria, che le proposte che si susseguono nel tempo localizzeranno sempre prevalentemente nel territorio di Marina di Ragusa, alla fine non fu realizzata. Il petrolio continuò a confluire verso Augusta, prima tramite rotaia, poi attraverso l’oleodotto inaugurato nel 1957.
In questo ambito si colloca anche la notizia riportata dall’Unità, in un articolo del 16 dicembre 1954, relativa all’annullamento di un’importante cerimonia organizzata dal Governo e dalla Gulf (a cui tra l’altro avrebbe dovuto prendere parte anche la signora Luce, ambasciatrice statunitense in Italia), in occasione del primo carico di petrolio greggio verso Augusta. Tale decisione, a quanto si legge, fu dovuta alle numerose manifestazioni “patriottiche” registrate nei principali centri della provincia. A Ragusa, tra l’altro, apparvero le solite scritte murarie (Il petrolio ai siciliani; americani andate via dal nostro paese; Vogliamo le raffinerie qui a Ragusa; Giù le mani dal petrolio siciliano), mentre a Scicli vi furono varie azioni dimostrative che portarono anche al fermo di due giovani [2].
Se questi sono episodi meno noti, non si può non accennare a un evento assai più celebre, anch’esso significativo per cogliere altre sfumature di questa stagione. Si allude a quanto accaduto presso il pozzo n. 9, la notte del 6 novembre 1955, quando una fuga di gas cagionò uno spaventoso incendio che divampò per giorni e giorni. Sul tema, è ancora di grande aiuto la documentazione conservata all’interno del fondo Prefettura, composta da relazioni tecniche e da comunicazioni istituzionali, oltre che da un vastissimo repertorio di foto d’epoca. Tali testimonianze confermano che la spaventosa pira perdurò per giorni, e che numerosi (quanto vani) furono i tentativi di spegnimento operati dalle locali squadre di Vigili del Fuoco.
Le ore drammatiche e concitate dell’incidente vengono descritte nelle carte del Prefetto. In data 7 novembre vi è una prima urgentissima comunicazione al Ministero dell’Interno [3].
Pochi giorni dopo, un’altra nota prefettizia contiene due dettagliate relazioni tecniche, le quali riferiscono cause e dinamiche del sinistro, nonché le varie operazioni di pronto intervento messe in atto. A chiusura della lettera, si informa dell’arrivo di un tecnico americano specializzato, appositamente chiamato dalla Gulf per domare l’incendio:
Come notato dal Comandante dei Vigili del Fuoco, il drammatico episodio, anche in virtù della sua sublime e spettacolare potenza, divenne una vera e propria attrazione per cittadini e turbe di curiosi (ancora oggi difatti è vivo nelle testimonianze orali), ricevendo anche una rilevante eco mediatica. Il processo di spettacolarizzazione raggiunge il suo apice con l’arrivo di Myron Kinley, lo specialista texano che esercita il curioso mestiere di spegnitore di pozzi petroliferi in fiamme (nominato difatti “la salamandra umana” o “il mangiatore di fuoco”). Anche in tal caso sarà utile guardare alla documentazione prefettizia, non solo per il ricchissimo repertorio di provini e fotografie, ma anche per le carte che attestano la massiccia presenza sul luogo del disastro di addetti stampa, operatori e reporter di alcune importanti testate italiane ed estere: ritroviamo così la RAI, l’ANSA, La Sicilia e Il Giornale di Sicilia, il Tempo, Il Messaggero, la Settimana Incom, e ancora United Press, Associated Press, Fox Movietone, e altre, con nomi e qualifiche degli addetti impegnati nell’attività di reportage. Nel caso della Settimana Incom, poi, si conserva anche il particolare comunicato finalizzato alla realizzazione del cinegiornale, comprensivo di testo, che ancora oggi vive nel prezioso filmato custodito presso l’Archivio Storico Istituto Luce [4].
I diversi giornalisti presenti focalizzano l’attenzione sui gesti e sulle operazioni messe in atto dal pittoresco pompiere americano, concedendo largo spazio alle immagini della pira, insieme a riprese e foto del personale ivi presente. Ecco quindi, nel patrimonio fotografico dell’Archivio di Stato, comparire i protagonisti citati nelle suddette relazioni, compreso un distintissimo principe Pignatelli, direttore generale della Gulf, che ben poco lascia trasparire dell’emozione del momento. Dal canto suo, Kinley, come un personaggio di un film, arriva, risolve e va via, operando quasi con doti misteriose e taumaturgiche.
Le operazioni tecniche messe in atto dalla “salamandra umana” per spegnere l’incendio sono riportate in due importanti relazioni. La prima, dei Vigili del Fuoco (12 novembre):
La seconda, del Distretto Minerario di Caltanissetta (14 novembre):
Tali documenti dimostrano, ancora una volta, le differenti sfumature della ricezione comunitaria del fenomeno petrolifero: in tal caso, un evento dai risvolti drammatici e nefasti si è trasformato prima in una sorta di spettacolo cittadino, poi in un vero e proprio set cinematografico. Ciò che resta di quell’esperienza, d’altronde, sono soprattutto contenuti tesi a narrare l’epica grandiosità dell’episodio. Il fatto che questo sia stato utilizzato a fini pubblicitari, nelle cartoline turistiche del tempo tese a promuovere l’immagine di Ragusa, vale più di mille parole.
Quest’ultima notizia ci permette di allacciarci alle “Curiosità”. È proprio a tale sezione della su citata mostra che, in questa sede, sarà dedicata un’attenzione particolare, in considerazione delle riflessioni sociologiche e antropologiche che la documentazione ivi contenuta può ancora oggi determinare. Se, a uno sguardo superficiale, il materiale d’archivio che è stato convenzionalmente etichettato come “Curiosità” può apparire sommariamente folkloristico, a una più attenta valutazione emergono scenari di sicuro interesse, in grado di sviluppare prospettive politiche e simbolico-culturali di assoluto interesse.
Nell’ambito della mostra, la sezione in oggetto non risulta particolarmente corposa, contando poche unità documentali, comprendenti cartoline d’epoca, immagini, ritagli di giornale, oltre a una lettera proveniente dall’Archivio Storico del Comune di Ragusa, partner della mostra e del convegno svolto il 28 ottobre 2023 [5]. Tuttavia, gli stimoli offerti da tale documentazione appaiono senz’altro meritevoli di approfondimento e di una trattazione specifica.
Soffermandosi su tali carte, la narrazione che sembra risultarne appare essenzialmente politica e unidirezionalmente orientata verso una lettura esaltante del fenomeno petrolifero. Si è già detto, d’altronde, quali e quante attese di sviluppo avesse determinato la scoperta dell’“oro nero” nella città iblea, generando nella popolazione locale l’aspirazione a una repentina crescita economica e a un upgrade sociale che, a conti fatti, oggi possiamo affermare sia stato piuttosto limitato, a fronte di un sicuro stravolgimento delle abitudini e degli stili di vita, determinato più che altro dalla diffusa e prolungata presenza in città di tecnici e operai americani. Tale presenza si tradusse nell’affermazione di un rapido processo di trasformazione dei costumi dei ragusani, curiosi di imitare alcuni modelli di way of life a stelle e strisce.
Da un punto di vista economico, piuttosto, non si può di certo affermare che l’impatto determinato dall’estrazione petrolifera abbia avuto ripercussioni capillari a lunga scadenza sulla popolazione locale. Ragusa, difatti, è rimasta per decenni ancorata a modelli agricoli fondati prevalentemente sulla presenza di un comparto zootecnico particolarmente florido, dinamico ed estremamente competitivo, sebbene fosse comunque storicamente presente una realtà industriale attraverso le miniere d’asfalto e il successivo cementificio. Soltanto a partire dagli scorsi anni Ottanta-Novanta si è registrato un considerevole sviluppo dei settori industriale e terziario, grazie anche alla nascita e alla rapida espansione di un’area appositamente nata a ridosso della città. Risale, infine, ai primi anni Duemila il boom turistico della zona iblea, connesso, da un lato, al riconoscimento Unesco su cui si tornerà tra poco e, dall’altro, all’enorme successo riscontrato dalla serie tv tratta dai romanzi di Andrea Camilleri dedicati alla figura del Commissario Montalbano, le cui riprese sono state realizzate, in gran parte, nell’area del Ragusano.
Negli anni Cinquanta, pertanto, le prospettive di sviluppo legate all’estrazione del petrolio dovettero apparire tutt’altro che insensate e, anzi, parevano corroborate, anno dopo anno, dai dati sulla produzione di greggio ragusano. Se, infatti, nel primo anno di esercizio, il 1954, furono prodotte 2.239 tonnellate di ‘oro nero’, l’individuazione di nuovi punti di estrazione fece sì che già l’anno successivo le tonnellate estratte aumentassero a 142.195, fino a giungere, soltanto tre anni dopo, nel 1958, a 1.246.955! Di fronte a tali dati non deve sorprendere se tanto gli analisti quanto la popolazione locale guardassero al capoluogo ibleo come al “Texas d’Italia”.
Nell’immaginario collettivo, tali aspettative si tradussero, sin dal periodo immediatamente successivo alla scoperta del primo giacimento petrolifero, nell’individuazione della trivella quale nuovo simbolo identitario della città di Ragusa, in assoluta antitesi a quegli elementi di riconoscimento che, oggi, vengono unanimemente associati alla città. Com’è noto, infatti, nel giugno 2002, la città di Ragusa è stata iscritta nella World Heritage List dell’Unesco, unitamente ad altri sette centri del sud-est dell’Isola, costituenti le “Città tardo barocche del Val di Noto”. Il sito internet dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura ce ne illustra in breve, e compiutamente, le ragioni:
e rappresenta l’esito della ricostruzione di tali territori successiva al disastroso terremoto avvenuto la notte dell’11 gennaio 1693 [7].
È superfluo evidenziare il fatto che «i sontuosi ed eleganti palazzi, le chiese dai preziosi interni e dalle stupefacenti facciate intarsiate, le trame urbane intessute secondo un unico stile» fossero già presenti nella metà del secolo scorso. Eppure, nelle cartoline turistiche e promozionali dell’epoca, a campeggiare in primo piano era proprio la trivella (o, meglio, la torre petrolifera, tecnicamente chiamata derrick), accostata alle raffigurazioni della Cattedrale e della statua di San Giovanni Battista, del Portale di San Giorgio di Ragusa Ibla e dei ponti della città. “Ragusa vi attende” era l’invito che veniva lanciato ai potenziali turisti che, recandosi in questo estremo lembo d’Italia, avrebbero potuto ammirare “la città del petrolio”, come recitava la cartolina costruita utilizzando le immagini dell’incendio al Pozzo nr. 9, di cui si è già scritto in precedenza.
Un evento che, dunque, avrebbe potuto avere risvolti drammatici e conseguenze devastanti per l’ecosistema si tradusse invece in una sorta di prolungata festa collettiva, di carnevale di paese i cui partecipanti, per oltre cinque giorni, poterono assistere compiaciuti e divertiti al rogo del “re morente”, la torre petrolifera in fiamme. Secondo alcuni testimoni, tra i quali lo storico Giorgio Flaccavento, all’epoca dei fatti giovane studente universitario, l’area di contrada Tabuna, presso cui si trovava il pozzo incendiatosi, divenne oggetto di un vero e proprio pellegrinaggio di cittadini ragusani che giornalmente accorrevano:
Un ulteriore esempio di quanto fosse pervasiva la presenza del petrolio nella socialità di quello scorcio di anni Cinquanta è rappresentato da alcuni biglietti d’auguri natalizi che, tanto nella grafica quanto nel messaggio testuale ad essa associato, furono fortemente permeati di riferimenti a questo nuovo immaginario legato alla città. La stessa Amministrazione Comunale, in occasione delle festività di fine anno del 1954, predispose una cartolina d’auguri in cui l’immagine rappresentativa era costituita dalla foto della prova del fuoco eseguita presso il pozzo petrolifero di contrada Pendente, zona rurale della città, oggi completamente inglobata nel relativo tessuto urbano. Ancor più dell’elemento grafico, è il testo di accompagnamento a risultare di grande interesse retorico, anche in considerazione del carattere, a tratti persino surreale, posseduto dallo stesso:
Dell’‘oro nero’, pertanto, se ne evocava e percepiva esclusivamente quel portato di speranza verso un futuro più florido e ricco, in un clima di esaltazione collettiva che induceva a guardare alle nubi nerissime prodotte dalla combustione del petrolio come fossero, invece, elementi di un paesaggio incontaminato da ammirare per la sua salubrità e le sue bellezze naturalistiche. In quel Natale 1954, non c’è traccia di allarmismi legati a eventuali rischi per la salute umana e, d’altronde, così come evidenziato nel suo puntuale lavoro di ricerca da Davide Bocchieri, la coscienza sui possibili rischi legati all’estrazione petrolifera sarebbero emersi soltanto dopo qualche decennio, tanto che l’odore del petrolio estratto o del carburante veniva collettivamente percepito come “çiauru ri sordi”, vale a dire “profumo di denaro” [10].
Ancor più curioso l’annuncio apparso sul settimanale «La trivella» del 19 luglio 1956, in cui veniva lanciata la notizia della prossima pubblicazione di una Guida turistica di Ragusa: tra le immagini prescelte per presentare l’iniziativa, accanto agli immancabili campanile di San Giovanni, portale di San Giorgio e ai due ponti della città [11], campeggiava una torre di perforazione a rappresentare, ancora una volta, il principale simbolo identitario di quella seconda metà degli anni Cinquanta: il petrolio.
Una pervasività, quella del petrolio e delle trivelle della Gulf Italia, che in quello scorcio temporale collocato tra la seconda metà degli anni Cinquanta e i primissimi anni Sessanta aveva l’esclusiva dei processi di estrazione del greggio, che non risparmiava nemmeno il dibattito pubblico sulla pubblicistica dell’epoca, come dimostrano i numerosi articoli apparsi sul principale foglio settimanale della città, «Ragusa sera» e sull’analogo periodico anarchico, il già citato «La trivella». Del resto, soprattutto nelle fasi iniziali del fenomeno, l’orgoglio per la presenza dell’“oro nero” in città investì trasversalmente tutti i partiti politici, con i rappresentanti della Sinistra che si limitarono, come evidenziato in precedenza, a intestarsi la battaglia – in chiave statalista e anti-americanista – contro l’esclusiva gestione, da parte degli statunitensi della Gulf Italia, dei profitti derivanti dall’estrazione, così come testimoniato da alcuni articoli apparsi sull’edizione regionale de «L’Unità».
Di contro, a testimonianza del fatto che il petrolio divenne anche uno strumento politico di creazione di consenso, fu unanimemente vissuta come motivo di esaltazione collettiva la presenza delle trivelle e l’ipotesi – che oggi ci farebbe inorridire e che, per fortuna, non ebbe mai a concretizzarsi – relativa all’installazione di una di esse nel bel mezzo dei Giardini Villa Margherita, polmone verde della città, situato in pieno centro storico. Di fronte a tale possibilità, «Ragusa sera» pubblicò due articoli che oggi, alla luce dell’odierna sensibilità architettonica e delle innegabili esigenze ecologiche, appaiono grotteschi. Nel primo di essi, apparso in forma anonima il 20 luglio 1957, l’estensore sosteneva di non volersi schierare nel dibattito sull’opportunità di impiantare una trivella all’interno dei giardini comunali, contraddicendo tuttavia questa sua stessa affermazione laddove affermava:
Solo una settimana dopo, acquisito il parere favorevole all’installazione della trivella da parte del Distretto minerario di Caltanissetta, territorialmente competente per il rilascio delle relative autorizzazioni, di fronte all’ipotizzato diniego che sarebbe potuto pervenire dalla Giunta Comunale, l’anonimo redattore tornava alla carica cercando di supportare le proprie posizioni attraverso alcune curiose teorie:
Dunque, per una vulgata piuttosto ampia e rappresentativa, la possibilità di avere nel cuore della città una trivella per l’estrazione petrolifera costituiva un’opportunità da non perdere per attrarre nel capoluogo ibleo frotte di turisti o di semplici curiosi, anticipando in tal senso quei flussi di ‘turismo industriale’ che, perlomeno in Italia, si sarebbero sviluppati, coinvolgendo prevalentemente le aree degli ex stabilimenti oramai dismessi, soltanto a partire dagli albori del XXI secolo, conseguentemente alla nascita – nel 1997 – dell’AIPAI, Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale [15]. A tale obiettivo, del resto, puntava l’autore di un altro articolo di stampa, Giorgio Floridia, quando il 02/05/1958, su «Ragusa sera», perorava convintamente la causa del trinomio “turismo, petrolio, industria”, quale trampolino di lancio per un processo di sviluppo del territorio ibleo basato essenzialmente sullo sfruttamento delle opportunità offerte dall’estrazione del petrolio e dalla relativa lavorazione, in quanto elemento di straordinaria attrattiva per quei turisti, provenienti soprattutto dal nord della penisola, curiosi di conoscere e scoprire la “capitale italiana del petrolio”. Sembra pertanto pleonastico l’atteggiamento dello stesso Floridia laddove si interroga se non sia corretto «affermare che la più efficiente notorietà di Ragusa nel continente e all’estero è stata creata ed è ancora alimentata dai ritrovamenti del petrolio», auspicando piuttosto una più efficace strategia di marketing turistico, basata proprio sull’enfatizzazione delle potenzialità offerte dall’area mineraria: «dato che nessun’altra città o provincia possono – attualmente – vantare il titolo di “centro del petrolio italiano” non guasterebbe davvero che i prospetti illustrati su Ragusa e Provincia mettessero in evidenza anche questo aspetto modernissimo che, con i suoi più recenti sviluppi, attira l’attenzione dei turisti e non dei soli turisti»[16]. Il ragionamento, dunque, pare ruotare attorno a un’unica direttrice, all’interno della quale si fondono, ad un tempo, l’orgoglio di essere considerati, compiacendosene, “capitale italiana del petrolio” e l’immaginario dorato di un futuro luminoso e florido.
È ancora una volta il tema del benessere ad essere al centro dei contenuti di una brochure anonima, connotata politicamente in chiave anticomunista e intitolata “Il petrolio in Sicilia”. La grafica è realizzata da un derrick collocato sullo sfondo e, in primo piano, un copioso fiotto di petrolio che bagna una folla festante di persone. Le pagine interne della brochure, coerentemente con la gioiosità richiamata dal frontespizio, esaltano nel complesso l’iniziativa del governo regionale e il conseguente impulso alla ricerca degli idrocarburi, giustificando tale entusiasmo con la pioggia di denaro in arrivo sulla classe operaia isolana. In questa celebrazione delle “magnifiche sorti e progressive” che l’estrazione del petrolio avrebbe portato alla comunità ragusana, divengono oggetto di polemica le posizioni assunte dagli esponenti locali del Partito Comunista, rei d’avere dapprima sostenuto la legge regionale «che autorizzava le concessioni per la ricerca dei preziosi carburanti, [riconoscendo] l’opportunità di favorire l’iniziativa nazionale ed estera», salvo poi schierarsi contro la gestione statunitense degli impianti di estrazione «in nome dell’indipendenza economica della nazione». In una siffatta presa di posizione, il PCI regionale trovò sponda nel sostegno offerto da alcuni «giornali di sinistra, secondo i quali le concessioni per le ricerche avrebbero dovuto riservarsi esclusivamente alle ditte italiane» celando, dietro tale atteggiamento, un certo qual sottinteso «rammarico che, comunque, le ricerche siano state condotte»[17]. In nome della prosperità che di lì a poco sarebbe piovuta addosso al popolo siciliano, come raffigurato dall’abbondante zampillo di ‘oro nero’ dell’immagine appena descritta, il testo si chiudeva recisamente:
Ancora una volta, in quest’ultimo documento, risalta l’essenzialità strumentale, a fini politico-ideologici, assunta dai sostenitori delle estrazioni petrolifere nel territorio ragusano. Ovviamente, in questa sede non vi è alcuna intenzione di attribuire giudizi di valore o di prendere posizioni: si è ben consapevoli che l’intera vicenda legata alla scoperta dei giacimenti petroliferi di Ragusa e del conseguente sfruttamento delle risorse estratte debba essere contestualizzato al periodo storico in cui i fatti avvennero. Ricordiamo, infatti, che il periodo del boom petrolifero ragusano, a pochi anni dalla cessazione dell’esperienza bellica, andò a coincidere con comprensibili vagheggiamenti di rilancio socio-economico e con l’utopia che la Sicilia potesse trasformarsi in una sorta di Texas. Tali elementi, unitamente all’assenza di una coscienza critica connessa ai possibili rischi, per l’ambiente e per la salute umana, connaturati alle attività estrattive, fecero sì che, nei fatti, le voci fuori dal coro furono realmente residuali e, come già evidenziato, più che altro legate a iniziative politiche e sindacali di contrasto al monopolio americano delle attività estrattive e di raffinazione del petrolio.
A settant’anni dalla scoperta del petrolio a Ragusa, il capoluogo ibleo non è più la capitale italiana dell’‘oro nero’. In alcune zone periferiche della città persiste ancora qualche residuale impianto estrattivo. Tuttavia, nonostante sin dagli anni Sessanta i dati relativi alla produzione del greggio abbiano intrapreso un lento quanto inesorabile declino, ancora oggi Ragusa risulta beneficiaria di royalties petrolifere che, nel corso di questi decenni, hanno consentito la realizzazione di importanti opere di ammodernamento della rete infrastrutturale della città: si pensi al citato Ponte San Vito, edificato già negli anni Sessanta, ma anche al recente caso di realizzazione dell’area pedonale di Marina di Ragusa, principale frazione rivierasca della città.
Nel frattempo, sebbene queste grandi opere siano sotto gli occhi di tutti, conseguentemente alla disillusione per ciò che poteva essere e che, invece, non è stato, la popolazione – tranne poche singolari eccezioni legate a un coinvolgimento diretto nei processi di produzione e di lavorazione – ha quasi rimosso dalla propria memoria quel breve ma intenso periodo di straordinaria transizione storica e sociale, rappresentato dal decennio successivo al 1953 [19].
Per tali ragioni, appare sensato il recupero di una memoria storica legata alla data simbolica del 28 ottobre 1953, giorno che rappresenta per la comunità di Ragusa un momento di cesura: la scoperta del giacimento proietta di colpo la città nella modernità ed è salutata con toni trionfalistici. Al tempo stesso esso porta con sé sia evidenti benefici economici, sia profonde trasformazioni e un acceso dibattito che coinvolge tutta la realtà locale, la stampa e la politica, continuamente sollecitata e chiamata a compiere scelte proficue e coraggiose. Una storia ragusana, ma che è anche siciliana e mediterranea, italiana e mondiale, da collocare nel delicato contesto storico e geopolitico del Dopoguerra.
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